lunedì 6 giugno 2016

Arendt, Hannah, Socrate

A cura di Ilaria Possenti, con saggi critici di Adriana Cavarero e Simona Forti, Milano, Raffaello Cortina, 2015, pp. 123, euro 11, ISBN 978-88-6030-759-0.

Recensione di Francesco Tampoia - 14/02/2016

Nell’Introduzione all’agile volumetto, Ilaria Possenti fa riferimento a una lettera, indirizzata da Hannah Arendt a Karl Jaspers il primo luglio 1956, in cui Arendt datava l’inizio del conflitto tra filosofia e politica nella tradizione occidentale con il processo a Socrate. Dalla condanna di Socrate il giudizio di Platone sorretto da due fondamentali convinzioni: “che la politica, così come Atene l’aveva intesa, fosse una pericolosa fonte di ingiustizia; che i criteri per porre rimedio all’ingiustizia


dovessero essere trovati altrove, al di fuori e al disopra della polis. Per queste ragioni Platone avrebbe cercato di ‘applicare alla politica’ la sua teoria filosofica, la dottrina delle idee, conferendo un valore normativo all’idea o essenza eterna del vero, del bene, del giusto” (p. 9).
 Riprendendo le riflessioni filosofiche della Arendt degli stessi anni cinquanta sul fenomeno politico e sulla degenerazione del potere (politico), Possenti aggiunge che nella nostra epoca “aperta allo smantellamento della metafisica la posizione socratica sembra allora riemergere, nella narrazione, come un’alternativa rimossa ma in qualche modo sopravvissuta a una tradizione filosofica ormai esaurita” (p.15).
Al processo, in propria difesa Socrate – scrive Arendt - ha giurato di aver “sempre agito nell’interesse della città” (p. 26); ma agli occhi di Platone e di altri ateniesi non è stato capace di persuadere i giudici; la sua capacità persuasiva, la sua peithein, non ha avuto successo. La tesi harendtiana di fondo va ben oltre: Socrate con il suo operato ha cercato di oltrepassare il confine tra politica e filosofia, tra polis e sophos.
In Atene la vita pubblica vissuta secondo doxa consisteva nel mostrarsi ad altri; era intesa come una vita più bella e affascinante di quella privata; nessuna doxa  era praticata nella vita privata. Eppure dentro la doxa è la verità: “Anche se non del tutto veritiera, per Socrate la doxa con il suo opinare porta sempre a qualcosa, istituisce un dialogo, un contesto intersoggettivo, un clima di amicizia” (p. 38). E nell’amicizia, nella philia, si realizza la vera uguaglianza tra i cittadini, partner  uguali in un mondo comune. 
Platone, invece, non si fida della doxa; è per l’adozione di altri criteri, è il primo “a usare le idee per scopi politici, cioè per introdurre criteri assoluti nella sfera degli affari umani, dove, senza criteri trascendenti di questo tipo, tutto resta relativo ” (p. 27). Crede, ad ogni modo, che il filosofo, pur essendo per sua natura orientato verso cose eterne, possa esercitarsi in ed esercitare la politica. 
La parte più originale del testo della Arendt, tuttavia, è la scoperta del ‘due in uno’, che s’inizia con l'interpretazione del conosci te stesso: “Soltanto se conosco quel che appare a me e solo a me, e che resta quindi legato alla mia esistenza concreta, posso comprendere la verità”(p.40). Una verità (assoluta), uguale a tutti gli uomini, non può esserci; quello che conta per gli uomini “ è rendere veritiera la doxa, vedere la verità in ogni doxa e discorrere in modo che la verità di uno, della sua opinione si riveli a lui stesso e agli altri”(ivi). La garanzia, il primo passo dell’uomo risiede nell’essere d’accordo con se stesso, pensare e parlare con se stesso, come se fosse due. Con Socrate, aggiunge Arendt, è rivalutato lo stare un po' da soli con se stessi: “Un essere umano non può mantenere intatta la propria coscienza se non può mettere in atto il dialogo con se stesso, cioè se perde la possibilità della solitudine, che è necessaria per ogni forma di pensiero” (p.47). Del resto, non era stato Socrate ad ammettere che non possedeva alcuna verità? Alcuna conoscenza certa? Il richiamo di Socrate al soggetto, vuole essere il richiamo all’indipendenza della filosofia dalla politica. Conferme in questo senso leggiamo nel mito della caverna. 
Il thaumazein, la meraviglia, è un atteggiamento umano e filosofico, che fa pensare a ciò che è oltre l’immediato, che conferma il sapere di non sapere socratico; ma pone anche l’uomo- filosofo in conflitto con i componenti della sfera politica. Probabilmente perché il filosofo “ è sempre tentato di esprimersi in termini di non senso, ovvero, per riprendere ancora una volta l’espressione di Hegel, è tentato di rovesciare il senso  comune a testa in giù” (p. 59). Nel Teeteto leggiamo la celebre motivazione al filosofare: “proprio del filosofo è d’esser pieno di meraviglia, né altro cominciamento ha il filosofare che questo”, meraviglia e stupore del molteplice, meraviglia di fronte alla pluralità e ai significati dell’essere. Un senso del curiosare, un impulso a guardarsi intorno e guardare oltre, amore del sapere, desiderio divino-demonico, sentire istintuale che ferma, fissa e sospende insieme le rappresentazioni, le immagini della materialità fisica, di ciò che è davanti, voglia e nostalgia dell’Uno. Di fatto, ciò che distingue il filosofo dai concittadini “non è il possesso di una verità speciale, inaccessibile alla moltitudine, ma il fatto che è sempre pronto a esporsi al pathos della meraviglia, e a evitare così il dogmatismo dei puri e semplici possessori di opinioni”. Nell’intento di competere con il dogmatismo del doxazein Platone propone “di prolungare oltre ogni limite l’esperienza non discorsiva della meraviglia, che sta all’inizio e alla fine della filosofia; cerca, insomma, di trasformare in un modo di vita (il bios theoretikos) quello che può essere solo un attimo fuggente o, per riprendere una metafora platonica, la fuggevole scintilla che scocca tra due pietre”(p.60). 
Verso la conclusione del suo saggio Hannah Arendt scrive: “Dopo che Platone ebbe in un certo senso deformato la filosofia a scopi politici, la filosofia continuò comunque a fornire all’uomo occidentale criteri e regole, pietre di paragone e misure con cui poter almeno cercare di capire quel che avveniva nella sfera e negli affari umani”(p.61).
Alla fine la raccomandazione: “I filosofi, se vorranno arrivare a una nuova filosofia politica, sfidando il loro necessario straniamento dalla vita quotidiana, dovranno però assumere come oggetto del thaumazein la pluralità degli uomini, dalla quale sorge, nella sua grandezza e nella sua miseria, l’intera sfera degli affari umani” (p.62). È come se la Arendt avesse compiuto un duplice percorso: da Socrate a Platone e  ritorno da Platone a Socrate.
I due saggi critici di Adriana Cavarero e Simona Forti, in aggiunta al testo di Arendt, sono un apprezzabile ausilio di riflessione e commento in margine al testo arendtiano. Cavarero ferma l’attenzione soprattutto sulla socratica “invenzione della coscienza, intesa da Arendt come tribunale interno dell’io che, facendosi due-in-uno, si interroga e dà conto a se stesso di sé” (p.75). Non si rivolge all’esterno, né al trascendente. Si tratta di una svolta che prova in un certo modo la confluenza della Arendt nel folto gruppo degli smantellatori della metafisica platonica. Ovviamente la critica di Arendt a Platone pone in risalto la figura di un Socrate ancora più umano, un Socrate che vive e opera nella polis fra i suoi concittadini, è sempre nella piazza, non si chiude in una sorta di Accademia. In contrasto con Platone, non crede alla presunta verità, alla tirannia del vero, non crede all’Uno di Parmenide. Canavero, tuttavia, prende in un certo modo le difese di Platone e stempera la posizione di Hannah Arendt osservando che “accanto al noein come puro theorein troviamo notoriamente nell’opera platonica una definizione del pensare come dialogare fra sé e sé che, pur conservando il carattere insonoro della meraviglia, non è assimilabile allo statuto straniante e immobile del thaumazein” (p. 1). 
Il saggio di Simona Forti Letture socratiche- Arendt, Foucault, Patocka ha un taglio diverso, cerca di spaziare nella varia e complessa “tribù del socratismo novecentesco della “filosofia come forma di vita”. La Forti vede il Socrate arendtiano come l’unico vero esempio di pensatore non professionale. La coscienza di sé che ispira Socrate, la continua tensione del potere critico e negativo del pensiero, “non fa altro che destabilizzare i soggetti nei confronti delle norme stabilite, dei dogmi, delle regole; li svia dai comportamenti ritenuti ovvi, come se ogni volta dovessero ricominciate da capo, attraverso il percorso dialogico di domande e risposte, a discriminare tra che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, a distinguere ciò che è bene e ciò che è male” (p.105). Il due in uno, l’uno in due è, insomma,  il continuo affermarsi nel continuo negarsi.  
Spostando la sua analisi sul piano etico Forti osserva che la figura greca della parresia “potrebbe servire quale esempio di spazio etico” in cui la sfera dell’interiorità si apre all’azione collettiva. Secondo Forti, Arendt pare non sia riuscita a mettere a fuoco in modo convincente il nesso “in-fra”. Nel trattare la relazione tra vita e verità, Michel Foucault ha cercato in modo più radicale ”la via di una possibile rivoluzione etica: la rivoluzione singolare di un bios che riesca a farsi ethos e di un ethos che possa farsi praxis, prassi di un esercizio continuo di libertà”(p.115). Jan Patocka, infine, scrivendo il volume Platone e l’Europa ha scoperto la radice della cultura europea nell’idea di cura di sé, cura dell’anima. Qui per anima si intende la psychè, energia, attività, in una parola spirito di ogni essere (umano) capace di resistere a un altro potere. Siamo tornati così a Socrate, almeno a un certo Socrate.
In un contesto diverso da quello della Arendt, ma nello spirito del suo insegnamento, forse oggi più che la paideia di Platone può servirci un Socrate che ci faccia imparare a vivere, ‘apprendre à vivre enfin’.

    
Indice

Introduzione (Ilaria Possenti)

Socrate                                                                                                  

Saggi critici                                                                                            

Il Socrate di Hannah Arendt
(Adriana Cavavero)                                                                                

Letture socratiche:
Arendt, Foucault, Patocka
(Simona Forti)

Nessun commento: