tag:blogger.com,1999:blog-11195878991553137502024-02-19T03:23:00.788+01:00ReF - Recensioni FilosoficheRivista di recensioni di testi di filosofiaAndrea Rossettihttp://www.blogger.com/profile/10911196435133848326noreply@blogger.comBlogger1020125tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-48439607749401536262017-07-07T09:00:00.000+02:002017-07-07T09:00:10.152+02:00Badiou, Alain, Lacan. Il Seminario. L’antifilosofia 1994-1995<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ed. it. a cura di Luigi</span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"> Francesco Clemente, Napoli-Salerno, Orthotes, 2016, </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">pp. 212, euro 20, ISBN 978-88-9314-027-0.</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhe4dlxiyrJxA86ggIrXHBvHRZXMbLQKdGQ9R9XcJwO9PjuEprINcbP76sP9pl0kHtDh4pY30qvtZQBtgfLrjkd8YuBW0zvUefpEf1lWkNuYIkDQaOwA_7sqI0032vNHpYRfBvAl9YSsCs/s1600/9788893140270_0_0_300_80.png" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="210" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhe4dlxiyrJxA86ggIrXHBvHRZXMbLQKdGQ9R9XcJwO9PjuEprINcbP76sP9pl0kHtDh4pY30qvtZQBtgfLrjkd8YuBW0zvUefpEf1lWkNuYIkDQaOwA_7sqI0032vNHpYRfBvAl9YSsCs/s200/9788893140270_0_0_300_80.png" width="140" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Caterina Marino - 16/02/2017</span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"> </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nel 2016 è stato pubblicato in traduzione italiana il seminario tenuto da Alain Badiou nell’anno accademico 1994-1995 sull’antifilosofia di Lacan. Questo terzo momento di una “tetralogia antifilosofica” (p. 5), che ha visto come protagonisti autori quali Nietzsche, Wittgenstein e san Paolo, non fa che confermare la profonda convinzione di Badiou per cui ogni filosofo contemporaneo che si rispetti debba necessariamente misurarsi, nel corso del proprio itinerario filosofico, con lo psicoanalista francese e, soprattutto, con la sua interpretazione della filosofia (p. 8). </span></div>
<a name='more'></a><br />
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Fu Lacan stesso a dichiarare di essere un “antifilosofo”, e questo è certamente all’origine del debito reale di Badiou nei suoi confronti. La ricerca di Badiou, infatti, oltre a delineare un’autonoma ed originale ontologia, proprio a partire da quell’affermazione lacaniana è stata indotta, in modo sistematico, alla chiarificazione di ciò che caratterizza un pensiero antifilosofico. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">A conferma di ciò questo seminario non presenta un’esposizione organica dell’opera lacaniana, ma si concentra soprattutto sull’analisi dei fondamenti della sua antifilosofia. Prendendo in considerazione soprattutto il Lacan degli anni Settanta, quello che privilegia il Reale rispetto al Simbolico, per intenderci, e seguendo una modalità di analisi rigorosamente progressiva, Badiou si propone due compiti essenziali: stabilire in che senso Lacan sia un antifilosofo, identificando la natura della materia e dell’atto antifilosofici del suo pensiero, e chiarire le ragioni per cui Lacan si pone come chiusura dell’antifilosofia contemporanea, conducendo, conseguentemente, all’apertura di un’eredità che l’antifilosofia lacaniana lascia alla filosofia stessa. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Per chi volesse intraprendere lo studio di questo testo è necessario attenersi, come suggerisce lo stesso Badiou, a quello che è il movimento generale di ogni antifilosofia, ovvero la destituzione, intesa non nel senso del rifiuto o dell’abolizione, bensì come discredito, della categoria filosofica della verità. Lacan, infatti, ha intrattenuto con questa categoria un confronto lungo e tortuoso e, dopo averla attraversata, affermando che la verità si può dire solo a metà, l’ha scartata definitivamente a favore di un concetto situato nel luogo dell’atto analitico: il sapere. Il pensiero lacaniano, perciò, si inserisce perfettamente in quella “triangolazione del macchinario antifilosofico” fondata sul rapporto tra ‘verità’, ‘dire’ e ‘atto’ (p. 33). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il percorso che si snoda attraverso le nove lezioni del seminario di Badiou intende mostrare come la dimensione antifilosofica propria di Lacan intervenga sul rapporto tra la filosofia e la matematica (la filosofia è basita di fronte alle matematiche), tra la filosofia e la politica (la metafisica tappa il buco della politica), e, infine, tra la filosofia e l’amore (al cuore del discorso filosofico c’è l’amore) (p. 69); stabilendo una sorta di reciprocità tra l’atto e il ‘matema’, cioè tra l’atto e una forma di sapere integralmente trasmissibile, ed approdando a dei risultati in parte divergenti rispetto ai propositi lacaniani. Badiou, nello specifico, sostiene una tesi particolarmente ardua secondo la quale, per Lacan, il matema, posto in posizione di oggetto, è ciò che causa il desiderio dell’analista, ovvero di quel ‘contro-personaggio’ che costituisce il vero destinatario dell’antifilosofia lacaniana e che desidera trovare la formula del sapere. Gli analisti corrono la minaccia della filosofia, pur non conoscendola, poiché la psicoanalisi rischia costantemente di trasformarsi in un’ermeneutica del senso, dimenticando l’atto analitico. Sono, perciò, gli analisti stessi a dover essere ricondotti, forzatamente, all’atto analitico che viene sottratto alla filosofia in modo tale da non diventare una mera chiacchiera altezzosa. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il problema, quindi, si trova proprio nel luogo in cui si attribuisce alla filosofia un recupero religioso del senso, che la conduce a definirsi nella relazione senso/verità, la quale, secondo Lacan, può solo condurre a scoprire la funzione del celato e del velo, così come ha fatto Heidegger ponendo la questione della verità dell’essere in un collegamento essenziale tra la svelatezza ed il nascondimento. A questa categoria la psicoanalisi oppone quella di “ab-senso”, da pensare in modo totalmente differente da quella di “non-senso”: non è la verità ad essere in gioco, ma il sapere, o meglio la correlazione del sapere con il reale (p. 79). È questo il banco di prova a cui Badiou vuole sottoporre il dispositivo di pensiero lacaniano per mostrarlo come dispositivo di ragione e non come intuizione irrazionale. Questo perché, a suo dire, tutti gli irrazionalismi elaborano una categoria del non-senso, così come la filosofia resta intrappolata nell’opposizione tra senso e non-senso e crede di uscirne attraverso l’amore per la verità. Tutto ciò è assolutamente distante dal percorso compiuto da Lacan, poiché l’atto analitico consisterebbe, per lui, in una produzione di sapere trasmissibile che costituisce la prova empirica del fatto che c’è stata analisi, attestando il carattere “arciscientifico” – così lo chiama Badiou – dell’atto lacaniano (p. 17). Se l’atto ha avuto luogo, e ne abbiamo le prove, rappresentando il reale dell’analisi ed inserendosi nell’ordine dell’ab-senso, Lacan, secondo Badiou, elabora la prima antifilosofia immanente e, per questo motivo, la sua è l’ultima antifilosofia, in quanto si afferma come sapere in cui può funzionare un reale. Sarà l’inconscio come sapere impossibile a designare questa funzione. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Se da una parte Badiou esplica le motivazioni per cui Lacan intenta un processo alla filosofia, per esempio il fatto che il filosofo ami la filosofia come potenza – ecco l’illusione nefasta – e non come impotenza, e la considera incapace di produrre una teoria del reale, dall’altra non manca di riaffermare il proprio punto di vista in difesa di una filosofia che davvero subisce la tentazione di ricomposizione del senso, la tentazione metafisica dell’Uno, ma che è anche rivolta ad un pensiero del vero come estraneo al senso. È chiaro, però, che anche secondo Badiou l’atto analitico non può essere una ricerca della verità e, infatti, Lacan ha preteso che l’unico effetto di verità di tale atto sia il fatto che un reale venga in funzione nel sapere. Pertanto è necessario abbandonare quella formulazione della psicoanalisi che ha visto l’inconscio come ciò che fa emergere la verità del conscio. È stata proprio questa interpretazione che ha permesso l’appropriazione filosofica della psicoanalisi. </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Per essere più chiari, è con la concezione che Lacan ha del reale che questo seminario obbliga il lettore, non senza difficoltà, a scontrarsi. Il reale non è ciò di cui si dà verità e nemmeno ciò che si può sapere. Allo stesso tempo il reale non è mai ciò che non si conosce. Questo è un punto delicatissimo del pensiero lacaniano, poiché bisogna provare a seguire Lacan percorrendo un cammino irto di ostacoli, tra la filosofia e l’antifilosofia, nell’intento di sottrarre il reale alla conoscenza (che viene assegnata, invece, alla realtà), ma senza precipitare in una dottrina dell’ineffabile. </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Così come Badiou mostra che l’ab-senso è il luogo scelto da Lacan per sfuggire alla rigida opposizione filosofica tra senso e non-senso, allo stesso tempo chiarisce anche che l’accesso al reale è indifferente al conoscibile tanto quanto all’inconoscibile (l’inconoscibile, in fondo, è una modalità del conoscere). Perciò viene sottolineata a più riprese la dimensione antidialettica di ogni antifilosofia e della stessa antifilosofia lacaniana nella sua originalità: «il luogo d’accesso al reale non può essere colto negativamente, […] ma si espone ad essere dimostrato» (p. 137, 148). La dimostrazione del reale non ha nulla a che vedere con la scoperta di un senso nascosto, bensì con la singolarità irriducibile dell’atto analitico. Sarà l’atto stesso a salvare la psicoanalisi dalle mancanze costitutive della filosofia.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ricapitolando, come fa lo stesso Badiou all’inizio di ogni lezione: mentre il filosofo resta basito di fronte alla matematica, la psicoanalisi si colloca sotto l’ideale del matema; mentre la filosofia persegue l’amore della verità e tappa il buco della politica, la psicoanalisi denuncia queste occultazioni. Ciò che emerge è una sorta di distinzione tra il progetto di fare qualcosa (la tappatura), che viene attribuito alla logica filosofica, e l’effettivo fare qualcosa che costituisce l’atto analitico nella sua immanenza e singolarità, la cui prova è la dimostrazione del reale di un soggetto. </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Sembrerebbe che il seminario in questione, come una sorta di analisi psicoanalitica del testo, metta il lettore con le spalle al muro, laddove l’unica via d’uscita possibile è dover necessariamente compiere una scelta. Apparentemente si potrebbe essere ingannati credendo di dover scegliere tra la filosofia intesa come teoria e la psicoanalisi intesa come pratica, ma, secondo Lacan, non si va in analisi per trovare una via d’uscita, bensì perché la si ha già questa via d’uscita. Allora l’eredità dell’antifilosofia lacaniana non potrà che essere una via d’uscita in cui il pensiero, il cui luogo è l’atto, non si divide in teoria e pratica, ma si rivela come ciò in cui teoria e pratica sono inscindibili. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Tuttavia Badiou non risparmia a Lacan una forte critica, poiché, a suo avviso, non esiste una conduzione lacaniana della cura. Lacan non dice cosa fare, non stabilisce delle regole, e tutto questo rappresenta, per l’autore del seminario, un’indeterminazione del pensiero. I discepoli di Lacan, quelli di oggi e quelli di ieri, sanno bene che la cura lacaniana è avvolta nel mistero e ciascuno prova ad organizzarsi come può; anzi credono che sia esattamente questo l’insegnamento autentico del loro maestro: non c’è nulla di preciso da insegnare. Perciò Badiou insiste con i suoi interrogativi perentori: «Ma che fare? Voglio dire: che fare d’altro?, perché “fare” vuol dire sempre questo: che fare d’altro?» (p. 165). È questa, secondo l’autore, la questione che avrebbe dovuto essere centrale nella disposizione antifilosofica lacaniana e che, invece, mostra una debolezza irriducibile. Neppure il famoso “ritorno a Freud”, che tanto caratterizza l’interrogazione lacaniana, soddisfa Badiou, poiché, dal suo punto di vista, è necessaria non solo la novità del discorso analitico, ma anche la novità del vero e proprio luogo dell’atto analitico; ovvero è necessario esplicare cos’è questo luogo, così come è indispensabile che il pensiero di Lacan divenga una tappa decisiva di una vera rivoluzione della cura e non solo una reinterpretazione del dispositivo freudiano. Insomma, se davvero teoria e pratica sono inscindibili come crede Lacan, dare una risposta alla questione “che fare?”, vuol dire rispondere alla questione “che pensare?”. Ciò sta a significare, quindi, che rispondere alla domanda “che fare se sono un analista lacaniano?”, vorrebbe dire rispondere anche ad una seconda questione: “quale determinazione del pensiero devo sostenere rispetto al luogo dell’atto?” (p. 166). Ma questo, secondo Badiou, è troppo filosofico per un antifilosofo, poiché provare a determinare teoricamente il luogo dell’atto non fa che ricondurre alla filosofia con la sua pretesa di ricerca del senso. Proprio per questo l’antifilosofia sarà sempre minacciata da un possibile rovesciamento filosofico, dal momento che utilizzare i concetti e, quindi, l’argomentazione discorsiva vuol dire entrare necessariamente nel campo d’azione proprio della filosofia. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Tuttavia questo possibile rovesciamento filosofico dell’antifilosofia lacaniana può essere un punto di partenza interessante per chi volesse proseguire lo studio di un autore come Lacan, che non si lascia di certo inquadrare sotto il segno della definitività. Il confronto finale di Badiou con Jean-Claude Milner, autore de L’Opera chiara, nell’ultima parte del testo, fornisce importanti suggerimenti in merito. </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Presentazione di L. F. Clemente</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">A proposito del seminario del 1994-1995 dedicato a Lacan di A. Badiou</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">I. 9 novembre 1994</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">II. 30 novembre 1994</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">III. 21 dicembre 1994</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">IV. 11 gennaio 1995</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">V. 18 gennaio 1995</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">VI. 15 marzo 1995</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">VII. 5 aprile 1995</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">VIII. 31 maggio 1995</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">IX. 15 giugno 1995</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ringraziamenti</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Cronologia (Il Seminario)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Bibliografia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice dei nomi</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-26417461470926131772017-06-12T09:00:00.000+02:002017-06-12T11:42:15.357+02:00Cabral, Hildeliza Lacerda Tinoco Boechat, Zaganelli, Margareth Vetis (Orgs.), Mistanásia: A ‘Morte Miserável’<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Campos dos Goytacazes, Brasil Multicultural, 2016, pp. 344, ISBN:978-85-5635-001-5.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZmJWuxiKucAeSj9sUYwvqSXXnkk4rR02XdeszGcR_wkyAPtm_2hLfLLIHNs5PcNoj7NLrdFjpMClK6fOzoBVuGmNHq7VVFd8woFBkKtz2_zATY3H0sYNT8l6GxmIlX5PqD67vcDcL0qg/s1600/salardi.png" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="225" data-original-width="157" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZmJWuxiKucAeSj9sUYwvqSXXnkk4rR02XdeszGcR_wkyAPtm_2hLfLLIHNs5PcNoj7NLrdFjpMClK6fOzoBVuGmNHq7VVFd8woFBkKtz2_zATY3H0sYNT8l6GxmIlX5PqD67vcDcL0qg/s200/salardi.png" width="139" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Silvia Salardi – 26/01/2017</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif; white-space: pre;"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">"Mistanásia: la ‘morte miserabile’", titolo originale “Mistanásia: A ‘Morte Miserável’” è un pregevole volume pubblicato in Brasile nel 2016 dall’Editore Brasil Multicultural, Campos de Goytacases, nello stato di Rio de Janeiro, attualmente disponibile nella versione originale. I curatori e autori dell’opera sono Hildeliza Lacerda Tinoco Boechat Cabral e Margareth Vetis Zaganelli. Il volume ha un taglio inter-e multidisciplinare. L’obiettivo è quello di proporre una riflessione bioetica e biogiuridica sulla fine della vita, tenendo conto di diversi punti di vista.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"></span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Mistanásia è un termine portoghese particolare, di uso poco comune, che indica una ben precisa forma di morte, ovvero l’eutanasia sociale. Sinonimo è il termine portoghese Cacotanásia che a sua volta specifica una forma di morte causata da un eccesso di dolore, sofferenza o angustia. Si tratta di espressioni che designano una morte definita dagli autori “miserabile”, la cui causa principale è l’abbandono sociale e individuale. Mistanásia è un termine dalle radici etimologiche greche (mys = infelice; thanathos = morte), coniato nel 1989 da Márcio Fabri dos Anjos, bioeticista e teologo brasiliano, che lo ha impiegato per la prima volta in un articolo intitolato "L'eutanasia in chiave di liberazione" (Eutanásia em chave de libertação. In Boletin ICAPS, Ed. Instituto Camiliano de Pastoral de Saúde giugno 1989, p. 6). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’espressione qualifica la morte di un ben preciso gruppo di persone entro la società brasiliana, ossia il gruppo o l’insieme di persone che compongono la parte povera della popolazione. Il fenomeno è presente infatti in Brasile in dimensioni allarmanti. È quindi da un dato di fatto preciso che gli autori sviluppano le loro riflessioni sul tema della ‘morte miserabile’: una parte cospicua della popolazione vive senza assistenza sanitaria, senza sostegni materiali o morali, vive cioè in balia del destino. A queste persone è negata la possibilità di usufruire del sistema sanitario unificato di cui si è dotato il Brasile attraverso il programma SUS (Sistema Único de Saúde) finanziato dallo stato, ciò in contraddizione con il mandato di tutela e salvaguardia della vita e della salute dei cittadini caratterizzante uno stato democratico di diritto.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Povertà, violenza, droga, mancanza di servizi sanitari di base sono le principali cause dell’attuale Mistanásia. Queste cause sono ben denunciate nel volume, e analizzate in relazione alle previsioni dell’attuale quadro costituzionale brasiliano, che si propone in realtà di promuovere una vita dignitosa e quindi, secondo gli autori, anche una morte dignitosa per tutti i cittadini brasiliani.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Alla luce delle considerazioni che precedono, si può sottolineare come gli autori del volume affrontino coraggiosamente e con spirito di denuncia l’esistenza di questo fenomeno in Brasile, che pur avendo radici storiche, si presenta oggi in chiave nuova. In particolare, la sua persistenza si pone in contrasto con il quadro di valori costituzionali attualmente vigenti. Tale quadro pone chiaramente l’accento su alcuni obiettivi fondamentali, quali l’eliminazione della povertà e dell’emarginazione, la riduzione delle diseguaglianze sociali e regionali, e infine la promozione del “bene di tutti” senza pregiudizi sulla provenienza, la razza, il sesso, il colore della pelle, l’età e qualsiasi altra forma di discriminazione.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’approccio interdisciplinare usato nel volume consente agli autori di evidenziare diversi aspetti del fenomeno da diverse angolazioni, in particolare dalla prospettiva giuridica, bioetica e di politica sanitaria. Si pone, ad esempio, l’accento sul fatto che la recente diffusione del virus zika, soprattutto tra i poveri, affonda le sue radici nel mancato e corretto contrasto da parte delle autorità ad un virus trasmesso da decenni dalla zanzara aedes aegypti, di cui zika rappresenta il volto mutato (p. 333 ss.). Il virus zika, che peraltro ormai viaggia oltre i confini nazionali brasiliani, miete vittime soprattutto tra i nascituri causando, attraverso una mutazione genetica, una microcefalia. Questo è solo uno degli esempi concreti su cui si fondano le considerazioni e le denunce che gli autori del volume sollevano.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il volume si propone infatti l’ambizioso obiettivo di chiarire le diverse manifestazioni della c.d. Mistanásia, non solo nell’attuale momento storico, ma anche con riferimento al passato, in particolare viene ripercorsa la storia dell’Aktion T4 nell’ambito dell’olocausto brasiliano (p. 284). In occasione di tale tragico evento, come ben si ricorda nel volume, la storia ha assistito al feroce genocidio di 60000 persone, commesso nella colonia dell’ospedale di Barbacena, Minas Gerais, fondata nel 1903. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nel volume, si intrecciano, quindi, non solo prospettive di studio interdisciplinare, ma altresì esperienze passate e presenti che hanno come comune denominatore la morte “miserabile” delle persone povere e più svantaggiate. È una denuncia a tutto campo anche delle inadempienze politiche rispetto alle previsioni costituzionali e all’obbligo di garantire cure adeguate anche agli indigenti. La realtà che emerge dall’analisi degli autori delinea infatti una situazione ben diversa da quella prevista dal quadro costituzionale: una situazione dove le persone non abbienti muoiono in lunga e vacua attesa di un posto all’ospedale pubblico (p. 292 ss.), in violazione dei diritti fondamentali garantiti costituzionalmente.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">In diversi capitoli del volume si evidenziano le varie sfumature del fenomeno Mistanásia, anche con riflessioni sul tema dell’eutanasia, riflessioni effettuate in dialogo critico con posizioni di autori come Immanuel Kant (p. 76 ss.)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Si pone inoltre l’accento, da diversi punti di vista, sul fatto che le precarie condizioni di vita e la negazione dell’accesso alle cure del sistema sanitario nazionale risultano in una morte silenziosa, ma molto numerosa, di persone per lo più in giovane età, a cui viene negata, attraverso la violazione e non attuazione delle garanzie costituzionali, l’opportunità di ‘sperimentare’ tutte le fasi che caratterizzano il normale ciclo della vita umana.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Lo scopo dell’opera, senz’altro riuscito, è di sensibilizzare l’opinione pubblica, ma anche gli addetti ai lavori, con riferimento al fenomeno della morte miserabile in Brasile, ovvero quella che gli autori definiscono senza mezzi termini un ‘olocausto silenzioso’ (p. 312 ss.). La speranza degli autori è che il volume contribuisca a dare inizio a una discussione pubblica seria su questa tematica (p. 31). Si auspica che attraverso quest’opera di sensibilizzazione sia possibile migliorare le condizioni di vita di buona parte della popolazione brasiliana attraverso un adeguamento della prassi al dettato costituzionale e che i rappresentanti politici si impegnino affinché tutti i cittadini possano effettivamente usufruire di un sistema pubblico di assistenza sanitaria di qualità nel pieno rispetto del mandato costituzionale.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Introduzione p. 28</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. La morte umana p. 32 </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. Concetto e accertamento della morte p. 48</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. La morte umana come fenomeno sociale e le sue cause p. 66</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5. Brevi riflessioni sull'eutanasia alla luce di Immanuel Kant p. 76</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">6. Eutanasia e legislazione brasiliana p. 82</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">7. Tipologie di eutanasia p. 96</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">8. Ortonásia (eutanasia passiva): morte in un momento preciso e rispetto per l'autodeterminazione del malato terminale p. 106</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">9. Dysthanasia (bad death): morte ritardata e danno alla dignità del malato p. 132</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">10. Mistan</span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">ásia: le sfumature della "morte miserabile" </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 146</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">11. La sanità pubblica come tutela delle persone svantaggiate e la giurisprudenza p. 172</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">12. La giurisprudenza in materia di salute p. 186</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">13. Diritto alla salute: la pubblicizzazione e l'interesse dello Stato a promuovere la qualità della sanità pubblica p. 204</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">14. </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Mistan</span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">ásia e violazione del dovere di assistenza del governo </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 214</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">15. Principi e diritti del cittadino violati dalla pratica della m</span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">istan</span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">ásia</span> <span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 230</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">16. Riflessioni di m</span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">istan</span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">ásia nella società brasiliana </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 238</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">17. Lotta contro la m</span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">istan</span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">ásia </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 246</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">18. Sanità pubblica e diritti umani in Brasile: prospettive p. 254</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">19. Attività mediche negli ospedali pubblici: ostacoli e sfide p. 262</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">20. Legge "sus" e sanità pubblica in Brasile p. 270</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">21. Aktion T4: vita indegna di essere vissuta - una storia che non deve essere dimenticata p. 284</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">22. Morte miserabile: agonia e dolore in attesa di un letto in terapia intensiva p. 292<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">23. </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Mistan</span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">ásia attiva e il progetto sociale di eugenetica nazista: riflessioni sulla banalità del male </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 302</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">24. </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Mistan</span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">ásia attiva nel contesto dell'olocausto brasiliano: esclusione sociale della vita indesiderata </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 312</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">25. Zika virus: la versione contemporanea di m</span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">istan</span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">ásia neonatale </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 322</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">26. Considerazioni finali sulla morte miserabile in Brasile p. 344</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-83479208597786115052017-06-08T09:00:00.000+02:002017-06-08T09:00:18.438+02:00D’Alessandro, Ruggero, Giacomantonio, Francesco, Post-strutturalismo e politica. Foucault, Deleuze, Derrida<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Perugia, </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Morlacchi Editore University Press, 2015, pp. 113, euro 14, ISBN: 9788860746986</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxKfHP4V1KntGjeVru3jyvorcHvmrlTzZnNEuKzGrVGwCO-h9lxKTIuSEi67XuEsnIQp47xIknqC_cWXL1nGIz3vQylCMsv4II9nY-Aj-N_c6uXsiqPYWzIyiFFwFa0mjL5GwbO_bXUzI/s1600/Giacomantonio_Post-strutturalismo_500.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="305" data-original-width="200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxKfHP4V1KntGjeVru3jyvorcHvmrlTzZnNEuKzGrVGwCO-h9lxKTIuSEi67XuEsnIQp47xIknqC_cWXL1nGIz3vQylCMsv4II9nY-Aj-N_c6uXsiqPYWzIyiFFwFa0mjL5GwbO_bXUzI/s200/Giacomantonio_Post-strutturalismo_500.jpg" width="131" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Gabriele Vissio - 01/07/2016</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il volume di D’Alessandro e Giacomantonio presenta una sintesi del pensiero dei tre grandi classici della stagione post-strutturalista francese – Michel Foucault, Gilles Deleuze, Jacques Derrida – alla luce dei rapporti che essi intrattengono con la questione politica. Diciamo la “questione politica” perché l’intento del volume non è tanto quello di esporre la filosofia politica di Foucault, Deleuze e Derrida – posto che si possa parlare, per ciascuno di questi autori, di una filosofia politica in senso classico – quanto quello di rintracciare all’interno del loro pensiero il “segno” della politica.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"></span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">In effetti, l’ambizione ultima del saggio, è quella di tratteggiare alcune linee guida che servano alla comprensione del complesso e ambiguo rapporto che intercorre tra la corrente post-strutturalista, ben più ampia del terzetto di autori presi in considerazione, e la dimensione politica.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Che vi sia un rapporto tra il post-strutturalismo e la politica è cosa assodata, tanto dalla letteratura critica quanto dall’effettiva biografia dei protagonisti di quella stagione. Per limitarsi alle scelte di D’Alessandro e Giacomantonio basti pensare al coinvolgimento di Foucault nelle battaglie di quegli anni – dal periodo tunisino alla direzione del dipartimento di filosofia dell’Università “sperimentale” di Vincennes dopo gli eventi del ’68, dalla fondazione del «GIP – Groupe d'Information sur les Prisons» (a cui collaborerà anche lo stesso Deleuze), alla partecipazione al vivace dibattito intorno alla riforma della cosiddetta «loi de la pudeur». Si pensi anche a Deleuze e all’importanza filosofica e biografica che ebbero per lui vicende come quelle della resistenza – cui prese parte il fratello Georges, perdendovi la vita – o eventi come il Maggio ’68, quel “joli mai” senza il quale non sarebbe stata nemmeno pensabile un’opera come “L’Anti-Edipo”: infatti, non solo, come rilevano D’Alessandro e Giacomantonio, «i concetti che ne sono alla base respirano quell’air du temps» e «il Maggio è assolutamente leggibile in termini di rivoluzione del desiderio» (p. 52), ma neppure sarebbe potuta nascere la coppia Deleuze-Guattari, visto che è proprio a seguito di quell’«avvenimento allo stato puro» che inizia la collaborazione tra i due. D’altro canto, per quanto più distante dagli eventi del Maggio ’68, anche la vita di Jacques Derrida non è certo stata priva di coinvolgimenti in battaglie politiche: anch’egli coinvolto nella petizione contro la controversa «loi de la pudeur», è altresì implicato in prima linea nella lotta alla «loi Hady» sull’insegnamento della filosofia e non manca di sfruttare il proprio indiscusso prestigio internazionale per sostenere cause come quelle del gruppo Charta 77 in Cecoslovacchia o di Nelson Mandela in Sudafrica. La politica è insomma presente, nella biografia di questi autori, accanto all’impegno filosofico, spesso in forme e in modalità che confondono i piani e sfumano la distinzione tra i due momenti. Non si tratta tanto e solo di pensiero politico o di riflessione sulla politica, ma piuttosto di un innesco politico del pensare: nel post-strutturalismo si fa filosofia per ragioni eminentemente politiche, per quanto l’oggetto del filosofare possa essere teoreticamente astratto e involuto. La politica è infatti qualcosa di costitutivamente legato all’emergere di queste e di altre filosofie post-strutturaliste che, pur collocandosi in campi d’indagine apparentemente “astratti” (come l’estetica, il linguaggio, i segni, l’analisi della cultura), hanno inteso la propria presenza in questi territori come una scelta politica di campo. Nell’opera di Foucault, per esempio, la stessa scelta dei temi d’interesse rappresenta la dichiarazione consapevole di un certo impegno politico. Basti pensare a ciò che Foucault dice nelle interviste a Jean François e John De Wit del 22 maggio 1981 e, soprattutto, a André Berten il 7 maggio di quell’anno: «Si tratta dunque, attraverso questa analisi storica, di rendere le cose più fragili, o piuttosto di mostrare perché, e come, le cose abbiano potuto costituirsi in questo modo, ma mostrando al contempo che esse si sono costituite attraverso una storia precisa […]. Il nostro rapporto con la follia è un rapporto storicamente costituito. E dal momento che è storicamente costituito, può essere politicamente distrutto» (intervista ora contenuta in M. Foucault, “Mal fare, dir vero. Funzione della confessione nella giustizia. Corso di Lovanio (1981)”, Einaudi, Torino 2013, pp. 235). La scelta degli oggetti di indagine (la follia, le scienze umane, la prigione, la sessualità) interseca le diverse lotte politiche in cui Foucault si impegna, in una coerenza che – ammette lo stesso Foucualt – non è teorica ma strategica: «La repressione della sessualità è interessante solo nella misura in cui, da una parte, fa soffrire un certo numero di persone, ancora oggi; e dall’altra perché ha assunto forme sempre diverse, pur essendo sempre esistita» (M. Foucault, Intervista di André Berten, in “Mal fare, dir vero”, op. cit., p. 239). È nell’ottica di una strategia esplicitamente politica che vengono determinati gli oggetti di interesse del progetto foucaultiano: è perché, in definitiva, ci sono ancora persone che soffrono per il manicomio, per la prigione e per la sessualità, persone che sono escluse dal discorso di verità su ciò che è «umano», che questi temi vengono rivestiti di un qualche interesse. Non è la speculazione a determinare l’oggetto di interesse storico e filosofico, ma lo spessore politico della contemporaneità. Lo stesso si potrebbe dire sull’origine del progetto filosofico di Deleuze-Guattari: «Per Deleuze, il passaggio alla politica», scrive D’Alessandro, «è segnato dalle settimane del Quartier Latin, con la loro forza di rottura» (p. 52), al punto da contribuire a determinare persino la nozione deleuziana di filosofo e di lavoro filosofico. «Se il filosofo è colui che lavora con i concetti, questi hanno sempre un contenuto politico, in quanto mai astratti dalla società», continua D’Alessandro, perché «i concetti sono mutevoli e nomadi, pronti a costituire armi per combattere il Potere (con la P maiuscola impressa a fuoco da Foucault), ovunque esso si annidi» (p. 52). Forse si potrebbe andare oltre la lettura dello stesso D’Alessandro, ricordando come il pensiero, nell’accezione deleuziana, sia sempre una lotta – un pólemos – un combattimento-contro qualcosa e qualcuno, in primo luogo contro se stessi. Ma questo pensare come combattere contro l’ovvio è anche un esplorare nuove possibilità, identità radicalmente alternative, generare concetti nuovi e inediti: «Pensare suscita l’indifferenza generale. E tuttavia non è sbagliato dire che è un esercizio pericoloso […]. Non si pensa senza diventare altro, qualcosa che non pensa, una bestia, un vegetale, una molecola, una particella, che ritornano sul pensiero e lo rilanciano» (cfr. G. Deleuze, F. Guattari, “Che cos’è la filosofia?”, Einaudi, Torino 1996, p. 32). Un’idea che in realtà parte da lontano, che si riconnette a un certo modo di intendere lo stile de Les Lumières come espressione della funzione emancipatrice del pensiero, dove l’emancipazione è in primo luogo una lotta condotta contro le convinzioni irriflesse, contro il pregiudizievole autocompiacimento nel «già noto» e nel tradizionale. Lo stesso intento, in fondo, che anima l’impresa teorico-politica della decostruzione derridiana come impresa illuministica. Un illuminismo che il filosofo non ha mai cessato di difendere e rivendicare, soprattutto davanti a quei critici, come Habermas, che vedevano nel suo progetto decostruttivo, un oscurantismo segnato da una visione estetizzante e vuota della verità. Al contrario, Derrida ha sempre opposto un netto rifiuto ai tentativi di identificare la sua prospettiva con una propaggine del postmodernismo o di visioni “deboliste”, difendendo sempre la genuina vocazione illuminista della decostruzione. Come ricorda Giacomantonio, per Derrida «sono i filosofi e i teorici della comunicazione, del dialogo, del consenso, dell’univocità o della trasparenza, a dispensarsi dalla volontà di ascoltare e comprendere l’altro e a fare opera di oscurantismo, mentre la decostruzione è da lui [Derrida] intesa come una nuova forma di Illuminismo» (p. 81). Ed è un Illuminismo conscio del proprio ruolo politico, quello che anima gli intenti della decostruzione: nel suo assumere come ogni forma di comunicazione, anche la meno sospetta, tracci da se stessa un segno non detto, un ineliminabile rimosso, che ne costituisce la condizione stessa di possibilità, la decostruzione si presenta come pratica emancipatrice che, in un certo senso riprende e radicalizza, la portata politica di quel «sapere aude» che animò il miglior Illuminismo europeo. È a questa pratica di emancipazione che è necessario guardare per realizzare quella «democrazia a venire», fatta di «un’alterità senza differenza gerarchica», di cui parla Derrida nei suoi scritti più esplicitamente politici (cfr. J. Derrida, “Politiche dell’amicizia”, Raffaello Cortina, Milano 1995; J. Derrida, “Oggi l’Europa”, Garzanti, Milano 1991). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il volume si presenta, in definitiva, come una presentazione dei principali snodi del rapporto di Foucault, Deleuze e Derrida con la dimensione dell’agire politico e del legame che in questi autori salda in un’unica analisi il livello delle istituzioni politiche e quello della costruzione dell’identità sociale e della soggettività. Il libro, da questo punto di vista, mantiene fede ai propri propositi e non si configura né come una storia globale del movimento post-strutturalista, né come un saggio di esegesi storico-critica degli autori in oggetto ma piuttosto «un come punto di partenza per ordinare concetti e riflessioni» (p. 9). Da questo punto di vista la lettura dell’opera – anche in virtù della scrittura chiara e allo stile piano degli autori – può essere utile al lettore che accosti per la prima volta queste tematiche o che non abbia un’eccessiva dimestichezza con gli autori trattati, come punto di partenza per ulteriori letture e ricerche. D’Alessandro e Giacomantonio, d’altronde, riconoscono onestamente lo stadio iniziale della ricerca di cui qui tracciano un primo quadro – più che altro una ricognizione di campo – connotata più dall’intento di aprire nuove piste di indagine e cantieri di lavoro che dalla volontà di circoscrivere e determinare con precisione una proposta interpretativa definitiva.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Sarebbe tuttavia interessante cercare di intravedere sin d’ora quali potrebbero essere le «linee di fuga» di una ricerca su post-strutturalismo e politica. Per quanto le strade da battere siano molte e non manchino le implicazioni con le vicende del presente, l’indicazione da seguire potrebbe essere quella data recentemente da François Cusset (URL: http://philosophykitchen.com/2015/05/actualite-de-la-french-theory/): «sulle rovine di questo sogno della French Theory, questo sogno di una performatività politica ed esistenziale della teoria, essa [la French Theory] ci può ancora servire a qualcosa? Può ancora chiarire lotte, armare resistenze, dotare di strumenti operativi i dominati che noi tutti siamo?». In altre parole: gli strumenti elaborati dalla filosofia post-strutturalista o, se si vuole, dai protagonisti della così detta «French Theory», può ancora servire alle nostre lotte presenti? Questa domanda credo ne sottenda però un’altra, forse più radicale: quali sono queste lotte in cui dovremmo impegnare il nostro pensiero? Quali sono i saperi, le pratiche, i concetti e le scritture che occorre oggi impiegare per rendere visibili e quindi trasformabili i nessi politici più rilevanti del tempo presente? È la stessa domanda che, secondo Foucault, è nata nel momento in cui Kant si è domandato «Was ist Aufklärung?» e che, secondo l’archeologo dei saperi, è traducibile in «Che cos’è la nostra attualità? Che cosa accade attorno a noi? Che cos’è il nostro presente?». È una domanda sul senso stesso del filosofare: «Io penso che la filosofia, tra le diverse funzioni che può e che deve avere, abbia anche quella di interrogarsi su ciò che noi siamo nel nostro presente e nella nostra attualità» (M. Foucualt, Intervista di André Berten, in “Mal fare dir vero”, op. cit., p. 228). Per rispondere a questa domanda sarebbe necessario adottare una prospettiva più ampia di quella offerta dal volumetto di D’Alessandro e Giacomantonio, individuando i contorni di una definizione storiograficamente fondata e teoreticamente convincente di cosa si debba intendere con termini quali «post-strutturalismo» o «French Theory». Bisognerebbe inoltre descrivere la trasformazione della lotta politica avvenuta tra la generazione di quel tempo e quella contemporanea, riannodare le continuità di un processo e riconoscere come tali le fratture e le discontinuità intercorse. Sarebbe insomma necessario comprendere se le proposte dei diversi autori che una letteratura filosofica odierna riconosce come appartenenti a uno specifico “stile” siano realmente accomunabili da alcuni tratti comuni e da alcune tesi di fondo capaci di costruire una griglia ermeneutica coerentemente articolata, in grado di fornire uno strumento di analisi convincente del presente. È uno sforzo che si è effettivamente iniziato a fare da tempo – basti pensare che risalgono già al 1991/1992 i due volumi di François Dosse sulla “Histoire du structuralisme” – ma che non appare per nulla concluso, e che comporta l’impegno dell’attuale generazione di studiosi a fare i conti con un passato recente complesso e problematico da gestire nel suo essere in parte legato a un mondo che, di fatto, non esiste più.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Bibliografia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">– G. Deleuze, F. Guattari, “Che cos’è la filosofia?”, Einaudi, Torino 1996</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">– J. Derrida, “Politiche dell’amicizia”, Raffaello Cortina, Milano 1995</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">– J. Derrida, “Oggi l’Europa”, Garzanti, Milano 1991</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">– F. Dosse, Histoire du Structuralisme Tome I : le champ du signe, 1945-1966, Paris, La découverte, 1991</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">– F. Dosse, Histoire du Structuralisme Tome II : le chant du cygne, 1967 à nos jours, Paris, La découverte, 1992</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">– M. Foucault, “Mal fare, dir vero. Funzione della confessione nella giustizia. Corso di Lovanio (1981)”, Einaudi, Torino 2013</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nota degli autori</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Introduzione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo I – F. Giacomantonio, R. D’Alessandro</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Potere, biopolitica, critica del neoliberlismo: Michel Foucault</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>1.1. “Discorsi”, soggetti e istituzioni</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>1.2. Una genealogia dei luoghi di potere</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>1.3. Il potere reticolare</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>1.4. Sapere e potere</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>1.5. Nascita della biopolitica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>1.6. Libertà e cura</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo II – R. D’Alessandro</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Fare politica creando concetti: Gilles Deleuze</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>2.1. Il gusto per la ricerca</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>2.2. Attualità del Maggio ‘68</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>2.3. Il rapporto con Foucault</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>2.4. Sinistra e resistenza minoritaria</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>2.5. La politica dei concetti</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>2.6. Una valutazione d’insieme</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo III – F. Giacomantonio</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Decostruzionismo, politica e democrazia: Jacques Derrida</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>3.1. Pensare lo spazio del politico</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>3.2. Il senso del Decostruzionismo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>3.3. Democrazia e forme di amicizia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>3.4. Sovranità e diritto</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>3.5. Cosmopolitismo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>3.6. Decostruzionismo e filosofia politica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Bibliografia essenziale</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice dei nomi</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com16tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-6330432410720380162017-04-28T09:00:00.000+02:002017-04-28T10:58:22.427+02:00Massacra, Laura, Il corpo cosciente<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Soveria Mannelli, Rubbettino, 2015, pp. 194, euro 15, ISBN 978-88-498-4389-7.</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjnyoLPihy6nuKqKr1ipCZJn3hCh9K0ye42yYF7PCoJy90vjf2Ep6rcYOSJGArrWgrr5M1Cus0i9ioUlPvTTD6vFXRR2EpGkoVPaxix3pK7lBWcwpzLMCSi_McimL1CcYYJcxE5cFE8GOM/s1600/9788849843897_0_0_1614_80.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjnyoLPihy6nuKqKr1ipCZJn3hCh9K0ye42yYF7PCoJy90vjf2Ep6rcYOSJGArrWgrr5M1Cus0i9ioUlPvTTD6vFXRR2EpGkoVPaxix3pK7lBWcwpzLMCSi_McimL1CcYYJcxE5cFE8GOM/s200/9788849843897_0_0_1614_80.jpg" width="123" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Marco Cavallaro – 25/04/2016</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il libro di Laura Massacra Il corpo cosciente affronta una questione che ha interessato la filosofia della mente di stampo analitico, e non solo, da quarant’anni a questa parte. Si tratta del problema di stabilire lo status ontologico specifico di quell’entità a tutti profondamente nota, eppur difficile da afferrare in termini filosofici, che è il corpo cosciente. Il ruolo del corpo cosciente è stato tradizionalmente interpretato sulla base della chiave di lettura di uno o dell’altro versante del dualismo mente/corpo.</span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Da una parte il fisicalismo, nella sua versione più estrema, si è reso responsabile di un occultamento del corpo cosciente in forza della sua riduzione a un sostrato materiale che per definizione è privo di coscienza. Il mentalismo, dall’altra, ha perpetuato tale occultamento considerando il divario tra sfera del mentale e mondo fisico come un limite invalicabile e postulando così l’esistenza di fenomeni coscienti disincarnati. L’importanza dal punto di vista filosofico della tematizzazione del corpo cosciente consiste precisamente nel superamento di tale forma di dualismo attraverso la riconciliazione delle dimensioni del mentale e del fisico in una categoria ontologica che, lontano dall’escluderle e tenerle separate, le riassume e sintetizza. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’autrice si propone quindi di analizzare quelle proprietà del corpo cosciente che lo rendono irriducibile, sia sul piano descrittivo-epistemologico sia su quello causale-ontologico, alle dimensioni, rispettivamente, del fisico e del mentale: ovvero la degenerazione funzionale e la duplicità d’aspetto. Per illustrare questi due concetti fondamentali viene presa in esame una ricca gamma di teorie che spaziano dalla filosofia analitica alla neurologia, dalla psicopatologia alla fenomenologia e antropologia filosofica. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nel primo capitolo Massacra chiarisce come il concetto di degenerazione funzionale attinente alla corporeità cosciente derivi dall’appellativo che il neuro-immunologo Gerald Edelman ha originalmente attribuito a determinati gruppi neurali funzionalmente predefiniti che possono assolvere, all’occorrenza, a funzioni differenti. Ad avviso dell’autrice, infatti, una tale proprietà può essere attribuita all’intero corpo cosciente. La polimorfia funzionale a livello neuronale è esemplificata dall’esistenza dei cosiddetti neuroni specchio che rivestono, secondo la teoria di Rizzolati e altri, una duplicità funzionale: gli stessi neuroni “scaricano” sia durante la percezione visiva di un movimento compiuto da un altro individuo, sia durante la propria attività motoria. Questo tipo di funzione viene caratterizzata da Massacra come un principio di attività semiotico-rappresentativa di costruzione di schemi simbolici, la quale, sebbene abbia luogo a livello fisico-neuronale, ricopre ruoli causali differenti da quelli meramente fisici. In tal senso va dunque spiegata la sopravvenienza epistemica del corporeo sul fisico. Per Massacra non si tratta per l’appunto di postulare un divario tra il fisico e il corporeo, ma di leggere quest’ultimo come un livello descrittivo autonomo all’interno della regione ontologica dei fatti fisici. La tesi dell’identità ontologica viene perciò mantenuta senza tuttavia ricadere in una qualsivoglia forma di riduzionismo particolarista. Le proprietà corporee rispecchiano, in altre parole, proprietà di secondo ordine sopravvenienti all’ordine causale della regione fisica di base, e per questo non sono riducibili ad essa.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il capitolo secondo del libro di Massacra invita a ripensare il corpo come entità intrinsecamente cosciente. In tal senso viene introdotta inizialmente la distinzione tra disturbi psicologici e malattie mentali, laddove le prime sono immediatamente identificate con disfunzionalità a livello del substrato fisico-neuronale, mentre le ultime coinvolgono dissociazioni nella sfera della coscienza, dell’intenzionalità e delle funzioni simboliche. Il fulcro dell’argomentazione di Massacra è che persino nelle forme dissociative più estreme permane una coscienza di sfondo legata alla dimensione corporea nel suo complesso che Edelman definisce “scena”, la quale a sua volta è responsabile del processo di costituzione del “proto-sé”. Il proto-sé esprime il fenomeno per cui la dimensione spaziale così come la categorizzazione percettiva implicano un sistema preordinato di relazioni e funzioni facenti capo al corpo in quanto proto-forma della soggettività. La scena percettiva si caratterizza dunque come quel principio attraverso cui i vari stimoli sensoriali vengono ricondotti a categorie ben definite dando così luogo ad una rappresentazione unificata del mondo che per essere tale presuppone una preliminare distinzione tra un senso del sé e la percezione dell’ambiente circostante. Si tratta in altri termini della costruzione progressiva di una “soggettività del punto di vista” (p. 103) che è resa possibile unicamente dall’esistenza di un corpo cosciente.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nel capitolo successivo Massacra intende criticare quelle teorie che contemplano una netta separazione tra cognizione e coscienza. Da un lato, si tratta di chiarire come coloro che fanno riferimento all’esistenza di intenzioni inconsce, come ad esempio Searle, Dennett e la stessa psicoanalisi, non pongano dovuta attenzione al fatto che, come precisa Massacra, “se l’individuo non è in grado di accedere al proprio contenuto intenzionale, ciò significa che egli si trova in uno stato mentale identico a uno stato non provvisto di alcun contenuto intenzionale” (p. 123-24); di conseguenza parlare di azione intenzionale inconscia è “una contraddizione in termini” (ibid.). Dall’altro lato, Massacra analizza in chiave critica il fenomeno della cosiddetta “visione cieca” (blind sight), ovvero di una struttura rappresentazionale nella quale è assente qualsiasi forma di qualità coscienziale o di categorizzazione concettuale, così come l’ipotesi dell’esistenza di un “contenuto visuo-motorio” che, a differenza del contenuto visuo-percettivo classico, non esibisce caratteristiche fenomeniche, ovvero proprietà della coscienza. In tal modo i contenuti della visione cieca risulterebbero identici a meri dati fisici grezzi, non mediati sensorialmente. Ma ciò corrisponderebbe a rinunciare allo stesso concetto di esperienza, e postulare la possibilità di un accesso extra-sensoriale allo stimolo, come nota Massacra, “attraverso un’attività simile alla divinazione” (p. 129).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Un’importante aspetto della teoria proposta da Massacra che emerge soprattutto nei due capitoli conclusivi del libro riguarda da vicino lo statuto ontologico dei qualia, ossia le qualità fenomeniche dell’esperienza grazie alle quali uno stato mentale è vissuto e non semplicemente dato come un mero fatto fisico. I qualia rimandano alla caratteristica essenziale di ogni esperienza di originare a partire da un punto di vista soggettivo. Dato che però la prospettività esperienziale è in stretta correlazione con il darsi di una corporeità cosciente, Massacra deduce che i qualia devono essere interpretati necessariamente come espressione dell’essere incarnato della coscienza. In tal senso non è corretto parlare di qualia in termini di proprietà esclusivamente mentali, come invece li intende il funzionalismo. Quest’ultimo, difatti, viene accusato di operare una sorta di riduzionismo ontologico parallelo a quello del fisicalismo grezzo, dato che nessuna spiegazione funzionalistica cattura il quid essenziale degli stati mentali qualitativi come dimostra l’argomento degli zombies, cioè l’ipotesi dell’esistenza di individui che si comportano esattamente come noi e che condividono gli stessi stati funzionali, ma i cui stati non hanno proprietà qualitativa.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il capitolo conclusivo affronta una serie di questioni legate alla definizione del corpo semantico o cosciente (i due termini vengono utilizzati dall’autrice quasi intercambiabilmente). Una di queste riguarda la supposta differenza tra corpo cosciente e coscienza corporea che emerge dalla discussione dell’illusione della mano di gomma. La possibilità di percepire sensazioni corporee indotte in un arto che non fa parte del nostro corpo materiale ha confermato per alcuni l’ipotesi che la relazione tra il mio corpo, in quanto oggetto fisico-materiale, e le mie sensazioni sia un fatto puramente contingente. Massacra propone di superare la dicotomia tra corpo materiale e coscienza corporea, sottolineando il fatto che ciò che consente di unificare il campo percettivo in uno spazio relativo, ossia non allocentrico, e che in tal senso viene a costituire il centro in relazione al quale tutte le dimensioni spaziali vengono determinate, deve essere identificato propriamente con il corpo proprio cosciente. Le sensazioni corporee manifestano però sempre un duplice aspetto: da un lato, esse mettono il soggetto a contatto con il mondo esterno; dall’altro, operano riflessivamente fornendo informazioni circa le risposte spontanee da parte del soggetto relative allo stimolo esterno. Riprendendo così una tesi centrale della fenomenologia classica del corpo, Massacra mostra come le qualità relative ai fenomeni di orientamento corporeo afferiscono tanto all’oggetto intenzionale quanto all’esperienza soggettiva. Una tale duplicità d’aspetto non concerne tuttavia la sola esperienza, ma anche il corpo cosciente in quanto organismo vivente. L’autrice mette quindi a frutto la teoria del corpo biologico di Helmuth Plessner, la quale a sua volta riprende la lezione husserliana sulla costituzione dell’oggetto percettivo. La differenza tra corpo meramente materiale e corpo vivente risiede secondo il filosofo tedesco nella proprietà da parte di quest’ultimo di esibire una duplicità d’aspetto, ovvero “l’essere un esterno che rinvia a un interno” (p. 174). Da qui discende l’idea che la posizionalità del corpo vivente all’interno del mondo naturale sia da intendere tanto in termini spaziali quanto nel senso del prendere una posizione attiva nei confronti degli stimoli provenienti dall’ambiente circostante. La struttura dell’esperienza infatti, come precisa Massacra, “manifesta una apertura oltre i limiti delle azioni effettive del corpo, e nella interazione con gli oggetti nello spazio viene a rappresentare un campo di possibilità corporee” (p. 183). Non vi è in tal senso una causalità rigida per cui ad un dato stimolo sensoriale è possibile prevedere in maniera esatta la reazione del corpo, sia in termini biologici che coscienti-rappresentazionali. L’oggetto costituisce al contrario un’affordance, per utilizzare un termine di Alva Noë, ovvero un campo di possibilità funzionali che mutano da individuo a individuo.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">In conclusione, il libro di Massacra stupisce per la ricca quantità di riferimenti a teorie e concezioni proveniente da diversi campi del sapere. Tale ricchezza ha il pregio di poter condurre il lettore a piccoli ma sicuri passi verso la comprensione della tesi centrale dell’autrice circa l’autonomia ontologica del corpo cosciente. Lungo il cammino si avrà oltretutto modo di apprezzare una varietà di esempi tratti dalla vita quotidiana, dalla psicologia e scienze della mente, così come dalla filosofia, i quali, oltre ad illustrare concetti di volta in volta centrali all’interno della linea argomentativa di Massacra, sapranno certo rendere ancora più appassionante la lettura di questo libro. Il corpo cosciente è un libro centrale per la comprensione di tematiche attuali all’interno del dibattito condotto dai filosofi della mente e delle scienze cognitive di stampo anglosassone, che certamente lascerà un segno anche nel panorama degli studi italiani che si rifanno a questa tradizione.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Prefazione di Silvano Tagliagambe</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Introduzione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Teoria dell’identità e causazione corporea</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Introduzione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Identità… mentali?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. Le proprietà corporee tra ordini e livelli</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Degenerazione funzionale come proprietà corporea</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5. Fisico mentale o corporeo?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">6. Qualia: proprietà incorporee?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">7. Sopravvenienza epistemica del corporeo sul fisico</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">8. L’argomento della generalizzazione e la causazione «corporea»</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Il corpo cosciente</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. La scena: ovvero l’indissociabilità tra corpo e coscienza</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Dalla categorizzazione percettiva alla coscienza primaria</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. La razionalità vincolata della coscienza</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Il corpo semantico</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. Cognizione, intenzione e coscienza corporea</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Può esistere cognizione senza coscienza?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Intenzioni senza coscienza?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. Cognizione incosciente o coscienza corporea?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Corpo mente e contenuto</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Mente, corpo e contenuto non concettuale</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Scenario come corpo cosciente</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. I qualia non sono nella mente funzionale</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5. Il corpo semantico</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. I qualia e il corpo proprio</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. La dimensione riflessiva del corpo semantico</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. La duplicità aspettuale del corpo semantico</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. I gradi dell’organico e il corpo semantico</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5. La duplicità d’aspetto del corpo e i due momenti della percezione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">6. Qualia: gli «errori» del corpo semantico</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">7. Funzioni biologiche: adattamento o esattamento?</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-86104571881628900272017-04-04T09:00:00.000+02:002017-04-04T09:17:16.867+02:00Giuliani, Massimo, La giustizia seguirai. Etica e halakhà nel pensiero rabbinico<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Firenze, Giuntina, 2016, pp. 264, euro 15, ISBN 9788880576518.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJK3D9FMxQBRb6g7yLShy1QVzo4-vIXextvcJcW_oxBZbppXzIbL0aghu-lDzdf6J3CE5k7sfQMaItFo2BAbBFEDJThadU9NgUPWR0P3gOwscPpeiEd-Q4oWR0kMWce7APT5-DAh8PUiA/s1600/9788880576518_0_0_1736_80.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJK3D9FMxQBRb6g7yLShy1QVzo4-vIXextvcJcW_oxBZbppXzIbL0aghu-lDzdf6J3CE5k7sfQMaItFo2BAbBFEDJThadU9NgUPWR0P3gOwscPpeiEd-Q4oWR0kMWce7APT5-DAh8PUiA/s200/9788880576518_0_0_1736_80.jpg" width="115" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Cosimo Nicolini Coen – 14/02/2017</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’oggetto di analisi del testo di Giuliani è icasticamente rappresentato nel sottotitolo del volume. Si tratta di indagare il rapporto tra “etica e halakhà nel pensiero rabbinico” laddove il termine di halakhà costituisce l’ambito normativo che innerva l’esistenza ebraica. L’indagine si muove quindi nel solco di una problematica che ha dominato la storia del pensiero umano: quali sono i rapporti tra “ciò che è lecito”, la norma, e “ciò che è giusto”? (p. 76). Fino a quando, si chiede l’Autore riportando delle riflessioni di Zagrebelsky, è possibile ricercare la giustizia</span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">“nella e attraverso” la legge e quando tale ricerca porta ad andare “contro la legge”? (Ibidem, cf. G. Zagrebelsky, 2003). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Se tali interrogativi presentano un interesse generale si tratta di comprendere come vengano a declinarsi nell’ambito ebraico. Questo basa la propria identità su di un nucleo normativo ove costantemente sono fatti risuonare motivi di portata universale che si specificano, nella narrazione biblica, nei comandamenti rivolti a tutta l’umanità (cf. p 72.) e nell’idea che ogni creatura sia fatta “a immagine di Dio”, da cui l’obbligo universale di “non fare agli altri quel che non vuoi che gli altri facciano a te” che si sostanzia, nella normativa rivolta a Israele, nell’obbligo di “amare lo straniero” (Deut, cf. p. 96). L’interrogativo circa il rapporto tra etica e legge diviene così anche interrogativo circa il rapporto tra universale (l’umanità) e particolare (Israele). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Giuliani affronta, senza voler necessariamente risolvere, tali nodi attraverso un’accurata restituzione delle categorie che la tradizione ebraica, nella sua pluralità, ha nel corso del tempo adottato. Anzitutto va chiarita l’endiadi con cui l’ebraismo rabbinico ha pensato il rapporto tra il polo della normatività e quello, la cui definizione è di meno facile presa, di non normatività. Chi abbia un poco di familiarità con tali temi parlerebbe, a questo punto, del rapporto tra halakhà e aggadà, quest’ultima di solito definita come tutto ciò che di non strettamente normativo è contenuto nel Talmud e nella letteratura rabbinica. Per quanto questo sia corretto, l’endiadi che ha di mira Giuliani è un’altra e si colloca a un livello superiore poiché inerente non già alla natura dei testi della tradizione bensì alla restituzione che questa ha fornito di Dio. Storicamente refrattaria alla trattazione teologica, la tradizione ebraica muove non di meno da alcuni presupposti inerenti al trascendente tali da condurre Giuliani, analogamente a quanto avviene nel mondo ebraico anglosassone, a ricorrere con facilità a termini quali “istanze teologiche (halakiche)” (p. 33). Secondo l’endiadi di “Din”, Giudizio, e “Rahamim”, tenerezza ma anche pietà (cf. p. 101 e seg.), la tradizione concepisce un Dio agente nella storia in base alla difficile unione dei paradigimi del rigore, conditio sine qua non di ogni giustizia, e del perdono, elemento imprescindibile per lasciare all’uomo i margini per redimersi, mediante l’azione, da precedenti trasgressioni. Ora “l’inscindibilità di queste due dimensioni” (p. 102), oltre a permettere al lettore di comprendere l’infondatezza della contrapposizione propria all’antigiudaismo della Chiesa preconciliare ( e oggi piuttosto ereditata dalla parte disinformata del pensiero secolare) tra il Dio vendicativo dell’Antico Testamento e il Dio del perdono e dell’accoglienza del Nuovo, è propedeutica a mettere in luce l’equilibrio tra “nomos e ethos, legge ed etica”(p. 109) che si riverserebbe nella tradizione ebraica, e invero in ogni singolo ebreo, nella misura in cui questa e questi si plasmano in “imago Dei” (Ibidem).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Eppure questo equilibrio tra rigore del giudizio normativo e generosità, elasticità, del giudizio morale è lungi dall’essere pacifico. Tale relazione, oltre a rimandare alle “dualità esistenziali (…) metafisiche, che contraddistinguono ogni essere umano” (p. 11), illustra una tensione che segna il mondo ebraico attraversato da scissioni antinomiche (cf. p. 77) laddove si verifichi un eccesso di peso al polo del sentimento e dell’elasticità (gli esempi più noti sono il cristianesimo e Shabbatai Zevi), e da cristallizzazioni ortopratiche laddove si assuma l’insieme normativo privandolo della sua più intima ratio.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La sopravvivenza e la vitalità dell’universo ebraico si baserebbero su tale equilibrio, la cui comprensione è approfondita da Giuliani ricorrendo a termini che, se pur non sinonimici tra loro, si inseriscono nel medesimo schema endiadico. Così comprenderemo che “senza la realtà del chesed, il nomos perderebbe la sua anima” laddove chesed, termine prossimo a rahamim in quanto rimanda alla “reciprocità” e “gratuità”, “risponde a una mancanza e a una ferita di fondo” (p. 93) indicando “l’anarchia spirituale” (M. Fishbane, 2008, cf. Ibidem) al fondo del sistema halakico. Con la ripresa di tale termine, particolarmente provocatorio quando usato con riferimento a un sistema normativo, Giuliani può far emergere con nitidezza come l’osservanza della precettistica halachkika, nella misura in cui riposa su tale “archè anarchica” (p. 106) porti – almeno idealmente a “una dimensione che va oltre la legge” (p. 99) sulla base di una sua previa e costante osservanza. La comprensione del fondo anarchico, gratuito in quanto non giustificato o fondato da una norma di elemento superiore, della dimensione normativa halakica, permetterebbe di inserire all’interno dell’orizzonte normativo, e non in antitesi a questi, “l’attitudine alla generosità che (…) compensa i limiti stessi della legge” così “i tribunali e i giudici aggiustano i torti ma l‘oltre-misura del chesed compensa quel che il diritto non sa né può dare” (p. 92). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Per comprendere in cosa consista questo “oltre-misura” è necessario guardare a un’altra delle endiadi analizzate da Giuliani, quella di “mishpat”, legge, e “zedek”, giustizia (p. 77), laddove il termine di mishpat rimanda alla soglia minima necessaria al mantenimento di un confine normativo riconoscibile, mentre il termine di zedek dovrà essere inteso in accordo al monito di Deuteronomio 16, 18 “giustizia, giustizia seguirai” dove “la radicalità della ripetizione del termine giustizia”, che non ha smesso di interrogare i commentatori, caratterizzerebbe “la vita etica” come “un incompiuto, una perenne tensione-verso” (pp. 81-82). In quest’ottica nessuna specificazione normativa, pur necessaria, può esaurire il significato di giustizia, sostantivo che la tradizione vincola al verbo futuro di inseguire, quasi a indicare l’impossibilità di giungere “alla pienezza della giustizia”, configurando quest’ultima come “valore-quadro”, “appello alla responsabilità” che va “al punto d’incontro tra riflessione etica ed esercizio dell’interpretazione halakhica” (pp. 75-76). L’oltre-della legge si declina all’interno del quadro normativo stesso mediante un’“etica situazionale” (p. 125) che se può ricordare l’equità aristotelica, è intesa in ambito ebraico quale “compensazione ermeneutica tra giustizia formale e moralità contestuale” (p. 146). L’imperativo a ricercare la giustizia eviterebbe di risolversi in esiti antinomici in virtù del fatto che il quadro normativo medesimo è in grado di evitare “gli assolutismi giuridici” “praticando la flessibilità ermeneutica” (p. 90). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ma attorno a quali principi si esercita tale flessibilità? I presupposti teologici sopra ricordati non devono ingannare. Il Talmud racconta l’episodio in cui l’interpretazione normativa favorita da Dio fu messa in minoranza dall’opinione degli altri dottori della legge. Giuliani si riferisce a tale episodio quando parla provocatoriamente di “immanentismo teologico” e “miracolo della logica” ossia predomino della “regola della maggioranza” e della “forza della ragione” (pp. 164-165). Pure gli interrogativi rimangono elusi: quali sono i principi che guidano i maestri nel loro ambito discrezionale? È possibile, e in quale misura, che in tale discrezionalità entrino principi estranei alle fonti (cf. p. 143)? Queste domande segnano le linee di faglia che attraversano il mondo ebraico. Nel momento in cui ci si allontana dagli aspetti più nitidi dell’halakà quest’ultima da sicuro vicolo diviene tessuto da ricomporre, chiarire. Problematiche giuridiche che presentano nondimeno portata filosofica, non appena siano intese. Secondo Giuliani qui è ineludibile, di nuovo, il riferimento teologico. Sarà la credenza secondo cui l’uomo è fatto a immagine di Dio a fungere da riferimento per orientarsi nell’ambito della discrezionalità e, più radicalmente, nell’oltre della legge. Tale proposizione conduce, secondo l’ottica dell’imitatio Dei accennata, a ricercare la realizzazione nella propria persona degli attributi divini. Riferimento teologico che si rivolve in effetti antropoietici, potrebbe suggerire qualcuno. Come che sia il legame tra etica e presupposti teologici trova riscontro nel legame tra riferimento al trascendente e umanesimo che attraversa tutti i monoteismi abramitici. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La problematicità di tali passaggi non è sottaciuta dall’autore, anzi. Per quando de facto illustri pensatori come R. Cassin, tra gli autori della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, si siano rifatti esplicitamente all’eredità biblica per far avanzare posizioni umanistiche (cf. p. 193), rimane che la sussunzione a una ratio etica della tradizione ebraica, sia, secondo autorevoli autori quali Leibowitz, in polemica con la lettura del neokantiano H. Cohen, nient’altro che un travisamento dell’effettiva natura del patto di Israele poiché il servizio a Dio (avodà) deve essere prestato “a titolo completamente gratuito” e ogni sua “giustificazione” in termini di “bisogni umani” lo svuoterebbe di significato (p. 141, cf. Y. Leibowitz, 2001). Tale posizione è illustrabile ricorrendo a una terza endiadi, quella di “mishpatim”, leggi, e “hukim”, regole; dove mishpatim sta per l’insieme di “precetti etici, che la nostra ragione può comprendere” e hukim per “i comandamenti che appaiono del tutto gratuiti (…) senza apparente fondamento etico-razionale” (p. 100). Questi ultimi richiedono di essere accettati in quanto “comando incondizionato” (94-95), in base a un’eteronomia che segnerebbe uno iato incolmabile fra tradizione ebraica e lascito dei Lumi. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ora, però, se è vero che l’opinione di Dio è stata messa in minoranza con il menzionato “miracolo della logica” ne risulterebbe una contraddizione insanabile. L’endiadi mishpatim e hukim verrebbe a scindersi nei due opposti di razionalità, ove l’interpretazione normativa è eticamente orientata, e irrazionalità di un nucleo di norme insindacabile cui unico fondamento è il riferimento al trascendente. Forse la contraddizione apparirà meno lancinante non appena si presti attenzione a cosa significhino effettivamente i hukim, le regole prive di fondamento etico-razionale, sintetizzabili nel precetto di portare le primizie del raccolto al Tempio (p. 200). Di tale precetto siamo anzitutto chiamati a cogliere l’irrazionalità, posta la sua contrarietà a qualsivoglia principio produttivo. Una volta esclusa la lettura storicistica che lo inquadrerebbe nella logica superstiziosa della ricompensa – e che è precisamente quella contro cui la tradizione rabbinica si scaglia con il concetto di “lishmà, per amore del Nome” (p. 94) possiamo però provare a individuarne un’intrinseca razionalità, data dall’educazione anti-idolatrica di cui il precetto si vorrebbe vettore. Tale cessione di una parte di sé, del proprio prodotto, restituisce l’idea di un’umanità non idolatrica, che non si presta al culto della terra. È questo l’umanesimo inaugurato dal monoteismo, come segnalato da Levinas che coglieva nel carattere anti-idolatrico dell’eteronomia l’incipit di ogni ateismo. Proprio a Levinas Giuliani fa riferimento presentandone il pensiero come la più riuscita “fondazione non teologica dell’etica che sia mai stata tentata” (p. 186). In effetti una differente lettura di Levinas suggerisce che “l’etica senza soggetto”, “compito infinito” in quanto privo di “possibilità di essere esaurito in qualche dovere oggettivo” (Ibidem), non è tanto un’etica priva di riferimenti presupposti al trascendente quanto una rilettura del trascendente quale alterità per antonomasia; rottura della totalità dell’ontologia, come Levinas si esprimeva in polemica con Heidegger. Mentre Giuliani presenterebbe un Levinas fenomenologo influenzato dalla tradizione ma filosoficamente autonomo da questa vi sarebbe la possibilità di riscontrare nell’etica levinassiana sì la messa in discussione di una concezione teologica della rivelazione ma non già una negazione di quest’ultima, quanto, piuttosto, una sua radicale riqualificazione come momento eteronomo indispensabile all’etica come “optique”, conditio all’orientamento nel mondo. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Giuliani però, pur volendo essere esaustivo, non sceglie di avventurarsi nei passaggi filosofici e si concentra invece sulla tradizione rabbinica. Ciò che interessa all’autore porre in evidenza, prendendo posizione e pur tuttavia non occultando la percorribilità nel seno della tradizione di altre letture possibili, è in che misura i precetti, quale che sia il loro grado di non fondabilità, si presentino al popolo ebraico per vivere in e mediante essi. “Osserverete le Mie leggi e i Miei statuti eseguendo i quali l’uomo avrà la vita” (Levitico; 18, 5); così il ritorno di una sovranità ebraica in terra di Israele, ritorno che di per sé si voleva in rottura rispetto alla lettura rabbinica dell’identità ebraica, permette di cogliere la ragione per la quale al centro della Mishnà (codice normativo) venga posto l’ordine che regolamenta l’agricoltura: la giustizia va inseguita in questo mondo e se per il nuovo ebreo secolare, che il sionismo ha reso possibile, vi è un senso nel riprendere in mano la tradizione questo è dato dal fatto che tale tradizione ha imposto un “primato dell’etica sulla fisica” (p. 135) vincolando l’uomo al dover essere della norma e obbligando la norma a convivere con il “bisogno di trascendere il din” (il giudizio: A. Lichtenstein, p. 146).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">I. Il regolo di Shammai e la regola di Hillel.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">I. Il primato dell’etica nel giudaismo . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>11</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. La regola di Hillel e il suo specifico ebraico . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>13</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Perché la regola d’oro è formulata in negativo 17</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. Riscattare Shammai: il regolo come simbolo . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>21</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Il contesto del ghiur (conversione)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. tra norme etiche e aspettative halakhiche . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>25</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">II. Shofar e spada. I principi etici</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">II. e i dilemmi teologico-politici di Rabbi ‘Aqiva . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>33</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Rabbi ‘Aqiva e Ben Azzai: una disputa</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. sull’essenza della Torà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>35</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Be-tzelem Elohim come dottrina a fondamento</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. dell’etica biblica e rabbinica . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>39</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. In dialogo con il romano Tinneio Rufo:</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. lezioni etiche in forma di parabole . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>43</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Quando l’etica non basta al Regno:</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. la resistenza armata di Bar Kochbà . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>48</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">III. Qiddush haShem. Il martirio tra testimonianza</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">III. e idolatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>53</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. L’halakhà sul qiddush haShem . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>55</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Il morire per la fede nella storia ebraica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. e nell’aggadà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>59</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. Il martirio è categoria adatta alle vittime</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. della Shoà? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>64</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Perché un kamikaze non è un martire . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>67</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">IV. Tzedeq e tzedaqà. Il primato della giustizia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">IV. e il suo ‘oltre’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>71</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. La giustizia, uno dei tre pilastri su cui poggia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. il mondo, va senza definizione . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>73</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Lifnim mishurat hadin: “al di là della soglia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. della legge” (per chi l’osserva) . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>77</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. “La giustizia, la giustizia seguirai”</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. (Devarim 16,18), compito infinito ma fattibile . . 81</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Come tutte le virtù, la giustizia non è</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. un habitus ma uno sforzo . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>87</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">V. Ghemilut chasadim. La pietas rabbinica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">V. che rende vera la giustizia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>91</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Chesed e ahavà: l’eccesso dell’amore che</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. compensa (e sorprende) la misura del giusto . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>93</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Il contenuto dell’amore comandato non è</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. l’amore ma lo stesso comando . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>97</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. La dialettica dell’amore e della giustizia . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>101</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. ‘Am segullà: elezione e responsabilità . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>106</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">VI. ‘Avodà, melakhà, pe‘ulà. L’etica del lavoro</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">VI. nella cultura ebraica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>111</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Lavorare nella Bibbia: la fatica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. di trasformare il mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>113</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. “Bello è lo studio, se accompagnato</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. da un’attività produttiva” (Avot II,2) . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>118</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. Una business ethics già inscritta nell’halakhà . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>122</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Hechaluz ovvero il pioniere sionista:</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. il lavoro come strumento di redenzione . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>126</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">VII. Qual è il posto dell’etica nella Torà?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">VII. Una discussione aperta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>131</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Sul monoteismo etico: successo e</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. limiti di una certa idea di giudaismo . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>133</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Torà lishmà e Torà lo-lishmà:</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Yeshayahu Leibowitz vs Hermann Cohen . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>137</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. Il giudaismo riconosce una moralità naturale?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Aharon Lichtenstein vs Marvin Fox . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>142</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Etica e coscienza nel contesto dell’alleanza:</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Walter S. Wurzburger e Eugene B. Borowitz . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>147</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">VIII. Le “cause” delle mitzwot. Tra perfezione etica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">VIII. e perfezione dianoetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>153</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Non v’è comandamento che non sia etico . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>155</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. “Razionale” è la Legge o il metodo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. con il quale la si studia e la si applica? . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>160</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. Lo ba-shammayim hi, la Torà non è in Cielo.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. È immanentismo teologico? . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>164</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Fede contro etica, fede oltre l’etica ed etica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. intrinseca alla fede: approcci a confronto . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>168</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">IX. Dottrine ebraiche sui diritti (e i doveri) dell’uomo.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">IX. Tra religione e laicità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>175</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Quale fondazione per la dignità e i diritti</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. dell’uomo? Sull’idea di coscienza . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>178</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. È possibile una morale non religiosamente</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. fondata? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>183</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. Il ritorno all’etica delle relazioni:</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. da Levinas a Hilary Putnam e Avishai Margalit . . 187</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Il contributo dell’ebraismo francese alla</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>191</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">X. Ecologia, responsabilità verso il creato</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">X. e opzione vegetariana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>197</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Le mitzwot della terra come emblema</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. della giustizia nell’economia . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>199</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Tutta la creazione ha valore in se stessa</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. e dunque ‘merita’ rispetto e cura . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>204</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. “Rispettare ogni essere in quanto proprietà</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. di Dio” (Samson Raphael Hirsch) . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>208</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Rispetto e moderazione: per un’etica ebraica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. della sostenibilità ambientale . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>212</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5. Etica ambientale, regole della kashrut</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. e opzione vegetariana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>216</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">XI. Giudaismo, Stato di Israele e sovranità nazionale.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">XI. Per un’etica del potere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Autonomia politica tra continuità e cesura:</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. duplice sfida per il popolo ebraico . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>224</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Realismo e moralità nell’esercizio</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. del potere statale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>228</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. Perfezione halakhica e intuizione morale:</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. un’idea di meta-halakhà . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>232</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Medinat Israel: la responsabilità di coniugare</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. tradizione, etica e modernità . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>237</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">XII. Il tiqqun ‘olam tra messia, etica e halakhà . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>241</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Dall’aggiustamento etico dell’halakhà</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. all’halakhà come aggiustamento etico . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>243</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. La Shoà come male morale e la capacità</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. di resistergli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>246</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. Quale tiqqun ‘olam dopo Auschwitz?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. La lezione di Emil L. Fackenheim . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>250</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Dare compimento, tramite l’halakhà, all’opera</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. della creazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>254</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-51529428876495234582017-03-27T09:00:00.000+02:002017-03-27T10:32:06.432+02:00D’Urso, Emanuele, Karl R. Popper lettore dei presocratici<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Roma, Armando, 2016, pp. 256, euro 24, ISBN 978-88-6992-019-2.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg_lMVvvtO1EMC2hUSIKHyz7fvkla-h-NgBLdYhR09zCbL-cTx8zMy6EUfNYDt2K0cQwBclYeGHu8jTu-W3DlHyNOa3y8UpYGLM9Sc7zzPLGktyZVk_fy825BIT8GpK-UkB7BKH3ZEpk3A/s1600/0011584_karl-r-popper-lettore-dei-presocratici.jpeg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg_lMVvvtO1EMC2hUSIKHyz7fvkla-h-NgBLdYhR09zCbL-cTx8zMy6EUfNYDt2K0cQwBclYeGHu8jTu-W3DlHyNOa3y8UpYGLM9Sc7zzPLGktyZVk_fy825BIT8GpK-UkB7BKH3ZEpk3A/s200/0011584_karl-r-popper-lettore-dei-presocratici.jpeg" width="136" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Matteo Sozzi – 24/06/2016</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il testo di D’Urso promuove una rivalutazione dell’attenzione di Popper per i presocratici, mostrando tutti i limiti di quelle diffuse prospettive che riconducono la considerazione popperiana degli antichi filosofi unicamente alle teorie epistemologiche: secondo queste interpretazioni egli, nel leggere tali autori, avrebbe semplicemente proiettato su di loro la concezione falsificazionista, al fine di trarne una legittimazione teorica. Dal volume emerge infatti l’interesse costante di Popper per i presocratici, una passione che, pur</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"></span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">rima</span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">nendo sostanzialmente privata fino alla pubblicazione di Il mondo di Parmenide. Alla scoperta della filosofia presocratica (1973), fu tuttavia saldamente ancorata al suo pensiero e all’elaborazione delle sue riflessioni epistemologiche. Attraverso accurate e minuziose indagini viene così mostrata, in modo convincente, l’insostenibilità di quelle valutazioni tese a sostenere non solo una visione degli antichi pensatori viziata da un’originaria precomprensione falsificazionista, ma anche, di conseguenza, «una limitante, certamente negativa e paradossale caduta in una forma di storicismo da parte di un epistemologo dichiaratamente antistoricista» (p. 11).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Lo studio si articola in tre parti precedute da una introduzione. Le pagine introduttive si propongono di indagare le posizioni della critica. In esse emerge chiaramente la seguente tesi: tranne che per rarissime eccezioni, tra cui spicca per significatività la posizione di Giovanni Cerri, radicata e diffusa tra i commentatori è la percezione della marginalità e dell’occasionalità dell’interesse popperiano per i presocratici, benché tale attenzione abbia accompagnato l’intera produzione del filosofo, sia stata sostenuta da competenze filologiche e si sia nutrita di numerose e importanti letture critiche. Per suffragare questa valutazione, l’autore si sofferma sulle trattazioni della critica dapprima nel periodo da La società aperta e i suoi nemici (1945) fino alla polemica con Kirk, poi dal Ritorno ai presocratici (1958-1959) all’ultimo Popper, per concentrarsi infine sull’interpretazione del Parmenide di Popper offerta da Giovanni Cerri.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Dopo l’introduzione, quindi, viene preso in considerazione l’uso popperiano delle fonti, tema a cui sono dedicate le tre parti centrali dello studio: la prima si sofferma in particolare sulla lettura popperiana di Parmenide, la seconda sulla lettura degli altri presocratici e la terza sulla riflessione circa la presenza dei filosofi antichi nel pensiero di Popper. Particolarmente interessanti, a proposito delle fonti utilizzate nella ricostruzione del pensiero di Parmenide, sono le osservazioni circa l’identificazione della dea parmenidea in rapporto con le argomentazioni di Guthrie e Tarán, il riconoscimento al cosmologo Parmenide della paternità di almeno cinque scoperte empiriche e la spiegazione del proemio parmenideo attraverso un ripensamento del ruolo assunto dal tema del viaggio inteso come movimento verso la luce accompagnato dalla perdita delle certezze precedenti. Le fonti utilizzate per gli altri presocratici delineano quindi il rapporto tra Parmenide, Senofane ed Eraclito a partire dalla tematica della sfericità, valutazioni sviluppate tenendo in considerazione le analisi di Reinhard, la cui tesi circa un’influenza di Parmenide sul giovane Eraclito viene dal filosofo viennese respinta e confutata. Pregnante, inoltre, appare la rivalutazione del ruolo centrale di Senofane in riferimento alla teoria della conoscenza e all’epistemologia eleatiche, come illuminanti sono le considerazioni circa la nascita del razionalismo critico con la speculazione di Anassimandro e la decisività dell’atomismo democriteo nel percorso che porta al ribaltamento del paradigma parmenideo. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Conclude, infine, il volume un’interessante ricognizione su alcune importanti tracce di motivi presocratici nel pensiero popperiano. A tal proposito, in particolare, è preso in esame il saggio Oltre la ricerca degli invarianti (1965), dove rilevante è la presenza di Senofane e Parmenide, sebbene la prospettiva teoretica prescinda dai testi antichi. L’ultimo paragrafo riporta numerosi rinvii ai filosofi antichi a ulteriore testimonianza della loro contante presenza negli interessi popperiani. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il lavoro è notevole per argomentazioni, richiami e riferimenti e di conseguenza si presta a una lettura appassionante riservata, però, soltanto a chi non sia digiuno di filosofia antica e di conoscenza di Popper; il merito maggiore del libro, probabilmente, sta nel colmare una lacuna negli studi sul pensatore austriaco e nel riuscire nell’intento di suggerire una generale riconsiderazione del rapporto tra il filosofo viennese e i pensatori antichi anche «nella direzione di un approfondimento del rapporto tra storiografia filosofica e filosofia nella vasta produzione dell’autore» (p. 246).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Abbreviazioni</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Introduzione: le posizioni della critica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Da La società aperta e i suoi nemici alla polemica con Kirk</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.1 Popper tra filosofia e storiografia filosofica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Da Ritorno ai presocratici all’ultimo Popper</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.1 Il Senofane di Popper nell’interpretazione di Feyerabend</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.2 La Luna di Parmenide</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.3 Dopo Il mondo di Parmenide</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. Il Parmenide di Popper nell’interpretazione di Giovanni Cerri</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Articolazione della ricerca</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">I. L’uso delle fonti: la lettura popperiana di Parmenide</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. La dèa di Parmenide </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. La Luna di Elea </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. L’elencos e l’apparente anacronismo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Il frammento B 16 </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5. La verosimiglianza eleatica </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">6. Il tema della cecità e la questione linguistica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">7. Conclusioni</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">II. L’uso delle fonti: la lettura popperiana degli altri presocratici</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.Il rapporto di Parmenide con Eraclito e Senofane</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. La riscoperta di Senofane</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.1 La cosmologia e le origini del fraintendimento</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.2 La teologia e il frammento B 34</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. Il mutamento in Eraclito e la polemica con Kirk</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Anassimandro e il razionalismo critico</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5. L’atomismo di Democrito e Leucippo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">III. I presocratici nella filosofia di Popper</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.L’attualità di Parmenide in Oltre la ricerca degli invarianti</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.1 L’invariante nel Poema sulla natura</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.2 Sviluppi parmenidei e anti-parmenidei nella fisica moderna</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Eco presocratica nei testi popperiani</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Conclusioni</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Bibliografia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.Testi di Popper</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Fonti citate da Popper</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. Testi critici e altri contributi</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-51654770992158790232017-02-27T09:00:00.000+01:002017-02-27T09:00:09.302+01:00Solombrino, Sergio, Intenzionalità ed esperienza nel Wittgenstein intermedio<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Milano-Udine, Mimesis, 2016, pp. 102, euro 12, ISBN 978-88-5753-415-2.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEinA69DPhCxLzuTXybsC70WFreNFyZ0kO2RXHotBQ8ItuBhH2BV1ZC1h41YUptPI7jf5-2IUt8ui5-zdcd4JN2X6rdt0Q4-pUelFZ6hVatCgn3yOq2D2QSpR8XcTkSd0btPGO2dF5af33M/s1600/witt.png" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEinA69DPhCxLzuTXybsC70WFreNFyZ0kO2RXHotBQ8ItuBhH2BV1ZC1h41YUptPI7jf5-2IUt8ui5-zdcd4JN2X6rdt0Q4-pUelFZ6hVatCgn3yOq2D2QSpR8XcTkSd0btPGO2dF5af33M/s200/witt.png" width="133" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Marco Damonte – 10/06/2016</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Studiare il significato delle dichiarazioni in prima persona nella riflessione wittgensteiniana dei primi anni Trenta: è questo l’obiettivo programmatico del testo di Solombrino. Sebbene apparentemente delimitato, il tema prescelto è centrale e capace di mettere in luce la sottile, ma determinante transizione del pensiero di Wittgenstein dal ritenere le dichiarazioni in prima persona delle proposizioni, al considerarle dei proferimenti. Il lettore esperto, a cui il testo è mirato, viene condotto lungo questa strada a rileggere alcuni</span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /> </span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">temi centrali della riflessione wittgensteiniana, quali la nozione di gioco linguistico e di significato come uso, sotto una luce non consueta, capace di offrire una chiave di lettura originale e convincente ad un tempo. Per «Wittgenstein dei primi anni Trenta», l’autore intende quello che la letteratura secondaria, forte di una terminologia coniata da Stern negli anni Novanta del secolo scorso, indica come Wittgenstein intermedio. L’intento è quello di seguire passo passo il maturare del pensiero di Wittgenstein e presentare al lettore la lenta transizione dalla filosofia giovanile del Tractatus alle acquisizioni più mature. Questa scelta, delicata perché molto circoscritta, ma felice nella misura in cui rende ragione di un passaggio fondamentale della speculazione del filosofo austriaco non sempre adeguatamente valorizzata, implica una precisa selezione dei testi presi in considerazione. I due maggiori sono le Philosophische Bemerkungen - stese nel 1929 al fine di candidarsi ad una research fellowship presso Cambridge - e il Big Typescript - un dattiloscritto redatto nel 1933 con lo scopo di ordinare per argomenti riflessioni precedenti in vista di una futura opera. Tra di essi vengono esaminate le conversazioni tenute da Wittgenstein presso il Circolo di Vienna – annotate da Waismann – e gli appunti delle lezioni tenute a Cambridge presi da Moore (negli anni 1930 e 1933) e quelli trascritti dai suoi allievi nel Blue Book e nel Brown Book.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">I temi centrali oggetto del presente studio sono l’intenzionalità e l’esperienza. Col primo termine si intende l’esplicitazione delle proprie ragioni e la spiegazione del significato delle proprie espressioni, dando così a questo termine un’accezione non usuale, ma rispettosa del dettato wittgensteiniano. Col secondo termine si intende l’esperienza nel duplice senso di introspezione e di presa in carico della realtà. L’analisi dettagliata di questi temi centrali conduce ad affrontare anche la distinzione tra cause e ragioni e quella tra le proposizioni empiriche e quelle riguardanti l’esperienza personale. Solombrino individua due modelli teorici a cui Wittgenstein fa riferimento, passando dall’uno all’altro con decisione. Il primo è quello mentalistico, mentre il secondo è frutto dell’impiego di nuovi strumenti di analisi, accompagnati da un uso preponderante di metafore, che allontanano il filosofo austriaco dalla logica e dalla psicologia, per avvicinarlo al senso comune.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La tesi centrale del libro potrebbe essere espressa attraverso una serie di interrogativi: da che cosa deriva, per il soggetto conoscente, la certezza delle dichiarazioni di prima persona? Tale certezza consiste nella posizione privilegiata che egli ha nell’osservare un qualche fenomeno interno? Ma, se quest’ultima ipotesi fosse vera, in tali dichiarazioni la possibilità di errore, per quanto remota, non dovrebbe comunque darsi? Ma, al contrario, non è forse vero che nelle dichiarazioni di prima persona l’errore è logicamente escluso? Queste domande, certamente centrali, trovano una chiara risposta nelle varie parti in cui è articolato il testo.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il primo capitolo prende le mosse da Some Remarks on Logical Forms, un articolo redatto presumibilmente nell’estate del 1929 per l’incontro annuale della Aristotelian Society e valorizzato da Solombrino nella misura in cui qui Wittgenstein, per rendere conto del problema della colour exclusion sollevato da Ramsey circa le argomentazioni del Tractatus, di fatto sposta l’attenzione dal linguaggio come mezzo di rappresentazione ai fenomeni rappresentati. Ciò ha segnato un allontanamento dall’atomismo logico e da un interesse per la prospettiva fenomenologica, connotata come il passaggio verso una concezione olistica del linguaggio. Questo intermezzo fenomenologico verrà presto superato nelle Philosophische Bemerkungen che sanciscono il passaggio alla concezione di linguaggio come calcolo, cioè all’idea che il significato della proposizione sia determinato da regole: «rinunciando all’idea che le proposizioni elementari siano immediatamente significative, Wittgenstein rielabora la teoria tractariana della raffigurazione, e afferma che essa è mediata dalle regole del calcolo; l’applicazione di queste regole è un atto intenzionale, che non è riconducibile alle spiegazioni causali russelliane, ovvero alla descrizione di fenomeni empirici» (p. 26). L’autore sottolinea come a tale filosofia del linguaggio corrisponda una filosofia della mente dove la consapevolezza delle proprie intenzioni è assimilata alla conoscenza introspettiva di un processo interno: «nelle PB [Philosophische Bemerkungen] la concezione (antipsicologistica) del linguaggio come calcolo convive con una definizione mentalista dell’esperienza» (p. 29), vale a dire con un solipsismo metodologico. Alla concezione sostanziale della grammatica, superata grazie all’influenza di Sraffa – che Solombrino considera determinante –, subentra un interesse crescente verso l’apprendimento del linguaggio e un riconoscimento della legittimità di giochi linguistici elementari, a scapito della centralità delle regole, in virtù dei quali «linguaggio e realtà non sono [...] due strutture indipendenti e isomorfe: secondo il BT [Big Typescript] la realtà è articolata solo in quanto è assunta mediante le regole della grammatica» (p. 35).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Questa – provvisoria – conclusione, con la quale inizia il secondo capitolo, segna la presa di coscienza da parte di Wittgenstein del dogmatismo presente nel Tractatus: esso consiste nel ritenere la realtà distinta e indipendente dal linguaggio e che ha origine da un desiderio di idealizzazione e di generalizzazione dell’uso del linguaggio e da un cattivo uso di metafore come quella della proiezione o della lanterna magica del cinematografo. Questa nuova svolta ha ripercussioni sul modo di intendere la logica che «non può determinare qualche proprietà del significato, che non sia già presente in qualche modo a chi si esprime nel linguaggio» (p. 41). Qui Solombrino nota un’affinità del metodo wittgensteiniano con quello morfologico di Goethe e Spengler, grazie al quale la ricerca del significato attraverso l’esplicitazione di un processo mentale nascosto viene abbandonata a favore di una concezione di significato come studio dell’uso linguistico comune. Di conseguenza la regole, anziché corrispondere alla logica nascosta alla base delle espressioni linguistiche, diventano il mezzo attraverso cui si apprende l’uso delle parole.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il capitolo terzo si concentra sulla nozione di intenzionalità e offre due conclusioni. La prima riguarda il significato delle regole grammaticali, le quali non sarebbero fissate da un atto mentale soggettivo, ma verrebbero fissate dalle convenzioni della comunità linguistica, là dove porsi un dubbio non è neppure plausibile; la seconda concerne una rinnovata attenzione alla distinzione tra cause e ragioni, distinzione che Solombrino propone come determinante. Parallelo a questo capitolo è il quarto, dove viene affrontata la nozione di esperienza che, da flusso, viene concepita come data nel linguaggio, con il conseguente abbandono del mentalismo e del solipsismo ontologico, fino ad intaccare il concetto di introspezione e determinare in che cosa consista l’autorità della prima persona.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Rispetto a questo filo conduttore, numerose altre tematiche, solo apparentemente secondarie, vengono trattate; mi limito a quelle principali e più interessanti. La prima riguarda l’annosa questione circa la necessità storiografica di parlare di un primo e di un secondo Wittgenstein: nonostante il cambio di alcune posizioni, il pensiero del filosofo austriaco, alla luce dell’indagine condotta, risulta coerente per metodo e questioni affrontate. La grandezza di questo autore non si misura per le sue intuizioni o i suoi repentini cambi di prospettiva, ma per la capacità di un approfondimento che, con franchezza e grande rigore, lo porta a modificare alcuni assunti. Il suo pensiero anziché monolitico, risalta per fecondità intrinseca: le somiglianze e le differenze che ne contraddistinguono le diverse fasi ne segnano anche la profonda continuità. Un altro aspetto rilevato è la distanza sempre maggiore da Russell, rimarcata a più riprese nel corso del testo. La frattura tra i due risulta imputabile a divergenze teoretiche, via via più marcate, che sono sfociate nella rottura del rapporto di amicizia, spesso accennato come mera curiosità biografica e qui, invece, motivato con grande chiarezza. Una terza tematica riguarda una contestualizzazione opportuna di alcune espressioni di Wittgenstein che rischiano altrimenti di essere più usate che comprese: basti pensare alla dizione di crampo mentale (pp. 82 e 94) che compare nel Brown Book come metafora per dare l’idea di che cosa succede quando la mente viene forzata in un’unica posizione a seguito di una passiva accettazione della posizione mentalista che, nella fattispecie, genera la confusione solipsista. Discutibile, benché meritevole di ulteriore approfondimento, l’affermazione secondo cui la nozione di indicibile perderebbe ogni significato alla luce degli sviluppi del pensiero wittgensteiniano dopo il Tractatus (pp. 88-89). La critica all’idea che vi siano criteri interni del significato, indipendenti dalle regole linguistiche è davvero condizione sufficiente affinché la sfera dell’indicibile perda ogni valenza? Ancora, dal testo emerge come l’introduzione di nozioni quali giochi linguistici e somiglianza di famiglia non abbiano a che fare tanto con il linguaggio ordinario, ma vadano in primis applicati alla terminologia filosofica. Infine, in fase conclusiva, Solombrino corrobora l’idea secondo cui Cartesio sia un obiettivo polemico per Wittgenstein e che, pertanto, la sua filosofia debba essere considerata anti-moderna: «la critica wittgensteiniana alla concezione dell’esperienza espressa nell’immagine della lanterna magica, pertanto, è correlata alla critica della nozione di “io spirituale”, un concetto riconoscibile in larga parte della filosofia moderna. Si tratta, come lo stesso Wittgenstein riconosce in BlB [Blue Book], della nozione cartesiana di “cogito” (BlB, 95), inteso come sostanza cui ineriscono il pensiero e l’esperienza» (p. 90).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’uso sempre pertinente e oculato della letteratura secondaria lascia trasparire come il tema conduttore della monografia, quello del proferimento, sia già stato approfondito da altri autori: tra i testi più citati, tutti comunque rintracciabili nella bibliografia finale, spiccano quelli di Engelmann, di Johnston, di Kenny e di Bouwsma. In questo saggio però l’esigenza non è solo teoretica, ma storico-interpretativa: Solombrino, alla luce dell’edizione critica dei manoscritti del Nachlass, ricostruisce uno dei mutamenti più significativi del pensiero di Wittgenstein che lo hanno allontanato dal suo mentore Russell e dalla concezione verificazionista adottata, pur con diverse sfumature, dai membri del Circolo di Vienna. La forte valenza teoretica della ricostruzione diacronica dello sviluppo del pensiero wittgensteiniano è sicuramente il merito del presente lavoro, ma, contemporaneamente, il suo tallone d’Achille. Infatti l’autore è costretto a mantenere due livelli di indagine complementari, ma spesso sovrapposti, con il risultato di qualche appesantimento nel testo e di alcune ripetizioni che potrebbero lasciare perplesso il lettore meno attento, costretto a tornare più volte su testi già presi in esame e riutilizzati per affrontare nuovi snodi concettuali. Nel complesso il testo risulta comunque equilibrato e capace di gettare luce su una pagina di storia della filosofia contemporanea ben lontana dall’essere stata già scritta in via definitiva.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Premessa</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo primo. Dopo il Tractatus: fenomenologia e grammatica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. L’immagine e la sua proiezione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Dall’atomismo logico alla fenomenologia: Some Remarks on Logical Form</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. Philosophische Bemerkungen</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.1. La critica del linguaggio fenomenologico</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.2. La critica della teoria causale del significato</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.3. Il linguaggio come calcolo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. I processi mentali</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4.1. L’intenzione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4.2. I sistemi linguistici e l’esperienza personale</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo secondo. Calcolo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Il Big Typescript</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.1.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Autonomia della grammatica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. La critica all’idealizzazione del calcolo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.1. La critica all’idealizzazione nel Tractatus e in Some Remarks on Logical Form</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.2. La definizione ideale dei concetti nelle Philosophische Bemerkungen</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. La determinatezza del senso</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.1. Segni menatali e segni sulla carta</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.2. Il metodo morfologica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Il concetto filosofico di “significato” e il linguaggio ordinario</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5. La critica del mentalismo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">6. Due accezioni di calcolo nel Blue Book</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo terzo. Intenzionalità</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Introduzione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. La critica dei processi mentali e la distinzione tra cause e ragioni</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.1. La “concezione causale del linguaggio” nelle Voices of Wittgenstein</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.2. Cause e ragioni nel Blue Book</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. Uno sguardo retrospettivo: la genesi del concetto di intenzionalità</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.1. La proposizione come ombra</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.2. L’intenzionalità</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. La rappresentazione intenzionale</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4.1. Il problema della temporalità</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4.2. L’intenzione come stato mentale</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5. La critica dei processi mentali nel Blue Book</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5.1. Introduzione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5.2 Il Blue Book sulla capacità di utilizzare il linguaggio</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo quarto. Esperienza</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Il concetto di esperienza come flusso</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Mentalismo e solipsismo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. La critica dell’introspezion3</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.1. Le Moore Lectures</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.2. Il Blue Book</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.3. Riepilogo. Criteri menatali e criteri linguistici</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. Le proposizioni mentali nel Blue Book</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4.1. La rappresentazione perspicua</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4.2. Sintomi e criteri</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Bibliografia</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-72914684733179741242017-02-06T09:00:00.000+01:002017-02-06T09:00:12.372+01:00Grimké, Sarah Moore, Poco meno che gli angeli. Lettere sull’eguaglianza dei sessi<div style="text-align: justify;">
A cura di Thomas Casadei, trad. it. di Ingrid Heindorf, con una nota bibliografica di Serena Vantin, Roma, Castelvecchi, 2016, pp. 126, euro 14,50, ISBN 9788869444.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-_gAOd-WXkisAjezySidzic5DKCWDnqO5_H6uRdJaEyCOrw6adkXe_Iobp-bMm6XIwRHljt0QAo7rwnWaJVMNbzN6mgQYEXvKs0IXOPV0kxJdS8T9P5xADpxRDDslqGap3SH4yQ30ACs/s1600/poco-meno-degli-angeli_copertina.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-_gAOd-WXkisAjezySidzic5DKCWDnqO5_H6uRdJaEyCOrw6adkXe_Iobp-bMm6XIwRHljt0QAo7rwnWaJVMNbzN6mgQYEXvKs0IXOPV0kxJdS8T9P5xADpxRDDslqGap3SH4yQ30ACs/s200/poco-meno-degli-angeli_copertina.jpg" width="118" /></a>Recensione di Giuseppe Moscati - 01/07/2016</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Uno degli aspetti più interessanti che emergono con maggiore evidenza dalla lettura di questo testo così intenso e anche così fortemente militante dell’autrice statunitense Sarah Moore Grimké (1792-1873) è la radice solidamente “religiosa” di una organica rivendicazione dei diritti delle donne.</div>
<div style="text-align: justify;">
Grimké, infatti, risale a quel nucleo fondamentale di rispetto verso l’esistenza e la libertà (e il diritto alla felicità) di ogni individuo che ha basi (anche) evangeliche. La rivendicazione “religiosa” da lei qui articolata, peraltro, ben si accorda con una qualsiasi posizione di laica etica della responsabilità, che ha già per sua stessa costituzione filosofica – verrebbe da dire ontologica – </div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
nell’egualitarismo e nel riconoscimento della parità dei sessi due pilastri fondamentali.</div>
<div style="text-align: justify;">
Quacchera come l’altrettanto energica sorella Angelina (1805-1879), Sarah Moore Grimké incarna dunque la lotta per l’affermazione di una parità dei diritti che, al contempo, fa da perno per la promozione di una sensibilità che sia finalmente capace di accordare abolizionismo e femminismo (cfr. pp. 59, 63, 66). E lo fa lavorando su due registri paralleli: confrontandosi con l’ambiente particolarmente ostile quale quello della Carolina del Sud da cui proviene e, più in generale, affrontando a testa alta gli esponenti più coriacei della mentalità chiusa del clero sudista del suo tempo (cfr. pp. 29-37).</div>
<div style="text-align: justify;">
I due grandi muri, quello della schiavitù e quello della discriminazione sessuale, le appaiono un tutt’uno, essendo la loro edificazione riconducibile alla logica di fondo del dominio, della sopraffazione e dello sfruttamento. Alienato è lo schiavo, alienata è la donna privata dell’accesso al ‘sacrosanto’ suffragio universale, privata del diritto di partecipazione alla cosa pubblica (e di parlare in pubblico) e, come nel caso biografico dell’autrice stessa, privata dell’opportunità di conseguire studi accademici. Gli schiavi e le donne, insomma, in questo contesto sono visti come compagni di alienazione già in quanto repressi nella loro aspirazione ad avere una voce.</div>
<div style="text-align: justify;">
C’è una sorta di amara confessione nel cuore di queste Letters on the Equality of the Sexes and the Condition of Woman del 1838 e dà molto da pensare sulla condizione della donna ma, in senso lato, anche sulla condizione della vittima all’interno di una prassi reiterata, e quasi normalizzata, di violenza. Scrivendo all’amata sorella nel settembre del ’37, Sarah ammette: «A volte sono stata sorpresa e addolorata a causa della servitù involontaria delle donne e della modesta idea che tante di esse sembrano avere della loro propria esistenza morale e delle loro responsabilità» (p. 70). Grimké sembra cogliere quasi il peso enorme che può avere la disistima della vittima nella dinamica di affermazione del carnefice (prefigurando alcune delle traiettorie degli studi del filosofo e antropologo francese René Girard).</div>
<div style="text-align: justify;">
Ma la rivendicazione di Grimké del diritto per tutti e tutte di espressione e di voto – come pure di libertà di coscienza, di partecipazione politica e di cooperazione alla ricostruzione di un’autentica giustizia sociale – rimanda di fatto ad una interpretazione limpidamente alternativa e diversa delle sacre scritture. Non a caso Thomas Casadei, nella sua Nota introduttiva (pp. 5-15), sottolinea le radici bibliche del femminismo di Grimké. A partire da questo elemento di sostanziale importanza egli insiste opportunamente sull’elemento della dignità femminile nei termini non di una rivendicazione astratta di diritti naturali e di giustizia, ma in quelli più forti e netti di una sua natura morale (cfr. p. 9). Si potrebbe in tal senso parlare di un orizzonte etico-religioso dei diritti umani, che orienta quello più strettamente giuridico.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Indice</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Introduzione</div>
<div style="text-align: justify;">
Sarah Moore Grimké: le radici bibliche dell’argomentazione femminista</div>
<div style="text-align: justify;">
di Thomas Casadei</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Lettere sull'eguaglianza dei sessi e la condizione della donna</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
L’uguaglianza originaria della donna</div>
<div style="text-align: justify;">
Lettera pastorale dell’Associazione Generale dei ministri congregazionalisti</div>
<div style="text-align: justify;">
La relazione sociale tra i sessi</div>
<div style="text-align: justify;">
L’intelligenza della donna</div>
<div style="text-align: justify;">
L’abbigliamento delle donne</div>
<div style="text-align: justify;">
Incapacità giuridica delle donne</div>
<div style="text-align: justify;">
La relazione fra marito e moglie</div>
<div style="text-align: justify;">
Il ministero delle donne</div>
<div style="text-align: justify;">
L’eguale colpa dell’uomo e della donna nella Caduta</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nota bibliografica</div>
<div style="text-align: justify;">
di Serena Vantin</div>
Unknownnoreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-83925196392317396312017-01-09T09:00:00.000+01:002017-01-09T09:00:12.983+01:00Longo, Anna, Rigotti, Francesca, «Una donna per amico». Dell’amicizia in generale e dell’amicizia delle donne<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Napoli-Salerno, Orthotes, 2016, pp. 69, euro 10, ISBN 978-88-9314-026-3.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh_i6dYtJYQamkl4B8aQFz6reDQ2OEKaB-MYnM3tPH1HSO3fLM2wLMBzEylmkapqqSOvS5bbTOMbhGWE50ddmAs6c0JL3DW8VUY9iskrj9mRUU_FCiPMI_1yUWgli41iHmj45OYy-cdRRk/s1600/longo_rigotti.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh_i6dYtJYQamkl4B8aQFz6reDQ2OEKaB-MYnM3tPH1HSO3fLM2wLMBzEylmkapqqSOvS5bbTOMbhGWE50ddmAs6c0JL3DW8VUY9iskrj9mRUU_FCiPMI_1yUWgli41iHmj45OYy-cdRRk/s200/longo_rigotti.jpg" width="136" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Alessandra Granito - 14/07/2016</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il bisogno sociale di un uso critico e dialettico del pensiero, la necessità di una filosofia non addomesticata come antidoto contro la sempre più impersonale e corrosiva comunicazione mediatica, è la cifra che segna l’impegno appassionato del festival “Filosofia al mare” di Francavilla-Ortona (Abruzzo), un evento che annualmente si ripete in serate estive, in piazza, al mare, animato da conversazioni d’occasione in cui eminenti filosofi e storici della filosofia divulgano, con chiarezza argomentativa e ampio respiro problematico,</span><br />
<a name='more'></a><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">questioni elevate e dibattute che però contrassegnano la vita quotidiana. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’eco meditata di tali incontri anima i volumetti pubblicati dalla casa editrice Orthotes. Di tali volumetti fa parte «Una donna per amico». Dell’amicizia in generale e dell’amicizia delle donne di Anna Longo e Francesca Rigotti, una sensibile incarnazione nel segno scritto della parola che, tra l’altro, ha dato corpo alla VI Edizione del festival 2015 dal titolo “Conversazioni sull’amicizia”. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Longo e Rigotti articolano una riflessione stimolante e originale sull’amicizia attraverso la compenetrazione di due procedimenti: 1) l’individuazione di sette elementi (‘ingredienti’) che compongono l’amicizia e che la connotano come “il bene più grande che il nostro sapere ci offre per la felicità di tutta una vita” (Epicuro); 2) la contaminazione di generi, la mescolanza di discorsi elevati (filosofia classica da Aristotele a Platone, da Epicuro a Cicerone) con gli elementi sapidi e leggeri delle canzonette, al fine di delineare i lati prismatici dell’amicizia.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ricompresi nell’orizzonte di un sentimento reciproco di tensione e sincerità, gli ‘ingredienti’ specificati dalle autrici, e supportati da riferimenti storico-filosofici, si delineano come sentieri intellettuali ed emotivi tracciati con l’intento di indicare percorsi. Tra tali componenti considerate, particolare rilievo rivestono ad esempio quella idealistico-umana ed etico-sociale (Cicerone); la condivisione di interessi e ideali ulteriori rispetto al mero piacere reciproco (Nietzsche), fino a farne, in senso più rigoroso, un sentimento indivisibile (Montaigne); l’interesse, l’utile, che taluni filosofi sottolineano in termini individualistici ed egoistici (Baroncelli, Rochefoucauld, Helvetius), per cui l’amicizia non sarebbe altro che «un’alleanza, una reciproca cura di interessi e uno scambio di servigi, ovvero, una relazione in cui l’egoismo si prefigge sempre qualcosa di utile» (p. 15); la consistenza ‘puramente morale’ dell’amicizia (Kant); la libertà di scelta che l’amicizia offre rispetto a rapporti obbligati dal legame parentale (Montaigne), e che, scrive Vilém Flusser, come la «la libertà del migrante, non conosce vincoli né di sangue né di patria» (p. 20), ma solo affinità elettive; la natura dell’amicizia come uno dei pochi legami forti e stabili rimasti in una società che, invece, ne è priva perché fluida, mutevole, instabile (Baumann), accelerata e alienata (Hartmut Rosa), in cui i legami sono flessibili, le relazioni sono funzionali all’immediato, superficiali e fragili come ragnatele, non vincolanti, ancorate a scelte continuamente rivedibili (Emerson); l’amicizia come occasione di fioritura individuale, non come legame che soffoca la libertà, ma come “tensione tra responsabilità individuale e solidarietà nei confronti dell’altro” (p. 23); l’amore, quale ingrediente portante del sentimento d’amicizia, e i contorni estremamente sfumati tra philia ed eros, tra amicizia e amore sensuale, come attestato non solo nella letteratura classica (Achille e Patroclo, Virginia Woolf e Vita Sackville West), ma anche nei testi di alcune canzoni italiane (Battiato, Sgalambro, E ti vengo a cercare).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Sulla scia di quest’ultima contaminazione, nella seconda parte del volumetto Longo e Rigotti completano e consolidano il precedente piano teorico della discussione con un livello pratico che rende dialettica e ancor più pregnante la riflessione fin qui condotta. Una riflessione che si arricchisce di considerazioni storico-critiche tra cui, in particolare, quella per cui il sentimento sublime dell’amicizia è stato precluso per secoli alla natura femminile, ritenuta incapace, o comunque non degna di farne parte (De André, Ronsard, Il rimpianto dell’amore maschile), dato che la convinzione culturale più diffusa era – ed è – che la vita delle donne sia vissuta attraverso i loro uomini, fino a stigmatizzare pateticamente l’amicizia tra donne come un «sostituto per quello che gli uomini non possono o non sanno dare: un ascolto attento, simpatia per problemi comuni» (Thelma e Louise). (p. 49) </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">E rispetto all’amicizia tra uomo e donna, come stanno le cose? Essa è relegata nella marginalità di un legame che vede la donna «nella funzione di assistenza, aiuto, stimolo al pensiero e all’attività maschile, insomma, una ‘musa ispiratrice’ della creatività altrui» (p. 51), e dunque, sempre in maniera funzionale piuttosto che complementare. Avere chiaro lo status quo culturale di tale questione, come sottolineano opportunamente le autrici, di certo consente di andare avanti nella costruzione di una società più giusta: riappropriarsi degli ‘ingredienti’ dell’amicizia così come ce li presenta il pensiero filosofico, servirebbe a «ripristinare il senso civico e la sensazione di appartenere a una comunità che richiede doveri, consente diritti, crea vincoli equi, dà senso alla nostra vicenda individuale e, soprattutto, è in grado di moltiplicare le occasioni di gioia, una gioia che è più profonda quando è condivisa». (p. 61) </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 5 Prologo con storia, dediche e ringraziamenti</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 7 Introduzione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Parte prima</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 11 Primo ingrediente: La voglia e il bisogno di raccontarsi all’amico e il piacere di stare insieme (Cicerone)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 13 Secondo ingrediente: La condivisione di interessi e ideali (Nietzsche, Montaigne)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 15 Terzo ingrediente: La gratuità (Baroncelli, Helvétius e Kant)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 19 Quarto ingrediente: La libera scelta (Marco Aurelio, Flusser)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 21 Quinto ingrediente: Il vincolo e il legame (Bauman, Rosa, Emerson e altri)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 28 Sesto ingrediente: L’eguaglianza (Aristotele)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 31 Settimo ingrediente: L’amore (Platone, Battiato, Sgalambro, Sorrenti)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Parte seconda</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 39 Una donna per amico (Mogol, Battista)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 42 Il rimpianto dell’amore maschile (De André, Ronsard)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 45 Le donne possono essere amiche degli uomini? (Montaigne)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 52 Amicizia e complementarietà (Stein, Seiwald)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 56 Un’amicizia tra donne: Thelma e Louise (Khouri, Scott)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 58 Altre amicizie</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 63 Profilo delle autrici</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-14357830527616374242016-12-12T09:00:00.000+01:002016-12-12T11:03:26.862+01:00Valéry, Paul, All’inizio era la favola. Scritti sul mito<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">A cura di Elio Franzini, Milano, Guerini e Associati, 2016, pp. 108, euro 12,50, ISBN 978-88-6250-621-2.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBWT79yEJ9x_mMp97x7GsRObco7SkW9PjXhPR2xC4SuZu07IAn5sB8HwiRUKS2n8eIkwqNyhuluo6sug14HcxkSQ95Jf-Py93OaIeygGs1meAAnhIztQ4OBxvgqR2fa2-BSpIe1gqKYhQ/s1600/all_inizio_era_la_favola_sito.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBWT79yEJ9x_mMp97x7GsRObco7SkW9PjXhPR2xC4SuZu07IAn5sB8HwiRUKS2n8eIkwqNyhuluo6sug14HcxkSQ95Jf-Py93OaIeygGs1meAAnhIztQ4OBxvgqR2fa2-BSpIe1gqKYhQ/s200/all_inizio_era_la_favola_sito.jpg" width="145" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Giovanni Basile – 08/06/2016</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il testo di Paul Valéry, curato da Elio Franzini, mi si perdonerà la battuta, pur trattando di miti e favole non mente! In poche pagine si delinea la riflessione sul mito e sui miti proposta dal grande pensatore francese. Qui vengono presentati cinque brevi scritti che, attraversando un arco temporale che va dal 1929 al 1946, portano il lettore dentro un ventaglio temporale decisamente ampio. L’introduzione del Franzini (pp. 9-29), in apparenza un po’ lunga, vista la brevità del testo, si dimostra necessaria per</span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">centrare la questione, di non poco conto, del comprendere la natura, il senso ed il valore del mythos. Il Curatore, argomentando sull’etimologia stessa della parola “mito”, espone la difficoltà di proporne un significato univoco, mostrando come questa complessità nominale sia invece la chiave di lettura dello stesso termine mito. Il mito infatti per Valéry è una espressione, ed una esperienza, che non permette univocità. Proprio tale dinamismo linguistico viene qui raccolto e presentato attraversando degli scritti che mostrano, in diversi modi, la mobilità del farsi narrativo del mito. Non prestandosi ad una agile lettura, il volume, abilmente tradotto da Renata Gorgani, necessita di essere letto e meditato avendo sempre presente che “[…] all’inizio era la favola” (p.47 e p.55), e che questa lapidaria affermazione, che da il titolo al presente volume, è il leitmotiv di Valéry. Il “favoleggiamento”, infatti, non è un vizio, ma l’espediente stilistico necessario per condurci, dai margini del mito, dentro il mito stesso. È lo stesso Franzini infatti a sottolineare che “l’intera opera di Valéry è dunque una manifestazione della potenza (e delle potenzialità) del mito, confermata in ogni saggio o poesia” (p. 19) e qui se ne dimostra tutta la portata. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Entrando con discrezione nel dispiegarsi degli scritti qui scelti, possiamo individuare tre grandi nuclei narrativi, che presentano in modo chiaro il concetto di mito che sottende al pensiero del Valéry. Il primo nucleo è rappresentato dagli scritti Su “Eureka” (pp. 33-48) e Piccola lettera sui miti (pp. 49-56). Eureka è un’opera dello scrittore americano Edgar Allan Poe nella quale viene presentata una interpretazione cosmologica, sia del mondo materiale sia di quello spirituale. Valéry ne resta affascinato al punto da scriverne un elogio tale da evidenziare, per contrasto, che i suoi studi lo “avevano portato a credere che la scienza non è amore, che i suoi frutti possono anche essere utili ma il suo fogliame è molto spinoso, la sua scorza terribilmente dura” (p. 34). La rappresentazione messa in scena da Poe svela a Valery la bellezza di narrare il mondo in modo affascinate, pur partendo da fondamenti matematici e scientifici. Così facendo si lascia a noi, che di questo mondo siamo una parte essenziale, la capacità di raccontare l’infinito attraversando tutte le nostre finitudini linguistiche e “colorazioni” mitologiche. In piccola lettera sui miti, la penna di Valéry cambia stile facendosi più confidenziale. Valery qui narra di una lettera ricevuta da una sconosciuta signora, la quale, curiosa di conoscere il punto di vista di Valéry in merito ai classici grandi temi della speculazione filosofica, si rivolge a lui per sentire le sue ragioni. Lo scritto si apre rivolgendosi ad una fantomatica “cara amica […]” (p. 49) alla quale racconta le risposte proposte all’oscura signora. In poche battute si dischiude al lettore il modo di intendere il mito per Valéry. La vacuità terminologica, caratteristica stessa del mito, conduce chi legge per le strade linguistiche e stilistiche che il mito ama percorrere. Menzogne, chiacchiere oscure, mostri mitologici e falsità, sono questi i cardini entro cui si muove il dispiegarsi narrativo del mito. Un farsi letterario, e squisitamente scritturale, che si permette di balbettare qualcosa sul tutto a pieno titolo, pur non conoscendo mai pienamente. Il lavoro che la scrittura e la narrazione mettono in atto nel mito, ed attraverso i miti stessi, per Valéry non è altro che il nucleo centrale della capacità che i miti hanno di venire in soccorso a ciò che non esiste: “che cosa saremmo dunque senza il soccorso di ciò che non esiste? Ben poca cosa, e le nostre menti, senza occupazione, languirebbero se le favole, […], non popolassero di esseri e di immagini senza oggetto le nostre profondità e le nostre tenebre naturali. I miti sono l’anima delle nostre azioni e dei nostri amori”. (p. 55) È l’amore per tutto ciò che ci circonda che diventa il “movente” delle narrazioni mitiche. La pace si raggiunge proprio nell’inquietudine di poter sempre sperare in una parola mai definitiva, mai perentoria e per tanto sempre aperta a nuove invenzioni. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il secondo nucleo è rappresentato da L’uomo e la conchiglia (pp. 57-79), lo scritto più lungo qui riproposto. Non a caso infatti questa parentesi, prettamente filosofica, presenta al lettore di questa raccolta la dimostrazione stilistica dell’operare mitologico. Lo sguardo umano, infatti, una volta rivolto e fissato su una semplice conchiglia, dimessi infine i panni di scienziato ed umanizzatore del tutto, trova nella capacità narrativa e poetica la porta d’accesso per un modo di raccontare il mondo attraversando i grandi dilemmi dell’umanità, quali l’universo, il caso o una possibile Potenza generatrice. Un semplice oggetto, caricato di logiche poetiche e svuotato delle scientifiche svela al Nostro, che propriamente “questa conchiglia […] è servita a eccitare di volta in volta quel che sono, quel che so, quel che ignoro” (p.78-79). Nel pensare poetico si svela un ri-pensare che, facendosi mitico, non offende e non annienta né l’oggetto pensato né il pensante poiché, come sempre, all’ “inizio era la favola” ma, in fondo, anche alla fine “era una favola”. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">A chiudere questa raccolta, si propongono, come se fossero “la quadratura del cerchio” mitico, un melodramma Anfione (pp.81-100) e un soliloquio L’angelo (pp. 101-103). Rappresentato per la prima volta all’Opéra di Parigi nel 1931 e musicato da Arthur Honegger, il melodramma Anfione è espressione mitica piena. Tutti i classici attori mitici e gli agenti linguistici vengono messi in scena da Valéry per presentare il volto del mito; persino la dedica alla straordinaria ballerina dei balletti russi, Ida Rubinstein, icona assoluta di un mix di arte, mito, spettacolo e narrativa si dimostra essere una dedica mitica. Anfione, uomo reso cantore e narratore della natura grazie alla lira di Apollo, vive tutto il dramma di questa possibilità d’essere, da una parte voce narrante del tutto ma allo stesso tempo si palesa in lui la tragica consapevolezza di aver cantato delle parole che saranno solo un labile flatus vocis, poiché l’Arte cercherà altri narratori ed altri interpreti per cantare il mondo e le sue infinità. Questa tensione è l’altra faccia del mito. Sapere infatti d’essere una parte di una trama narrante che si perpetuerà attraverso altri narratori, pur essendo una consapevolezza che atterrisce, è garanzia piena che si sta rispettando l’operare mitologico. Giustamente posto alla fine di questa raccolta, il melanconico soliloquio de L’angelo, (che a tratti sembra aver ispirato il personaggio di Damiel, uno degli angeli del film, Il cielo sopra Berlino di W. Wenders del 1987), rivela l’ultimo “sapore” del linguaggio mitico che nasconde in se l’amara delusione di chi «[…] per una eternità, non smise di conoscere e di non comprendere» (p. 103). Questo è infatti il sitz im leben del mito per Valéry, e del mito in generale: conoscere e non comprendere mai pienamente quel che si sta cercando di scrutare. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Leggendo d’un sol fiato questa bella raccolta, si colgono in breve la profondità stessa dell’ingegno stilistico del nostro Valéry e la sua personale elaborazione del pensare e raccontare il mito. Quel che resta al lettore attento di questo volume è il piacere di aver assistito all’ “incarnarsi” del mito attraverso i mille volti della parola stessa, che più si fa “favola”, più si presta all’uomo, il quale è chiamato a non dimenticare mai che è la parola al servizio dell’umano e quasi mai il suo contrario. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il mito e l’infinito estetico di Elio Franzini<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>9</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">All’inizio era la favola<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>31</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Su «Eureka»<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span> 33</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Piccola lettera sui miti<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>49</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’uomo e la conchiglia<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>57</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Anfione<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>81</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’angelo<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>101</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nota al testo di Renata Gorgani<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>105</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-81611053470184118332016-11-21T09:00:00.000+01:002016-11-21T09:00:05.229+01:00Muraro, Luisa, L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Brescia, La Scuola, 2016, pp. 86, euro 8,50, ISBN 978-88-350-4370-6</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7mQJbmeoVN9gLOH_y5RCrK-fQJdQXAHTCI4NU2EuBo1u-gA1WobrxkNlwQsl28YoUeWUwOLH9XmIJZuOoX4z172Vu9JiMtTYQLJNkr5ZOQVE5s5wffijE5GClGH9RHZNnqtbnvapcYTE/s1600/SPE_003509.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7mQJbmeoVN9gLOH_y5RCrK-fQJdQXAHTCI4NU2EuBo1u-gA1WobrxkNlwQsl28YoUeWUwOLH9XmIJZuOoX4z172Vu9JiMtTYQLJNkr5ZOQVE5s5wffijE5GClGH9RHZNnqtbnvapcYTE/s200/SPE_003509.jpg" width="123" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Silvia Baglini - 15/06/2016</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Testo uscito nei giorni della discussione parlamentare del disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, quest’ultima opera di Muraro affronta un argomento di attualità portando la riflessione filosofica nel cuore del dibattito politico. Sin dal titolo si vuol affermare una posizione, però Muraro precisa: quel “contro” non vuole esser appaiato ad un tipo di dialettica oppositiva tipica del discorso mediatico; è parola impegnata, “sbilanciamento”, ingresso nel dialogo cui il presente libro vuol appartenere. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"></span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">A quale “domanda” risponde, allora, Muraro? Non a quella relativa alla legittimità della sanzione normativa della stepchild adoption o di forme altre di maternità per le coppie (non solo omosessuali), di cui ha dibattuto l’opinione pubblica in concomitanza con i sopra ricordati lavori parlamentari. L’interrogativo più prossimo è quello sollevato dalla costituzionalista Silvia Niccolai in un articolo uscito per il manifesto l’8 marzo scorso, dal titolo “Quello che i diritti non dicono”. Al centro di quel testo, Niccolai affronta un passaggio chiave del discorso “comune” intorno al tema: « “Chi sono io per giudicare quello che fa un’altra donna? Io non lo farei, ma se una vuole farlo…” […] Se tu non lo faresti, com’è che non ti importa che un’altra lo faccia? […] Sfugge in questi casi la differenza tra il parlare in nome delle donne e il prendere parola come donna, senza di che il discorso pubblico non può prendere un segno femminile. Se tu non ti prendi la libertà di giudicare, quale libertà insegni a un’altra?». Muraro prende esattamente parola come donna ed affronta proprio la questione al cuore del discorso di Niccolai: l’universalismo dei diritti e il suo significato a fronte della posizione femminile nella società liberale e di quell’“irriducibilmente femminile” che è la maternità.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Questo è il nucleo centrale del discorso, il fulcro attorno a cui si costruisce la discussione “contro” nutrita di argomenti anche eterogenei. Anzitutto, il ruolo dello scambio economico nella questione dell’utero in affitto: se l’abolizione della schiavitù ha inaugurato la strada storica che ha condotto al divieto di fare scambio di tessuti ed organi umani (p. 12), ancor più forte ci appare l’interdetto per l’essere umano figlio della gestazione, la nuova creatura. Sarebbe ipocrita pensare che il nucleo della questione sia extra-economico, che la vera partita si giochi sui corpi di quelle giovani donne che si dicono disponibili a farlo “gratis”, per amore, per dono. Non possiamo scordare, pena il dimenticarci colpevolmente di buona parte del mondo e del mondo femminile, che la maternità surrogata implica una contrattazione economica e configura forme di lavoro precario, retribuito, “biolavoro” nel quale i propri organi, la propria salute, la propria fertilità diventano sorgenti di valore e plus-valore nel senso autenticamente capitalistico di questi termini. Ciò accade in vaste zone del mondo, anche se, da più parti, lo si vorrebbe scongiurare con una legislazione che escluda lo scambio economico: solo il “dono” sarebbe legittimamente concesso nell’ipotetico dispositivo normativo delle nostre società liberali. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ecco che allora la natura stessa del “dono” viene indagata nei suoi presupposti non confessati. Il dono, il libero atto di scambio gratuito tra soggetti liberi e padroni della propria volontà, non può essere un valido paradigma in questo caso, per il semplice motivo che il “dono” qui non è una cosa: è una persona, è la creatura. Ammettere il paradigma del dono come applicabile in questo caso significa ammettere che il corpo femminile fertile possa essere una macchina produttrice; significa ammettere che la creatura sia cedibile o, nei termini di Muraro, sia disponibile. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Qui il discorso di Muraro si fa più complesso, intrecciato come appare di ordini di riflessione non pienamente riconducibili l’uno all’altro: uno, che potremmo definire etico; un altro, più prettamente politico; uno ulteriore, infine, che si configura come ontologico. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Partiamo dal piano del discorso politico (anche se, come si vedrà, una distinzione tanto netta non reggerà nel corso della discussione). La cultura liberale in cui siamo immersi è quella dei diritti, tra cui il diritto di “disporre del proprio corpo” e la garanzia dell’uguaglianza formale tra tutti i soggetti (p. 35). Il pensiero marxista ha insegnato come quest’uguaglianza formale si traduca in potere di sfruttamento tra soggetti socialmente ineguali: questione non estranea alla maternità surrogata, non appena si interroghino le linee di demarcazione etniche, sociali, economiche che un ipotetico “atlante della gestazione per altri” ci proporrebbe. Il pensiero femminista porta la domanda su questa presunta “libertà di disporre del proprio corpo”, su questa nozione stessa di “proprietà” del corpo e della sua gestione come diritto individuale delle donne. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Muraro richiama il tema di quello che è stato l’oggetto di lunghe battaglie, della società civile e delle donne stesse: l’aborto (pp. 38-39). Il parallelo appare arduo da sostenere e le parole con cui Muraro afferma che l’aborto non è un diritto, ma “un rimedio”, mentre stridono, ci portano più vicino a quella che è la sua concezione di che cosa è un “diritto”. La possibilità dell’aborto deve esser garantita perché non si può obbligare la donna alla maternità: ma la libertà d’esser madre, ci dice Muraro, è “più che un diritto individuale” (p. 39). È un dono ed è anche una potenza del femminile, che non si inscrive nello spazio neutro della legislazione universalistica ma vi introduce una fondamentale asimmetria: la maternità non “spetta” a qualsiasi individuo indifferentemente, secondo una concezione liberale; la maternità è un più di essere, cui (solo) la donna può liberamente acconsentire o meno, non un “diritto”. Muraro traccia una distinzione tra desiderio e diritto: vi sono desideri da cui nasce un diritto (è il caso dell’istruzione), ma il fatto di desiderare – ad esempio, di esser madre o padre – non produce per ciò stesso diritto. Non della sanzione legale qui si parla, ma di un livello ulteriore che sembra, del diritto stesso, farsi di volta in volta fondamento e critica immanente.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La trattazione di Muraro si sposta allora su di un altro piano, nel quale entrano in gioco la nozione di “indisponibile” e quella del “lavoro della creatura piccola”. Riprendendo la riflessione sviluppata ne L’ordine simbolico della madre e nel più recente Autorità, Muraro analizza la relazione materna come lo spazio all’interno del quale veniamo al mondo e alla parola – alla nostra natura umana incarnata, sancita da questa simbolicità piuttosto che da qualche dichiarazione universale (pp. 66-67) – e mostra come sia il “lavoro della creatura” a riattivare l’ordine simbolico, sciogliendolo dalla ripetitività del sistema costituito, risvegliandolo come luogo relazionale di parola e di novità (p. 54). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nel richiamo all’“apertura nativa” di sapore arendtiano Muraro si avvia a definire il concetto di libertà in modo ben diverso da quanto faccia il liberalismo. Libertà non è uno spazio residuale né coincide con quanto il diritto permette. «Se dovessi definirla, direi che la libertà è un godere di essere secondo la misura delle proprie possibilità, quelle che una (o uno) va scoprendo in sé e cerca di realizzare» (p. 37). Queste “possibilità” di cui Muraro parla non sono le possibilità di scelta che il dato contesto esistente consente: al contrario, sono ciò che porta la frattura in questo spazio dato di alternative, che le interroga sulla loro costituzione e sul senso; sono l’atto di creazione in cui il regime stesso delle possibilità di scelta verrà, di volta in volta e mai in modo definitivo, a costruirsi e a significare. La natalità, la fecondità, il nuovo, non sono elementi che si possano inserire in un regime di scambio (in cui il simbolico finisca per esser mutuato sull’economico): ne esulano per origine, ne definiscono semmai la possibilità, lo sfidano per essenza. La creatura e la creazione sono costitutivamente “l’indisponibile”. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ritroviamo allora il senso della critica all’aborto come “diritto”: l’aborto è al più negazione, difesa; non crea quel più di relazionalità che si instaura nello spazio del “continuum materno” (p. 67) - quel più al cui interno si dà la libertà di cui si gode (non quella con cui ci si difende dal potere). </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Se questo è il piano ontologico-simbolico del materno, sappiamo che il continuum si spezza anche per altro dall’“utero in affitto”: il ripudio, la perdita del genitore, l’adozione. Qui, dove Muraro distingue sul piano morale tra adozione e maternità surrogata, sta forse uno dei punti più insidiosi del suo discorso. La relazione materna non coincide con il rapporto con la madre biologica: «o chi per essa», scrive l’autrice, sottolineando come l’unica insostituibilità sia quella della creatura cui spetta il compito fondamentale nel lavoro simbolico (pp. 66-68). Ma vi è, scrive ancora, una superiorità morale dei genitori adottivi rispetto a coloro che “commissionano” alla surrogata la creaturina per soddisfare il proprio desiderio (pp. 70-71): i primi accolgono una casualità d’esistenza, una possibilità relazionale che sarebbe andata perduta; i secondi vogliono, attraverso la creatura, soddisfare un proprio desiderio egoistico. I secondi trasformano la maternità in mezzo per la propria realizzazione: secondo un ordine di pensiero reificante, che riduce a strumenti del proprio volere natura, esseri umani, relazioni personali. Vi è, qui, nel discorso di Muraro un rischio di “moralismo”? A quale tipo di etica umanista dobbiamo rifarci, per sostenerlo?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Se vi fosse una pretesa normativa di questo genere, l’argomento di Muraro troverebbe forse il suo punto di maggior debolezza: un richiamo ad una “natura” che la capacità tecnica non può sfidare, pena la distruzione dell’orizzonte di senso in cui solo possiamo costruire l’umano. Muraro lambisce questo tipo di discorso (cfr. pp. 19-20, p. 82): lo spazio di ciò che ci è tecnicamente possibile non coincide con i confini entro cui ci è concesso avventurarci. Non però in nome di un’“origine” naturale che riporterebbe la riflessione sulla maternità in un contesto pre-femminista. </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Sta nelle ultimissime righe una chiave di lettura: «L’indisponibile non è qualcosa che, per essere sottratto all’arbitrio, dovrebbe essere fissato una volta per tutte. Esso procede con la vita che diventa umana: desiderante, libera, parlante» (p. 86). L’indisponibile non sta all’origine, ma nel divenire. Sta nello spazio della discussione politica: non nell’ambito della tecnica o della gestione, ma nella relazione entro cui, insieme, sviluppiamo la riflessione intorno a ciò che ci riguarda da vicino. Questo spazio è inaugurato dalla relazione materna, la matrice entro cui impariamo a parlare e impariamo il dialogo tra il simbolico esistente e l’ingresso della parola nuova: lo spezzarsi di questa relazione produce la riduzione del parlare ad ordinare segni come mezzi oppure, al contrario, la sua devastazione in una ribellione ineffettuale, cancellando in entrambi i casi la possibilità del desiderio creatore e della libertà generativa. «Dell’indisponibile possiamo così concepire un’interpretazione positiva: è indisponibile quello che è tenuto a disposizione del di più che è la gioia del vivente» (ibidem). Si comprende come un simile “indisponibile” non appartenga al campo della scelta tra possibilità (simbolicamente) indifferenti in un regime di scambio di e tra soggetti legalmente eguali; ma richieda di divenire, invece, il cuore del discorso politico. La relazione di prossimità e di differenza (concetti estranei al diritto liberale, cardini invece del materno) diviene il fondamento della possibilità di parlare e ci indica, secondo Muraro, la via di una politica che si faccia luogo del desiderio e della libertà. </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Avvertenza </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Dentro le parole</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Diamoci il tempo di pensare </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Un ingorgo di problemi</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Le leggi del mercato</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Svegliamoci e mettiamoci a pensare </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La potenza del desiderio </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Relazioni, tecnica e mercato</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Una libera scelta? </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La Madre di Dio</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La relazione materna </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’unicità della madre </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Oltre la metafora </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Una bella domanda </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Libertà e processo evolutivo </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La misura dei diritti </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il continuum materno </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Desiderio e diritto </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La questione delle origini </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Imparare a parlare </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’espansione del possibile</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-9127163455505574942016-11-02T09:00:00.000+01:002016-11-02T09:00:05.198+01:00Maffettone, Sebastiano, Filosofia politica<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Roma, Luiss University Press, 2014, pp. 206, euro 12, ISBN 978-88-6105-194-2</span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicV5yyT6_TEq0dRbc_yFzb4eEMbfYKl03hbzUNMXnWyw7kE_yJpd_PSyKorvNdF5Q7VLBtVpXWzNXLqnOkoqu87ENPt3BWYgtiyn1BF0P7r29qKfxH9lZrwBD33Yab8qekh7kBiYVzkck/s1600/maffettone.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicV5yyT6_TEq0dRbc_yFzb4eEMbfYKl03hbzUNMXnWyw7kE_yJpd_PSyKorvNdF5Q7VLBtVpXWzNXLqnOkoqu87ENPt3BWYgtiyn1BF0P7r29qKfxH9lZrwBD33Yab8qekh7kBiYVzkck/s200/maffettone.jpg" width="121" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Antonella Ferraris - 30/12/2015</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">In questo breve, ma denso libretto, Sebastiano Maffettone costruisce una sorta di mappa delle principali correnti della filosofia politica contemporanea, un ambito da lui frequentato per più di quarant'anni.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">In questa recensione, anziché ripercorrere integralmente le correnti analizzate, cercherò di ricostruire la struttura del lavoro e le intersezioni concettuali che consentono a Maffettone di delineare il mondo della filosofia politica attuale, che ruota, dati i suoi studi e i suoi interessi, intorno ai dibattiti promossi </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">dal mondo angloamericano.</span></div>
<a name='more'></a><br />
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Al centro della galassia di Maffettone vi sono tre poli: il liberalismo, la democrazia, la teoria della giustizia.</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il liberalismo politico, nelle sue varie declinazioni, è la necessità di salvaguardare opzioni di libertà all'interno di sistemi istituzionali complessi. Il principio che giustifica questa opzione è l’universalismo della libertà, che pretende di essere neutrale rispetto ai valori e agli scopi che gli individui perseguono; la legittimazione del liberalismo è il consenso popolare. Per noi italiani il liberalismo filosofico coincide con la figura di Benedetto Croce. Il suo liberalismo si fonda su uno spiritualismo metafisico mutuato da Hegel, che tuttavia, nella opposizione dei distinti, va incontro a problemi relativi tanto al rapporto tra filosofia e politica, che fa parte con l'economia dell'ambito pratico, quanto a quello tra filosofia e storia. In entrambi gli aspetti il pensiero di Croce presenta rilevanti ambiguità (il rapporto con il fascismo, la difficoltà di sciogliere i nodi tra etica e politica) che hanno portato a ridimensionare la sua importanza nell’ambito della filosofia politica italiana. Croce fa parte, con Hayek, gli storicisti e prima ancora Hume e Bentham, dei cosiddetti liberali realisti. Come Croce, Hayek non considera importanti gli snodi etico-politici, ma si affida alla persuasività dei fatti. Un ordine politico si mantiene grazie alla sua capacità di resistere alle difficoltà della storia, senza aver la possibilità di valutarlo sul piano etico-politico. L’altra faccia del mondo liberale è costituita da Kant, Rawls, Dworkin, che non mettono mai in dubbio l’impianto liberale delle loro filosofie. Il liberalismo di Rawls sposa un’ idea di pluralismo della libertà (la lista dei beni primari) e la innesta su una concezione costruttivista della società basata sulla riproposizione del contratto sociale. Il liberalismo rawlsiano è poi egualitario, dato che non accetta diseguaglianze sociali che non siano motivate e non vadano a vantaggio di tutti; la ragione pubblica obbliga poi i cittadini alla cooperazione e alla giustificazione dei propri principi morali. Il consenso per intersezione rappresenta il punto massimo della riconciliazione sociale.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il secondo tema fondamentale è quello della democrazia. Il sistema democratico è, almeno formalmente, il più diffuso nel mondo e risolve i conflitti d'interesse attraverso l'uso di procedure condivise e attraverso l'obbligatorietà delle norme, ma non è esente da problemi. Una delle questioni più "antiche", già evidenziata dal marxismo ottocentesco, è il rapporto tra democrazia e capitalismo. Marx sosteneva che il consenso dei cittadini, in alcune decisioni chiave, non era del tutto libero a causa dei condizionamenti economici; questa tesi è difficilmente sostenibile attualmente, almeno in modo così radicale; è vero però che la presenza delle lobby e l'influenza dei grandi poteri economici condizionano la vita democratica. Un altro punto critico è l'incidenza delle scelte pubbliche. Il teorema dell'impossibilità di Arrow ha dimostrato che la democrazia passa attraverso cicli di impossibilità decisionale, la cui unica alternativa sarebbe la dittatura (un argomento a favore, alla fine, della teoria delle élite). Vi sono poi teorie procedurali della democrazia; tra i molti autori citati ricorderò Dahl e il suo concetto di poliarchia, in cui la sovranità popolare e il controllo esercitato dai cittadini assicurano la tutela degli interessi di gruppi in competizione tra di loro. Il capitolo termina con l'esame della democrazia procedurale di Bobbio, che mette in evidenza anche le promesse non mantenute della democrazia, che sono alla base della crisi di questi ultimi anni. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Un corposo capitolo è dedicato alla sintesi delle principali teorie della giustizia distributiva, il terzo polo di Maffettone: un caso particolare di giustizia che fornisce criteri per assegnare beni sociali primari. Le teoria della giustizia esaminate sono le principali: il contrattualismo di John Rawls, il libertarismo di Nozick, l’utilitarismo di Peter Singer, il risorsismo di Dworkin, il capability approach di Sen e Martha Nussbaum. Tutti questi autori forniscono criteri di distribuzione diversi, più complessi, rispetto a criteri intuitivi come l’eguaglianza e il merito. Viene discussa, ad esempio, l’idea di Nozick che il mercato e solo il mercato può regolare le opzioni di giustizia per mantenere inviolabili i diritti individuali; oppure l’opzione di Sen che mette in evidenza la differenza tra scelte istituzionali e scelte compiute effettivamente dalle persone. A questa concezione “materiale” della giustizia si affianca un secondo atteggiamento, che chiameremmo del riconoscimento, che invece si occupa di questioni politico culturali, tradizionalmente trascurate dalla giustizia distributiva. In questo spazio troviamo Jürgen Habermas, uno dei più importanti filosofi in attività, e la sua concezione della democrazia deliberativa, che possiamo definire sostanzialmente neo-kantiana. Habermas invita a considerare l’orizzonte dialogico delle persone, che in un ambito democratico si confrontano sostenendo interessi contrapposti; si tratta di un modo per coniugare la tradizione “continentale” di matrice hegeliana con la filosofia analitica anglosassone. Gli altri due occupanti dello spazio dedicato al riconoscimento sono il repubblicanesimo, di cui viene dato conto delle due principali linee di sviluppo (Pocock-Arendt e Skinner-Pettit) e il femminismo, cui tuttavia, nonostante la sua importanza riconosciuta e sovente evidenziata nel testo, sono dedicate tre stringate paginette su egualitarismo e differenzialismo. Legata alla questione del riconoscimento è la discussione sul multiculturalismo, nata dal riconoscimento che la maggior parte delle società democratiche presentano una pluralità di culture al loro interno e che questa positiva diversità va sostenuta con politiche specifiche. Il multiculturalismo nasce all’interno di situazioni politiche in cui è necessario proteggere minoranze linguistiche come nel Québec o nel Sud Tirolo italiano, e vien messa fortemente in crisi dalle migrazioni degli ultimi anni: un filosofo come Kymlicka si basa sul presupposto che gli immigrati possano e vogliano (soprattutto) integrarsi con il contesto. La presenza di minoranze, come quella islamica, riluttanti all’assimilazione, e con una concezione debole della ragione pubblica costituiscono un pericolo per la maggioranza della popolazione e sono l’immagine del fallimento del multiculturalismo. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Una volta esaminato il centro interpretativo della filosofia contemporanea, Maffettone analizza alcuni elementi di critica. Il primo ambito ad essere criticato è il liberalismo rawlsiano da parte delle due principali forme di comunitario. La prima (Sandel) verte sulla natura del soggetto morale: una delle critiche mosse a Rawls è la natura troppo astratta dell’io, che invece è immerso in una serie di pratiche sociali che comprendono le sue relazioni e i suoi ruoli; a sua volta Sandel non tiene conto del fatto che essere dalla nascita parte di una certa comunità non significa amarla, né che i suoi parametri debbano diventare per forza normativi. Walzer, forse il più noto dei comunitaristi viventi, contrappone ai principi di Rawls il concetto di eguaglianza complessa, in cui le varie comunità di appartenenza ricevono lo stesso grado di libertà. Quello che manca è una soluzione per quei problemi che vanno al di là dello stato nazionale.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Alla astrattezza della teoria della giustizia tradizionale fanno eco le sue versioni post moderne, gli studi culturali di Lyotard, Foucault e Rorty; quest’ultimo in particolare ha dedicato diversi studi alla democrazia dandone una visione non normativa ma descrittiva, in cui non ci sono obblighi morali di tipo kantiano, cioè vincolanti in senso universale, ma le relazioni che intratteniamo con vari di gruppi di appartenenza, famigliari o sociali. I conflitti nascono da differenti visioni del sé. In paesi extraeuropei come la Cina, l’India o i paesi islamici, al di là della questione postcoloniale che costituisce un approccio a sé, i temi della libertà e dell’uguaglianza vengono trattati all’interno di visioni normative tradizionali (dal Confucianesimo al Corano). La questione del pensiero islamico è di particolare importanza alla luce delle vicende attuali del mondo arabo, che oscilla tra i tentativi falliti della Primavera araba e il terrorismo di Isis e Qaeda. Se non si vuole condannare il mondo arabo ad una regressione perenne che impedirebbe sia la modernizzazione, ad esempio dei sistemi giuridici, sia l’accoglimento dei diritti umani fondamentali, senza contare l’inevitabile conflitto culturale, bisogna accettare l’idea di un compromesso basato, secondo Maffettone sull’ampliamento del consenso per intersezione rawlsiano al diritto internazionale. Ciò non significa che anche nel pensiero islamico contemporaneo non ci siano opinioni reazionarie, antimoderne, assimilabili, ad esempio a quelle di un De Maistre o di un Carl Schmitt; lo svantaggio di posizioni simili è quello di non riflettere sulle ragioni della decadenza del mondo arabo e di darne la colpa unicamente a fattori esterni (ad esempio il colonialismo o l’influenza dell’Occidente). Non basta una lettura ermeneutica critica dei testi sacri per sviluppare un atteggiamento liberale o democratico: il fondamentalismo islamico infatti utilizza l’ermeneutica del Corano per diffondere un’interpretazione letterale e del tutto illiberale. Occorre che alla rilettura dei testi si accompagni un'ottica ispirata alla giustizia e al liberalismo; la religione islamica è un orizzonte morale e di comportamento per i cittadini, oltre che il loro orizzonte culturale primario; non sarebbe possibile pensare di eliminarlo.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il discorso relativo alle diversità culturali si collega al tema più vasto del postcolonialismo, ossia la critica agli effetti culturali del colonialismo e la rivendicazione, da parte dei colonizzati, di uno spazio culturale proprio. In questo ambito, Maffettone mette in evidenza come vi siano numerose opposizioni in gioco: universalismo/localismo; modernismo/antimodernismo/postmodernismo; scientismo/antiscientismo - non a caso sono proprio autori postmoderni come Foucault a difendere una visione antiscientistica e particolaristica fortemente orientata verso l’emancipazione. In questo modo però la sbarra dell’universalità è sempre più alta e sempre meno raggiungibile; non restano che le negoziazioni particolaristiche di cui parla Žižek. Per Maffettone un atteggiamento che recuperi una prospettiva maggiormente universalistica sarebbe preferibile.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ultima grande corrente considerata è il marxismo. Cosa resta di Marx, attualmente, dopo la fine del comunismo? Maffettone sostiene che non sono le cosiddette profezie di Marx ad essere messe in questione, insieme, complessivamente, al suo storicismo: le conseguenze delle sue premesse sono in qualche modo piegate a quelle che sono le esigenze dell'ideologia, e della realizzazione dell'ideologia. Così si introduce il tema della caduta tendenziale del saggio di profitto, l'elemento che permette di collegare l'indagine sulle caratteristiche del capitale e sul suo sistema di accumulazione e la società futura. Impossibile non sottolineare quanto la filosofia di Marx da questo punto di vista sia utopistica; e tuttavia, per la comprensione del mondo globalizzato, Marx è stato ripreso dagli economisti che hanno sottolineato l'importanza dell'universalizzazione del capitale, rimarcando allo stesso tempo la sottovalutazione delle sue capacità di recupero; allo stesso tempo tutti coloro che si vogliono o si richiamano al socialismo si rifanno all'egualitarismo di Marx, privo tuttavia del tema della abolizione della proprietà privata.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L'ultimo capitolo, alquanto distaccato dal resto del corpus, riguarda il tema di cui Maffettone si è occupato nell'ultimo periodo, già trattato in maniera molto più ampia in Un mondo migliore. Giustizia Globale tra Leviatano e Cosmopoli, (2013) ossia la giustizia applicata ai conflitti internazionali e alla ricerca di una pace ed un equilibrio che superi le differenze giuridiche ed etiche tra gli Stati. Anche qui, il fondamento è nella teoria rawlsiana del consenso per intersezione, che consente un approccio che dovrebbe inglobare il liberalismo occidentale con le esigenze culturali delle altre tradizioni. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nel complesso, il libro di Maffettone è uno strumento prezioso per lo studioso e lo studente, proprio per il suo approccio tematico, che lo differenza da altri dello stesso genere (ad esempio Kymlicka, Introduzione al pensiero politico contemporaneo, 1996), senza sacrificare nulla nella comprensione delle ramificazioni e delle sovrapposizione del pensiero politico contemporaneo.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
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<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Premessa</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Introduzione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Parte I : Liberalismo e democrazia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo 1. Liberalismo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo 2. Democrazia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo 3. Giustizia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo 4. Liberalismo e Multiculturalismo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Parte II: Critiche alla Liberal Democrazia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo 5. Comunitarismo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo 6. Potere/cultura, postmoderno e limiti dell’approccio distributivo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo 7. Postcolonialismo e teoria politica postmoderna</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo 8. Marxismo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Parte III: Giustizia Globale</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo 9. Giustizia Globale</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Bibliografia</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-43737866309575864842016-10-12T09:00:00.000+02:002016-10-12T09:00:23.260+02:00Costa, Vincenzo, Fenomenologia dell'educazione e della formazione<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Brescia, La Scuola 2015, pp. 297, Euro 19,50, ISBN 978-88-350-4033-0</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMnlq5vrcpO96oXasuIPhVzAV6syDgimg82Fw2Bwy651hXGazCxNyo7hjvuZQLbpho_VFSQsLnoE4BrZ3hUShiCbWrCKsQ8rOWecLT2aj0YeM5ydSwUXWPlI65kd1HXRsW76z7FuzvtLI/s1600/fenomelogia-formazione-educazione-costa%25281%2529.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMnlq5vrcpO96oXasuIPhVzAV6syDgimg82Fw2Bwy651hXGazCxNyo7hjvuZQLbpho_VFSQsLnoE4BrZ3hUShiCbWrCKsQ8rOWecLT2aj0YeM5ydSwUXWPlI65kd1HXRsW76z7FuzvtLI/s200/fenomelogia-formazione-educazione-costa%25281%2529.jpg" width="135" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Diego D’Angelo – 21/09/2015</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Vi sono temi d'indagine che, pur essendo storicamente centrali per la riflessione filosofica, hanno trovato relativamente poca attenzione in ambito puramente fenomenologico. Questo non significa, però, che il metodo fenomenologico – eventualmente nella versione ermeneutica o decostruttiva – non li possa affrontare con profitto. Il libro di Vincenzo Costa lo dimostra brillantemente: il tema dell'educazione e della formazione può (e anzi, nell'intenzione dell'Autore, deve)</span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">essere riletto alla luce del metodo fenomenologico, </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">poiché solo così sarà possibile affrontarlo in una prospettiva genuinamente umana. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Cosa si intenda qui per una pedagogia fenomenologica è presto detto. Nel richiamo costante all'esperienza vissuta e non a teorie tradizionali o meno sta la forza dell'impianto che il lavoro di Costa propone. Avviandosi ad una vera e propria decostruzione della tradizione pedagogica (cfr. p. 6) il testo si propone di delineare alcune linee guida, alcuni orizzonti all'interno dei quali pensare poi la prassi scolastica ed educativa in genere. Non si tratta dunque, come messo strategicamente in chiaro fin dall'inizio del libro, di propagandare una riforma della scuola (proporre la quale oggi come oggi, a fronte delle continue proposte catastrofiche avanzate, e spesso malamente attuate, dai vari Governi, rischierebbe di parere una minaccia), ma di rivoluzionare la formazione stessa, cioè rivoluzionare i presupposti di pensiero sulla base dei quali la formazione è stata finora concepita.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ciò non significa però che l'indagine filosofica qui discussa parta, a sua volta, da una necessità di ordine teoretico, cioè da una supposta insufficienza di pensiero nella formazione. Tutt'altro, al centro stanno esigenze esperienziali: gli attuali sistemi formativi mortificano e distruggono l'innata creatività e curiosità dei bambini, e «la scuola oramai serve a prepararsi agli esami, e non alla vita» (p. 13). Centrale è, in altre parole, l'esperienza diffusa (se non comune a tutti) di un certo iato tra la cultura scolastica e la vita personale, laddove questa constatazione non vuol essere sfogo di un disinteresse generalizzato per il sapere, ma la pretesa di riattivare il senso originario della cultura a fronte di una tradizionalizzazione che questo senso originario lo ha spesso occultato (cfr. p. 276).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Una questione fondamentale da porre all'idea di ripensare fenomenologicamente la pedagogia è necessariamente legata al problema di quale sia il sapere da trasmettere, nonché di giustificare anche in senso epistemologico il presupposto “progresso” o miglioramento del discente che sarebbe lo scopo di ogni processo educativo. Qual è il punto di partenza? Si può forse parlare di un'ignoranza totale, cioè tale da farci pensare all'allievo come una tavoletta di cera su cui imprimere dei contenuti? E qual è il punto di arrivo? </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Queste problematiche, invero assolutamente centrali, sono affrontate dal libro di Costa con radicalità e chiarezza, ma la loro articolazione è dispersa nelle pagine del libro, cosicché potrebbe giovare al lettore (anche non specialista di fenomenologia, a cui questo libro è sicuramente in parte rivolto) restituirne qui alcune idee centrali, tralasciando dunque necessariamente moltissimi altri argomenti o spunti comunque rilevanti. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il punto di partenza non è il non-sapere assoluto, ma il discente (sia esso bambino, adolescente, o adulto) che vive in un proprio “mondo” nel senso genuinamente fenomenologico del termine – cioè in un sistema di rimandi significativi intrecciati a doppio filo con la vita in atto. Il discente è già immerso in una precomprensione di ciò che lo circonda, in una certa situazione emotiva che è il movimento stesso della vita vissuta e in cui il «movimento esistenziale della scuola» deve inserirsi (p. 145). L'orizzonte dell'educando deve essere centrale in ogni lezione (p. 259), e ciò per non ricadere nell'idea degli studenti come tavolette di cera. Solo nell'incontro tra l'orizzonte di senso del maestro e quello dell'allievo diventa possibile il dialogo, qui inteso come unica modalità autentica della formazione, che non è né un “plasmare” (p. 69) le menti né una “trasmissione come ripetizione” (p. 272) di nozioni.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La questione seguente è, una volta compresa la complessità irriducibile (dovuta alla irriducibile differenza d'orizzonti) propria del punto di partenza, cosa l'educazione propriamente faccia o debba fare. Se non si può trattare, come pensava Dilthey, degli adulti che cercano di plasmare i giovani a loro immagine e somiglianza (cfr. p. 263), la formazione consisterà soprattutto – heideggerianamente – nell'insegnare all'esistenza ad uscire dal “si” della chiacchiera quotidiana, cioè ad evitare di comportarsi così “perché si fa così”, ma a domandare attivamente circa il senso delle proprie pratiche di vita, di lavoro e così via. Nel far vedere altre possibilità, cioè nell'aprire queste stesse possibilità, l'educazione porta (e-duca) il discente in un nuovo orizzonte e in-segna, cioè inscrive in nuovo contesto e «usa il segno per indicare e alludere al possibile» (p. 268).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Non si ha dunque a che fare con un'impostazione teleologica della pedagogia, dove il fine è una certa quantità di sapere o l'adattamento-uniformazione alla società, al mercato del lavoro ecc., ma con una concezione che si potrebbe definire forse performativa, sicuramente “formalmente indicante” (cfr. p. 7). Le possibilità vanno aperte e dunque indicate, e proprio questa indessicalità performativa del “far vedere” si distacca da qualsiasi concezione della pedagogia come trasmissione mnemonica del sapere. Le possibilità diventano visibili però prima di tutto quando lo studente si stacca dal mondo occultante del “si” quotidiano, in cui l'unica possibilità è ciò che “si” pensa: l'in-scrizione in un orizzonte alternativo permette la riemersione della cura di sé in base ad un progetto autentico e personale, cioè che tenga conto di sé appunto come persona (cfr. p. 73) e non come “lavoratore”, “membro del gruppo” o qualunque altra “definizione” (cioè limitazione) di se stessi. Il sé personale giunge alla questione “cosa voglio fare di me”, cioè giunge a pensarsi in base al tempo come dimensione cardine del proprio essere e a curare se stesso in base ad un progetto voluto, cioè assumendo su di sé “ciò che il soggetto vuole diventare” (p. 81). Forse si trova qui il punto più debole dal punto di vista sistematico, in quanto il concetto di volontà non è discusso e tematizzato ma assunto come autoevidente, mentre risulta problematico descrivere una volontà come risultato dell'insegnamento stesso che conduce fuori dall'orizzonte del “Si” in cui “si” vuole unicamente uniformarsi e ricercare approvazione sociale. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Chiarito il punto di partenza (la consapevolezza che il discente ha un proprio mondo e propri orizzonti) nonché – sebbene da un punto di vista puramente teoretico – il suo modus operandi (come apertura al possibile e “far vedere” possibilità attraverso la dislocazione in un orizzonte non inautentico), rimane la questione relativa al fine dell'educazione. Scartata l'ipotesi che essa debba servire puramente all'inserimento nel sistema economico-lavorativo (per quanto questo possa essere uno scopo secondario, o per quanto sia necessario crearne la possibilità generale, cfr. pp. 221), in quanto questo stesso sistema è il “Si” da cui l'insegnamento vuol fare uscire (cfr. pp. 216-217), Costa propone una concezione dell'educazione come “vita che cerca se stessa” (p. 218), e cioè imperniata sulla “persona come domandare” (p. 223). Si richiama qui dunque espressamente la Sorge heideggeriana: la persona è quell'ente per cui ne va del suo stesso essere, e cioè che è in grado di farsi domande su se stesso. Questa possibilità del domandare di se stessi è inquadrata come fine ultimo della formazione. A tal fine, a dover essere riattivata è la domanda sull'origine. Corrispondentemente, non sarà sensato presentare una miriade di contenuti tra loro separati, ma in gioco dovrà esserci il sapere nella sua unità, l'ordine sistematico dei contenuti (p. 229). Ecco dunque, dopo la filosofia della pedagogia, il ruolo pedagogico della filosofia: a presentare (e discutere) l'articolazione del sapere, cioè il posto delle singole discipline in relazione alla domanda su se stessi, dovrà essere la filosofia stessa (p. 234).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Seppure questa impostazione abbia rilevanti conseguenze dal punto di vista pratico (una netta riduzione della quantità di contenuti “trasmessi”, p. 270; l'impossibilità di presentare la filosofia come storia della filosofia, p. 234; la necessità di “far vedere” il problema da cui sorgono le teorie scientifiche, anziché presentarle come dati di fatto, p. 232), ci sembra sensato in questa sede insistere piuttosto sul fatto che a giovarsi dell'impostazione di Costa non è solo la pedagogia, ma anche la stessa ricerca fenomenologica. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L'opera in questione non fornisce, infatti, solo indicazioni precise per una pedagogia fenomenologicamente fondata, ma dispiega in maniera inedita le possibilità concettuali e metodologiche della fenomenologia stessa, facendone vedere nuovi orizzonti di senso e nuove possibilità. L'autore si muove con pregnanza tra le impostazioni di Husserl e Heidegger – forse i due nomi più citati nel volume – raccogliendo impulsi da svariate altre fonti fenomenologiche, filosofiche, pedagogiche, sociologiche, antropologiche, letterarie e via dicendo. Da ciò scaturisce un'impostazione assolutamente originale, un intreccio proficuo di diversi autori che porta ad una summa sistematica pregnante che dispiega proprio qui, all'opera, tutta la propria potenza concettuale. A fronte di qualche ripetizione forse inevitabile, infatti, Fenomenologia dell'educazione e della formazione è, prima di tutto, un'opera di fenomenologia, un tentativo genuino (e dunque riuscito) di mettere in atto il metodo fenomenologico in un nuovo ambito d'indagine.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Introduzione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">I.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Un orizzonte di problemi</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">II.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>L'educazione della persona: cervello, cultura e storia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">III.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>L'ontologia della formazione: aprire la persona ai suoi possibili</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">IV.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>L'educazione al reale e l'ingresso nel mondo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">V.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Le emozioni come condizioni della cura e dell'apprendimento</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">VI.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Narratività, cura e formazione dell'esistenza</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">VII.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>La pedagogia sociale come cura dei legami</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">VIII.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>I fini dell'educazione: professionalizzazione, specialismi e formazione della persona</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">IX.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>La riconduzione all'esperienza e la comunicazione educativa</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">X.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>La trasmissione e il principio di riattivazione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Bibliografia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice dei nomi</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-77465094934466370272016-10-05T09:00:00.000+02:002016-10-05T09:00:23.695+02:00Gabriel, Markus, Perché non esiste il mondo<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Traduzione di Simone Maestrone, </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Milano, Bompiani, 2015, pp. 252, Euro 20, ISBN 978-88-452-7876-1</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgK9zbpnQ_tz8_5SebmseA_qAp5Pc7llGGRwonz6RA5ZhwIdZ3SbtAQFj93Op79XkfbREkdjp0rmwoAKZc2kbgAFjlA4dfMRE6dTgk9AdSxuBgPZFZzLmNiPF19u6IbriQXYjyHK4DyzsE/s1600/3214524-9788845278761.png" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgK9zbpnQ_tz8_5SebmseA_qAp5Pc7llGGRwonz6RA5ZhwIdZ3SbtAQFj93Op79XkfbREkdjp0rmwoAKZc2kbgAFjlA4dfMRE6dTgk9AdSxuBgPZFZzLmNiPF19u6IbriQXYjyHK4DyzsE/s200/3214524-9788845278761.png" width="141" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Sara Fumagalli - 05/12/2015</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">«Il principio fondamentale secondo il quale il mondo non esiste implica infatti che esista tutto il resto. Posso dunque anticipare fin d’ora che esiste tutto eccetto una cosa: il mondo». (p. 5).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Markus Gabriel toglie da subito ogni dubbio circa la tesi forte del suo saggio; il ripensare la filosofia, secondo lui, passa dalla non esistenza del mondo. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’assunto di partenza è la tesi del nuovo realismo:</span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">noi conosciamo il mondo come è in sé. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Gabriel procede poi ad una netta distinzione tra universo e mondo: «Con universo ci si rappresenta l’ambito oggettuale sperimentalmente circoscritto delle scienze naturali. Tuttavia, il mondo è considerevolmente più ampio. Al mondo appartengono anche stati, sogni, possibilità irrealizzate, opere d’arte e nella fattispecie anche i nostri pensieri sull’universo» (p. 13). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il mondo è «l’ambito di tutti gli ambiti» (p. 14). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Date queste premesse, Gabriel procede ad una disamina analitica dell’assunto che vuole dimostrare: «Per comprendere perché il mondo non esiste, si deve innanzitutto comprendere che cosa in generale significa “esistere”» (p. 17). L’ esistenza è intesa come qualcosa che si dà nel mondo, da ciò scaturisce che «il mondo non può esistere perché esso non si dà nel mondo» (p. 18). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Lo scopo del filosofo è quindi molto ambizioso, come lui stesso afferma: «In quest’opera vorrei presentarvi i lineamenti fondamentali di una nuova ontologia realista”» (p. 19). A questo proposito è stato pensato anche il glossario posto alla fine del volume (pp. 245-252) all’interno del quale, insieme a termini nuovi propri della disciplina ontologico-realista che si vuole fondare, vi sono anche classici concetti della storia della filosofia a cui Gabriel attribuisce dei significati inediti. È il caso della stessa ontologia: «Tradizionalmente questa espressione designa la dottrina dell’essere. In questo libro l’ontologia viene, però, intesa come l’analisi del significato di “esistenza”» (p. 248). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Con la volontà dichiarata della chiarezza prima di tutto, seguendo Wittgenstein, Gabriel si pone domande filosofiche universali che scandiscono i primi tre capitoli del testo: “Che cos’è questa cosa chiamata mondo?”; “Che cos’è l’esistenza?”; “Perché non esiste il mondo?”. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Se la metodologia che Gabriel utilizza per la sua indagine ontologico-realista è analitica, la bussola che lo orienta è sicuramente fenomenologica: “Ma una cosa mi è divenuta sempre più chiara: il compito della filosofia è, ogni volta, quello di ricominciare sempre e di nuovo dal principio” (p. 21). Si capisce, quindi, la temerarietà con cui affronta le domande universali, facendo un esercizio fenomenologico. A piccoli passi, ma cercando di non avere sovrastrutture. Chiaramente si sa che questo non solo è molto difficile, ma impossibile e forse neppure totalmente auspicabile. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">E allora, ecco che negli ultimi capitoli, specialmente nel quinto, intitolato “Il senso della religione”, la struttura argomentativa e l’uso dei concetti risentono molto della filosofia hegeliana. La funzione che Gabriel attribuisce alla religione è del resto molto simile a quella che le assegnava Hegel nella Fenomenologia dello spirito e infatti si accompagna a concetti quali “spirito” e “autocoscienza”. Il filosofo tedesco spinge i concetti fino al loro limite estremo attraverso una rigorosa analisi ontologica per riuscire a confutare le teorie che difendono l’esistenza del mondo.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">In questo continuo esercizio, è particolarmente apprezzabile l’uso arguto e frequente di esempi ed esperimenti mentali. Dopo aver dimostrato l’inattendibilità della teoria materialista e fisicalista, Gabriel afferma: «Queste [il materialismo e il fisicalismo] scambiano un determinato ambito oggettuale con l’intero, come se uno scienziato rendesse noto a un controllore ferroviario che quest’ultimo in realtà non esiste, ma è solo un agglomerato di particelle – cosa che, del resto, non dissuaderebbe lo scienziato dall’acquisto del biglietto» (p. 42). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La tesi che sostiene Markus Gabriel in questo testo - ovvero che il mondo non esiste - rappresenta il primo principio fondamentale dell’ontologia negativa dal quale scaturisce il primo principio fondamentale dell’ontologia positiva: l’esistenza necessaria di infiniti campi di senso. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’ontologia dei campi di senso permette una sorta di liberazione nei riguardi dell’uomo che può essere tematizzato a prescindere da qualsiasi immagine determinata del mondo. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La conclusione di Gabriel non può essere definitiva, se vuole rispettare il senso fenomenologico.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Dopo aver dimostrato che il mondo non esiste, «il passo successivo consiste nel tentativo di rinunciare a una struttura fondamentale che abbracci ogni cosa e di cercare invece, insieme, di comprendere, senza pregiudizi e in modo creativo, le molte strutture esistenti, potendo con ciò valutare meglio ciò che dovrebbe continuare a esistere e ciò che invece andrebbe assolutamente modificato» (p. 243).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ripensare la filosofia </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">I.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Che cos’è questa cosa chiamata mondo?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">II.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Che cos’è l’esistenza?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">III.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Perché non esiste il mondo?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">IV.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>L’immagine scientifica del mondo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">V.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Il senso della religione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">VI.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Il senso dell’arte</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">VII.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Titoli di coda</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Glossario</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-23299374686355985452016-09-28T09:00:00.000+02:002016-09-28T09:14:36.372+02:00Calabi, Clotilde, Coliva, Annalisa, Sereni, Andrea, Volpe, Giorgio (a cura di), Teorie della conoscenza. Il dibattito contemporaneo<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Milano, </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Raffaello Cortina, 2015, pp. 416, euro 34, ISBN 978-88-6030-779-8</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgIH8Lnan5cZ6xOkoY89fbflZ6_r3zCb-rmAawj-0FQpLrl4dkeIII38xXOL9z1NuX1T8bv3pu_MKotoxaZDd06ABIioDTsgkz6JouzyqI8Y0K3gFyqqwuix2GA6Zc8FmBa29VvGZn2YdA/s1600/teorie-della-conoscenza-1641.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgIH8Lnan5cZ6xOkoY89fbflZ6_r3zCb-rmAawj-0FQpLrl4dkeIII38xXOL9z1NuX1T8bv3pu_MKotoxaZDd06ABIioDTsgkz6JouzyqI8Y0K3gFyqqwuix2GA6Zc8FmBa29VvGZn2YdA/s200/teorie-della-conoscenza-1641.jpg" width="123" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Giacomo Borbone – 12/12/2015</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Com’è stato sostenuto da molti filosofi, ad esempio da Immanuel Kant o dal nostro Giulio Preti, la conoscenza non è un problema bensì un fatto, ed in questo senso si è ritenuto opportuno saggiarne criticamente la portata conoscitiva come anche la portata oggettivo-costitutiva dei singoli ambiti disciplinari; in tal modo è stato possibile abbandonare le pretese assolutistiche della metafisica classica. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"></span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ma il dibattito filosofico-scientifico sulla natura della conoscenza non è stato breve e lineare, semmai lungo e tortuoso e tutt’ora tale snodo problematico continua ad essere al centro dei dibattiti internazionali sull’analisi della conoscenza, della giustificazione, dello scetticismo ecc.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il volume che qui presentiamo, curato da Clotidle Calabi, Annalisa Coliva , Andrea Sereni e Giorgio Volpe cerca di fornire al lettore italiano un’antologia di testi atta a fornire un quadro generale dei temi principali concernenti il dibattito attuale sulle teorie della conoscenza. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il volume è suddiviso in tre parti, la prima delle quali si occupa della natura della conoscenza, la seconda della natura della giustificazione epistemica mentre la terza ed ultima parte è dedicata allo scetticismo.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La conoscenza, secondo una lunga tradizione risalente al Teeteto di Platone, viene definita come credenza vera giustificata, le cui idee possedute dal soggetto vengono espresse in forma proposizionale. Questo ci porta dritti al discorso inerente i tre tipi di conoscenza, i quali sono formati rispettivamente dalla conoscenza proposizionale (know that), dalla conoscenza pratica (know how) ed infine dalla conoscenza diretta (acquaintance). Tuttavia, come specificano i curatori del volume, in questo testo “ci occuperemo principalmente di conoscenza proposizionale in relazione ai tre problemi epistemologici fondamentali e alle loro possibili soluzioni: la natura della conoscenza, la natura della giustificazione e il problema dello scetticismo” (p. 10).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Apre la prima parte del volume il celebre e brevissimo saggio di Edmund Gettier intitolato La credenza vera giustificata è conoscenza?, pubblicato per la prima volta nel 1963 col titolo Is justified true belief knowledge?, col quale l’autore critica la classica analisi tripartita (credenza vera giustificata). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Gettier in proposito fornisce tre formulazioni:</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Formulazione a) </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">S sa che p SSE (se e solo se) </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">i.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>p è vera</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">ii.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>S crede che p</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">iii.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>S è giustificato a credere che p.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Formulazione b)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">S sa che p SSE</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">i.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>S accetta p</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">ii.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>S ha un’adeguata evidenza per p, e</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">iii.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>p è vera.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Formulazione b)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">S sa che p SSE</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">i.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>P è vera</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">ii.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>S è sicuro che p sia vera, e</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">iii.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>S ha il diritto di essere sicuro che p sia vera.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Secondo Gettier nessuna delle tre formulazioni permette di dare una risposta affermativa alla domanda che dà il titolo al saggio, ossia La credenza vera giustificata è conoscenza? Difatti, afferma Gettier, la formulazione ‘(a) è falsa in quanto le condizioni in essa formulate non costituiscono una condizione sufficiente per la verità della proposizione che S sa che p. Il medesimo argomento mostrerà che (b) e (c) falliscono se “ha un’adeguata evidenza per” o “ha il diritto di essere sicuro che” sono sostituite a “è giustificato a credere che” in tutte le occorrenze’ (p. 38). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Segue il saggio di Robert Nozick intitolato La conoscenza, il quale affronta la sfida lanciata da Gettier proponendo una soluzione basata sull’utilizzo del condizionale congiuntivo. Secondo Nozick, in questo caso, S sa che p quando si hanno queste quattro situazioni</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>p è vera</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>S crede che p</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Se p non fosse vera, allora S non crederebbe che p</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Se p fosse vera, allora S crederebbe che p.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Anche nel saggio di Ernest Sosa, intitolato Un’epistemologia delle virtù, possiamo rinvenire un tentativo di risposta al problema sollevato da Gettier. Sosa fa l’esempio di un arciere che prende la mira e scocca la freccia; secondo quest’ultimo noi ‘possiamo valutare se essa ha raggiunto il suo obiettivo, colpendo il bersaglio. Sebbene possiamo anche valutare quanto accurata sia come scoccata […]. Secondo, possiamo valutare se la scoccata è competente, se essa manifesta abilità da parte dell’arciere. […] Tuttavia, una scoccata può essere sia accurata sia competente senza che il suo successo sia attribuibile al suo autore’ (p. 59). Infatti il vento potrebbe essere così forte da far mancare il bersaglio ma ciononostante il vento magari finisce per far centrare il bersaglio alla freccia. In questo caso ‘La scoccata è quindi accurata e competente, ma non accurata in quanto competente […]. Essa non è quindi appropriata, e non è accreditabile all’arciere. La scoccata di un arciere è quindi una prestazione che può avere la struttura AAA’ (ibidem), ossia accuratezza, competenza ed appropriatezza. Pertanto Sosa cerca di rispondere agli scenari scettici radicali affermando che ‘ciò che propriamente si richiede alla conoscenza è la sicurezza relativa alla base, anziché la sicurezza completa’ (p. 63).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il problema sollevato da Gettier, come anche le sfide lanciate dallo scetticismo, vengono affrontati nei due saggi che chiudono la prima sezione del volume, ossia Sensibilità, sicurezza ed epistemologia anti-fortuna di Duncan Pritchard e La conoscenza e i suoi limiti di Timothy Williamson.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Apre la seconda parte del volume, concernente la natura della giustificazione epistemica, il saggio di Clarence Irving Lewis intitolato Le basi della conoscenza empirica, che l’Autore rinviene nel dato e nella sua interpretazione: ‘La conoscenza percettiva ha due aspetti, o fasi: la datità di qualcosa di dato e l’interpretazione che, alla luce dell’esperienza passata, noi le imponiamo’ (p. 169). Nel saggio successivo, intitolato Coerenza, certezza e priorità epistemica, Roderick Firth tratta, nello specifico, la teoria della giustificazione epistemica del già citato Clarence Irving Lewis e la teoria coerentista di Bosanquet.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Alvin I. Goldman, nel saggio Che cos’è una credenza giustificata?, rivendica la stretta correlazione tra la conoscenza e la giustificazione, difatti secondo Goldman quest’ultima è necessaria per il conoscere, anche se questi intende fornire l’insieme di quelle che sono le condizioni sostanziali in grado di specificare quando una credenza è giustificata.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Lawrence BonJour, nel saggio Le teorie esterniste della conoscenza empirica affronta quello che egli definisce problema del regresso epistemico, ossia ‘il problema di come evitare un regresso infinito e, presumibilmente, vizioso della giustificazione della nostra teoria della giustificazione delle credenze empiriche’ (p. 213). Secondo BonJour le teorie fondazionaliste hanno cercato di evitare il problema del regresso epistemico, e fra queste egli annovera le cosiddette teorie esterniste. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Chiude la seconda parte del volume il saggio di John Greco intitolato La giustificazione non è interna, col quale l’autore prende in considerazione il dibattito tra internismo ed esternismo in epistemologia. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La terza parte del volume è dedicata al problema dello scetticismo il quale affonda le sue radici storiche in autori come Pirrone, Cartesio, Hume, ecc. Com’è noto, la storia del pensiero è piena di cosiddetti paradossi scettici, il più famoso dei quali è sicuramente quello cartesiano presente nelle Meditationes de prima philosophia del 1641. Secondo tale paradosso immaginiamo un genio ingannatore capace di farci apparire come veri dei principi che in realtà non lo sono; tale esperimento mentale mira a mettere in dubbio le possibilità conoscitive che i sensi ci offrono. Come afferma Annalisa Coliva nella sua introduzione a questa terza parte del volume, ‘supponiamo di voler provare di sapere che vi è un mondo esterno e che cercassimo di farlo partendo dalla nostra esperienza sensoriale che ci testimonia, per esempio, che vi è la nostra mano qui di fronte a noi. Sulla scorta di tale esperienza possiamo ragionare come segue: qui c’è la mia mano; se qui vi è una mano, vi è un mondo esterno; quindi il mondo esterno esiste. […] Chiediamoci come conosciamo la premessa “qui c’è la mia mano”. Evidentemente la conosciamo sulla base della nostra esperienza sensoriale […] Ma questo, di per sé, ci dà anche una giustificazione per credere che qui vi sia una mano? La risposta sembra essere negativa: quell’esperienza potrebbe essere identica qualora fosse il frutto di un’allucinazione […]. La prova dell’esistenza del mondo esterno è pertanto circolare, visto che presuppone che si abbia già una giustificazione per la sua prima premessa’ (p. 258). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Tutte queste tematiche vengono affrontate nei saggi conclusivi di questa terza ed ultima sezione, ossia Fred I. Dretske, Operatori epistemici, Keith DeRose, Come risolvere il problema scettico, Crispin Wright, Fatti e certezza e Giustificazione di default (e fondamenti gratis)? ed infine James Pryor, Che cosa c’è di sbagliato nell’argomento di Moore?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’intento di questo ponderoso volume (ben 416 pagine) non consiste unicamente in una presentazione dei principali temi concernenti le teorie della conoscenza presenti nell’attuale dibattito epistemologico internazionale, bensì anche nella diffusione, nell’ambiente accademico e scolastico del nostro Paese, del modo di fare filosofia presente nell’approccio analitico. In questo senso, tale volume può sicuramente assolvere tale compito, in quanto esso si presenta ben strutturato ed inoltre ogni sezione è opportunamente preceduta da una chiara ed agile introduzione.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Prefazione (Clotilde Calabi, Annalisa Coliva, Andrea Sereni, Giorgio Volpe)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Parte prima</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La natura della conoscenza</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Introduzione (Clotilde Calabi, Andrea Sereni)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>La credenza vera giustificata è conoscenza? (Edmund Gettier)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>La conoscenza (Robert Nozick)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Un’epistemologia delle virtù (Ernest Sosa)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Sensibilità, sicurezza ed epistemologia anti-fortuna (Duncan Pritchard)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>La conoscenza e i suoi limiti (Timothy Williamson)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Parte seconda</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La natura della giustificazione epistemica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Introduzione (Giorgio Volpe)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">6.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Le basi della conoscenza empirica (Clarence Irving Lewis)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">7.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Coerenza, certezza e priorità epistemica (Roderick Firth)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">8.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Che cos’è una credenza giustificata? (Alvin I. Goldman)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">9.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Le teorie esterniste della conoscenza empirica (Laurence BonJour)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">10.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>La giustificazione non è interna (John Greco)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Parte terza</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Lo scetticismo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Introduzione (Annalisa Coliva)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">11.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Operatori epistemici (Fred I. Dretske)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">12.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Come risolvere il problema scettico (Keith DeRose)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">13.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Fatti e certezza (Crispin Wright)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">14.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Giustificazione di default (e fondamenti gratis? (Crispin Wright)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">15.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Che cosa c’è di sbagliato nell’argomento di Moore? (James Pryor)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Per approfondire</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Fonti e traduttori di testi</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice analitico</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-81887351985157817372016-09-21T09:00:00.000+02:002016-09-21T09:00:21.187+02:00Vivarelli, Anna, Io e gli altri<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Milano, Il battello a vapore, 2015, pp. 124, euro 12, ISBN 978-88-566-4468-5</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTSbvJYWDXX3qgUIACBTtUkbSxbwji8nq8Zw_i9MgyHHp9MH97obmfMBvfWqr7AossFP94juuFthuIcSSek__UMJztVhZDHjXJtogNuF7kLF_qfVxREBU0gFIdKOFvXHc0sOct8bLXo0g/s1600/566-4468-5_c6e8debc37c1d14a1478fa370297fb54.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTSbvJYWDXX3qgUIACBTtUkbSxbwji8nq8Zw_i9MgyHHp9MH97obmfMBvfWqr7AossFP94juuFthuIcSSek__UMJztVhZDHjXJtogNuF7kLF_qfVxREBU0gFIdKOFvXHc0sOct8bLXo0g/s200/566-4468-5_c6e8debc37c1d14a1478fa370297fb54.jpg" width="141" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Daniela Mainardi – 20/06/2016</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Da sempre i filosofi hanno provato a costruire, attraverso il loro pensiero, le migliori società possibili, questa premessa per anticipare il lavoro di Anna Vivarelli, la quale illustra un insieme di tematiche che hanno come filo conduttore il percorso dell’umanità verso la conquista dei diritti e della libertà. </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nel capitolo intitolato “L’uomo è un animale politico”, la Vivarelli espone alcune teorie filosofiche, che si occupano di spiegare le motivazioni alla base della formazione degli Stati.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><a name='more'></a></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Utilizzando un celebre aforisma aristotelico, la studiosa spiega che gli Stati sono popolati da uomini che per natura sono esseri socievoli, poiché non sono autosufficienti, in quanto hanno bisogno di aiuto, per realizzare i loro scopi. Hobbes la pensava diversamente da Aristotele, in quanto egli visse in un’epoca di lotte religiose e guerre civili e per questo si faceva portatore di una visione negativa degli uomini, infatti sosteneva che essi per natura sono ostili. Hobbes pensava che l’uomo fosse naturalmente egoista e che cercasse di garantirsi il proprio vantaggio a spese altrui. La Vivarelli sostiene che per avere una visione a tutto tondo del mondo contemporaneo abbiamo necessità di fare appello sia alla visione pessimistica di Hobbes sulla natura dell’uomo, sia al punto di vista di Aristotele, il quale sostiene che esistono persone collaborative, socievoli disposte ad aiutare il prossimo. Il concetto di necessità dello Stato, inteso come organizzazione politico-giuridica che regola la vita collettiva di un popolo, all’interno di un territorio, garantisce la collaborazione tra gli individui, mette d’accordo Aristotele e Hobbes. Infatti, entrambi giungono alla stessa conclusione che anche se l’uomo è per natura egoista, egli è costretto ad adottare un’ottica collaborativa, dalla forza dello Sato. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Alla base della formazione di uno Stato c’è un patto sociale, così come teorizzato da J.J. Rousseau (1712 -1778) figlio di un artigiano orologiaio. In gioventù Rousseau lavora come apprendista incisore, studia a Torino e per alcuni anni convive con una nobildonna francese, Madame de Warens, la cui influenza e cultura saranno determinanti, per la vita futura del filosofo. Segretario dell’ambasciatore francese a Venezia, dal 1741 si trasferisce a Parigi, dove entra in contatto con filosofi e intellettuali dell’Illuminismo (in particolar modo Denis Diderot), alla cui Encyclopédie collabora con articoli di musica e occupandosi dell’intera voce sull’economia politica. Rousseau scrive Il “Contratto sociale” nel 1762; in quest'opera sono evidenziati i caratteri generali del suo pensiero, che si propone di delineare i concetti della libertà e dell'uguaglianza tra gli uomini, propri dello Stato di Natura. L’opera si apre con queste parole “L'uomo è nato libero e tuttavia è dappertutto in catene”. Ne Il Contratto Sociale, Rousseau descrive uno Stato fondato su una volontà generale che stipula un patto sociale: un patto dei cittadini con loro stessi, per giungere alla fondazione di una società di liberi ed eguali, in cui sia possibile una convivenza pacifica tra gli individui. La sicurezza e la libertà sono gli elementi costitutivi della nuova realtà ipotizzata dal filosofo, il cui perseguimento e la cui conservazione diventano l'obiettivo prioritario dell'uomo e della nuova comunità e politica. Nella costruzione dell’edificio filosofico di Rousseau è centrale il concetto di patto sociale, un patto di associazione, in cui nessun individuo è titolare per natura di autorità su altre persone e in cui ognuno accetta la clausola di alienarsi completamente a tutta la comunità, non temendo la perdita dei propri diritti, perché tale condizione è comune a tutti. Questo atto di associazione trasforma ogni individualità in un corpo morale e collettivo, sotto la suprema direzione della volontà generale che ha come scopo il bene pubblico. </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Per comprendere le basi della democrazia, la Vivarelli commenta il Lo spirito delle leggi di Montesquieu, filosofo e magistrato del tribunale di Bordeaux, della Francia del Settecento. Nell’opera il filosofo sostiene la separazione dei tre poteri, il potere legislativo, esecutivo e giudiziario devono essere affidati a tre soggetti diversi, in modo che nessuno eserciti un potere che non gli spetta. Come è noto, nelle democrazie attuali il potere legislativo è esercitato dal Parlamento, il potere esecutivo viene affidato al Governo, che è costituito da un nutrito numero di ministri (il Ministro dell’Istruzione, il Ministro degli Esteri, il Ministro della Salute), a capo del ministri c’è il Presidente del Consiglio o come si dice in alcuni stati un Premier. Il poter giudiziario è affidato ai magistrati, cioè ai giudici. Come fa notare la Vivarelli, nel mondo ci sono esempi di democrazie ben funzionanti, altre meno, poiché il potere è nella mani di pochi. Insomma, qualcuno ha letto Montesquieu e qualcuno ancora no, sostiene in modo ironico la Vivarelli. </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Per presentare il tema delle libertà, la Vivarelli cita il lavoro di Benjamin Constant (Losanna, 25 ottobre 1767 – Parigi, 8 dicembre 1830) intellettuale francese di origine svizzera. Egli distingue due tipi di libertà: la libertà degli antichi e la libertà dei moderni. La libertà degli antichi è quella di cui godevano i greci quando prendevano decisioni nella piazza della polis. Si tratta della libertà che consiste nella partecipazione alla vita politica e alla decisione dello Stato di cui si è cittadini. Per gli antichi questa era l’unica libertà possibile e quando la perdevano dicevano di essere caduti nella tirannide. Secoli dopo la tirannide fu detta dispotismo, noi invece la chiamiamo dittatura o regime totalitario. In età moderna, sostiene Constant, accanto alla libertà politica i cittadini hanno sentito il bisogno di un’altra libertà, ossia quella civile che consiste nell’avere spazi di azione e di pensiero in cui lo Stato non entra. Si parla di libertà religiosa, cioè la libertà di credere nel Dio che si vuole e di professare e praticare il culto religioso che si preferisce o di non credere in nessun Dio; si parla di libertà di pensiero e di espressione, cioè la libertà di avere le opinioni politiche, religiose, sociali che si vuole. Un vera libertà comporta ovviamente sia la libertà politica, sia le libertà civili, in quanto non sono in contraddizione tra loro, ma solo insieme ci rendono liberi per davvero. </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Per comprendere come si è originato il totalitarismo del Novecento, la Vivarelli spiega in che cosa consiste la tecnica della creazione del consenso, ossia il fatto che le convinzioni degli uomini e delle donne vengono manipolate con un’opportuna propaganda, ossia con un lavaggio del cervello. Hannah Arendt (Hannover, 14 ottobre 1906 – New York, 4 dicembre 1975) è stata una filosofa e scrittrice tedesca, naturalizzata statunitense. La privazione dei diritti civili e la persecuzione subìte in Germania a partire dal 1933 a causa delle sue origini ebraiche, unitamente alla sua breve carcerazione, contribuirono a far maturare in lei la decisione di emigrare. Il regime nazista le ritirò la cittadinanza nel 1937 e rimase quindi apolide fino al 1951, anno in cui ottenne la cittadinanza statunitense. Hannah Arendt ci spiega innanzitutto le tecniche più sottili della manipolazione totalitaria. Esse non mirano solamente a convincere il cittadino ad aderire a programmi del governo attraverso la propaganda politica, ma più semplicemente a togliergli la capacità critica, ossia svuotare la testa degli individui in modo che essi non abbiano più interessi e convinzioni personali. </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Durante la Rivoluzione francese fu scritta la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, questo documento riconosceva come diritti naturali e imprescrittibili la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione. Pochi anni prima nella dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, Thomas Jefferson (Shadwell, 13 aprile 1743 – Charlottesville, 4 luglio 1826) è stato un politico, scienziato e architetto statunitense. È stato il 3º presidente degli Stati Uniti d'America ed è inoltre considerato uno dei padri fondatori dell’idea di Nazione. Egli aveva inserito tra i diritti naturali dell’uomo la ricerca della felicità. Dunque ormai da oltre due secoli, in molte parti del mondo, libertà, proprietà, sicurezza, resistenza all’oppressione e felicità sono considerati diritti umani. Ma ci sono tanti altri diritti, come il diritto degli omossessuali, il diritto dei bambini a non essere sfruttati che devono essere conquistati e soprattutto applicati. </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Herder, Johann Gottfried Herder (Morąg, 25 agosto 1744 – Weimar, 18 dicembre 1803) è stato un filosofo, teologo e letterato tedesco. Egli scrisse che la tendenza dell’umanità è quella di ricomprendere un intero universo in se stessa. Questo universo è sovrastato dalla scritta “nessuno sia separato dagli altri; tutti siano in funzione degli altri: così ciascuno sarà importante per gli altri e tutti sarete felici”. Quella di Herder è una visione che supera le Nazioni, le divisioni, i confini e guarda all’umanità nel suo insieme. Un contemporaneo Humboldt Wilhelm von Humboldt (nome completo Friedrich Wilhelm Christian Carl Ferdinand Freiherr von Humboldt; Potsdam, 22 giugno 1767 – Tegel, 8 aprile 1835) è stato un linguista, diplomatico e filosofo tedesco. Scrisse che il vero scopo dell’uomo è lo sviluppo più alto e proporzionato delle sue energie, fino a costituire un tutto compiuto: per questo sviluppo la libertà è la condizione prima e indispensabile. Ma oltre la libertà lo sviluppo delle energie umane richiede anche qualche cos’altro, ossia richiede varietà di situazioni. Anche l’uomo libero e indipendente, se posto in una situazione ambientale uniforme ha uno sviluppo meno completo.</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nella parte intitolata “Guerra e pace”, la Vivarelli spiega il significato che assumono le guerre nella dimensione storica di un popolo. Alcuni filosofi, come gli Stoici, vissuti in Grecia due millenni fa, concepivano l’umanità come una grande famiglia, che obbedisce a una sola legge di natura. La studiosa sostiene che questa idea è stata sviluppata nel Settecento illuminista; infatti, come è noto, i filosofi dell’Enciclopedia, sostengono che la ragione, che caratterizza tutti gli uomini, li rende tutti fratelli. Per Kant visto che per diversi motivi gli Stati sono sul punto di farsi la guerra gli uni contro gli altri, bisognerebbe trovare il modo o per farli associare tra loro in uno stato mondiale, oppure per farli riunire in una federazione di popoli. Il secondo punto di vista proposto da Kant è stato adottato con la costituzione dell’ONU, dove i conflitti tra i membri aderenti vengono discussi in modo da trovare una soluzione pacifica, infatti ne fanno parte 193 paesi. </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il termine cosmopolita significa cittadino del mondo. Ci sono tanti modi per esprimere il cosmopolitismo, uno è quello espresso da Diogene il Cinico, il quale abbandonò la città e andò ad abitare dentro una botte, in quanto deluso dalle convenzioni sociali. Un'altra modalità di esprimere il cosmopolitismo è stata quella degli illuministi del Settecento che si trasferivano in altre nazioni, a dimostrare che si può vivere bene anche fuori dalla propria patria. La Vivarelli associa al concetto di cosmopolitismo, l’utopia, perché sviluppare sentimenti di felicità e pacifismo rimandano a un progetto bellissimo, ma irrealizzabile nella realtà, per un insieme di motivi.</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ernst Bloch (Ludwigshafen, 8 luglio 1885 – Tubinga, 4 agosto 1977) scrittore e filosofo tedesco marxista, disse che pensare significa oltrepassare la realtà con i suoi limiti e i suoi difetti, per immaginare una realtà migliore. Questo atteggiamento mentale, questo atto di volontà che per certi versi è più facile quando si è giovani ci offre l’opportunità di oltrepassare l’orizzonte e immaginare di conquistare un mondo migliore.</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>L’uomo è un animale politico</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Liberi insieme agli altri</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Le regole della democrazia</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Viva la libertà</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Libertà negata</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">6.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>La banalità del male</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">7.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Questioni di diritto</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">8.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Uno è molti</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">9.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Guerra e pace </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">10.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Cittadini del mondo</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">11.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Oltre l’orizzonte</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Piccolo dizionario delle parole difficili</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Testi citati</span></div>
<br />Unknownnoreply@blogger.com15tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-50509184808235579682016-09-05T09:00:00.000+02:002016-09-05T09:00:09.853+02:00Baccarin, Alessandro, Il sottile discrimine. I corpi tra dominio e tecnica del sé<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Verona, Ombre Corte, 2014, pp. 130, euro 13, ISBN </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">978889752285.</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgi2WyAoG4FrzFc7sL6uEAKIMM97t7xGJUKe8nVehexvkGgPFM-1ULMzhewGDphwiUeht3FDyk9LcuCYPi9kXEBc_vvD5BVK7TqJUuPWLG0iRbYk97kGB1CxfV4S7MG53-gkT8zNj0edGc/s1600/cop.baccarin.gif" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgi2WyAoG4FrzFc7sL6uEAKIMM97t7xGJUKe8nVehexvkGgPFM-1ULMzhewGDphwiUeht3FDyk9LcuCYPi9kXEBc_vvD5BVK7TqJUuPWLG0iRbYk97kGB1CxfV4S7MG53-gkT8zNj0edGc/s200/cop.baccarin.gif" width="136" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Gabriele Vissio - 25/11/2015</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il sottile discrimine di Alessandro Baccarin è tutto segnato da una serie di intersezioni ortogonali che, nel corso della ricerca si sovrappongono l’una sull’altra, suddividendo il materiale di lavoro secondo una ripartizione che procede per diverse dimensioni. Il materiale in questione è quello delle esperienze del corpo, esperienze limite che – almeno apparentemente – sembrano sottrarsi ai comandi del potere. Le regioni di esperienza corporea prese in considerazione, </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">infatti,</span></div>
<a name='more'></a><br />
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">emergono da una prima intersezione tra il segno corporeo come espressione del «dominio di spada» del potere repressivo che confina e segrega i soggetti devianti e criminali e la “liberazione” che, nell’età contemporanea, ha permesso agli individui di segnare, modificare e trasformare il proprio corpo secondo determinazioni apparentemente autonome. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Queste prime linee di ripartizione dell’esperienza della segnatura corporea permette così il delinearsi dell’esperienza trangender e gay, quella del corpo tatuato e quella del porno. Non si tratta di esperienze corporee “pure” ma di «focolai di esperienza» – come li definisce Cristina Marras nella nota introduttiva al testo – già in qualche maniera iscritti all’interno di una positività del corpo su cui si esercita un reticolato di tecniche del sé (esercitate autonomamente dal soggetto) e di tecniche di dominio (subite eteronomamente dal soggetto) volte alla normalizzazione dell’esperienza corporea. All’interno di questa griglia le esperienze soprannominate sembrano in qualche maniera sfuggire al potere normalizzante, alla «trama di relazioni di potere che sul corpo le tecniche di governo hanno tessuto». Ma proprio questo apparente sottrarsi dell’individuo transgender, delle body modifications e del mondo pornografico ai recinti del potere suggerisce un interrogativo inquietante: queste pratiche somatopoietiche, sono davvero capaci di sottrarre il corpo alle tecniche di governo della vita o – al contrario – sono esse stesse frutto di un potere così sottile da penetrare sin in queste regioni di possibilità che, a un primo sguardo, sembrerebbero così lontane dalla sua azione? Se così fosse, se nemmeno le pratiche più “estreme” sfuggissero alle infiltrazioni di un potere sempre più permeante, saremmo costretti a concludere che ogni resistenza è velleità, che ogni rivoluzione è da sempre destinata a trasformarsi in una nuova forma costrittiva.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il primo terreno di indagine di Baccarin è quello della verità gay («la libertà di amare le persone dello stesso sesso») e della verità transgender («la libertà di essere o di non esser o di come essere donna/uomo»). La storia dell’omosessualità viene ricostruita a partire, innanzitutto, dall’emergere della figura dell’omosessuale, secondo un’impostazione che riprende il progetto della Storia della sessualità foucaultiana e, nello specifico, la Volontà di sapere. La creazione del soggetto omosessuale ha un’origine storica identificabile con la nascita del discorso della sessuologia con la Psychopatia sexualis di Heinrich Kann (p. 21), opera a partire dalla quale si rende possibile la catalogazione dell’omosessualità all’interno dell’universo psicopatologico. È a partire da qui che si generano tanto le strategie disciplinari quanto le specifiche tattiche di resistenza tipiche dei primi movimenti di autolegittimazione. Questo primo periodo di «guerriglia» viene bruscamente interrotto dall’introduzione, nel campo della battaglia, del discorso eugenetico novecentesco, massima espressione di quel tentativo di normalizzazione dell’omosessuale che i poteri disciplinari cominciano ad attuare – attraverso la psicoanalisi e la psichiatria – a cavallo tra il XIX e XX secolo. È allo stesso tempo qui che si trova il punto di avvio di un nuovo movimento, tipico della seconda metà del Novecento, che corrisponderà a un nuovo soggetto, un soggetto gay che si pone al centro di una nuova rivendicazione di libertà. Se l’omosessuale del periodo anteriore agli anni Sessanta del secolo XX non aspirava a una parità con l’eterosessuale ma identificava il proprio modello relazionale in una relazione fatta di occasionalità e fluidità, a partire dal secondo dopoguerra emergono almeno due nuovi modelli: il primo, che ricostruisce l’immagine della relazione omosessuale sulla base dell’archetipica relazione monogamica eterosessuale e il secondo che vede l’omosessualità come occasione di liberazione tanto sessuale quanto politica. A determinare il prevalere della prima ipotesi – quella volta a ricondurre e, in un certo senso, a “castrare” le potenzialità eversive del soggetto gay – è l’evento tragico e imprevisto della comparsa dell’Hiv, che ha definitivamente orientato l’esperienza gay verso il modello eterosessuale e ha cementato sull’alleanza tra medicina e omosessualità le fondamenta del processo di normalizzazione.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Analogo destino di normalizzazione è quello che contrassegna il caso transgender: se la veridizione – il “dir vero”, il confessare, a se stessi prima ancora che ad altri, la propria identità – implica per l’omosessuale una tecnica del sé nel campo della preferenza relazionale, il focolaio di esperienza rappresentato dal transgenderismo supera invece questa soglia, collocandosi all’interno del terreno fondativo dell’identità. La verità transgender è una verità corporea, una verità che si pratica sul corpo, che trasforma il corpo attraverso tutta una serie di atti somatopoietici che rinviano, necessariamente, a un complicato intreccio di saperi e poteri diversi (medici, psichiatrici, giuridici, disciplinari). Ciò che è interessante cogliere, però, è l’esito normalizzatore cui il transgenderismo cade: ciò che vi è di profondamente eversivo e corrosivo all’interno dell’esperienza dell’individuo transgender è lo scollamento, lo scarto, tra l’identità di genere e il corpo sessuato. La ridefinizione del sesso (attraverso la chirurgia) e la riassegnazione del genere (attraverso la modifica anagrafica) si pongono – è vero – come gesto di liberazione della verità transgender ma al prezzo di subordinare questa verità al potere medico: il transgender, per poter procedere alla ridefinizione chirurgica e anagrafica della propria identità, infatti, deve perlomeno accettare che un medico certifichi la diagnosi di «disforia di genere» (disturbo dell’identità di genere), ammettendo implicitamente o esplicitamente di considerare come patologica la propria condizione.</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il secondo focolaio di esperienza su cui Baccarin esercita il suo apparato di strumenti analitici è il mondo del tattoo e delle body modifications. Il segno corporeo, sia esso tatuaggio o scarificazione, rappresentano nella tradizione europea e occidentale l’appartenenza dell’individuo che li porta al «grado zero della vita» e – nel contesto specifico della tradizione giudaico-cristiana – al mondo del peccato di cui i segni corporei sono la conseguente manifestazione. Solo l’eroe di guerra e il nobile cacciatore possono portare il proprio sfregio con onore ma per tutti gli altri, dalle piaghe del lebbroso dell’antichità al numero di serie azzurro del detenuto di Auschwitz, il segno iscritto sul corpo è sempre espressione organica di segregazione sociale. In parte diverse sono le cose per il tatuaggio contemporaneo: se è vero che questo mantiene ancora un significato simile a quello del passato all’interno di alcuni gruppi che si collocano in posizione marginale nei confronti della società, è pur vero che – nell’epoca contemporanea – il corpo si è aperto al segno. Questa trasformazione ha prodotto una nuova tecnica del sé, in cui l’iscrizione corporea diventa modo di costruire – sulla propria pelle – un vero progetto identitario. Quello che ne emerge è un’auto-narrazione del sé, la definizione di un racconto di sé che l’individuo ha autocostruito e di cui soltanto lui conosce il privatissimo alfabeto. Il significato di un tattoo – infatti – è del tutto sottratto all’intersoggettività; anche nel caso di segni il cui significato sia universale, una volta che questi si vengano a collocare sulla superficie epidermica del soggetto il significato che essi rivestono per quella pelle, per quel corpo, è del tutto sottratto alla comprensione esterna. Se il tatuaggio tradizionale di altre culture rappresenta una forma privilegiata di costruzione del legame sociale attraverso una serie di segni immediatamente riconoscibili, il moderno tatuaggio si inserisce all’interno di un gioco di verità in cui l’intimità si fa accogliente nei confronti della norma. È nell’intimità organica e fisica che le pratiche di scarificazione, le bodmod e i tattoo contribuiscono – insieme a tutta una serie di altre somatopoiesi – a normalizzare l’esperienza corporea, utilizzando il corpo stesso come piano di iscrizione della norma. Nuovo caso di libertà apparente le pratiche di modificazione corporea, quindi, si offrono ancora una volta come punto di applicazione di un potere che inquadra il corpo in un processo di autonormazione.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Non dissimile è l’esito del terzo e ultimo caso di studio analizzato da Baccarin, quello della pornografia contemporanea. Nel suo sollecitare, estrapolare, soggettivare e incorporare il desiderio, il «mondo porno» si propone come fase ultima del dispositivo di sessualità individuato da Foucault: la pornografia è il prodotto che vede costituirsi, nell’atto della sua produzione, tanto il pornografico come oggetto del proprio sapere, tanto lo spettatore/osservatore come soggetto. Ciò che colpisce del mondo porno è il suo essere un pianeta virtualmente infinito, al cui interno lo spettatore può esercitare – almeno apparentemente – la possibilità di scegliere, la libertà di decidere della propria esperienza sessuale. Ma il potenziale della pornografia è anche un altro: come fa notare Baccarin «la sempre più parcellizzata e specializzata categorizzazione dei generi e dei sottogeneri nella realtà produttiva porno, predisposta per soddisfare ogni possibile gusto, intercetta la condotta di un soggetto desiderante che, soddisfacendo i requisiti della governamentalità liberale, si fa imprenditore del sé» (p. 109). La pornografia rappresenta allora il punto di massima realizzazione di quella trasformazione del potere che da produttivo-repressivo è divenuto produttivo-moltiplicativo. Massima realizzazione perché essa si colloca all’interno del piano prodotto da due assi di normalizzazione: la normalizzazione del desiderio (che trova sempre precisa collocazione in un genere della tassonomia del desiderio) e la normalizzazione del corpo (corpo che suscita, individua e incorpora il desiderio). La pornografia compie così un doppio processo di normalizzazione che dal corpo muove verso il desiderio che definisce, fissa, normalizza l’individuo all’interno di un erotismo che, da liberatorio, si fa disciplinare. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">In definitiva, il libro di Alessandro Baccarin si inserisce in un panorama editoriale che, a livello nazionale e internazionale, non manca certamente di pubblicazioni d’ispirazione foucaultiana. Tale mercato editoriale, è noto, è ormai saturo e risulta talvolta difficile distinguere al suo interno tra i prodotti di una ricerca seria e rigorosa, capace di mettere in gioco i potenti strumenti concettuali della filosofia foucaultiana e quelli che sono invece dei “foucaultismi di maniera”, annacquati e privi di alcuna presa analitica sul reale. In questo panorama non sempre entusiasmante, Il sottile discrimine rappresenta una pubblicazione di sicuro valore per il fatto che non si configura né come un libro su Foucault o sulla filosofia foucaultiana, né come un lavoro che di quella filosofia operi una ripresa superficiale o meramente lessicale. Baccarin condivide con Foucault lo spirito della ricerca filosofica come pratica discorsiva storica, l’idea che la filosofia sia un lavoro capace di porre le premesse per il proprio superamento e, come Foucault, lo accompagna l’idea che tematiche come quelle del corpo transgender, di quello tautato e dell’esperienza corporea nella pornografia siano interessanti non di per sé ma in quanto rappresentano oggi un terreno di confronto e di scontro tra le pratiche di sé attuate dai soggetti e le tecniche di normalizzazione che quegli stessi soggetti sono indotti ad attuare. Il lavoro di Baccarin rappresenta allora un punto di partenza per un’analitica dei corpi che, nel rivelare la sottile presa del potere su quelle identità che, più di altre, sembrano apparentemente sfuggire alla normalizzazione, si faccia fondamento per una pratica di resistenza più accorta, meno ingenua, più consapevolezza della posizione “diagonale” e non ortogonale del corpo, collocato in una continua area di confine tra la norma e la libertà. I corpi di Baccarin sono corpi-limite, che manifestano tutta la portata dei “giochi di verità e di potere” in cui i soggetti si trovano coinvolti. Ma come uscire da questi giochi di verità e di potere? Come mettere in atto una vera pratica di libertà? La risposta di Baccarin ha il sapore di una saggezza ellenistica: rinunciando alla libertà, almeno a quella intesa come essenza. E poi? Cos’altro? Smettere di giocare al gioco della verità, che istituisce quella griglia di riferimenti ortogonali – “normali”, nel senso geometrico del termine – che rendono i corpi disponibili al potere. Giocare un gioco nuovo, un gioco diagonale e creativo, in cui inventare nuove pratiche somatopoietiche in cui insediare nuove e inedite forme di resistenza e di eticità.</span></div>
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<br /></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nota</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">(di Cristina Marras)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Introduzione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo Primo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Come io mi voglio. Verità e resistenza del corpo transgender</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il riso e l’afasia; La verità gay; La verità transgender; L’omosessualità come occasione; L’Hiv; Le tecniche del sé nel gay e nel transgender</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo Secondo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il corpo tatuato</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Dalla “Colonia penale” al tattoo studio; Body modifications e incorporazione della norma</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo Terzo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Mondo porno: normatività dei corpi e dei desideri</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Archeologia dello sguardo; Pornografia e dispositivo di sessualità; I porn studies e Foucault; Rappresentazione, normalizzazione e banalizzazione; Il “dressage” pornografico; Normalizzazione del corpo femminile; Nuovo uso dei piaceri</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo Quarto</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Conclusione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Corpi limite e diagonalità</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com10tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-3023278329249915812016-07-11T09:00:00.000+02:002016-07-11T09:00:26.966+02:00Maggio/Luglio 2016 - numero 102<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvwVZ5fDZzG3ks1mTCRdwFYKCoZbzHzo5NO7jwrRp-zfoAyVk7Bid5rXrP0IpQo2qETqXM4T4SB-swVNrufpyvrFLFolHLIHMDXBqS9VOk4w3ak5qAOlGYDi6u_f2nae5bTXBrVcSECKE/s1600/ref+-+jpg+ottimo.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="97" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvwVZ5fDZzG3ks1mTCRdwFYKCoZbzHzo5NO7jwrRp-zfoAyVk7Bid5rXrP0IpQo2qETqXM4T4SB-swVNrufpyvrFLFolHLIHMDXBqS9VOk4w3ak5qAOlGYDi6u_f2nae5bTXBrVcSECKE/s200/ref+-+jpg+ottimo.jpg" width="200" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><a href="http://www.recensionifilosofiche.info/2016/05/losurdo-domenico-la-sinistra-assente.html">Losurdo, Domenico, <i>La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra</i></a>. <span style="background-color: white; color: #222222;">Roma, Carocci, 2014, pp. 303, euro 23, ISBN 978-88-430-7534-2. </span><span style="background-color: white; color: #222222;"><b>Recensione di Maurizio Brignoli</b></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; color: #222222;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="background-color: white; color: #222222;"><a href="http://www.recensionifilosofiche.info/2016/05/petrilli-raffaella-cura-di-la-lingua.html">Petrilli, Raffaella (a cura di), <i>La lingua politica. Lessico e strutture argomentative</i></a>. </span><span style="background-color: white; color: #222222;">Carocci, Roma 2015, pp. 190, euro 20, ISBN 9788843075386. </span><span style="background-color: white; color: #222222;"><b>Recensione di Denise Celentano</b></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; color: #222222;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="background-color: white; color: #222222;"><a href="http://www.recensionifilosofiche.info/2016/05/oliveri-rosanna-nietzsche-profeta-della.html">Oliveri, Rosanna, <i>Nietzsche profeta della scienza</i></a>. </span><span style="background-color: white; color: #222222;">Il Prato, Saonara (PD), 2014, pp. 125, euro 15, ISBN 978-88-6336-215-2. </span><span style="background-color: white; color: #222222;"><b>Recensione di Massimiliano Chiari</b></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; color: #222222;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="background-color: white; color: #222222;"><a href="http://www.recensionifilosofiche.info/2016/05/carnevali-barbara-le-apparenze-sociali_16.html">Carnevali, Barbara, <i>Le apparenze sociali. Una filosofia del prestigio</i></a>. </span><span style="background-color: white; color: #222222;">Il Mulino, Bologna 2012, pp. 222, euro 20, ISBN 9788815239495. </span><span style="background-color: white; color: #222222;"><b>Recensione di Antonio Allegra</b></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; color: #222222;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="background-color: white; color: #222222;"><a href="http://www.recensionifilosofiche.info/2016/05/muraro-luisa-autorita.html">Muraro, Luisa, <i>Autorità</i></a>. </span><span style="background-color: white; color: #222222;">Torino, Rosenberg & Sellier, 2013, pp. 128, euro 9,50, ISBN 9788878851849. </span><span style="background-color: white; color: #222222;"><b>Recensione di Silvia Baglini</b></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; color: #222222;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="background-color: white; color: #222222;"><a href="http://www.recensionifilosofiche.info/2016/05/centrone-bruno-prima-lezione-di.html">Centrone, Bruno, <i>Prima lezione di filosofia antica</i></a>. </span><span style="background-color: white; color: #222222;">Roma-Bari, Laterza, 2015, pp. 204, euro 14, ISBN 978-88-581-1726-2. </span><span style="background-color: white; color: #222222;"><b>Recensione di Alessandro Pizzo</b></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; color: #222222;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="background-color: white; color: #222222;"><a href="http://www.recensionifilosofiche.info/2016/06/arendt-hannah-socrate.html">Arendt, Hannah, <i>Socrate</i></a>. </span><span style="color: #222222;">A cura di Ilaria Possenti, con saggi critici di Adriana Cavarero e Simona Forti, </span><span style="color: #222222;">Milano, </span><span style="color: #222222;">Raffaello Cortina, 2015, pp. 123, euro 11, ISBN 978-88-6030-759-0. </span><span style="background-color: white; color: #222222;"><b>Recensione di Francesco Tampoia</b></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; color: #222222;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="background-color: white; color: #222222;"><a href="http://www.recensionifilosofiche.info/2016/06/schmitt-carl-imperium-conversazioni-con.html">Schmitt, Carl,<i> Imperium, Conversazioni con Klaus Figge e Dieter Groh 1971</i></a>. </span><span style="background-color: white; color: #222222;">Macerata, Quodlibet, 2015, pp. 304, euro 26, ISBN 978-88-7462-624-3. </span><span style="background-color: white; color: #222222;"><b>Recensione di Gianmaria Merenda</b></span></span></div>
Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-36553228698647360792016-06-16T09:00:00.000+02:002016-06-16T10:05:49.757+02:00Schmitt, Carl, Imperium, Conversazioni con Klaus Figge e Dieter Groh 1971<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Macerata, Quodlibet, 2015, pp. 304, euro 26, ISBN 978-88-7462-624-3.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHgZeUdYvultPbmPAzTiIkmXLYnZxMNE0Fn9560cDGyJ-84JLX7u-jPZAdAp6Wukvl2MYEJhdur43oImFzoLMHEM7n-7n2i7OXh_9Z54koXrILUAei7SWs6ZQGyhGmwahTzq1C9aD2JzE/s1600/copertinaSchmitt-Imperium-b.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHgZeUdYvultPbmPAzTiIkmXLYnZxMNE0Fn9560cDGyJ-84JLX7u-jPZAdAp6Wukvl2MYEJhdur43oImFzoLMHEM7n-7n2i7OXh_9Z54koXrILUAei7SWs6ZQGyhGmwahTzq1C9aD2JzE/s200/copertinaSchmitt-Imperium-b.jpg" width="141" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Gianmaria Merenda - 15/07/2015</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il volume Imperium raccoglie la trascrizione integrale della lunga intervista che Klaus Figge e Dieter Groh fecero a Carl Schmitt a Plettenberg in casa Schmitt per conto dell’emittente radiofonica SüdwestFunk nel dicembre 1971 (trasmessa poi il 6 febbraio 1972). L’intervista ha inizio con un’introduzione di Schmitt sulle sue origini modeste e cattoliche, in contrasto con una società fortemente evangelica e di censo più elevato. Questo deficit socio-economico sembra essere il motore di tutte le decisioni che</span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Schmitt prese nel corso della sua vita. Apprendiamo che nel convitto cattolico, ai tempi del liceo, a Schmitt viene scoperta una copia della Vita di Gesù di David Friedrich Strauss; i genitori, informati dal preside, ritirarono il giovane Schmitt, costringendolo allo spostamento quotidiano da Plettenberg con un notevole dispendio di tempo ed energia. A quanto pare questo status ai margini della società influenzò molto la gioventù di Schmitt e ne definì il percorso scolastico-universitario come reazione alle ingiustizie subite. Sono tre i “depositi di dinamite nella storia della cultura” che Schmitt indica a conferma delle sue idiosincrasie: i rabbini, i gesuiti e i “più pericolosi” pastori protestanti (p. 59); e tre le svolte culturali: Socrate contro la teocrazia, i cristiani contro l’impero, Cartesio contro la certezza. Il primo nastro, in cui Schmitt disserta della sua infanzia e dei motivi della sua ricerca giuridica, si interrompe con una breve indicazione che dà il titolo al testo: Schmitt specifica, da una lettura di Sant’Agostino, che il katechon della Seconda lettera ai Tessalonicesi, 2,6, è da intendersi come Imperium o Reich, una forza che frena l’avvento dell’Anticristo e la fine della storia.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Anche se interessato alla filologia, Schmitt viene indirizzato da uno zio allo studio della giurisprudenza perché molto più redditizia degli studi umanistici. Questa scelta condizionerà la storia della Germania nazista e quella di Schmitt in particolare. La sua partecipazione al potere è descritta puntigliosamente: si apprende che Schmitt annotava su un diario le date degli incontri con i personaggi più importanti del Reich e i motivi, le scelte prese e le conseguenze di quelle scelte. Non mancano gli aneddoti rispetto ad incontri e ai retroscena di avvenimenti che hanno fatto la storia. Anche se il testo trascrive una lunga intervista, quello che ne esce è un lungo monologo, di tanto in tanto pungolato da domande o precisazioni dei due intervistatori. Apprendiamo in questo modo, dallo sfogo diretto dell’interessato, che la trattazione dello stato d’eccezione, della dittatura, dello stato di guerra, non nasce da una innata malvagità di Schmitt, ma dal suo coinvolgimento diretto con un mondo che aveva necessità di giustificare con la giurisprudenza il proprio agire politico. “Un periodo di gioia nel lavoro” per un giurista (p. 147) che stride con il tragico periodo che l’Europa e il mondo stavano vivendo in quegli anni. Un periodo di gioia professionale per Schmitt che si affianca alla sua idea di impegno civile: ovvero, essere presente e tentare di gestire la ‘cosa pubblica’ che altrimenti avrebbe avuto altro destino (p. 151). Infatti Schmitt chiude l’intervista con un’analogia che descrive in modo deciso ed inequivocabile il suo coinvolgimento con la storia del mondo della prima metà del secolo scorso: il suo impegno per frenare l’agire politico di Hitler può essere visto come il frammento di un romanzo picaresco spagnolo. Se Schmitt ha avuto modo di agire nella storia del Terzo Reich è perché egli si è sentito un moderno picaro: “Il picaro se ne va in giro, facendo questo e quello, e, quando non sa continuare, dice sempre (questa è la tipica formula in base alla quale lo si riconosce): “io decisi… di diventare attore”, “io decisi di trasferirmi nelle colonie”, “io decisi di condurre una nuova vita”, io ho deciso, mi sono risolto a…, resolvi, ecc.”</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 11 <span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Introduzione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>di Dimitros Kisoudis e Frank Hertweck</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Nastro 1</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Cattolicesimo e settarismo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 45<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>1. Infanzia nella diaspora cattolica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 53<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>2. La cerchia intorno a Kurt von Schleicher</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 56 3. La famiglia di parroci cattolici</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 59<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>4. Florilegio dell’accusatore</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 60<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>5. Fiorire del cosiddetto giornalismo postbellico</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 63<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>6. Cronologia e calendario</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 64<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>7. Il grande parallelo e il katechon</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Nastro 2</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Cosa dice la Costituzione?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 71<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>8. L’implicito tema della scrittura</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 75<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>9. Perché hai studiato giurisprudenza?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 77<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>10. Ubi nihil vales, ibi nihil velis</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 81<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>11. Il discorso per l’anniversario della fondazione del Secondo Reich </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"> nel 1933</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 83<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>12. Il trauma del giuramento del presidente Hindenburg</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Nastro 3</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Perché hai partecipato al potere?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 97<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>13. Legalità anziché legittimità</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 109<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>14. Incontri e libri importanti</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 118<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>15. Il potere conferito al positivismo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Nastro 4</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>On s’engage, puis on voit</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 131<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>16. Il bel pellegrinaggio da Goethe</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 142<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>17. La mia prima impressione del Terzo Reich</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Note di commento</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 155<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Nastro 1</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 181<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Nastro 2</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 209<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Nastro 3</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 243<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Nastro 4</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 267<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Postilla</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Come si è giunti a questo colloquio con Carl Schmitt?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>di Dieter Groh</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 277<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Indice degli scritti di Carl Schmitt citati</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">p. 283<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Indice dei nomi</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-85785040410438229472016-06-06T09:00:00.000+02:002016-06-06T11:13:31.414+02:00Arendt, Hannah, Socrate<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">A cura di Ilaria Possenti, con saggi critici di Adriana Cavarero e Simona Forti, </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Milano, </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Raffaello Cortina, 2015, pp. 123, euro 11, ISBN 978-88-6030-759-0.</span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNs80mXnUdJjkHtrs77qsc0Sk0nVUJNnwvxZOUcS8Uu-E9ySJrpsA1Tl2XByGsSeIi-x32MKEyFnOm9PoEo1AOZ38QMJ2A9NYKuECkzdxjJ3_os3BsfX0xoh4ntFlEHODXw8zVHbZmONA/s1600/27482359.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNs80mXnUdJjkHtrs77qsc0Sk0nVUJNnwvxZOUcS8Uu-E9ySJrpsA1Tl2XByGsSeIi-x32MKEyFnOm9PoEo1AOZ38QMJ2A9NYKuECkzdxjJ3_os3BsfX0xoh4ntFlEHODXw8zVHbZmONA/s200/27482359.jpg" width="121" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Francesco Tampoia - 14/02/2016</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nell’Introduzione all’agile volumetto, Ilaria Possenti fa riferimento a una lettera, indirizzata da Hannah Arendt a Karl Jaspers il primo luglio 1956, in cui Arendt datava l’inizio del conflitto tra filosofia e politica nella tradizione occidentale con il processo a Socrate. Dalla condanna di Socrate il giudizio di Platone sorretto da due fondamentali convinzioni: “che la politica, così come Atene l’aveva intesa, fosse una pericolosa fonte di ingiustizia; che i criteri per porre rimedio all’ingiustizia</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">dovessero essere trovati altrove, al di fuori e al disopra della polis. Per queste ragioni Platone avrebbe cercato di ‘applicare alla politica’ la sua teoria filosofica, la dottrina delle idee, conferendo un valore normativo all’idea o essenza eterna del vero, del bene, del giusto” (p. 9).</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"> Riprendendo le riflessioni filosofiche della Arendt degli stessi anni cinquanta sul fenomeno politico e sulla degenerazione del potere (politico), Possenti aggiunge che nella nostra epoca “aperta allo smantellamento della metafisica la posizione socratica sembra allora riemergere, nella narrazione, come un’alternativa rimossa ma in qualche modo sopravvissuta a una tradizione filosofica ormai esaurita” (p.15).</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Al processo, in propria difesa Socrate – scrive Arendt - ha giurato di aver “sempre agito nell’interesse della città” (p. 26); ma agli occhi di Platone e di altri ateniesi non è stato capace di persuadere i giudici; la sua capacità persuasiva, la sua peithein, non ha avuto successo. La tesi harendtiana di fondo va ben oltre: Socrate con il suo operato ha cercato di oltrepassare il confine tra politica e filosofia, tra polis e sophos.</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">In Atene la vita pubblica vissuta secondo doxa consisteva nel mostrarsi ad altri; era intesa come una vita più bella e affascinante di quella privata; nessuna doxa era praticata nella vita privata. Eppure dentro la doxa è la verità: “Anche se non del tutto veritiera, per Socrate la doxa con il suo opinare porta sempre a qualcosa, istituisce un dialogo, un contesto intersoggettivo, un clima di amicizia” (p. 38). E nell’amicizia, nella philia, si realizza la vera uguaglianza tra i cittadini, partner uguali in un mondo comune. </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Platone, invece, non si fida della doxa; è per l’adozione di altri criteri, è il primo “a usare le idee per scopi politici, cioè per introdurre criteri assoluti nella sfera degli affari umani, dove, senza criteri trascendenti di questo tipo, tutto resta relativo ” (p. 27). Crede, ad ogni modo, che il filosofo, pur essendo per sua natura orientato verso cose eterne, possa esercitarsi in ed esercitare la politica. </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La parte più originale del testo della Arendt, tuttavia, è la scoperta del ‘due in uno’, che s’inizia con l'interpretazione del conosci te stesso: “Soltanto se conosco quel che appare a me e solo a me, e che resta quindi legato alla mia esistenza concreta, posso comprendere la verità”(p.40). Una verità (assoluta), uguale a tutti gli uomini, non può esserci; quello che conta per gli uomini “ è rendere veritiera la doxa, vedere la verità in ogni doxa e discorrere in modo che la verità di uno, della sua opinione si riveli a lui stesso e agli altri”(ivi). La garanzia, il primo passo dell’uomo risiede nell’essere d’accordo con se stesso, pensare e parlare con se stesso, come se fosse due. Con Socrate, aggiunge Arendt, è rivalutato lo stare un po' da soli con se stessi: “Un essere umano non può mantenere intatta la propria coscienza se non può mettere in atto il dialogo con se stesso, cioè se perde la possibilità della solitudine, che è necessaria per ogni forma di pensiero” (p.47). Del resto, non era stato Socrate ad ammettere che non possedeva alcuna verità? Alcuna conoscenza certa? Il richiamo di Socrate al soggetto, vuole essere il richiamo all’indipendenza della filosofia dalla politica. Conferme in questo senso leggiamo nel mito della caverna. </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il thaumazein, la meraviglia, è un atteggiamento umano e filosofico, che fa pensare a ciò che è oltre l’immediato, che conferma il sapere di non sapere socratico; ma pone anche l’uomo- filosofo in conflitto con i componenti della sfera politica. Probabilmente perché il filosofo “ è sempre tentato di esprimersi in termini di non senso, ovvero, per riprendere ancora una volta l’espressione di Hegel, è tentato di rovesciare il senso comune a testa in giù” (p. 59). Nel Teeteto leggiamo la celebre motivazione al filosofare: “proprio del filosofo è d’esser pieno di meraviglia, né altro cominciamento ha il filosofare che questo”, meraviglia e stupore del molteplice, meraviglia di fronte alla pluralità e ai significati dell’essere. Un senso del curiosare, un impulso a guardarsi intorno e guardare oltre, amore del sapere, desiderio divino-demonico, sentire istintuale che ferma, fissa e sospende insieme le rappresentazioni, le immagini della materialità fisica, di ciò che è davanti, voglia e nostalgia dell’Uno. Di fatto, ciò che distingue il filosofo dai concittadini “non è il possesso di una verità speciale, inaccessibile alla moltitudine, ma il fatto che è sempre pronto a esporsi al pathos della meraviglia, e a evitare così il dogmatismo dei puri e semplici possessori di opinioni”. Nell’intento di competere con il dogmatismo del doxazein Platone propone “di prolungare oltre ogni limite l’esperienza non discorsiva della meraviglia, che sta all’inizio e alla fine della filosofia; cerca, insomma, di trasformare in un modo di vita (il bios theoretikos) quello che può essere solo un attimo fuggente o, per riprendere una metafora platonica, la fuggevole scintilla che scocca tra due pietre”(p.60). </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Verso la conclusione del suo saggio Hannah Arendt scrive: “Dopo che Platone ebbe in un certo senso deformato la filosofia a scopi politici, la filosofia continuò comunque a fornire all’uomo occidentale criteri e regole, pietre di paragone e misure con cui poter almeno cercare di capire quel che avveniva nella sfera e negli affari umani”(p.61).</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Alla fine la raccomandazione: “I filosofi, se vorranno arrivare a una nuova filosofia politica, sfidando il loro necessario straniamento dalla vita quotidiana, dovranno però assumere come oggetto del thaumazein la pluralità degli uomini, dalla quale sorge, nella sua grandezza e nella sua miseria, l’intera sfera degli affari umani” (p.62). È come se la Arendt avesse compiuto un duplice percorso: da Socrate a Platone e ritorno da Platone a Socrate.</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">I due saggi critici di Adriana Cavarero e Simona Forti, in aggiunta al testo di Arendt, sono un apprezzabile ausilio di riflessione e commento in margine al testo arendtiano. Cavarero ferma l’attenzione soprattutto sulla socratica “invenzione della coscienza, intesa da Arendt come tribunale interno dell’io che, facendosi due-in-uno, si interroga e dà conto a se stesso di sé” (p.75). Non si rivolge all’esterno, né al trascendente. Si tratta di una svolta che prova in un certo modo la confluenza della Arendt nel folto gruppo degli smantellatori della metafisica platonica. Ovviamente la critica di Arendt a Platone pone in risalto la figura di un Socrate ancora più umano, un Socrate che vive e opera nella polis fra i suoi concittadini, è sempre nella piazza, non si chiude in una sorta di Accademia. In contrasto con Platone, non crede alla presunta verità, alla tirannia del vero, non crede all’Uno di Parmenide. Canavero, tuttavia, prende in un certo modo le difese di Platone e stempera la posizione di Hannah Arendt osservando che “accanto al noein come puro theorein troviamo notoriamente nell’opera platonica una definizione del pensare come dialogare fra sé e sé che, pur conservando il carattere insonoro della meraviglia, non è assimilabile allo statuto straniante e immobile del thaumazein” (p. 1). </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il saggio di Simona Forti Letture socratiche- Arendt, Foucault, Patocka ha un taglio diverso, cerca di spaziare nella varia e complessa “tribù del socratismo novecentesco della “filosofia come forma di vita”. La Forti vede il Socrate arendtiano come l’unico vero esempio di pensatore non professionale. La coscienza di sé che ispira Socrate, la continua tensione del potere critico e negativo del pensiero, “non fa altro che destabilizzare i soggetti nei confronti delle norme stabilite, dei dogmi, delle regole; li svia dai comportamenti ritenuti ovvi, come se ogni volta dovessero ricominciate da capo, attraverso il percorso dialogico di domande e risposte, a discriminare tra che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, a distinguere ciò che è bene e ciò che è male” (p.105). Il due in uno, l’uno in due è, insomma, il continuo affermarsi nel continuo negarsi. </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Spostando la sua analisi sul piano etico Forti osserva che la figura greca della parresia “potrebbe servire quale esempio di spazio etico” in cui la sfera dell’interiorità si apre all’azione collettiva. Secondo Forti, Arendt pare non sia riuscita a mettere a fuoco in modo convincente il nesso “in-fra”. Nel trattare la relazione tra vita e verità, Michel Foucault ha cercato in modo più radicale ”la via di una possibile rivoluzione etica: la rivoluzione singolare di un bios che riesca a farsi ethos e di un ethos che possa farsi praxis, prassi di un esercizio continuo di libertà”(p.115). Jan Patocka, infine, scrivendo il volume Platone e l’Europa ha scoperto la radice della cultura europea nell’idea di cura di sé, cura dell’anima. Qui per anima si intende la psychè, energia, attività, in una parola spirito di ogni essere (umano) capace di resistere a un altro potere. Siamo tornati così a Socrate, almeno a un certo Socrate.</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">In un contesto diverso da quello della Arendt, ma nello spirito del suo insegnamento, forse oggi più che la paideia di Platone può servirci un Socrate che ci faccia imparare a vivere, ‘apprendre à vivre enfin’.</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"> </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Introduzione (<i>Ilaria Possenti</i>)</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Socrate </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>Saggi critici</i> </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il Socrate di Hannah Arendt</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">(<i>Adriana Cavavero</i>) </span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Letture socratiche:</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Arendt, Foucault, Patocka</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">(<i>Simona Forti</i>)</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-48570800430042647022016-05-27T09:00:00.000+02:002016-05-27T09:48:45.153+02:00Centrone, Bruno, Prima lezione di filosofia antica<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Roma-Bari, Laterza, 2015, pp. 204, euro 14, ISBN 978-88-581-1726-2</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiS_hci7BWNNwGS2IqlQ6tAkrpBs9M6pHgkKdjBODgsV9bAozJpe1UEZ3fYk7Em47ieDaIy94y-PhAQOSnXfDYYi1vj-Ewwb2a8KCy8bw8TWuFjGOa_D13GOSuG8Ub1380ydSaBd-ERgd4/s1600/9788858117262.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiS_hci7BWNNwGS2IqlQ6tAkrpBs9M6pHgkKdjBODgsV9bAozJpe1UEZ3fYk7Em47ieDaIy94y-PhAQOSnXfDYYi1vj-Ewwb2a8KCy8bw8TWuFjGOa_D13GOSuG8Ub1380ydSaBd-ERgd4/s200/9788858117262.jpg" width="121" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Alessandro Pizzo – 04/05/2015</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Centrone non si propone di presentare la storia della filosofia antica, ma di indicare le condizioni di «nascita della filosofia» (p. 3), vale a dire mostrare i momenti salienti di fissazione «di un lessico specializzato» (p. 4). Dunque, non si desidera offrire una sintesi generale «di filosofia antica» (p. 4), ma «una semplice prefazione» (p. 4).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">A questa finalità, l’autore dedica l’intero volume che si condensa nel descrivere l’evoluzione di «cosa significa essere</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"></span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span><br />
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">filosofo nell’antichità» (pp. 8 – 9). Centrone scorre la cultura greca dai primordi omerici sino a Platone ed Aristotele. Il leit – motiv seguito è la «capacità di astrazione» (p. 18) che, attraverso i secoli, perviene alla costruzione «del lessico fondamentale della filosofia antica» (p. 28), alla cui analisi dei termini principali è dedicato appunto il volume.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La prima questione affrontata è il termine philosophia. Centrone ne definisce i contorni semantici attorno al significato di filosofare, ossia «amare la sapienza» (p. 32). Precisa, tuttavia, come ‘filosofo’ sia «un termine che agli inizi connota, piuttosto che denotare» (p. 32). La sapienza è «conoscenza e contemplazione disinteressata della natura» (p. 37) mentre il filosofo «è colui che ama questa sapienza» (p. 37). Pertanto, la sapienza mostra il suo volto non strumentale, «viene amata di per sé e non in vista d’altro» (p. 37). Allora, il termine philosophia consente due interpretazioni differenti: «desiderio di un sapere che non si possiede» (p. 46) e «amore disinteressato per un sapere che si può arrivare a possedere» (p. 46).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La seconda questione verte sulla controversia tra i sophistès e la condanna platonica. La diatriba tra i sophistès i philosophoi mette capo ad una distinzione che appare chiara ai nostri occhi, ma che così non era per i contemporanei. Il problema è dato dalla etimologia di sophìzesthai che significa escogitare stratagemmi. È evidente «lo scivolamento al negativo» (p. 49) del termine stesso. Il sofista è, dunque, colui che escogita stratagemmi, vale a dire colui che adopera «argomenti capziosi» (p. 49). Platone cerca di precisarne i contorni, anche al fine di smarcarsene. Vi riesce solo in parte perché i sofisti e i filosofi condividono un patrimonio lessicale, e, dunque, culturale, in comune. Nel Sofista, Platone descrive il metodo dialettico dei sofisti, ma concede pure qualcosa all’agonismo della contesa polemica così come al procedimento dell’èlenchos che «ricorda le pratiche refutatorie tipiche dei sofisti» (p. 52). La storia della contesa tra i sophistès e Platone è, sotto molti punti di vista, istruttiva perché mostra un processo di «trasformazione semantica» (p. 55) di termini preesistenti in nuove costruzioni e nuovi significati.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La terza questione, connessa alle operazioni di risemantizzazione di concetti e conoscenze pre - esistenti, è l’essere. La questione ontologica nasce quando «si passa a domandare in che consista per le cose il loro essere» (p. 56). Dalle riflessioni dei primi naturalisti sull’essere delle cose discende l’interrogazione «sui possibili diversi sensi in cui si dice che qualcosa “è”» (p. 57). La questione, pertanto, consiste nell’esplorazione dei «significati dell’essere» (p. 57). A dispetto delle attese, il problema ontologico è assente in Parmenide ove l’essere viene inteso nei termini di hèn e synechès, ossia «le cose che sono costituiscono un’unica totalità ininterrotta» (p. 62). Piuttosto, è in Platone che la questione raggiunge una sua individuazione e precisazione. Egli, infatti, introduce per primo «una definizione (hòros) dell’essere che può essere considerata una risposta […] al problema di fondo» (p. 65). E ciò viene fatto in relazione alla sistemazione linguistica del termine usìa che esprime «l’esserci delle cose» (p. 68), vale a dire l’essenza di queste ultime, e, dunque, «la nominalizzazione della domanda “che cos’è X?”» (p. 69) Usìa è tanto il predicato di una cosa, ossia ciò che una cosa è, quanto il soggetto di una cosa, ossia la sostanza di una cosa. Il duplice significato regge l’ambiguità del discorrere socratico così come lo slittamento successivo in due termini differenti e distinti, vale a dire substantia ed essentia. Questo passaggio, tuttavia, indica un superamento della filosofia aristotelica per la quale l’usìa «è sostrato ontologico delle proprietà e soggetto logico» (p. 76).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La quarta questione è la semantizzazione del termine alètheia, vale a dire la verità. Il momento iniziale di tale processo è la contrapposizione tra la verità da un lato e la falsità dall’altro lato, che spinge nella ricerca di una definizione compiuta. Così, è «solo in Platone e Aristotele» (p. 81) che si «ha la formulazione di una teoria» (p. 81). Già in Omero è presente l’espressione tèn alethèin lègein «per “dire la verità”» (p. 83). In Platone, alètheia «non è una verità logico-proposizionale» (p. 89), consistente in una sorta di conformità del discorso alla realtà, «ma una verità ontologica» (p. 89). Nell’economia del discorso platonico, vero significa reale. E questa concezione ontologica della alètheia «convive in Platone con la prima formulazione di una teoria della verità come corrispondenza» (p. 92). È, però, in Aristotele che «si compie la definitiva separazione tra verità ontologica e verità logico-proposizionale» (p. 93). Riprendendo, infatti, un possibile uso della lingua greca, nello stagirita l’essere significa l’essere vero, così come il non essere significa il non essere vero. Pertanto, nella Metafisica, «vengono fornite precisazioni definitive» (p. 93), in virtù delle quali il vero e il falso «non sono nelle cose» (p. 93), «ma nel pensiero» (p. 93) e riguardano la connessione, sýntesis, e la divisione, dihàiresis. In altre parole, il vero è «l’affermazione di ciò che è congiunto e la negazione di ciò che è disgiunto» (p. 94). La possibilità contraria identifica il falso. Tuttavia, l’autore ravvisa la presenza di alcuni passi aristotelici che sembrano «rendere meno rigida» (p. 94) tale impostazione.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La quinta questione riguarda la conoscenza. Nelle fonti greche viene incorporato il «modello della vista sensibile» (p. 97), e, di conseguenza, il «pensare è vedere qualcosa con la mente» (p. 97). I protagonisti della conoscenza sono «il soggetto e l’oggetto» (p. 98). Tuttavia, si tratta di «uno sviluppo tardivo» (p. 98). In Omero nùs sembra designare ancora «un organo fisico» (p. 101) mentre in altre fonti «ha già un significato astratto» (p. 101). In Empedocle, invece, il noèin «è sempre relativo a un oggetto di pensiero» (p. 102). Il processo di riconoscimento dell’attività noetica farà «emergere progressivamente la potenziale autonomia del nùs» (p. 102). In Aristotele si assiste ad una vera e propria stabilizzazione del «significato di osservazione o contemplazione» (p. 105). Dalla metafora visiva si giunge, pertanto, alla theorìa, categoria fondamentale per l’intera storia della filosofia. Ma, accanto alle metafore visive, giocano un certo ruolo anche le metafore tattili le quali consentono di codificare la categoria di epistème che «designa sia il fenomeno della conoscenza nella sua processualità, sia una disposizione dell’anima, sia una modalità stabile del sapere» (p. 107). Nella polemica con i sofisti, Platone lega la conoscenza alla capacità oratoria dei sophistès. Con Aristotele si assiste alla sua definitiva sistemazione concettuale.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La sesta questione riguarda il bene. Al riguardo, è utile osservare come si tratti di «una definizione formale delle nozioni fondamentali» (p. 121), le quali talvolta si configurano nei termini di «nuove semantizzazioni» (p. 121). Dei vari significati originari, Aristotele contribuisce «stabilendo che bello in quest’ambito è ciò che è oggetto di lode, in quanto degno di essere scelto di per sé» (p. 137). Nella cultura greca, infatti, è attivo il collegamento tra bellezza esteriore e bellezza interiore. Tuttavia, l’originalità della riflessione filosofica «consiste nell’aver elaborato, per la prima volta, un criterio fondamentale di moralità dell’azione, quello dell’intenzionalità dell’agente» (p. 148).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La settima questione riguarda l’anima. Tradizionalmente, il suo significato è di essere «un principio costitutivo dell’uomo» (p. 150). L’anima viene, così, intesa nei termini di «sede delle facoltà razionali» (p. 150). Non a caso, l’etimologia ravvisa un collegamento tra il termine, psychè, e il verbo psýchein. Tuttavia, bisogna evitare il facile scivolamento nella traduzione latina di animus come «centro coordinatore sia delle funzioni vitali di base che della vita intellettuale ed emotiva» (p. 151), cosa che non avverrà prima di Platone. Più correttamente, si deve riconoscere un’affinità di psychè con respirare. La morte è cessazione del respiro. Eppure, nella cultura greca è presente una concezione secondo la quale la psychè sopravvive comunque alla cessazione del respiro corporeo, anche se si tratta di una sopravvivenza poco nobile perché la gloria dei defunti è inferiore a quella dei mortali. Platone «elabora per la prima volta una teoria in cui la psychè diviene il centro coordinatore delle varie funzioni sino ad allora separate da organi differenti» (pp. 164 – 5). Ne consegue, pertanto, che essendo la psychè «ciò che apporta la vita» (p. 165), «non potrà mai partecipare del suo contrario, la morte, e dunque sarà immortale» (p. 165). L’anima diviene progressivamente, allora, «il vero soggetto del percepire» (p. 166), «il soggetto della vita morale» (p. 167). L’evoluzione del concetto giunge così alla sua sistemazione definitiva come avente «una sua consistenza sostanziale» (p. 168), una «sua esistenza separata» (p. 168). In Platone, infatti, l’anima è «il complesso integrato […] che fornisce una base teorica adatta a risolvere la tensione tra l’unità dell’anima […] e la molteplicità di funzioni» (p. 168). Aristotele, invece, rovescia la sedimentazione secolare al riguardo, considerando la psychè «solo come attualità di un corpo» (pp. 168 – 9), negandole, dunque, l’immortalità.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’ottava questione affrontata è il lògos, «il termine più variegato del lessico filosofico» (p. 170) che indica «un modo specifico di parlare che obbedisce a certe regole» (p. 171). Per Aristotele, nei filosofi precedenti è mancata la dialettica, vale a dire la «ricerca della definizione» (p. 172). In altri termini, le indagini precedenti difettavano di ricerca della «essenza delle cose» (p. 172). Con Platone registriamo la svolta, la dottrina delle idee. Socrate andava in cerca di una definizione delle cose, ossia della «causa formale» (p. 174) delle cose, chiedeva ragione delle cose. Ora, dare «ragione di qualcosa […] significa fornire il discorso che esprime ciò che una cosa è, la sua usìa o essenza» (p. 175). Il lògos, pertanto, è la definizione, o «ragione formale» (p. 175), di qualcosa di cui si chiede conto. Spiegare perché «una cosa è in un certo modo» (p. 176), e non in un altro, «significa anche stabilire che è bene per quella cosa essere in quel modo» (p. 176). Pertanto, la «scoperta della causa formale porta con sé quella della finalità, e causa formale e finale vengono per molti aspetti a coincidere» (p. 176).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">A conclusione del volume, Centrone scrive un breve epilogo che ha la funzione di rendere conto dell’importanza contemporanea della filosofia antica. Quest’ultima può essere «oggetto di studio» (p. 182) come vestigia di un lontano passato. Ma ciò non può esser fatto con cognizione di causa nel caso della filosofia antica. Infatti, essa ha una «posizione particolare» (p. 182). In anni più vicini, la sua ripresa costante è sia indice di un rinnovato interesse sia una sua partecipazione, più o meno diretta, alle riflessioni coeve.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Introduzione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo primo. Il termine philosophìa e la nascita della filosofia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Criteri di individuazione della filosofia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Sophìa e philosophìa</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Le origini della filosofia secondo gli antichi</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Philosophìa in Platone</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Philosophìa in Isocrate e Aristotele</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo secondo. Sophistès e la condanna platonica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Sophistès e sophìzesthai</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Definire il sofista</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo terzo. Essere</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>La nascita del problema ontologico</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>L’eòn (=òn) di Parmenide</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Una definizione dell’essere nel Sofista di Platone</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Usìa</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Da usìa a substantia ed essentia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">6.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Esistenza</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">7.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>L’accidente</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo quarto. Alètheia/verità</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Verità e realtà</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Alètheia e l’etimologia di Heidegger</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>La semantica di alètheia e di lanthànein</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Verità ontologica e verità logica in Platone e Aristotele</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo quinto. Conoscenza</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Il lessico del conoscere</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Metafore visive</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Metafore tattili</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>L’apparenza: phainòmenon e phantasìa</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Phrènes, phronèin e phrònesis: pensiero e saggezza pratica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo sesto. Bene</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Èthos/ethikòs</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Agathòn</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Kalòn: il bello morale</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Aretè e virtù</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Eudaimonìa e felicità</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">6.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Un nuovo criterio di moralità</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo settimo. Anima</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Psychè e anima</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Psychè e thymòs nei poemi omerici</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>La metempsicosi: brevi cenni</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Psychè in Eraclito</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Psychè in Platone</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Capitolo ottavo. Lògos, idèa, èidos: la filosofia come indagine formale</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Lògos</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>La “fuga” di Socrate nei lògoi. Aristotele e il Fedone</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Lògoi e dialettica. La svolta secondo Aristotele</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Epilogo. Che interesse ha oggi la filosofia antica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Riferimenti bibliografici</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Sigle e abbreviazioni</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice dei nomi antichi</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice dei nomi moderni</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice del volume</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-9738647022577293872016-05-23T09:00:00.000+02:002016-05-23T09:00:25.054+02:00Muraro, Luisa, Autorità<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Torino, Rosenberg & Sellier, 2013, pp. 128, euro 9,50, ISBN 9788878851849</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjL5FJIXuy-zmqexCsgoH-3eodHnzLFfVeJX0-G10iBnULTCYEVZ2NnQ4RCglmyW72GjoYdOD1Om29RF6U6ETsPO1-pvBvEvAFUFqhIogd3G5h0rljsR6shMZD2wt-ZqOW8FHz6dlGMhug/s1600/475.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjL5FJIXuy-zmqexCsgoH-3eodHnzLFfVeJX0-G10iBnULTCYEVZ2NnQ4RCglmyW72GjoYdOD1Om29RF6U6ETsPO1-pvBvEvAFUFqhIogd3G5h0rljsR6shMZD2wt-ZqOW8FHz6dlGMhug/s200/475.jpg" width="133" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Silvia Baglini - 21/01/2014</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Con questo piccolo, denso volumetto Luisa Muraro ci mette a confronto con un tema centrale per il pensiero occidentale moderno e che risulta, oggi, piuttosto offuscato. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nel 1995 Oltre l’uguaglianza. Le radici femminili dell’autorità del collettivo filosofico Diotima, di cui Muraro è tra le fondatrici, rifletteva sul «bisogno» di autorità – distinta dal potere – come sfida alla confusione simbolica fossilizzata sotto il principio di uguaglianza astratta su cui si fondano le nostre società. Adesso Muraro riprende il cammino e</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"></span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">riaccende la discussione prendendo in prima persona la parola – con tutte le implicazioni che in tema di autorità e “autorialità” questo atto comporta – non tanto per tracciare una sintesi di quel che da allora è trascorso, bensì per aprire un nuovo percorso dialogico (sollecitato dalla forma stessa di un libro che vuol farsi prima tappa e non conclusione compiuta). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La nostra condizione attuale è di ambiguità nei confronti del tema che spesso si preferisce mettere da parte fin dal vocabolario, privilegiando il termine «autorevolezza» quando non si condannino invece gli eccessi dell’«autoritarismo». Muraro prende nota di questa incertezza semantica fin dall’inizio: incertezza del nome dovuta a scarsa chiarezza della cosa (p. 10), che ella si premurerà di evitare usando, nel seguito del libro, con luminosa precisione e senza paura, la parola “incriminata” anziché le sue parenti indebolite. Di «crisi» dell’autorità aveva parlato già nel 1958 Hannah Arendt, notando come questa fosse in difficoltà sia nello spazio politico che in quello, forse addirittura più esemplare, dell’educazione. Dell’oggi Muraro scrive come di una situazione di diffusa perdita, ma anche – in virtù di una concezione più fluida, come si vedrà, rispetto ad Arendt – di diffusa possibilità di risveglio del «senso» dell’autorità. Paragonando epoche storiche distinte non sul metro di un progresso della libertà (concetto sfuggente e per il momento lasciato da parte) ma con quello della forza o debolezza di questo «settimo senso» (p. 52), Muraro può accostare la confusiva perdita di riferimenti nel massimo della subordinazione propria dei cittadini nei regimi totalitari, all’attuale impostazione tecnocratica nella quale l’autorità, a meno che non sia quella impersonale delle «scienze», è trattata da problema superato tanto nella politica che nella pedagogia (campi che si rifugiano, semmai, nell’introduzione di nuove authorities con funzione gestionale). Il compito diventa allora riattivare la riflessione, a partire dalla conoscenza che ciascuno di noi ha dell’autorità e delle sue forme nella propria esperienza. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il libro è strutturato in quattro parti, più un’introduzione e un Congedo che è insieme ingresso nello spazio riservato all’interlocutore («Questo libro che non è un libro»). Ognuna delle parti è aperta da un’immagine, o meglio, da un invito a raffigurarsi, pescando nella memoria e nella fantasia, una o più immagini rappresentative di dimensioni o problemi dell’autorità. Muraro non propone una definizione, il suo stile non è analitico ma narrativo: è come persona ricca di esperienza che parla, mettendo in gioco la propria individualità, anche la propria differenza sessuale offerte apertamente come elementi del discorso a chi lo ascolta. Si rivela qui una sfida alla richiesta di obiettività impersonale propria di un modello scientifico dominante, come alla pretesa «neutralità» imposta alla parola, che non è altro poi che il corrispondente dell’uguaglianza formale sulla quale si vorrebbero misurare le relazioni umane. Prendere la parola invece, ci dice Muraro, significa creare uno spazio sottratto all’uguaglianza formale, uno spazio di differenza e di disparità – ma anche di mediazione – il cui principio, più che quello funzionale della competenza, è proprio l’autorità. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Così facendo Muraro si pone in antitesi rispetto a un senso comune diffuso e tradizionale nella nostra cultura che, malamente identificando autorità e potere, fa della prima il bersaglio di una lotta in nome dei valori di libertà e verità; al contrario, riafferma l’imprescindibilità dell’autorità là dove vi sia creazione, introduzione di possibilità trasformative nell’esistente. Nel farlo si richiama all’etimologia individuata da Benveniste, il quale riconosce l’origine del senso della parola «autorità» non nel verbo latino augere con significato di «aumentare» (come da tradizione), ma nel più arcaico uso di augeo che indica «non il fatto di accrescere ciò che esiste ma l’atto di produrre dal proprio seno». E ancora: «Ogni parola pronunciata con autorità determina un cambiamento nel mondo, crea qualcosa; questa qualità misteriosa è ciò che augeo esprime, il potere che fa spuntare le piante, che dà esistenza a una legge. È provvisto di questa qualità solo colui che è auctor, che promuove […]» (citazione riportata a p. 80). Questa facoltà – che Benveniste attribuisce ai «pochi uomini» che possono vantare la qualifica di autore – Muraro la riconosce come prettamente collegata alla capacità femminile di «mettere al mondo», alla dimensione materna della quale fanno parte non solo il dare la vita nel parto ma anche quelle prime cure indispensabili all’essere di tutto bisognoso che è il lattante, tra cui rientra l’introdurre in un mondo di suoni, segni, significati condiviso. Il compito più grande della madre è il dono della lingua che essa fa all’infante, colui o colei che ne è, nel nome stesso, privo: «imparare a parlare» è anzitutto, per Muraro, non l’acquisizione di una capacità tecnica ma l’ingresso in un ordine simbolico all’interno del quale ciascuno può esprimere ciò che è (e vuol essere), riconoscendo gli altri e venendo da questi a sua volta riconosciuto. La «lingua che abbiamo imparato per prima, ammesso che la consideriamo non un’imposizione arbitraria ma una forza simbolica e una fonte inesauribile di mediazioni» (pp. 42-43) è, secondo l’autrice, la prima esperienza di autorità che tutti facciamo, e anche quella fondamentale su cui modelliamo tutte le successive. Si dà «autorità» là dove vi sia riconoscimento della comune appartenenza ad un ordine all’interno del quale le reciproche posizioni, azioni, possibilità e doveri trovano un senso condiviso. Ciò significa che l’autorità esclude l’esercizio della forza e la costrizione: coincide con un’obbedienza al valore simbolico dell’ordine cui si appartiene.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Significa anche che l’autorità esclude il ricorso ad un fondamento esterno, sia esso pure un’ipotetica norma di Verità, Giustizia o Razionalità: seguendo Montaigne “contro” Galilei e Kant (figure chiave della auto-definizione della modernità occidentale come lotta alle auctoritates) Muraro afferma che il segreto della forza della legge (sia essa dello Stato o regola etica condivisa) è nel suo «nome» di legge, nel valore simbolico che ad essa è tributato. Montaigne parla di «fondamento mistico» dell’autorità proprio nel senso che essa non è fondata su altro da sé ma coincide con la trasformazione che si attua nelle relazioni al momento del suo apparire (pp. 35-36): l’autorità trascende gli elementi del rapporto, non perché si collochi su di un altro piano dell’essere ma perché essa produce ed è la metamorfosi di questi entro un contesto che muta di significato. Essa non è dunque una «cosa» che qualcuno possa possedere, ma consiste della relazione stessa. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ciò conferisce all’autorità un significato politico che la distingue nettamente dagli ordini della forza e del potere: esemplarmente mostrato nel dipinto di Velazquez Las Lanzas (pp. 44 e segg.) l’apparire dell’autorità comporta l’instaurazione di un ordine simbolico nel mondo, la sostituzione del caos muto della violenza con un codice linguistico che dà senso ai gesti e permette di risolvere le controversie su di un piano diverso. Il riconoscimento dell’autorità non ha a che vedere con l’efficacia dell’azione o l’equilibrio delle forze relative: è la trasposizione della conflittualità su di un piano di regole che non annulla le disparità, ma le riqualifica come possibilità di scambio (si potrebbe riflettere sul ruolo che esperienze di ordine simbolico e «sostituzione» quali il gioco e l’illusione possono avere nel nutrire il senso dell’autorità). Là dove non vi sia autorità al più debole non resta che essere schiacciato dalle forze soverchianti. Lo spazio aperto dall’autorità conferisce senso alle regole della vita comune e trasforma un gioco di poteri in competizione in un ordine significativo rispetto al quale ciascuno può comprendere la propria posizione e decidere dell’opportunità dell’obbedienza o della necessità, invece, della ribellione (pp. 59-61). Muraro mostra come, a differenza della guerra contro il potere, che mira alla sua distruzione, la lotta contro l’autorità non può misconoscere il «fondamento mistico» della relazionalità, pena il ricadere nel magma della violenza: possedere il senso dell’autorità significa anche avere la sensibilità di capire come e quando disobbedire senza offendere l’ordine simbolico pur sempre necessario perché anche la propria stessa azione sia significativa e generatrice. L’autorità non è dunque garanzia di giustizia, ma spazio nel quale le istanze di giustizia possono combattere per la propria affermazione: spazio essenziale alla vita pubblica nella quale le donne e gli uomini ricercano, scrive l’autrice, risposta ai bisogni fondamentali che non sono solo di vita e sicurezza, ma anche di significato e valore (p. 59). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">In particolare in questa prospettiva l’autorità rappresenta un’occasione per le donne, storicamente escluse dal potere e dalla determinazione dei codici simbolici dominanti (vengono in mente non solo Antigone, qui citata, ma anche Le tre ghinee di Virginia Woolf), perché essa consente di combattere sul piano stesso dell’ordine simbolico, del suo riconoscimento o della sua negazione in virtù delle istanze sentite come essenziali: sconfitte dal potere le donne possono tuttavia riconoscersi e definirsi «soggette» nel «nome» dell’autorità diversa, sfidante, cui si richiamano. La lingua materna, lingua prima in cui impariamo a parlare, continua a costituire una possibilità pur dopo che si siano appresi i codici, maschili e paterni, di espressione nel mondo comune: il suo ingresso nello spazio della politica – è il caso delle Madres di Plaza de Mayo – crea scandalo e testimonia di un ordine nativo, irriducibile, che permane a contendere all’univocità dell’ordine dominante i registri della comunicazione e del pensiero nella loro integralità (pp. 81-83). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Emerge, in conclusione, una concezione dell’autorità che, opposta a quelle «statiche e monumentali» che ne fanno un portato della tradizione o un monolite modellato «secondo l’ordine simbolico del patriarcato» (p. 91), la vede sorgere al contrario «nel qui e ora di una relazione tra esseri umani, grazie alla potenza mediatrice della lingua che ci mette in relazione attraverso le nostre differenze e disparità nell’atto stesso di darci le parole per significare la nostra esperienza altrimenti muta» (p. 90). Così intesa l’autorità si svela come evento molteplice e transitorio, non struttura unica e univoca, ma colore delle relazioni che esiste in un equilibrio sempre precario. L’autorità è qualcosa di cui aver cura e che vuol essere coltivata per esistere: sua condizione, ci dice Muraro, è una estrema fragilità. E tale fragilità non possiamo che accettarla come parte ineludibile del nostro essere umani: l’autorità è la forza che può creare e tutelare legami sociali liberi da violenza e sopraffazione, carichi di senso; ma d’altra parte è una forza del cui germogliare e crescere non vi è garanzia oltre all’impegno costante di ciascuno dei termini della relazione. La libertà pur non esplicitamente tematizzata corre come un filo teso lungo tutto il libro: pudicamente evocata come la possibilità di «ogni singolo essere umano ad essere quello che è, a monte di ogni opzione morale, etica, religiosa […], accettazione di sé, punto di partenza per essere e scegliere (e in caso fare) di più o di meglio, se lo desidera[…]» (p. 63), rivela la propria fragilità insieme all’inutilità del tentativo di offrirle una protesi nel diritto formale con il suo «senso obbligato della parità» (p. 99). Anziché opposta all’autorità se ne rivela consustanziale, e bisognosa delle medesime attenzioni della ragione e degli affetti, per continuare a costituire uno spiraglio, un’incrinatura e una resistenza negli odierni edifici del potere.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Volume I</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Perché autorità?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Abbasso le Autorità!</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Le Autorità cittadine</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Siamo un cielo in tempesta</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Abbasso le Autorità</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Un autore senza autorità?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il fondamento mistico</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Usi, costumi e leggi</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Pensieri di uomini in crisi</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il punto più difficile</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La vis politica dell’autorità</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Non è il trionfo della bontà</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Potente senza i mezzi del potere</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il settimo senso</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Le gerarchie</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La vis politica dell’autorità</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Anche l’autorità sbaglia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La confusione con il potere</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il grande gioco del linguaggio</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La qualità misteriosa</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nel territorio dell’infanzia</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Dignità e grandezza</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’autorità dal vivo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Maschile femminile neutro</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Congedo</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Per approfondire</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Volume II</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Questo libro che non è un libro</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-13861684092241666352016-05-16T09:00:00.001+02:002016-05-16T10:15:28.734+02:00Carnevali, Barbara, Le apparenze sociali. Una filosofia del prestigio<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Il Mulino, Bologna 2012, pp. 222,
euro 20, ISBN 9788815239495.</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj037RksO6RbK2T99jx-e5hp3lY7-kOgd-FJJydAf2Aqr6xXj9j3-fKgOFD5HV1SXSMUHguID_E2Y_L0JuNb3X-JURFR9D2OWO1v60UfFmsX_OGrrhB_dhg8qzPGfoSF_jJIAyrWAGaLM0/s1600/carnevali.gif" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj037RksO6RbK2T99jx-e5hp3lY7-kOgd-FJJydAf2Aqr6xXj9j3-fKgOFD5HV1SXSMUHguID_E2Y_L0JuNb3X-JURFR9D2OWO1v60UfFmsX_OGrrhB_dhg8qzPGfoSF_jJIAyrWAGaLM0/s200/carnevali.gif" width="126" /></a><span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Recensione di Antonio Allegra – 01/03/2014</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">“Nessuno ha accesso<span> </span>diretto all’interiorità altrui […] nessuno
può darsi agli altri in modo immediato” (p. 1): la tesi espressa nella prima
pagina del libro di Barbara Carnevali ne rappresenta il nucleo. Ma si badi a
non fraintenderlo. Il suo punto decisivo è che l’accesso non è <i>diretto</i> e il darsi non è <i>immediato</i>.</span></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Detto altrimenti, non si
tratta di (ri)proporre una filosofia dell’inesprimibile, dell’interiorità
sepolta, ma proprio al contrario di rivendicare da un lato le ragioni di ciò
che, talvolta ostentato e in certe circostanze accuratamente progettato,
costituisce comunque il solo materiale attraverso cui conosciamo e
interpretiamo gli altri; dall’altro, le ragioni di questo stesso progettare e
calcolare l’effetto sugli altri di ciò che si dice o che si indossa, come
strategie attraverso le quali si sceglie come darsi.</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Da ciò segue necessariamente il <i>leitmotiv</i> polemico del libro. Se le cose
stanno così non ha alcun senso – almeno, alcun senso filosoficamente profondo,
mantenendo al massimo un valore occasionale e puntuale – <span> </span>la diffusa diatriba, di stampo approssimativamente
romantico, in favore del naturale e dell’autentico anche e soprattutto nelle
relazioni umane.<span> </span>Il fenomenismo delle
relazioni umane non “riposa su una perversione del giusto ordine della
comunicazione” (<i>ibidem</i>), ma al
contrario è esattamente la maniera in cui avviene fisiologicamente la
comunicazione; non si tratta di una corruzione di un ordine originario della
trasparenza, perché la trasparenza, semplicemente, è umanamente impossibile.
(Resta la questione della condizione prelapsaria, ove Adamo avrebbe posseduto
un linguaggio in cui <i>res</i> e <i>verba</i> aderivano; ma in ogni caso è
certo, almeno nell’ortodossia cristiana, che tale condizione è naturalmente
inattingibile).</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Insomma, la rete del nostro mondo
sociale è totalmente costruita a partire da apparenze, o se il termine suona a
suo modo brutale, da relazioni sensibili. Esse sono la base tanto delle grandi
costruzioni di senso condiviso, a livello di rappresentazioni ideologiche o di
tendenze storiche, quanto delle relazioni personali e intime, basate in ultima
analisi su quanto (certamente, spesso con buone ragioni) crediamo di sapere e
capire dell’altro. In effetti, ciò non ha alcun significato disfattista
rispetto alla possibilità di ricavare nozioni corrette nel rapporto tra
persone, esattamente nella misura in cui è possibile inferire correttamente, a
partire da una serie di proposizioni, che chi parla con me ha sete, oppure non
crede alla metafisica di Aristotele. Ma appunto si tratta di inferenze a
partire da tracce lasciate apparire, non di impossibili prese dirette con l’interiorità
altrui.</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">E ciò è in più di un senso assolutamente
salutare. La estroversione di sé, costituita dall’ampio apparato di abiti,
mode, frasi, maschere sociali indossate, etc., consente a ciascuno di noi di
avere in ultima analisi uno spazio interiore irriducibile, e alla convivenza sociale
di mantenersi senza che le reciproche autenticità producano conflitti. In fin
dei conti tutto è superficiale, nel senso che le superfici che abbiamo a
disposizione significano e proteggono al tempo stesso. Ovvero: tutto è
interfaccia, in certo modo, perché lo strato delle apparenze esprime una certa
versione dell’interiore e contestualmente lo preserva. Il sistema della moda,
ad esempio, proietta una certa immagine di sé inevitabilmente calcolata e
necessariamente esposta allo sguardo altrui, e al tempo stesso scherma il sé,
sia dallo scrutare altrui che, più prosaicamente, dalle intemperie.</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Non è un caso che Rousseau,
l’autore più avverso a tali prospettive, e che ha avuto un ruolo decisivo nel loro
diventare sostanzialmente inattuali dopo l’epoca d’oro del barocco, esprima
questa sua ostilità come un’ostilità nei confronti delle arti. Tutti questi
fenomeni di proiezione e competizione, di natura intensamente sociale e
impensabili fuori da dinamiche propriamente umane, sono infatti in diretto
contrasto con la sfera del naturale; o meglio, lo attraversano e intersecano in
modo tale da rendere impraticabile ogni polarizzazione semplice e manichea in
favore del naturale stesso. Il naturale umano, come molti hanno osservato, non
può essere pensato prima e sopra di questo costante lavorio delle arti. E la
società è il luogo della mediazione, del compromesso, dell’aggiustamento:
l’alternativa non può esserne che la solitudine dell’io che si pretende nudo di
fronte a se stesso, o la comunità perfettamente organica. Entrambe opzioni che
lasciano più di qualche dubbio sia sul piano della praticabilità, sia su quello
dell’auspicabilità. In qualche modo la stessa nostalgia per il mitico “valore
di scambio” originario, nasconde che proprio il perverso “valore d’uso” è il
valore effettivamente umano (p. 30, con riferimento critico a Debord).</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Tutto ciò, insomma, dovrebbe
contribuire a far intendere che “sono le immagini stesse che ci fanno esistere
altrove” (p. 42), in una normale fisiologia dell’apparire che inerisce al
nostro essere sociale ben prima di qualsiasi alienazione. O, detto più
radicalmente, l’alienazione è una proprietà normale ed inaggirabile delle
immagini prima che una qualificazione morale da combattere, e pertanto è
assurdo rimproverare alle immagini di essere quello che sono. In qualche modo,
ciò ricorda anche l’inanità della pretesa di collocarsi nel mondo senza
giudicare: le persone si sottopongono l’un l’altra costantemente a un complesso
ed interminabile processo di valutazione, interpretazione, e giudizio. </span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Mi sembra molto acuta la
considerazione dell’autrice (p. 74) che la sfera pubblica di stampo habermasiano
o genericamente deliberativo, prima anche di poterlo diventare e anzi proprio
per poterlo diventare, è effettivamente una “dimensione estetica”, una sfera
dell’apparire in cui i soggetti si fanno reciprocamente presenti, proprio e
necessariamente, nell’apparire. Qualunque neutralizzazione si scontra
incessantemente con la propria stessa genesi, che è tutt’altro che neutrale in
quanto non è mai avalutativa. Ogni immagine è “stimata”, ossia carica di stime
sul suo valore, sul suo senso, etc. È lo stesso implicito che accompagna la
nostra esistenza sociale allorché ci interroghiamo sulle “figure” che man mano facciamo.
Talvolta in primo piano e acuto, più spesso solo accennato o in sottofondo, si
tratta comunque di un interrogativo che la dice lunga sulla nostra
consapevolezza di essere “esposti”, di proiettare apparenze che vengono
costantemente interpretate e giudicate.</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">È interessante che quest’analisi
implichi che le società del prestigio non siano affatto tramontate con l’<i>Ancien Régime </i>(ove certo i meccanismi in
questione si squadernano in maniera netta). Sulla scorta di Goffman, uno dei
riferimenti più forti dell’opera, Carnevali mostra come le dinamiche della
presentazione, dell’affermazione e del riconoscimento siano ubique e tutto sommato
piuttosto identificabili, una volta che si impari il loro codice simbolico. Possiamo
aggiungere che questo permette di comprendere la motivazione profonda dell’ostilità
contemporanea a quest’ordine di idee. Il fatto è che la stima e il prestigio
possono come tali distribuirsi solo in un’attività di tipo agonistico e
soprattutto in maniera gerarchica, perché sono concetti comparativi, inutili
senza differenze. Ciò, ripeto, non li fa meno presenti nelle società
democratiche, ma agisce come una nascosta e potente contraddizione performativa
al loro interno. E forse rappresenta il vero punto cieco delle democrazie e il
luogo ove esse trovano la propria antinomia. </span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Al di là di questo, un altro
corollario interessante è la priorità della sfera simbolica, che è ben lungi
dall’essere una dimensione solo sopravveniente su quella materiale. Anche se le
letture di stampo ingenuamente “marxista” sono disusate, la sottovalutazione
dell’estetica in favore della dimensione presuntamente materiale continua a
esercitare un condizionamento pervasivo, e non solo nelle interpretazioni <i>naif</i>. Invece, prendere sul serio la
natura simbolica degli esseri umani comporta che le questioni legate al
riconoscimento, il cui ambito d’azione è totalmente legato alle apparenze,
abbiano un primato decisivo che a ben vedere è confermato da tutto quello che accade
nelle dinamiche politiche e sociali contemporanee.</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Il libro di Barbara Carnevali
offre una meditazione assai intelligente sui temi che ho cercato di riassumere.
A dir vero, ed è un ulteriore pregio, è in realtà uno dei pochi testi ad
analizzarli: il suo sforzo è dunque ancora più meritevole. A mio avviso avrebbe
forse potuto essere composto in maniera più organica: i capitoli, sempre dotati
di osservazioni acute e di spunti culturali variegati, sono piuttosto autonomi,
mentre avrebbero potuto succedersi in maniera più funzionale all’elaborazione e
sviluppo della tesi.</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Indice</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;"> </span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">1. Apparire. La
società come spettacolo</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;"><i>“Vanity Fair”</i></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">2. Oltre la
maschera. Moralisti e romantici</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;"><i>Nostalgia per l’immediato</i></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">3. Figura.
L’immagine sociale</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;"><i>Immagini in esilio</i></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">4. Il gusto
degli altri. Fisiognomica sociale</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;"><i>Impressioni d’atmosfera</i></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">5. La mediazione
estetica e l’illusione romantica</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;"><i>Forma e società</i></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">6. “Sensorium
societatis”. Sfera pubblica e dimensione estetica</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;"><i>Il peso degli sguardi</i></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">7. Esposizione,
mondanità, pubblicità</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;"><i>Il mondano</i></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">8. L’immaterialismo
sociale e il prestigio</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;"><i>Potenza dell’aura</i></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">9. L’estetica
sociale. Un programma filosofico</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;"><i>Intersezioni</i></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">10. Due battesimi
e un divorzio. L’uomo economico e l’uomo estetico</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;"><i>Salvare le apparenze</i></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">11. Estetismo ed
estetizzazione. Patologia e fisiologia del sociale</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;"><i>Contro il valore estetico</i></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">12. “Social
design”</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">13. Il
manierismo snob. Mimesi, moda, bovarismo</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">14. Il fascino
discreto dell’aristocrazia. Proust e il corpo della nobiltà</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">
</span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Indice dei nomi</span></span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-61008389293219441192016-05-13T09:00:00.000+02:002016-05-13T09:00:23.044+02:00Oliveri, Rosanna, Nietzsche profeta della scienza <div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il Prato, Saonara (PD), 2014, pp. 125, euro 15, ISBN 978-88-6336-215-2.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKu6KGr3kX5Po4_VV917cuqm259ufXKVsTEfKMP_qHOZkgGbZLyFMP4YuyszHPTcvsnO0Q84K9HRaJArLDY1sxahmfRZQ5u9ifW1PQpZNWItuePhHGwoZ74_7dQH6pMYsowz4MvtWSE6c/s1600/Nietzsche-276x450.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKu6KGr3kX5Po4_VV917cuqm259ufXKVsTEfKMP_qHOZkgGbZLyFMP4YuyszHPTcvsnO0Q84K9HRaJArLDY1sxahmfRZQ5u9ifW1PQpZNWItuePhHGwoZ74_7dQH6pMYsowz4MvtWSE6c/s200/Nietzsche-276x450.jpg" width="122" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Massimiliano Chiari – 11/03/2016</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">“Solo il dopodomani mi appartiene. C’è chi nasce postumo”. Con queste parole si esprimeva Nietzsche nella Premessa dell’Anticristo (1895), con l’intenzione di annunciare la sua ultima opera profetica, destinata “a pochissime persone”, di cui “forse nessuna di esse esiste ancora”. Che il pensiero filosofico di Nietzsche sia stato profetico in numerose sue componenti, rivolto al futuro, inadatto – avrebbe detto lui stesso – per la comprensibilità della gran parte dei suoi lettori contemporanei, è cosa di cui il filosofo tedesco era perfettamente consapevole,</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"></span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">è cosa nota a chiunque si sia cimentato con le profondità del suo pensiero. Egli quindi ha anticipato molti temi di cui la filosofia, la psicologia, la morale si sarebbero occupate solo dopo la sua morte; ma, oltreché in ambito filosofico, Nietzsche fu profetico anche nella visione scientifica del mondo? O meglio, e prima ancora: Nietzsche ebbe una visione scientifica del mondo? Quali rapporti sviluppò con la scienza del suo tempo? Se ne occupò? E se sì, con quale approccio? Trattasi di domande le cui risposte non sono affatto scontate, nella misura in cui riguardano una delle parti forse meno note del pensiero di Nietzsche e forse uno dei temi, quello della scienza, meno indagati dallo stesso filosofo tedesco. Rosanna Oliveri ha cercato proprio di fare questo: ha indagato il pensiero scientifico di Nietzsche, ha messo in luce le direttrici fondamentali dell’epistemologia nietzscheana, per quanto apparentemente secondaria rispetto all’impianto principale della sua opera, mostrando che non solo Nietzsche si occupò di scienza, che ebbe una visione scientifica del mondo, ma – addirittura – che anche in questo ambito seppe essere profetico, controcorrente, demolitore, dissacratore, anticipando temi – per dirla con le parole dell’Anticristo – postumi al pensiero scientifico dell’epoca.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Sosio Giametta, nella Prefazione al testo della Oliveri, ammette che “varie tesi di Nietzsche sia affermative che negative, anche se formulate dal punto di vista filosofico, che è il solo che gli compete e gli interessa, coincidono con le tesi della scienza, della fisica in particolare, non solo dei suoi tempi, ma, alcune, anche dei nostri” (p. 5). È a tutti nota la dirompente affermazione di Nietzsche secondo la quale non esistono fatti, ma solo interpretazioni di fatti; ebbene, bastano alcuni risultati della moderna scienza quantistica, come – mi vien da dire – il principio di indeterminazione di Heisenberg, “per assodare che sotto quello che chiamiamo un fatto, ci sono movimenti e leggi talmente complessi e sconosciuti, che fanno sì che il fatto sia solo una configurazione antropomorfica dell’accadimento” (p. 7).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La grande visione scientifica con la quale Nietzsche si scontrò fu quella meccanicistica che raggiunse il suo apogeo con la fisica di Newton. Si dava per scontato in quegli anni – ma è questo un pregiudizio ancora fortemente radicato nel senso comune contemporaneo – che esista “una regolarità dei fenomeni tale da potersi riassumere comodamente in una legge generale” (p. 14). Tale visione, con la quale “cerchiamo disperatamente di comprendere il mondo per poterlo dominare” (ivi), nasconde per Nietzsche una sorta di “teologia mascherata” (p. 15). Ricorda Nietzsche, in un frammento postumo del periodo 1887-1888, che “Dal fatto che qualcosa segua regolarmente e in maniera calcolabile, non risulta che esso segua necessariamente” (p. 14); ed ancora, ne La Gaia scienza, ciò sia detto “per gli orecchi e per la coscienza dei signori meccanicisti che oggi si intrufolano volentieri tra i filosofi […]. Un mondo essenzialmente meccanico sarebbe un mondo essenzialmente privo di senso” (p. 21). La fisica quantistica, come dicevamo sopra, darà perfettamente ragione a Nietzsche. Rosanna Oliveri mostra, attraverso l’analisi di alcuni importanti passi delle opere di Nietzsche, come il filosofo tedesco pervenga filosoficamente a questa conclusione, secondo la quale “Credere che l’Essere sia catalogabile attraverso delle categorie è l’espressione della volontà di potenza che vuole appunto dominare l’Essere e cerca di incamerarlo nei propri schemi. Il pregiudizio vero è credere che un mondo ordinato sia più vero e credibile di uno in cui regna il caos” (p. 30). La Oliveri ricorda anche che sarà Hans Kleinpeter, uno dei principali divulgatori del pensiero di Ernst Mach, a mostrare “una certa affinità tra le teorie scientifiche del fisico austriaco e le tesi filosofiche nietzscheane” (p. 35), sempre in chiave antimeccanicistica.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Rispetto al darwinismo, Nietzsche assunse un atteggiamento favorevole, ma nello stesso tempo critico, tutt’altro che banale: se da un lato la Oliveri ricorda il “pezzo dello Zarathustra in cui il profeta protagonista spiega che l’uomo è per l’oltreuomo ciò che la scimmia è per l’uomo, e così come la scimmia è stata superata dall’uomo, anche quest’ultimo deve essere superato” (p. 39), dall’altro l’Autrice non manca di sottolineare la critica che Nietzsche rivolge a Darwin in base alla quale il naturalista britannico avrebbe “sopravvalutato l’istinto di sopravvivenza, come fosse l’unico che ci guida, quando in realtà esso è solo un aspetto della volontà di potenza che assume anche altri aspetti, come la volontà di dominio, che in alcuni casi prende il sopravvento anche sulla volontà di conservare la vita” (p. 46). La biologia fu proprio uno dei campi principali in cui Nietzsche trovò riscontro scientifico ad alcune delle sue teorie filosofiche; ad esempio, i temi della dissoluzione del soggetto e del concetto di coscienza, tanto cari al filosofo tedesco, trovarono aperto sostegno nella nuova teoria molecolare dello scienziato Rudolf Virchow, secondo il quale “il concetto di coscienza, la credenza che esista un’unità a cui fare riferimento per indicare un soggetto, altro non è che una mera illusione” (p. 50). Virchow giunse a questa conclusione a seguito di approfonditi studi sulla natura delle cellule e delle molecole, studi che, in un certo senso, contribuirono a demolire alcune credenze filosofiche consolidate, come appunto l’idea dell’unità dell’io e della coscienza. Non sarà difficile a questo punto, per Nietzsche (anche se il filosofo vi era già giunto per altra via), sostenere che le “forme della conoscenza non sono affatto trascendentali, ma pienamente organiche e corporee” (p. 59), oppure irridere Kant affermando che “la cosa in sé è degna di un’omerica risata” (p. 62).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Sappiamo quanto Nietzsche sia stato influenzato dal pensiero di Eraclito nell’elaborare una visione dell’universo caratterizzata dall’eterno divenire e dall’assenza di finalità, cioè dal caos; ebbene questa visione trovò per il filosofo tedesco un saldo sostegno nell’opera dello scienziato polacco R. G. Boscovich il quale, nella sua Philosophia naturalis, descrisse “il mondo come un complesso di forze in continua iterazione tra loro, in un divenire insistente; non ci sono atomi, ma centri di forza, intesi come energia, un’interazione di forze che agiscono l’una sull’altra variando la propria intensità in base alla distanza che le separa” (p. 70). L’idea boscovichiana di forza e dell’interazione afinalistica tra forze, rappresenta certamente una sorta di conferma del divenire nietzcheano, il quale così si esprime nell’aforisma 109 de La gaia scienza: “Il carattere complessivo del mondo è invece caos per tutta l’eternità, non nel senso di un difetto di necessità, ma di un difetto di ordine, articolazione, forma, bellezza, sapienza e di tutto quanto sia espressione delle nostre estetiche nature umane” (p. 77).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Per chiudere, la Oliveri sottolinea che “se Nietzsche avesse avuto modo di confrontarsi con la [teoria fisica] quantistica, ne avrebbe apprezzato il valore” (p. 95); sarà proprio la fisica dei nostri giorni a dare ragione al filosofo tedesco riguardo alla sua visione filosofica di un universo caotico, in continuo divenire, indeterminabile per definizione. La teoria dei quanti ci ha mostrato che possiamo attingere solo a “interpretazioni della natura”, non a “descrizioni fedeli. Le pretese assolutistiche della fisica classica non ci sono più” (p. 100). Lo scienziato E. SchrÖdinger, premio Nobel per la fisica nel 1933, in una conferenza del 1952, dirà: “Abbiamo detto che un corpuscolo non ha individualità. In realtà non si osserva mai la stessa particella una seconda volta, proprio come Eraclito diceva del fiume” (p. 101). Insomma, sembra proprio confermata la tesi della Oliveri secondo la quale “Nietzsche, grazie al suo amore per la conoscenza e alla sua intelligenza, ha saputo leggere tra le righe ciò che stava avvenendo nella scienza, anticipando di molto il paradigma della scienza contemporanea stessa” (p. 121).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Prefazione di Sossio Giametta</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Una visione anti-meccanicistica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nietzsche e Mach</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">A favore di Darwin / contro Darwin</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Biologia e volontà di potenza</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Auto-regolazione e auto-organizzazione in Nietzsche</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Eliminazione dello spirito di gravità: la relatività</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La rivoluzione della fisica quantistica</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Caos e auto-organizzazione in natura</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Conclusione</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Biografia</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1119587899155313750.post-88534803212441205862016-05-09T09:00:00.000+02:002016-05-09T09:04:35.324+02:00Petrilli, Raffaella (a cura di), La lingua politica. Lessico e strutture argomentative<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Carocci, Roma 2015, pp. 190, euro 20, ISBN 9788843075386</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0FiBGywyaQ5nEdLDujxyZzTtscRAXxJLvMAGQwyO58khaKri9Lr99cqPuLbOfBp6uHxEZiPy5hiVK_la5qNhEauDYCFS0bWZfHUrJNfHS6RGykbBysdRDugZy77cS0bKs0ABB5maOqng/s1600/9788843075386.gif" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0FiBGywyaQ5nEdLDujxyZzTtscRAXxJLvMAGQwyO58khaKri9Lr99cqPuLbOfBp6uHxEZiPy5hiVK_la5qNhEauDYCFS0bWZfHUrJNfHS6RGykbBysdRDugZy77cS0bKs0ABB5maOqng/s200/9788843075386.gif" width="136" /></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Recensione di Denise Celentano - 20/11/2015</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Pensato più per un pubblico di linguisti che di filosofi, il volume intende proporre una definizione soddisfacente della lingua politica. I cinque capitoli gettano luce su aspetti diversi della questione attraverso analisi linguistiche su blog, quotidiani nazionali e discorsi di politici (nella fattispecie, di Grillo e Renzi). Più che ambire a una trattazione di ampio respiro, il libro dispiega una concettualizzazione iniziale affiancata da una quantità di esempi nei capitoli successivi, dando priorità agli aspetti lessicali. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"></span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La consapevolezza di fondo è che sulla lingua politica pesi una sorta di «ipoteca negativa» (p. 16), come testimonia la nozione di “politichese” cui spesso viene assimilata, contenente un chiaro giudizio di valore tendente a delegittimarla. La curatrice del volume nonché autrice del primo capitolo avverte che tale «ipoteca» si riverbera anche sulla letteratura semiologica e linguistica, la quale faticherebbe a articolare una definizione in positivo della lingua politica. A rendere difficile l’operazione è il territorio di confine in cui quest’ultima sembra collocarsi. Infatti, da un lato la lingua politica non sembra attingere a un serbatoio linguistico tecnico-specialistico, apparendo assimilabile alla lingua ordinaria, dall’altro, tale ordinarietà con la quale tende a confondersi non rende giustizia alla sua specificità: «una parola è “tecnica” quando ha un significato rigorosamente determinato e univoco e circola in ambienti ristretti […]. Al contrario, le parole della politica (da democrazia a costituzione, da parlamento a minoranza) appaiono piuttosto comuni» (p. 17). Al proposito, il testo è corredato da un ricco lemmario finale che specifica le occorrenze ordinarie e quelle tecniche della lingua politica. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’espressione “politichese” estende l’«ipoteca negativa» al piano dell’incomprensibilità. Generalmente, infatti, si tende a rappresentare la lingua politica come inutilmente complicata e volutamente oscura. Petrilli rievoca al proposito le invettive di Pasolini contro la lingua usata dai politici – «la loro lingua è la lingua della menzogna» (P. P. Pasolini, Lettere luterane, Einaudi, Torino 1976, p. 29, cit. in Petrilli, p. 21) – nell’ambito di un giudizio che sovrappone una valutazione linguistica a una valutazione etica. Eppure, rispetto agli anni Settanta di Pasolini, la lingua politica è cambiata: essa non ostenta più un linguaggio volutamente elevato e certo involuto; piuttosto, tende a semplificarsi per imitare la lingua degli elettori (cfr. p. 22), benché il distacco dalla lingua di tutti i giorni rimanga tangibile, come testimonia il frequente ricorso ai termini dell’economia e della finanza (debito pubblico, inflazione, deregulation, ecc). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’obiettivo di Petrilli è, allora, quello di dare forma a una definizione generale positiva del linguaggio politico che distingua accuratamente il piano linguistico da quello etico, senza appiattire la prospettiva al mero livello empirico. A tal fine, occorre individuare «sul piano degli aspetti pragmatici e argomentativi» (p. 24) un tratto comune alle manifestazioni empiriche del discorso politico. Sono due, in particolare, le «condizioni unificanti» individuate. La prima, indicata come condizione esterna, riguarda il contesto di riferimento politico-istituzionale. Esso pone dei chiari «vincoli referenziali» al discorso politico, che lo ancorano a una specifica terminologia. La seconda, indicata come condizione interna, riguarda la funzione di ogni discorso politico, la quale coinciderebbe con la persuasione. Secondo Petrilli, la caratteristica distintiva della persuasione politica rispetto alle altre forme di persuasione consisterebbe nella rinegoziazione continua del significato tecnico dei termini utilizzati (cfr. p. 26): vale dire che essa considera i confini semantici di tali termini come indeterminatamente suscettibili di rimodulazione. Secondo questa prospettiva, l’oscurità del discorso politico – l’essere “politichese” del discorso politico – non va ascritta al suo linguaggio tecnico, ma al «fatto che quel vocabolario tecnico è trattato come se fosse in uno stato perennemente inaugurale» (p. 27). Parole come “democrazia” o “parlamento”, in questa prospettiva, tenderebbero ad assumere significati diversi a seconda dell’interesse delle parti: «E' sul confine semantico dei termini che si esercitano le diverse proposte politiche su temi di interesse collettivo ed è dal tipo di lavoro argomentativo che ne deriva […] che il dibattito politico ricava la sua caratteristica e tanto vituperata oscurità» (ibd.). La cifra distintiva della persuasione politica consisterebbe dunque nel ricorso a una serie di strategie argomentative intese a sfruttare la vaghezza semantica delle parole. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il testo, corredato da molti esempi, giunge a mostrare che il problema iniziale, ovvero la difficoltà di inscrivere il linguaggio politico fra le lingue tecnico-specialistiche tout court, trova una spiegazione in questa vocazione della lingua politica all’alterazione semantica dei termini. In breve, se la lingua politica è specialistica nella misura in cui possiede un lessico tecnico, d’altra parte «l’uso politico di quel lessico», consistente nella persuasione, «richiede che i parlanti politici siano autorizzati a mettere continuamente in dubbio i significati assodati dei termini tecnico-politici» (p. 44). Di qui la parvenza di oscurità.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il volume prosegue con un’analisi delle occorrenze lessicali del linguaggio politico in diversi contesti (blog e editoriali di importanti quotidiani nazionali) ricca di esempi. Il testo si conclude con un’analisi lessicale dei discorsi di Renzi e Grillo. Prevedibilmente, il lessico di quest’ultimo è ricco di termini tratti dal campo semantico dell’economia (lavoro, soldi, euro) e di lemmi che rafforzano il legame fra oratore e pubblico (persone, gente, movimento, cittadini), mentre quello di Renzi tende ad arricchirsi di parole istituzionali (Italia, Paese, italiani, storia, Governo) e di riferimenti alle formazioni politiche, non senza attingere a un gergo sportivo (vincere, squadra, perdere, giochiamo). Nonostante le specificità lessicali dei due, l’analisi conferma la tendenza degli ultimi decenni alla semplificazione del linguaggio politico, già indicata da Petrilli nelle prime pagine. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nel complesso, a dispetto del sottotitolo, l’attenzione del libro per la lingua politica appare sbilanciata sul versante del lessico piuttosto che su quello argomentativo. Benché il tema sia di sicuro interesse e non manchino spunti cruciali, il testo sembra difettare di una visione d’insieme, di una prospettiva di ampio respiro che gli consenta di non esaurirsi nello snocciolamento di dati ed esempi corredato da brevi interpretazioni finali, relegando di fatto la parte teorico-concettuale al solo primo capitolo. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Premessa</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">1. Lessico e pragmatica del linguaggio politico</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La ricerca sul linguaggio politico/Una lingua ordinaria?/Una lingua oscura/Una definizione per il linguaggio politico/Alcuni esempi/Il lessico politico/Negoziare il significato/Usi virtuosi o negativi della negoziazione dei termini</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">2. Il vocabolario della politica contemporanea</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Una ricognizione e alcune considerazioni preliminari/La costituzione del lemmario: fonti e criteri di selezione/La lemmatizzazione/Attestazioni e confronti: l’applicazione a un corpus</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3. La lingua politica dei blog</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il metodo della ricerca/L’incidenza percentuale del lessico politico/Gli usi del lessico politico/Il linguaggio peculiare delcorpus/Interpretazione dei dati</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">4. La lingua politica dei quotidiani online</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il metodo della ricerca/L’incidenza percentuale del lessico politico/Gli usi del lessico politico/Il linguaggio peculiare delcorpus/Interpretazione dei dati</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">5. La lingua della “nuova politica”. Beppe Grillo e Matteo Renzi a confronto</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Premessa/Metodi e strumenti di analisi/Il vocabolario di Beppe Grillo/Il vocabolario di Matteo Renzi/Conclusioni</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Appendice. Lemmario politico</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Bibliografia</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Indice dei nomi</span></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Gli autori</span></div>
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