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mercoledì 12 ottobre 2016

Costa, Vincenzo, Fenomenologia dell'educazione e della formazione

Brescia, La Scuola 2015, pp. 297, Euro 19,50, ISBN 978-88-350-4033-0

Recensione di Diego D’Angelo – 21/09/2015

Vi sono temi d'indagine che, pur essendo storicamente centrali per la riflessione filosofica, hanno trovato relativamente poca attenzione in ambito puramente fenomenologico. Questo non significa, però, che il metodo fenomenologico – eventualmente nella versione ermeneutica o decostruttiva – non li possa affrontare con profitto. Il libro di Vincenzo Costa lo dimostra brillantemente: il tema dell'educazione e della formazione può (e anzi, nell'intenzione dell'Autore, deve)

lunedì 11 febbraio 2013

Cimino, Antonio, Costa, Vincenzo (a cura di), Storia della fenomenologia

Roma, Carocci, 2012, pp. 453, euro 29, ISBN 978-88-430-6257-7. 

Recensione di Pietro Camarda - 01/08/2012

Il testo percorre, descrive e problematizza gli sviluppi (della storia) della fenomenologia, mettendone in risalto i nodi teorici (e non solo) che hanno costituito i momenti più importanti della riflessione di una delle principali correnti della filosofia del secolo XX. Il lavoro del testo è teso a raccogliere gli interventi di molteplici voci riferite alla fenomenologia in prima battuta ma anche ai rapporti di quest’ultima con altre scienze e discipline, mettendo in questione più temi chiave dell’interpretazione 

giovedì 15 novembre 2012

Heidegger, Martin, Fenomenologia dell'intuizione e dell'espressione - Teoria della formazione del concetto filosofico

a cura di Vincenzo Costa, traduzione di Armando Canzonieri, Macerata, Quodlibet, 2012, pp. 181, euro 24, ISBN 9788874624188

Recensione di Giuliano Zingone - 07/06/2012

Il lettore italiano possiede indubbiamente una conoscenza indiretta dell'esistenza e dei contenuti salienti delle lezioni heideggeriane friburghesi del semestre estivo 1920 oggetto della recensione (pubblicate nella Martin-Heidegger-Gesamtausgabe, Bd. 59, V. Klostermann, 1993, a cura di C. Strube) grazie ai riferimenti presenti in un denso testo della maturità del filosofo di Meßkirch ("Da un colloquio nell'ascolto del Linguaggio", in In cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano 1990). Che Heidegger si decidesse a citare il corso a più di trent'anni di distanza ci assicura retrospettivamente del fatto che con questo ciclo di lezioni

venerdì 31 dicembre 2010

Costa, Vincenzo, Fenomenologia dell’intersoggettività.


Roma, Carocci, 2010, pp. 230, euro 23,00, ISBN 978-88-430-5535-7.

Recensione di Giuliano Zingone

Filosofia teoretica, fenomenologia

Ecco un altro bellissimo lavoro di Vincenzo Costa. Da circa un quindicennio, l’Autore ci ha abituato, con quel linguaggio piano e quel piglio socratico che gli deriva dall’appartenenza alla scuola fenomenologica di Milano, ad inoltrarci nei meravigliosi territori della ricerca husserliana, seguendone la precisione micro-chirurgica – e l’inesorabile flessuosità di stile analitico che lo accomuna all’altra grande fenomenologia, quella hegeliana – della dissoluzione di tutto ciò che ‘appare’ come im-mediatezza e che, una volta sottoposto, da un ego trascendentale sempre più esigente, alla dialettica dell’auto-manifestazione ( determinante gia a partire dalle Ricerche Logiche), cede la propria compatta ingenuità di ‘dato’, con un movimento a spirale enucleante livelli, orizzonti sempre più profondi di fondazione e di ‘senso’, all’operazione costitutiva infinita della soggettività trascendentale -soggettività mai coscienzialistica, bensì alveo produttivo inoggettivabile intrinsecamente storico, di conferimento di 'senso' , mera “intenzionalità fungente” (Eugen Fink, “Das Problem der Phanomenologie Edmund Husserls”, in: “Revue internationale de philosophie” , gennaio 1939, pp. 226-270), vero e proprio atto in atto - ovviamente senza implicazioni ‘attualistiche’, anzi! -, ovvero nunc stans, lebendige Gegenwart, Urstand, Ur-Ich (se privilegiamo il lessico dei “Bernauer Manuskripte”, dei “C-Manuskripte” o della Krisis).
Ma il nostro sarebbe un discorso monco ed in radicale contrasto non solo con le nostre ma anche con le intenzioni dell’Autore se, alla fine di questa discesa nel “regno mai esplorato della ‘madre della conoscenza’” (Krisis, § 42), non trovassimo, in luogo di ciò che da principianti filosofi ‘cartesiani’ ci aspettavamo, ciò che da sempre è invece già dato e rispetto al quale non occorre ‘gettare ponti’: vale a dire non un vuoto simulacro, un’algida quanto trasparente ‘coscienza’ bisognosa di mediazioni a posteriori con i vari stadi ‘paradossali’ della sua formazione o con gli alter ego portatori di equivalenti importi intenzionali, bensì quella stessa ‘intenzionalità fungente’ ora finalmente rivelantesi come correlazione universale delle soggettività costituenti, grammatica universale del riconoscimento, ‘armonia prestabilita’ tra le monadi, scaturigine originaria del senso: l’intersoggettività, quale originaria matrice della costituzione della Lebenswelt (così come efficacemente Husserl riassumerà nei §§ 45-55 della Krisis). 
Tale è la posta in gioco che una teoresi fenomenologicamente orientata è chiamata odiernamente a rivendicare ed a ridefinire in un serrato confronto con gli stessi avversari husserliani di un tempo opportunamente dissimulantisi, con le moderne versioni del riduzionismo fisicalistico e del soggettivismo dis-incarnato, e tale è il livello della sfida che Costa fa propria declinandola in maniera assolutamente personale.
Se con ‘senso’, dunque, intendiamo – seguendo, in lavori precedenti di Costa, la ricostruzione delle analisi di Husserl – sintesi costitutiva interminabile effettuata dall’intenzionalità nella sua globalità, costituzione di qualcosa come ‘unità’ soggetta, in virtù dell’esercizio infinito della riduzione fenomenologica, ad una sempre ulteriore determinabilità attraverso l’esplicitazione dei suoi infiniti orizzonti, interni ed esterni, allora termini come io, tempo, cosa, altro, abbandonano la loro ottusa im-mediatezza per divenire meri ‘titoli’, meri ‘fili conduttori’ in grado sia di esibire, attraverso l’analisi statica, la propria stratificazione di senso noetico e noematico, sia, attraverso l’analisi genetica, la propria storicità costitutiva, come opportunamente notava tra i più autorevoli esegeti Van Breda interpretando le pagine husserliane sul “Metodo fenomenologico statico e genetico” coeve alle “Lezioni sulla sintesi passiva” del 1920-21.
Ora, agli occhi del filosofo di Prossnitz, proprio in virtù di questo movimento dialettico e a maggior ragione in virtù della sua presunta – fino a prova contraria – primarietà fondativa, la categoria della soggettività che abbiamo in precedenza introdotto risulta, dopo una prima ‘riduzione cartesiana’, estremamente povera di contenuto intenzionale, al punto da necessitare di ulteriori riduzioni. Di questo limite, Husserl sarà pienamente consapevole almeno fin dal corso del 1910-11 sui “Problemi fondamentali della fenomenologia” (vero e proprio punto di svolta della teoresi husserliana) e non smetterà di ritornarvi a livelli sempre più complessi di approfondimento – bastino, per tutte, le “Lezioni sulla filosofia prima” del 1922-23 –, tant’è che prolungherà questi tentativi di rendere più articolato e persuasivo il profilo metodologico della riduzione fino agli ultimi anni di vita, percorso che culminerà – tanto per restare alle opere edite in vita dall’autore – nelle Meditazioni Cartesiane e nella parte edita della Krisis.
La pars construens del libro di Costa – dando giustamente tutto ciò che precede per scontato per un lettore di testi di tale complessità e, anzi, disseminando intelligentemente questa ricostruzione filosofica dei caposaldi della fenomenologia lungo tutto il libro con preziosi riferimenti, bibliografici e testuali, altrimenti indisponibili – si incardina, dunque, su questi presupposti.
La tesi del libro, introdotta nel cap. 1 (e ampiamente ripresa nel cap. 9, pp. 212-218), è infatti quella di un’originaria costituzione intersoggettiva del senso di quella totalità articolata e gerarchicamente strutturata chiamata ‘mondo’ e che noi troviamo già da sempre disponibile quale sfondo naturale della nostra azione, a portata di mano, già istoriata da concrezioni di vissuti sociali densi di rimandi, operativi in senso lato, alle operazioni stratificate di costruzione della realtà sociale. Il senso del segno è dunque intersoggettivamente costituito, sia che osserviamo la dialettica del segno espressivo, sia che ne valutiamo il divenire formale nei suoi vari livelli di oggettivazione (senza dimenticare che, originariamente, quindi al livello di un’indagine genetica, non meramente statica come quella sviluppata, nell’arco dell’intero volume, ad eccezione del capitolo conclusivo, per esplicita scelta metodologica, dall’Autore e con un empito ‘somatologico’ in grado di richiamare le migliori analisi della “Struttura del comportamento” e della “Fenomenologia della percezione” di Merleau-Ponty, il ‘senso’ affiora dalla sapiente orchestrazione di rimandi, significativi soltanto all’interno di un mondo, veicolati dalle mani e dalla voce (pp. 203-212) in perfetto accordo con Mead e con l’Husserl della terza sezione del secondo volume delle Idee). Con una bellissima immagine, nell’ambito della discussione critica delle tesi di Damasio sulla “coscienza nucleare” (pp. 50-54), Costa suggerisce che “il presente momentaneo è strutturalmente abitato dalla non-presenza” (p. 52) – si vedano, a questo proposito, le pagine delle cruciali lezioni husserliane del 1910-11 sul ricordo come trascendenza immanente – e che tutto ciò che sembra essere, come, appunto, la ‘coscienza nucleare’, mera coscienza mono-dimensionale, priva di strati costitutivi come di Horizont temporale, è in realtà, agli occhi di un’analisi fenomenologica rigorosa, “coscienza estesa, intersoggettività e segno” (p. 54). È dunque in questa fitta trama di significazioni socialmente condivise (o che, con il Dilthey ‘sociologico’ – qui veramente trascurato, ancorché l'autore di Esperienza vissuta e poesia sia stato assolutamente determinante, per ammissione dello stesso Husserl non solo nella lettera a Mahnke del ’27 in cui si ripercorre il cammino della trasformazione delle Ricerche Logiche nelle Idee, ma anche nell’apprezzamento husserliano nel 1911, così come emerge dalla terza sezione di Idee II e dalla lettera a Misch del 1929 - potremmo definire connessioni dinamiche, tendenzialmente universalizzabili dallo ‘spirito oggettivo’ su su fino allo ‘spirito assoluto’), ancorché inintelligibili ad un individuo – quello contemporaneo – refrattario alla dissoluzione della reificazione, che si costituisce una diversa, alternativa nozione post-strutturalistica di ‘totalità’ (pp. 138-148), all’interno della quale si muovono creativamente i singoli soggetti (e già dai primissimi frammenti husserliani sulla monade degli anni 1908-09 collazionati da Kern nella monumentale silloge del 1973, sappiamo quanto sia importante per il Nostro l’individuo!) alla luce non di un ‘lumen naturale’ bensì appoggiandosi alle rispettive riserve di produttività simbolica, svincolate dal ferreo, quanto ermeneuticamente inefficace, determinismo dei paradigmi dell’imitazione e della simulazione , retaggio della pseudo-antropologia non-appresentativa compendiata nella categoria di entropatia per l’afferenza implicita del termine all’orizzonte di un approccio ‘mentalistico’ – e non ‘indiziario’, non costruttivistico in senso lato – alla problematica dell’alter-ego (e in questo senso, è importantissima la ripresa – pp. 157-158 – da parte di Costa, della critica husserliana quasi negli stessi termini, cfr. Iso Kern, “Zur Phänomenologie der Intersubjektivität”, Erster Teil, 1905-1920, Text 13). Nel campo degli atti sociali, infatti, non esiste ‘imitazione’ nel senso di ‘rispecchiamento’ di un’azione altrui o di un significato, veicolato dall’azione stessa: se vogliamo, l’unico orizzonte teorico – sicuramente presente allo stesso Husserl sin dall’avvio della propria riflessione sull’intersoggettività e, a parer nostro, per quest’ultima determinante – all'interno del quale ha senso per Husserl parlare di ‘rispecchiamento’ è quello della Monadologia leibniziana (artt. 56-60), ‘rispecchiamento’ che avviene esclusivamente mercé le ‘piccole percezioni’ (artt. 14,16, 20-25, 59-60 e prefazione ai “Nuovi Saggi”), che nella husserliana teoria delle ‘implicazioni intenzionali’, vale a dire nella dialettica di ‘sfondo’ e ‘primo piano’ predominante già a partire dal primo volume delle Idee con l’introduzione delle strategiche categorie di Horizont, Hintergrund e Untergrund, assurgeranno a livello di quelle ‘visioni’ originariamente costituenti che (in Esperienza e giudizio più chiaramente che altrove) verranno sviluppate come esplicitazioni (relative al semplice ‘orizzonte interno’) e relazioni (relative al più comprensivo e strategico ‘orizzonte esterno’).
Ed è infatti all’indagine della ‘sfera monadologica’ che è dedicato il cruciale cap. 2 del libro, dapprima attraverso l’analisi della costitutiva individualità temporale della monade – che Husserl introduce nel 1908 – e della sua conseguente irriducibilità ad altra monade (su questo, cfr. anche il cap. 4, pp. 109 ss.), tanto più quando, nel 1909-1910, poco prima del corso sui Problemi fondamentali della fenomenologia, a rendere individuale ed irriducibile la monade non è più e non tanto il singolo vissuto di coscienza bensì l’intero flusso di coscienza. L’individualità temporale della monade, in Husserl, è infatti un concetto-chiave che si evolve continuamente: dai Manoscritti di Seefeld, nel 1905, attraverso la scoperta, nel 1907, del flusso originario (si veda il testo n. 36 delle Lezioni sulla fenomenologia della coscienza interna del tempo del ’28) e della sua auto-costituzione in unità in virtù della dialettica di ‘intenzionalità trasversale’ e ‘longitudinale’ all’apertura di quello che è stato chiamato il processo di “dissoluzione dello schema contenuto apprensionale-apprensione”, processo che porta dritto dritto ai Problemi fondamentali della fenomenologia dove, con la doppelte Reduktion, si passa – e questo è un passaggio cruciale che Costa aveva già esaurientemente analizzato nel suo libro su Derrida – ad un superamento (sulla base della teoria delle implicazioni intenzionali – p. 62 – percorrenti massicciamente il primo volume delle Idee – cfr. §§ 35 ss.) della concezione dell’evidenza, dell’apoditticità basata sulla ‘semplice-presenza’ ad una basata sull’intreccio, pre-delineante per la presentazione originaria della percezione, di ritenzione e protenzione, struttura che troverà nei Bernauer Manuskripte del 1917-18 il suo culmine in una articolazione della problematica della temporalità così complessa da poter costituire l’asse di fondo del ragionamento di Filosofia prima nel 1922-23 e sancire l’atto di nascita di quell’epoché universale in grado di proiettare Husserl verso la sua ultima, rivoluzionaria produzione con un definitivo ‘distacco dal cartesianismo’ (Landgrebe) e dagli asfittici residui ‘coscienzialistici’ che, secondo Husserl – e anche secondo Costa – ingiustificatamente, appannavano la comprensione, da parte dei contemporanei, dell’innovazione fenomenologica. Nell’ultima parte del cap. 2 (pp. 70-74), nel cap. 3 – significativamente intitolato “Perché ascriviamo una mente agli altri?” – e nel cap. 5, l’Autore si accinge invece a tracciare un altro delicatissimo passaggio per la fenomenologia, quello che mette al proprio centro la tematica del Leib, di quel ‘corpo vivo’ che non è mera cosa fisicalisticamente ridotta, bensì latore delle sensazioni localizzate, complessione di apparati cinestetici governati dall’‘io posso’, punto-zero dell’orientamento, vera e propria soggettività incarnata che – all’altezza della “Quinta Meditazione Cartesiana” (§§ 44 ss.), nell’ambito della densissima, stupefacente trattazione della sfera dell’appartentività, all’interno della cui compagine intenzionale è dato per la prima volta, quale originario quanto intrascendibile ‘fenomeno’, qualcosa come un mondo primordinale, uno strato configurantesi come ‘trascendenza immanente’ dalla quale far sgorgare, non dedurre cartesianamente, attraverso una ‘tipica’ fenomenologicamente rigorosa, il ‘mondo oggettivo’ quale macro-fenomeno mercé l’operare della legalità fenomenologicamente primaria dell’associazione, quindi secondo la logica delle ‘sintesi passive’, producente ad un tempo l’accoppiamento (Paarung) e la trasposizione appercettiva in grado di rendere ap-presentativamente l’alter-ego in base alla quale l’io costituisce il proprio ‘senso’ del mondo – rappresenta la stessa condizione di auto-manifestatività dell’alter-ego.
Tutto ciò (cap. 6) sempre nella strutturale triangolazione ‘io-tu-mondo’ (cfr. anche cap. 4, p. 117 e cap. 7, pp. 158-160), come se l’esperienza dell’alter ego non potesse non trovare scaturigine se non al punto di intersezione tra il complesso degli stimoli ‘motivazionali’, non causali, provenienti dal ‘mondo circostante’ (Umwelt) e la ricerca, da parte dei soggetti oramai assunti quali ‘monadi aventi finestre’, di criteri oggettivi per l’ascrizione all’altro di una mente, punto d’intersezione che è un ‘-esser-ci (già-da-sempre)-con-gli-altri’ di heideggeriana (e diltheyana/scheleriana) ascendenza e che Costa mostra essere un elemento di contiguità ermenutica e teorica tra l’autore di Essere e tempo e Husserl, al di là – almeno relativamente a questo punto – delle reciproche incomprensioni a partire dal 1927/1929. Infatti, per Heidegger – e anche per de Saussure o per Mead – il manifestarsi del linguaggio nella sua vivente effettualità di ‘atto linguistico’ presuppone un’‘apertura’ preliminare, una precedenza dell’orizzonte del ‘mondo della vita’ e della pre-comprensione – e quindi uno (s)fondo intersoggettivo della catena dei ‘rimandi’ significativi – in grado di recepire, tesaurizzare elaborandola e restituire, complessificata e stabilizzata, l’‘intenzione significativa in nuce’, il ‘simbolo significativo’ oramai divenuto oggetto ad ogni nuovo ‘attore’ che si profili – anche come bambino – sulla scena del mondo dotato solo della (husserliana, originariamente matematica) solitudine dell’immaginazione produttiva e mai di algoritmi o di risposte istintuali, mettendolo nella condizione di procedere, più o meno criticamente, all’edificazione del Sé partendo da un proto-ruolo sociale oggettivato nel simbolo significativo che consente già una prima ‘teatralizzazione sociale’, ad es., nel monologo interiore (pp. 45 ss.).
Va da sé che a fare le spese di questo approccio siano, nel libro, gli emuli di quel Theodor Lipps e dei suoi enigmatici ‘istinti’ analizzati nel cap. 8 (pp. 178; 184-186), autore già ampiamente criticato da Husserl tra il 1907 ed il 1909 (cfr. Iso Kern, “Zur Phänomenologie...”, cit., Erster Teil, 1905-1920, Text 2 e Beil.X e XVI ) per la debolezza della sua risposta al crollo del paradigma della costituzione ‘analogica’ erdmanniana (ivi, Beil. IX), come se l’apprensione esperienziale dell’alter-ego (ivi, Text 2) dovesse e potesse essere ricondotta direttamente e misteriosamente, ricorrendo a subdole presentificazioni analogiche, all’autentica, indubitabile ‘visione originalmente offerente’ del primo volume delle Idee e a quelli che sono i modi di datità dell’apprensione esclusivi dell’ego dei propri vissuti – dati, per Husserl, in ‘presentazione originaria’ immediata – e perciò stesso escludere l’unica forma di accesso (mediato) nell’entropatia ai vissuti estranei attraverso la ‘trasposizione appercettiva’, la comprensione interpretante (anche se qui andrebbe sottolineata la differenza dell’approccio del ‘manoscritto del 1912’ (Husserliana V, pp.109-110) rispetto all’elaborazione della corrispondente trattazione, nel 1915, nel secondo volume delle Idee contenuta in Husserliana IV, pp. 109-110 e in I.Kern, “Zur Phänomenologie...”, cit., Erster Teil, Text 3, pp. 53 ss.). Di conseguenza (cfr. cap. 8, pp. 173-174; 186-190), se da una parte, quindi, imitazione e simulazione si limitano a re-duplicare e a proiettare semplicemente i vissuti propri e intrascendibili di un ego sull’altro, non facendo crescere alcun margine di intederminabilità e di latenza del senso all’interno del rapporto intersoggettivo, l’immaginazione (pp. 190-197) – ancorché distinta, come presentificazione, dalla rimemorazione e, quindi, dall’impossibilità di costituire a ritroso eventualmente l’unità di un singolo flusso di coscienza – attraverso il suo specifico ‘come-se’, attraverso la sua specifica modalità essenziale di trasposizione appercettiva all’‘interno’ della (meadiana) gestualità significativa dell’altro, dei comportamenti dell’altro, nei luoghi dell’altro, nel ‘complesso esperienziale’ triangolare dell’altro, costituisce lo strumento imprescindibile di trascendimento del ‘dato’ della separazione dei vissuti ‘congelata’ nelle varie modalità di approccio ‘empatico’ ed il vero nucleo propulsivo della costruzione dell’(immagine dell’) altro. L’immaginazione – in primis quella matematica – nasce quindi per contrastare batterie segniche, codici semiotici che vengono utilizzati solo per sedurre – e così capiamo anche il riferimento pregnante di Costa a Sartre e alla ‘vergogna’ di essere guardati entomologicamente (pp. 128-131), come Emma Bovary sul letto di morte –, per impiantare se stessi nel cuore dell’altro; così come eminentemente 'immaginativa' in questo senso traslato, d’altra parte, è la strategia ‘agostiniana’ di Husserl del “Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas” rivendicata esplicitamente nelle Meditazioni Cartesiane ma operante da sempre, almeno a partire dal riferimento all’intuizione ‘mistica’ de “L'idea della fenomenologia” del 1907 conseguente alla scoperta nevralgica, fondante, della “correlazione fondamentale” (ricordata anche nella Krisis, § 46).
È in uno ‘stile’, in una ‘tipica’ radicalmente antagonistica che si muovono, quindi, i ‘nipotini di Lipps’ sopra incidentalmente ricordati. Ci riferiamo, da una parte, all’opzione metodologica ‘mentalistica’ di Baron-Cohen, il confronto con il quale viene già anticipato nell’“Introduzione” e sviluppato nel cap. 7 (pp. 159-167) e, dall’altra, al riduzionismo della teoria dei ‘neuroni-specchio’ la cui disanima è avviata da Costa nel cap. 3 (pp. 100-103), ripresa nel cap. 7 (pp. 167-172) e sviluppata organicamente nel cap. 8 (pp. 181 ss.), con la sua deterministica struttura neurale di base, già ampiamente criticata da Lohmar qualche anno fa e che l’Autore (p. 170) ritiene filogeneticamente “‘intrisa’ di storia” ma ermeneuticamente irrilevante rispetto all’interpretazione del vissuto altrui e della relazione io-tu. C’è da dire – e questo è un tratto che, da solo, meriterebbe la lettura di questo libro – che Costa si è sempre confrontato con tutti gli autori, per quanto lontani potessero essere dalla tradizione fenomenologica, non per respingerne a priori l’argomentazione ma, laddove possibile, per mediare, recepire, integrare, ottemperando perfettamente all’empito ‘universalistico’ di quel telos in cui si compendia, all’altezza della Krisis, l’essenza più autentica della fenomenologia trascendentale. Di conseguenza, oltre al dialogo sempre franco e producente con la filiazione sociologica husserliana e post-husserliana di Schütz (pp. 157-160) – quello stesso Schütz che, a partire dal 1942, criticando però aspramente la “Quinta Meditazione Cartesiana” (dove Scheler viene sì ricordato incidentalmente solo verso la fine ma anche indirettamente combattuto lungo tutta l'ampia riflessione circa l'intersoggettività) e riscoprendo Scheler e il suo diverso approccio all’intersoggettività rispetto a quello husserliano, giunge ad esiti molto diversi da quest’ultimo –, Goffmann, Berger, Luckmann e con i teorici dell’interazionismo simbolico (anche se manca un’adeguata considerazione non solo di Zahavi-Gallagher e Depraz, ma di quel ‘gigante’ – stranamente assente nel testo! – della sempre più convincente corrente ‘neurofenomenologica’ contemporanea, vale a dire Francisco Varela, di cui si sarebbe potuto ricordare almeno lo strepitoso saggio “Una soluzione metodologica al problema difficile – Neurofenomenologia” in: “Pluriverso”, a. II, n° 3), il confronto con le suddette opzioni metodologiche neo-riduzionistiche in senso fisicalistico di ermeneutica sociale – non solo inefficaci in quanto inapplicabili al mondo umano per definizione incardinato su libertà e, quindi, storicità, ma anche dimentiche dell’incommensurabilità delle esperienze dei singoli individui sulla base del privilegio, da una parte, della primarietà del proprio vissuto di coscienza dato in ‘donazione originaria’ ad ogni singolo individuo e, dall'altra, della conoscenza dell’altrui vissuto solo su base indiziaria, mediata, ap-presentativa veicolata dall’impenetrabilità e dall’espressività del Leib –, il confronto, diciamo, ripropone la storicità e l’intersoggettività costitutiva del ‘segno’ e del ‘senso’ – anche a livello del monologo interiore – per definizione reversibili in quanto integrati nella fluidità magmatica di fondo che sostiene le dinamiche interpersonali della comunicazione e dell’agire strategico e /o comunicativo. Storicità, cioè, secondo Costa, che arriva a lambire e perfino a ‘costituire’ i profili salienti della personalità (nel senso in cui questa categoria è adoperata nella terza sezione del secondo volume delle Idee) nella molteplicità dei propri livelli – oltre agli strati fondamentali della percezione della cosa deputati anch'essi ad ospitare una fruizione condivisa – dell’esperienza del mondo.
Che operazioni teoretiche del genere di quella di Costa – intelligentemente sostenute dall'editore Carocci, non nuovo a tale genere di iniziative e cui non si può non esser perciò grati – tornino ad attraversare, con tutta la loro forza, il dibattito filosofico contemporaneo è non solo auspicabile, ma anche storicamente urgente: solo allora avremo la possibilità di ripensare, contestualmente ad una riforma etica dell'Umanità e come suo prolungamento organico, l’approntamento di una mediazione storico-politica audacemente riformistico-strutturale tra lo ‘spettatore trascendentale’ e il filosofo ‘leibhaft’ quale ‘funzionario dell’umanità’ anti-gerarchico e comunitariamente diffuso in direzione di una re-integrazione attivamente solidale,mercé la ‘filosofia come scienza rigorosa’ quale autentico ‘imperativo categorico’, di un'umanità polverizzata e cieca.

Indice

Introduzione
I.    Perché la coscienza è originariamente intersoggettiva? Segno, linguaggio e monologo interiore
II.    Che cosa ci rende coscienze separate? Originarietà del vissuto, temporalità e unità psicofisica.
III.    Perché ascriviamo una mente agli altri? Proprio, somiglianza e trasposizione analogica.
IV.    Che cosa accade con l’apparire dell’altro? Decentramento, socialità e storia.
V.    Come si manifesta l’altro? Corporeità, espressività e sguardo.
VI.    La cultura è intersoggettiva? Senso, rimando e motivazione.
VII.    Come comprendiamo intenzioni e azioni? Comprensione, lettura della mente e neuroni specchio.
VIII.    Come comprendiamo gli stati d’animo altrui? Empatia, imitazione e simulazione.
IX.    Come, nel rapporto intersoggettivo, sorge la coscienza? Mani, voce e comunicazione.

L'autore

Vincenzo Costa (San Cono, Catania, 1964) è Professore Associato di Filosofia teoretica presso l’Università del Molise. Ha pubblicato: La generazione della forma. La fenomenologia e il problema della genesi in Husserl e in Derrida (Jaca Book, Milano 1996); L'estetica trascendentale fenomenologica. Sensibilità e razionalità nella filosofia di Edmund Husserl (Vita e Pensiero, Milano 1999); La verità del mondo. Giudizio e teoria del significato in Heidegger (Vita e Pensiero, Milano 2003); Esperire e parlare. Interpretazione di Heidegger (Jaca Book, Milano 2006); Il cerchio e l’ellisse. Husserl e il darsi delle cose (Rubbettino, Cosenza 2007) ; I modi del sentire. Un percorso nella tradizione fenomenologica (Quodlibet, Macerata 2009 ); Husserl (Carocci, Roma 2009 ).
Sul fronte dell'impegno di traduttore di testi husserliani, ricordiamo tra gli altri I problemi fondamentali della fenomenologia. Lezioni sul concetto naturale di mondo (Quodlibet, Macerata 2008).

Links
http://it.wikipedia.org/wiki/Husserl (pagina della Wikipedia italiana dedicata ad Edmund Husserl)

domenica 20 giugno 2010

Vincenzo, Costa, I modi del sentire. Un percorso nella tradizione fenomenologica.

Macerata, Quodlibet, 2009, pp. 181, € 19,00, ISBN 9788874622375

Recensione di Daniela Bandiera – 20/06/2010

Storia della filosofia (fenomenologia)

"A quali condizioni siamo disposti a parlare di soggetto? In che modo un mondo si può manifestare al soggetto e, manifestandosi può produrlo e generarlo in quanto soggetto incarnato, aperto al possibile, al mondo e agli altri?" (p. 11).
Questi gli interrogativi con i quali si apre l'ultimo saggio di Vincenzo Costa il quale, continuando la riflessione sull'attualità e la fecondità della fenomenologia, propone di ripensare lo studio della soggettività a partire dall'esperienza, rivedendo le classiche antinomie di natura e cultura, mente e corpo.
Il percorso che Costa delinea all'interno della fenomenologia inizia con il concetto naturale di mondo di Jan Patočka, ripreso dalla tradizione di Husserl, Heidegger e Fink, e presentato come strumento per discutere i concetti di totalità di relazioni causali e di nichilismo. Come avverrà per lo Husserl della Crisi delle scienze europee, Patočka recepisce l'esigenza di reincarnare il soggetto nell'esperienza, al fine di riscoprirne l'origine nel mondo naturale pre-scientifico, in un mondo non ridotto a sole cause, dove la nozione di libertà e il concetto stesso di filosofia non risultano svuotati di senso e vi è ancora spazio per comprendere che il principio di ragione si articola in modalità diverse e che, quindi, l'essere umano non è mai semplicemente sottoposto a stimoli, cause, ma è sempre anche motivato, aperto al mondo della volontà e della libertà.
Proprio come Husserl, Patočka riflette sulla differenza tra i concetti di causalità e di motivazione, mettendo in luce come l'uomo esprima sempre una storia irripetibile. L'uomo è costitutivamente esposto all'azione del tempo perché non è mai identico, ma sempre soggetto al mutamento, non solo fisico (crescita, deperimento, morte), ma anche, e soprattutto, mutamento che egli stesso determina attraverso le proprie scelte e azioni. Divenendo fattuali attraverso la motivazione, le azioni si declinano come possibilità di esistenza perché agendo determinano chi sono, mentre la motivazione trova il proprio fulcro trascendentale nella temporalità. La possibilità dell'azione e quindi della libertà viene così ricondotta all'apertura al tempo, alla totalità e, in primo luogo, a una nozione di mondo come totalità delle nostre possibilità d'azione.
Questo concetto di mondo è caratterizzato nel senso dell'apertura heideggeriana, di quella passività fondamentale alla base della costituzione dei diversi mondi temporali, in quanto orizzonte trascendentale di qualsiasi possibile manifestazione, totalità di rimandi in virtù dei quali la realtà appare come un tutto unificato e coerente. Il mondo è l'insieme delle possibilità d'azione, le quali interpellano la mia libertà, cosicché io mi vengo a definire come un ente che nell’azione deve dare senso al proprio essere, a se stesso in quanto tempo.
Su questa base l'uomo stesso diviene essenziale apertura al tempo, il quale si identifica con il mondo inteso come apertura trascendentale, come legge generale del movimento dell’essere, come ultimo vero assoluto; il mondo è così pensato non come totalità satura, ma come dinamismo instabile, generatore di ogni possibilità d'apparire: solo il tempo temporalizzandosi può rendere possibile l'apparire.
In Patočka emergono quindi essenzialmente due idee di mondo: da un lato il mondo come apertura che permette il manifestarsi delle cose, dall’altro esso è mancanza, ciò che non può mai giungere a fenomenizzarsi. Esistono quindi diversi mondi storici, diverse determinazioni dell'essere, ma tutti trovano origine in un mondo sempre fungente e mai normativo, il quale rappresenta una verità non ancora giunta a manifestazione. I mondi storici si vengono così a caratterizzare come tendenze al vero, in un processo di differimento infinito che genera l'umano e la storia, mostrando il carattere "mancante" di ogni determinata apertura.
Queste riflessioni sul pensiero di Patočka conducono Costa al confronto con i temi della formazione trascendentale del mondo, della differenza ontologica e del rapporto di quest'ultima con quella antropologica, affrontati nel secondo capitolo, L'istintualità e il formarsi del mondo.
Come possono gli enti apparire nell'orizzonte mondano? È la questione della differenza ontologica, proposta attraverso le risposte di Heidegger e di Patočka, entrambe concordi nel sostenere che l’uomo non può formare il senso del mondo, che il mondo non può mai essere oggetto, in quanto esiste una passività fondamentale per la quale l’uomo stesso non può che darsi all'interno di un'apertura, di una totalità di rimandi poiché questo mondo è sempre alle sue spalle, è ciò che costituisce le cose e la soggettività, non ciò che viene costituito.
Ma se non è prodotta dall'uomo, da dove si origina la differenza ontologica? Heidegger è esplicito nel sostenere che non vi è mai una genesi trascendentale del mondo, non vi è un prodursi del sistema differenziale, ma l'accadere della differenza; ciò però ancora non chiarisce da dove derivi un mondo in quanto struttura differenziale dei significati, questione che Heidegger cerca di risolvere attraverso la nozione di progetto, cioè di un sistema regolato di differenze che rende possibile sia il differenziarsi dei differenti che il progettare umano, definendo la totalità delle mie possibilità d’azione e, dunque, il mio mondo.
Tale progetto è nell'uomo ciò che l’istinto è nell'animale ed è per tal motivo che nel pensiero heideggeriano tra il soggetto umano e l’animale non può esserci alcun passaggio perché pensare una continuità significherebbe ammettere che la differenza ontologica abbia una genesi, che vi sia un generarsi della forma.
Alla domanda se gli animali possano o non possano avere un oggetto intenzionale e di che tipo di oggetto intenzionale si tratterebbe, sia Husserl che Patočka rispondono invece che ciò dipende dal rapporto che l'animale istituisce con il mondo circostante poiché solo un essere in grado di orientarsi nello spazio tramite processi di identificazione e riconoscimento, cioè in grado di riconoscere un oggetto come il medesimo, può avere un oggetto intenzionale. Tra uomo e animale non c'è quindi contrapposizione, anche se bisogna tener presente che solo la presenza della struttura intenzionale rende possibile un rapporto libero con l’ambiente, un’azione in senso proprio, ovvero ciò che caratterizza l’uomo in quanto soggetto di volontà e libertà. Come sottolinea Husserl, il fatto che gli animali non abbiano alcuna ipseità personale non significa che essi siano sprovvisti di ogni forma di ipseità, ma permane valida la considerazione che nessun animale mostra quella capacità di comprendere caratteristica di un ente che intende se stesso come una totalità temporale finita.
Esplicitata la fondamentale considerazione husserliana per cui solo un essere aperto alla dimensione della temporalità è in grado di avere un rapporto libero con il mondo, diventa necessario affrontare, come fa Costa nel terzo capitolo "Ipseità, corporeità e motilità", il problema di ciò che prima di ogni altra cosa permette di avere un rapporto con il mondo circostante, cioè il corpo vivo.
È subito messo in risalto come il soggetto non possa avere un rapporto con il mondo se non in quanto ente corporeo, e come vi sia una motilità che regola la vita del corpo, una tendenza al Sé: da quest’immagine del soggetto husserliano come essere vivente radicato nel mondo della vita e della sensibilità, prima ancora che soggetto di auto-riflessione, prende avvio l'innovativo percorso dell'interprete attraverso la fenomenologia della corporeità, il quale prende come punto di partenza il corpo, con la sua peculiare caratteristica di essere allo stesso tempo sentito e senziente e quindi in grado di rispondere all'ambiente, fatto unico rispetto a tutte le cosalità circostanti; il corpo ha infatti la capacità doppiamente trascendentale di essere allo stesso tempo costituito e costituente, di porsi come un centro che permette l'apparire delle cose e anche di essere capace di auto-costituzione, divenendo la condizione di possibilità dell'esperienza.
Ma come si caratterizza il sentire del corpo vivo? È forse un sentire statico? La risposta negativa giunge immediatamente: il corpo vivo, il suo sentire sono ontologicamente movimento, differimento, tendenza, in quanto caratterizzati dalla temporalità, inseriti in un sistema di tracce, ritenzioni e attese nel quale non può esistere impressione atomistica.
È un'evidenza che esista un'ipseità originaria come Sé corporeo, che il Leib abbia già una direzionalità prima di essere ego in senso proprio e che esso sia fondamentalmente memoria, ciò che rimane identico al mutare degli Erlebnisse, l'elemento permanente di ogni rappresentazione, la condizione di possibilità dell'identità personale; in questo modo "a partire dalla nozione di corpo vivo, si apre forse lo spazio per pensare al di là del dualismo io-corpo" (p. 88), per comprendere che esiste una sintesi originaria dalla quale emergono sia il Sé che il Leib, i quali risultano quindi in totale continuità di sviluppo.
Essenziale aspetto del Leib è anche il suo strutturale aspetto relazionale: lo sviluppo del soggetto fenomenologico non è mai solipsistico, ma rinvia sempre all'alter ego.
Nel capitolo quarto "Empatia e relazione", Costa si addentra nella fenomenologia dell'intersoggettività, assumendo come punto di partenza che il soggetto non si rapporta mai solo alle cose, ma anche, e in modo ancor più originario, ad altri esseri umani, i quali in primis si presentano come corpi vivi uniti analogicamente al mio proprio corpo vivo. Il Sé è originariamente intersoggettivo, sia a livello corporeo che a un livello più attivo, in quanto il mio agire coinvolge sempre gli altri soggetti: senza l’esperienza dell’altro non c’è esperienza di sé come soggetto auto-cosciente, come uomo, non c’è trasformazione del comportamento in azione.
L'esperienza dell'altro, per poter essere realmente tale e davvero formativa, deve essere in grado di presentificarmi un soggetto autenticamente dotato di un'originaria alterità. È su questa base che Husserl non può che rifiutare le teorie dell'empatia di Theodor Lipps e di Max Scheler; se infatti il rapporto con l'alter dev'essere un’originaria dialettica tra identità e differenza che non annulli l’alterità, allora non potrà essere né una proiezione della mia vita di coscienza sull'altro (Lipps) né un'esperienza implicita alla mia stessa coscienza, slegata dall'esperienza percettiva (Scheler).
Ma da dove proviene il carattere di alterità dell'alter? Dal semplice fatto che non condividiamo lo stesso corpo vivo? La risposta a questa domanda rinvia alla costituzione stessa del Leib, il quale non può mai essere considerato come una mera "cosa", perché unito in modo originario con una psiche; è così possibile intendere come l'alterità dimori sì nella separazione dei corpi vivi, ma in quanto tale separazione coinvolge non solo i corpi fisici, ma anche le diverse psichicità a essi connesse. Io e l'altro siamo diversi perché i nostri corpi vivi racchiudono due diversi flussi temporali, i quali possono confrontarsi, sfiorarsi, ma mai venire a coincidere, in quanto unici ed irripetibili proprio a causa delle diverse forme di costituzione temporale, e quindi motivazionale, che li sostengono. Proprio come avevamo sottolineato per Patočka, così anche in Husserl il concetto di motivazione deve sempre essere distinto e mai assimilato a quello di causalità, al fine di sottolineare il ruolo centrale che esso viene a svolgere per l'intera costituzione della vita soggettiva di coscienza. Infatti solo dal pieno riconoscimento dell'unicità del flusso temporale e motivazionale dell'alter può generarsi quel "raddoppiamento del sentire" che l'avvicinamento corporeo dell'altro crea, altrimenti quest'alter sarebbe solo un momento del mio stesso cogito e non potrebbe dar vita a nessuna forma di conoscenza, né di me stesso né dell'altro. Nel momento in cui, invece, la relazione è davvero esercizio della distanza, equilibrio tra il rispetto delle differenze e il lasciarsi modificare da queste differenze stesse, allora l'empatia diviene anche un potente strumento di auto-conoscenza, una tappa fondamentale nel cammino della conoscenza di se stessi.
È allora comprensibile perché nel quinto e ultimo capitolo, intitolato "Le emozioni: dal fondamento cognitivo all'apertura intenzionale", Costa si soffermi sullo sviluppo dell'analisi fenomenologica delle emozioni, essenziale in quanto qualcosa è per noi una possibilità d’azione solo se le emozioni la fanno apparire come tale.
Costa pone a confronto, essenzialmente, tre diverse teorie dell'emozione: quella cognitiva di Carl Stumpf, quella fisiologica di Lange-James e quella intenzionale di Husserl.
Dopo aver analizzato l'ipotesi riduzionista, per la quale un'emozione è semplicemente una complicazione di stati sensoriali elementari, l'attenzione dell'interprete si sofferma più in particolare sul confronto tra la posizione di Stumpf e quella di Husserl, dal quale emerge che se in una teoria cognitiva le emozioni si giustificano attraverso ragioni e credenze, in una teoria intenzionale le emozioni sono invece atti intenzionali che fanno vedere qualcosa di nuovo, aspetti peculiari dell’essere, rispetto a cui l’elemento intellettuale e cognitivo è cieco.
Nella teoria cognitiva di Stumpf le emozioni vengono intese come atti psichici fondati su un oggetto intenzionale, in quanto è vitale, nella costruzione di una psicologia scientifica, dimostrare come condizione di possibilità delle emozioni non siano i meri dati sensoriali, ma dei veri e propri atti intenzionali, elementi cognitivi come rappresentazioni, credenze, giudizi o convinzioni. Questa posizione nasce in dichiarato contrasto con teorie di tipo riduzionistico come quelle di Ribot, per il quale le emozioni sono solo una variazione e una complicazione dei sentimenti di piacere e di dolore, o di Lange-James, che sostiene come l'origine delle emozioni vada ricercata nella stimolazione subita da certi organi o dalla muscolatura. Stumpf sostiene invece un rifiuto di queste teorie, non solo perché devono costantemente fare uso d'ipotesi, ma soprattutto perché se ogni emozione potesse essere ridotta a sensazioni organiche, allora ogni sensazione organica dovrebbe essere un'emozione, mentre è evidente che una tale generalizzazione non è affatto legittima.
Punto essenziale del discorso di Stumpf risulta quindi essere che le emozioni nascono da come gli esseri umani si rivolgono al mondo e dal fatto che quest'ultimo appaia loro come significativo.
Nella teoria delle emozioni husserliana le emozioni sono invece una classe di atti di coscienza autonomi, rappresentano una specifica modalità di esperienza, la quale permette di accedere a oggetti peculiari, dando un contributo essenziale alla costruzione del mondo circostante. Questi oggetti peculiari che emergono attraverso la sfera emotiva sono quelli di valore, anzi quelli nei quali si realizza la più originaria costituzione del valore, il quale viene, in primis, sentito emozionalmente e solo successivamente ripensato in un atteggiamento teoretico.
La differenza tra le due correnti emerge in modo ancora più marcato nel dibattito sullo statuto delle tonalità emotive, al quale Costa dedica ampio spazio. In una teoria cognitiva delle emozioni, le tonalità emotive devono essere considerate casi border-line perché altrimenti, non essendo il risultato immediato di una rappresentazione, rischierebbero di porre in discussione il primato del momento intellettuale rispetto a quello emotivo. Le cose stanno invece in modo diverso in Husserl, il quale, non dovendo necessariamente supportare un primato assoluto della conoscenza teoretica su quella estetica, non solo può ammettere l'esistenza di un oggetto peculiare della sfera del Gemüt (il valore), ma anche che le tonalità emotive possano essere rivelatrici dell'essere del mondo, dell'orizzonte degli oggetti. Le tonalità emotive, così, non svolgono più una funzione secondaria, ma divengono caratteristiche del modo di stare al mondo dell’uomo, il quale, prima di operare teoreticamente sul mondo, vive nel mondo, è avvolto dall'esperienza emotiva della propria Lebenswelt.
In conclusione l'ultima opera di Vincenzo Costa è da segnalare non solo per l'ampia padronanza storica e testuale del pensiero fenomenologico, ma anche per la magistrale chiarezza ed efficacia con cui sono esposte le problematiche affrontate, in un continuo rinvio a esempi, valido strumento di comprensione anche nei casi di maggior difficoltà.
Con la sua consueta incisività, quindi, Costa non solo riesce a offrirci un'ampia panoramica delle fondamentali posizioni fenomenologiche, ma anche a proporci una visione innovativa del pensiero husserliano; nel confronto con il pensiero di Patočka ed Heidegger, l'interprete sembra infatti volerci suggerire una lettura dell'opera husserliana in un'ottica meno idealistica, che punti l'attenzione non solo sul soggetto, ma sulla correlazione fenomenologica e sul versante non-soggettivistico di questa stessa relazione.
Su queste basi il soggetto husserliano si disvela come un essere caratterizzato anche nel senso della passività, dove con quest'ultima si deve intendere l'intero ambito del Fühlen, attraverso il quale il soggetto recepisce il mondo, ne viene affetto, prima di metterlo in forma attraverso i propri atti.
Un testo da leggere per riscoprire tutta la vitalità e l'attualità della tradizione fenomenologica attraverso quest'innovativo punto di vista della sensibilità: il corpo vivo, l'istinto, le pulsioni, le emozioni, il rapporto con l'altro sono infatti tutte declinazioni del sentimento, del fatto che la fenomenologia ci propone di "passare dal pensare al sentire" (p. 76), per scoprire che l'indubitabilità dell'essere risiede proprio in questo sentire, che in ultima analisi "vivere è sentire" (p. 76).

Indice

Introduzione
Capitolo primo: Il mondo dell'agire e il Sé
Capitolo secondo: L'istintualità e il formarsi del mondo
Capitolo terzo: Ipseità, corporeità e motilità
Capitolo quarto: Empatia e relazione
Capitolo quinto: Le emozioni: dal fondamento cognitivo all'apertura intenzionale

L'autore

Vincenzo Costa (1964) insegna filosofia teoretica presso l'Università del Molise. Studioso del pensiero filosofico contemporaneo, si è occupato a lungo della tradizione fenomenologica, ed in particolare di Husserl, Heidegger e Derrida. Del primo ha tradotto le Lezioni sulla sintesi passiva (Milano 1992), le Idee per una fenomenologia pura (Torino 2002) e I problemi fondamentali della fenomenologia (Macerata 2008). Ad Husserl ha dedicato numerosi studi, tra cui La generazione della forma. La fenomenologia e il problema della genesi in Husserl e in Derrida (Milano 1996) e L'estetica trascendentale fenomenologica. Sensibilità e razionalità nella filosofia di Husserl (Milano 1999). Tra i suoi ultimi lavori (con P. Spinicci e E. Franzini) La fenomenologia (Torino 2002), La verità del mondo. Giudizio e teoria del significato in Heidegger (Milano 2003), Esperire e parlare. Interpretazione di Heidegger (Milano 2006), Il cerchio e l'ellisse. Husserl e il darsi delle cose (Cosenza 2007) e Husserl (Roma, 2009).

martedì 8 luglio 2008

Husserl, Edmund, I problemi fondamentali della fenomenologia. Lezioni sul concetto naturale di mondo, a cura di Vincenzo Costa.

Macerata, Quodlibet, 2008, pp. 90+IL, € 20,00, ISBN 9788874621828.
[Ed. or.: Aus den Vorlesungen Grundprobleme der Phänomenologie. Wintersemester 1910-11, Nijhoff, Den Haag 1973]

Recensione di Paolo Calabrò – 08/07/2008

Filosofia teoretica (fenomenologia)

Il volume raccoglie le lezioni tenute da Husserl all’Università di Gottinga nel semestre invernale 1910-11. Subito dopo le “martellate” inflitte da Nietzsche alla pretesa di oggettività da parte della filosofia, la neonata fenomenologia si pone l’affascinante e ambizioso obiettivo di stabilire i termini nei quali è possibile conoscere “le cose stesse”, le cose così come esse sono, al di là della percezione del singolo soggetto coinvolto nell’atto del conoscere. Si tratta di costruire una “ontologia del reale” (o “dei reali”, come Husserl aveva scritto in un primo tempo), un’ontologia nella quale il soggetto possa venir messo «fuori circuito» (p. 31) al fine di accedere alle cose in sé, liberate dai veli che l’intelletto umano, nell’atto nel pensare, finisce inevitabilmente per aggiungere. Alla cosa stessa si accede tramite la cosiddetta “riduzione fenomenologica”, idea tanto originale quanto complessa, ricca di implicazioni e di rischi di fraintendimento (Husserl spese parecchio del suo tempo a difendere la sua teoria dalle accuse di psicologismo e di solipsismo).
Si approda dunque al “concetto naturale di mondo”, ciò che ognuno di noi non può fare a meno di esperire (anche soltanto nel riconoscimento di trovarsi immerso in ciò che è altro da sé), indipendentemente dalle forme dell’esperire stesso, dalle interpretazioni, dai ricordi, dalle impalcature intellettuali (per quanto legittime e valide) costruite a posteriori. È una dimensione prescientifica e preteoretica quella che Husserl cerca di recuperare, nella convinzione che il sapere dell’uomo non sia in tutto e per tutto un prodotto della storia e della cultura contingente, ma che si fondi al contrario su un nocciolo di oggettività che rivendica il suo “essere prima” nei confronti del soggetto.
Il testo è breve, appena 90 pagine, eppure Husserl riesce a trattarvi tutti gli argomenti accennati e tanti altri, come ad esempio quello della trascendenza e dell’immanenza delle cose; esso contiene in nuce i pilastri della teoria fenomenologica, trattata poi esaustivamente nei testi più noti. Oltre all’importanza del testo, esso risulta inoltre gradevole da leggere, anche per la forma della dissertazione: non solo la brevità dei paragrafi facilita la comprensione e la concatenazione delle idee, ma è soprattutto il tono dell’autore, familiare e dimesso, sovente in prima persona, a far sì che il lettore si senta quasi anch’egli “a lezione” da Husserl.
Si ascolti il seguente capoverso: «Ora, mi chiedo: non possiamo ottenere un atteggiamento tale che l’elemento empirico, ciò che è peculiare alla datità dell’atteggiamento naturale, resti interamente fuori circuito, e cioè in modo tale che anche la sua essenza, in quanto essenza della natura, resti posta fuori circuito, mentre, dall’altra parte, restino tuttavia conservate componenti che entrano in individuo nell’essenza della natura e, correlativamente, nella natura stessa? Una domanda, sulle prime, incomprensibile. Riflettiamo più nel dettaglio!» (p. 31). Certamente lo stile si giova dell’oralità dell’originale, così come la scelta della prima persona è anche un espediente metodologico volto a facilitare la già difficile impresa di spiegare come sia possibile, per il singolo soggetto, accedere a qualcosa mettendo “fuori circuito” se stesso. Ma è pur vero che è più unico che raro il caso di un filosofo che riconosce di essere stato poco chiaro; un uomo che, da vero sapiente, premette le parole «se non erro» (p. 27) alla propria interpretazione di un altro pensatore (Avenarius, nel caso specifico), anche quando sta per sferrare la sua critica più profonda e decisiva. Al di là di ogni sentimentalismo, uno dei motivi per cui vale certamente la pena di leggere questo libro è la possibilità di scoprire quanto la vera filosofia sia fatta passo dopo passo, tramite il confronto con gli altri e lontano da ogni presunzione di autosufficienza.
L’introduzione è chiarissima e l’edizione è molto ben rifinita: entrambi meriti di Vincenzo Costa, curatore del volume. Va da sé che chi si aspettasse, con la lettura di questo libro, di “comprendere la fenomenologia”, resterebbe certamente deluso: esso è troppo breve per dar conto in maniera esauriente della vastità del problema (soprattutto se si pensa alla mole delle critiche che sono state rivolte alla teoria: in un ambito come quello della fenomenologia husserliana, che coinvolge a tutto campo la psicologia e le scienza naturali, per non parlare della logica, dell’aritmetica, della geometria, ecc., i chiarimenti e i “distinguo” non sono mai troppi). Il testo va letto piuttosto come una introduzione, scritta dal padre della fenomenologia e del motto che la ha animata fin dall’inizio: “Verso l’essenza delle cose”.

Indice

Introduzione: Il concetto naturale di mondo e la fenomenologia, di V. Costa
Profilo della vita e delle opere
Nota alla traduzione
I - L’atteggiamento naturale e il «concetto naturale di mondo»
II - La considerazione fondamentale: la riduzione fenomenologica come acquisizione dell’atteggiamento diretto sul puro vissuto
III - Discussione preliminare di alcune obiezioni contro il progetto della riduzione fenomenologica
IV - La trasgressione fenomenologica del dominio del dato assoluto
V - L’acquisizione fenomenologica dell’intera corrente di coscienza nella sua connessione unitaria
VI - L’acquisizione della molteplicità fenomenologica delle monadi
VII - Considerazioni conclusive sulla portata della conoscenza fenomenologica
Nota terminologica
Indice dei nomi


L'autore

Edmund Husserl (Prostějov, 8 aprile 1859 – Friburgo, 26 aprile 1938), filosofo tedesco, padre della fenomenologia. Ha insegnato all’università di Gottinga e successivamente all’università di Friburgo, come successore di H. Rickert: tra i suoi allievi, R. Carnap e M. Heidegger. Opere principali: Ricerche logiche 1 e 2, Idee per una fenomenologia pura e per un filosofia fenomenologica 1 e 2, Filosofia dell’aritmetica, Fenomenologia e teoria della conoscenza, Meditazioni cartesiane. I suoi manoscritti sono conservati presso l’«Archivio Husserl» di Lovanio.

Il curatore

Vincenzo Costa (San Cono, Catania, 1964) insegna filosofia teoretica presso l’Università del Molise. Ha pubblicato: Il cerchio e l’ellisse. Husserl e il darsi delle cose, Rubbettino, 2007; Esperire e parlare. Interpretazione di Heidegger, Jaca Book, 2006; La verità del mondo. Giudizio e teoria del significato in Heidegger, Vita e pensiero, 2003; (con E. Franzini e P. Spinicci), La fenomenologia, Einaudi, 2002; L’estetica trascendentale fenomenologica. Sensibilità e razionalità nella filosofia di Edmund Husserl, Vita e pensiero, 1999; La generazione della forma. La fenomenologia e il problema della genesi in Husserl e Derrida, Jaca Book, 1996; Lezioni sulla sintesi passiva, Milano 1992.