lunedì 17 marzo 2014

Butler, Judith, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità

Trad. it. di Sergia Adamo, Roma-Bari, Laterza, 2013, pp. 220, euro 22, ISBN 978-88-581-0676-1. 
(Ed. or.: Gender Trouble. Feminism and the Subversion of Identity, Routledge, 1999). 

Recensione di Debora Nucci - 10/02/2014

Questione di genere è il libro con cui la filosofa americana e femminista Judith Butler propone una nuova modalità di pensiero del genere, della sessualità, del corpo e del linguaggio. Già nel titolo si coglie l’intenzione di Butler di irritare e disturbare gli animi alla lettura di questo libro, presentando come illusorio ciò che fino a questo momento consideravamo reale e naturale. La stesura del testo risponde a svariati scopi, a partire dal rovesciamento della categoria dell’abietto e quindi una legittimazione

delle pratiche minoritarie, escluse da ciò che viene definita la norma dominante, la matrice eterosessuale. Per sostenere le sue argomentazioni, Butler si rifà alla French Theory, soffermandosi particolarmente sulle posizioni di Michel Foucault, Jacques Lacan, Julia Kristeva, Claude Levi-Strauss, Simone de Beauvoir, Luce Irigaray, Monique Wittig.
L’autrice sostiene che il genere ha prodotto una sessualità normativa e tale normatività viene interiorizzata come aspetto naturale. Per demolire la “costruzione” di tale normalità Butler propone di destabilizzare quelle categorie dell’identità naturalizzate dal sistema binario, uomo/donna. Con la tesi della performatività del genere mostra come, attraverso atti ripetuti costantemente, ciò che consideravamo essenza interiore del genere venga esteriorizzata e marcata sul corpo, attraverso gesti ormai “naturalizzati”. Il genere insomma, performativo, costituisce l’identità che è supposto essere, funge cioè da marcatura. Nell’affermare che il genere è costruito culturalmente suggerisce un certo determinismo dei suoi significati iscritti sui corpi, laddove tali corpi sono intesi come destinatari passivi di una legge culturale inesorabile. Così il genere finisce per apparire fisso e determinato e il corpo come un medium passivo ( p. 15) marchiato dal genere.
La sessualità che viene considerata culturalmente costruita all’interno di relazioni di potere, non lascia spazio all’ipotesi di una sessualità normativa all’infuori di queste. Ecco che Butler si concentra a ripensare le possibilità sovversive che si aprono per la sessualità e l’identità entro i termini stessi del potere (p. 47). Il suo tentativo di denaturalizzare il genere nasce dalla “radicata” assunzione dell’eterosessualità come presupposto naturale e norma obbligatoria su cui costruire l’identità e la sessualità. Giunge così alla sua tesi, ripresa da Foucault, che il sesso non è una causa originaria, per cui vale la regola nel dire che se si è di un sesso non lo si è di un altro, ma va inteso come effetto di un processo storico in cui l’identità si costruisce.
Il potere eterosessista, basandosi sulla ripetizione costante della sua logica (chiamata, infatti, performatività), suggerisce che tale ripetizione possa persistere, quale riproduzione culturale dell’identità; così il genere rimane essere una serie di atti ripetuti che si svolgono nel tempo per produrre l’apparenza di una sostanza, o meglio l’illusione di un certo essere naturale. Butler si chiede perciò quale ripetizione sovversiva potrebbe mettere in questione la pratica che regolamenta l’identità stessa. Per l’autrice una risposta può essere indicata dalla celebre frase di Simone de Beauvoir, contenuta ne Il secondo Sesso: Donna non si nasce, ma lo si diventa, in cui “donna” sta ad indicare un termine in progress, un divenire e un costruire continuo e che, in quanto pratica discorsiva, sempre in corso, è aperta all’intervento e alla ri-significazione. 
Per poter andare a fondo alla questione di come il genere sia stato costruito, Butler ricorre allo sguardo strutturalista di Levi-Strauss e alle prospettive psicoanalitiche di Freud e Lacan, con cui dimostra il passaggio da una sessualità libera ad una realizzazione artificiosa di eterosessualità. Utilizza l’antropologia di Levi-Strauss per spiegare come la dicotomia natura/cultura abbia influenzato nella determinazione dei ruoli sociali uomo/donna: così come la cultura impone un significato alla natura e la trasforma in Altro per appropriarsene, successivamente, la natura viene identificata nel sesso femminile e perciò subordinata alla cultura, associata al sesso maschile. Nel sistema di parentela di Levi Strauss è l’istituzione del matrimonio che consolida e lega i diversi clan nel sistema esogamico. La donna perciò non viene considerata come identità, ma come oggetto di scambio. Tutto questo perché alla base del sistema vi è una legge che proibisce l’incesto, e quindi anche l’omosessualità, permettendo l’allargamento familiare. Segue un’analisi del discorso di Lacan che verte sull’essere e l’avere il fallo. Egli parla di “mascherata”, ovvero il sembrare di avere, che funge da protezione e da mascheramento della mancanza. In Lacan, la maschera è incorporazione della melanconia, ovvero l’assunzione di attributi di un oggetto/Altro perduto. Tanto che Freud basa la formazione dell’io e del carattere proprio sul meccanismo della melanconia: la perdita dell’altro viene superata attraverso un atto di identificazione, acquisendo una vera e propria identità. Nel tabù dell’incesto il divieto gioca un ruolo fondamentale per l’identificazione: la perdita dell’oggetto amato è dettato dal divieto, e tale perdita viene colmata dal meccanismo della melanconia.
L’identificazione del genere, perciò, è un certo tipo di melanconia, in cui il sesso dell’oggetto proibito viene interiorizzato come divieto. Questo divieto regola l’identità di genere: se la risposta malinconica alla perdita dell’oggetto dello stesso sesso consiste nell’incorporare e anche diventare quell’oggetto, allora l’identità di genere non è altro che l’interiorizzazione di un divieto, che si rivela come ciò che dà forma all’identità. Seguendo la favola edipica si può vedere come si possa creare un legame omosessuale che va man mano rimosso. Omosessualità e bisessualità, considerate due predisposizioni libidiche primarie, non sono qualcosa di esterno alla nostra cultura, anzi ne fanno parte ma con l’unica differenza che vengono collocate nella “zona invivibile e inabitabile della vita sociale”, come Butler descriverà successivamente nel suo libro Corpi che contano, perdendo così ogni rilevanza all’interno della cultura dominante. Pertanto l’eterosessualità non è altro che la graduale costruzione basata sulla rimozione della bisessualità e dell’omosessualità. 
Una volta che Butler realizza che il sesso non è altro che una significazione attuata in modo performativo, passa alla considerazione del corpo non come superficie che attende la significazione ma come serie di confini, individuali e sociali, capace di sovvertire i significati del genere. I corpi, i ruoli sessuali e le differenze consistono in atti e gesti ripetuti e nel ripeterli ed assorbirli noi stessi veniamo da essi prodotti, “performati”. In questo contesto però i modelli “naturali” e “normali” di sessualità possono venire contestati da strategie di travestimento e di parodia. Butler menziona la performance del drag, presentando la doppia illusione interno/esterno che Esther Newton descrive nel suo libro Mother Camp: Female Impersonators in America (Chicago, 1972): l’aspetto esteriore è femminile, mentre l’essenza interiore, (il corpo) è maschile; allo stesso tempo è simbolo dell’inversione opposta: l’aspetto esteriore, (il corpo) è maschile, ma l’essenza interiore, (il mio sé) è al femminile. Il drag ci dice che l’apparenza è illusione e allo stesso tempo, nell’imitare il genere, rivela la struttura imitativa del genere stesso. Si approda all’ultima battuta della trattazione in cui si afferma che il genere non sia altro che un’imitazione senza un’origine.
Per quanto Questione di genere sia un testo che fa parte del femminismo, rappresenta allo stesso tempo una sovversione dello stesso: la critica, che Butler rivolge al femminismo, consiste nel fatto che la differenza sessuale non è un dato, né premessa né fondamento su cui costruire una teoria femminista; il suo errore più grande sta nel considerare il genere un’identità stabile e non un’identità costruita debolmente nel tempo attraverso atti ripetuti. È questo il concetto su cui Butler vuole far leva per un primo passo verso il cambiamento: una ripetizione sovversiva che distrugga ciò di cui le identità si sono alimentate finora. La soluzione quindi non va trovata esternamente al problema o in contrapposizione al problema, ma all’interno della discussione stessa. 
Rimane però in sospeso cosa e quali strategie siano necessarie per denaturalizzare il genere. Butler ha sicuramente fornito un vasto supporto al suo pensiero e non solo grazie alla letteratura femminista, ma anche grazie alle sue intuizioni e alla sua esperienza diretta. Con questo libro ha colto nel segno conquistando un pubblico vasto, grazie soprattutto alla sua scrittura che sconvolge radicalmente la persona e cattura la sua attenzione, nonostante l’argomento sia di per sé complesso. Nel suo intento di voler ri-concettualizzare l’identità come effetto, cioè come prodotto di una cultura, apre la possibilità a considerare le categorie dell’identità non come fisse né fondative, ma come un processo e un atto che non si conclude mai. Sicuramente, all’interno del testo, i temi e gli argomenti che Butler ha presentato non sembrano venir totalmente chiariti dall’autrice, lasciando quindi al lettore la curiosità e l’amaro in bocca; ma d’altro canto il suo “non voler mai concludere” un pensiero rappresenta anche quell’essere in continua “costruzione” e aperto alle possibilità che sembra essere il punto nodale dell’identità secondo il pensiero butleriano. 


Indice

Prefazione all’edizione 1999
Prefazione all’edizione 1990
1. Soggetti di sesso/genere/desiderio
I. Le «donne» come soggetto del femminismo, p. 3 – II. L’ordine obbligatorio di sesso/genere/desiderio, p. 11 – III. Il genere: le rovine circolari del dibattito contemporaneo, p. 13 – IV. Teorizzare il binario, l’unitario e oltre, p. 21 – V. identità, sesso e metafisica della sostanza, p. 26 – VI. Il linguaggio, il potere e le strategie della dislocazione, p. 39.
2. Il divieto, la psicoanalisi e la produzione della matrice eterosessuale 
I. Lo scambio critico dello strutturalismo, p. 57 – II. Lacan, Rivière e le strategie della mascherata, p. 64 – III. Freud e la melanconia del genere, p. 84 – IV. La complessità del genere e i limiti dell’identificazione, p. 96 – V. riformulare il divieto come potere, p.105.
3. Atti sovversivi del corpo
I. La politica del corpo di Julia Kristeva, p. 115 – II. Foucault, Herculine e la politica della discontinuità sessuale, p. 134 – III. Monique Wittig: la disintegrazione del corpo e il sesso fittizio, p. 157 – IV. Iscrizioni corporee, sovversioni performative, p. 182.
Conclusione: dalla parodia alla politica
Indice analitico

2 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Gli argomenti trattati dalla J. Butler avendo interesse criminologico perché tematizzano concezioni culturali che sono ambigue intrinsecamente nei confronti dei rispetti reciproci dei sessi e tra i sessi, dunque avrebbero meritato e meriterebbero una considerazione o riconsiderazione in linguaggio non confusivo. Invece tal Debora Nucci ha posto un "noi" che non significando nulla di accettabilmente ambiguo resta ambiguo ed inaccettabile! Inoltre ella ha proceduto emotivamente e dispoticamente senza tener conto della varietà possibile dei lettori e lamentato dispiaceri in evidente non obiettività psicologica.

La critica della recensione pecca non solo di intolleranza cioè autoreferenzialità ma anche di contraddizione filosoficamente non irrilevante tra pensiero essenziale e intuizione dell'esistere. Infatti avrebbe senso, imbattendosi in appello a distruggere concetti obsoleti ed idea fissa, a notare o far notare che la distruzione non deve coinvolgere i saperi essenziali se ve ne sono; e se vi fossero intenti distruttivi indebiti se ne dovrebbe dare nozione storicamente anche non solo culturalmente cioè senza dogmatiche affermazioni di tradizioni di cose risapute ed ipocritamente travestite da sapute una volta per tutte: infatti la evoluzione intellettuale è naturalmente sottoposta alla evoluzione sentimentale e altro esistere non v'è ed in questo riferire non c'è da contraddire semmai ci potrebbe essere da obiettare inutilità di riferire; e questa possibile obiezione per esser tale non negazione soltanto deve allora far uso di contestualizzazioni, che sono possibili solo se fondate sulla non arbitrarietà politica oppure sulla imparzialità apolitica od impolitica, perché la armonia tra i sessi è una esigenza naturale che determina bisogni etnici, culturali, anche sociali e pure civili, non viceversa.

Chi senza necessità di ricostruire un pensiero essenziale non ha molto o niente da ottenere dalla critica ad uno essenzialismo, tranne che non sia per interesse altrui, allora chi non specifica la soggettività del rifiuto, per giunta nell'interessamento per il pensiero rifiutato, evidentemente non solo non ha saputo obiettare, non ha potuto neanche. Allora dato che le leggi umane si interessano di tutelare la armonia tra i sessi e dei sessi, tale non aver saputo né potuto della intenzione recensoria è rifiuto antipolitico; ma essendo la politica (anche) un ricorso naturale per la armonia sessuale, allora tal rifiuto antipolitico è aggressivo; e dato che si applica a realtà vitali in parte comuni occidentali ed in minima parte non escluse dalla globalità, va identificato quale rifiuto della vita comune occidentale ed esclusione dalla vitalità dei contatti istituita globalmente anche sessualmente; ma questo rifiuto si attua in forma di disconoscimento non di autoabbandono e per questo per accettato che sia da chicchessia resta non solo criticabile ma da criticare.
...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE: ...

Quel che si nota quindi è il registro semantico ridotto della recensione, che si attua peraltro implicitamente ed osticamente entro moduli sociologicamente rilevanti e socialmente significanti ma non psicologicamente congrui né psichicamente consistenti; inautenticità cioè che rende le stesse ridotte e insufficienti ragioni sociali della recensione anche inadeguate. Inoltre è presente, in stesso pensiero recensivo, un patos inevitabilmente privo di logica contrapposto a ragioni di convivenza umana, tra i sessi e dei sessi. La fuga dalla patologia lamentata, rimproverata eticamente, clinicamente da psicologi, psicoanalisti, terapeuti (anche a chi altro in ruolo di medico ma in intolleranza o invadenza paralizzando ogni medicina), dipende da un moralismo che accomuna sfavorevolezze e favorevolezze e giudica insano il patos senza operare distinzioni necessarie per stessa sanità ed approdando ad autismo e solipsismo operativi cioè optando per le violenze delle costrizioni, segregazioni, narcotizzazioni, amputazioni, asportazioni; o la stessa fuga può essere un atto semplice di odio, che nel caso della recensione che sto criticando è odio contro Occidente e Villaggio Globale, non connotandosi quale aggressione emotiva ma quale rifiuto emotivo, certo questo di nessun aiuto per la difesa da medesima aggressione.

Di fatto questo della Nucci è un lavoro di recensione a metà oltre che un errore, uno dei tanti segni negativi dei tempi, ma questi segni sono allarmanti, infatti quandanche fossero espressioni momentanee o quasi casuali oppure inconsapevoli indicano un disastro in un aspetto non appariscente ma non trascurabile.
(Non mi sono appellato all'autrice della recensione.)

MAURO PASTORE