mercoledì 28 ottobre 2015

Bazzanella, Carla, Linguistica cognitiva. Un’introduzione

Roma-Bari, Laterza, 2014, pp. 182, euro 20, ISBN 978-88-581-1108-6.

Recensione di Francesca Ervas - 16/02/2015

Il testo di Carla Bazzanella è un’utile guida all’interno di un frastagliato arcipelago di studi sul linguaggio: la linguistica cognitiva. Leggendo il testo sembra infatti di navigare “a vista”, tra le isole che lo compongono e che, fuor di metafora, rappresentano le tematiche di ricerca principali, come la categorizzazione, la concettualizzazione, la metafora, lo spazio, l’attenzione, la memoria, ecc. L’autrice propone una dettagliata mappa di questa recente disciplina che studia i meccanismi che stanno alla base del comportamento

linguistico. Il testo mostra come la linguistica cognitiva sia nata negli anni Novanta, con Langacker, in contrapposizione alla grammatica generativa di Chomsky e alla teoria computazionale-rappresentazione della mente di Fodor, ma come d’altra parte ne condivida alcuni interessi di fondo, come il rapporto mente-linguaggio. Dando un primo “sguardo d’orizzonte” all’arcipelago della linguistica cognitiva – così come sembra proporre il titolo della prima parte del testo – appare chiaro che il territorio è caratterizzato dal rifiuto dell’autonomia del linguaggio chomskyana e della modularità fodoriana. I vari gruppi di ricerca che compongono la linguistica cognitiva condividono infatti l’idea che i processi di acquisizione, elaborazione, produzione e comprensione del linguaggio non siano modulari, ma siano piuttosto strettamente connessi ad altri aspetti della cognizione umana e, in particolare, siano indissolubilmente legati all’esperienza corporea. Quest’idea, nota come embodiment, riserva alla dimensione fisica non tanto il ruolo di “attivazione” del linguaggio, concepito come un insieme di regole formali à la Chomsky, quanto piuttosto il nucleo essenziale del sistema concettuale umano, da cui dipende la comprensione del significato. Una delle isole maggiori dell’arcipelago, la semantica cognitiva, con i lavori di Langacker, Lakoff, Fillmore e Fauconnier, rifiuta infatti la centralità della sintassi nello studio del linguaggio e sposta l’attenzione sul piano del significato, determinato dal modo in cui l’apparato cognitivo umano organizza la realtà. D’altra parte la linguistica cognitiva condivide con le teorie chomskyane e fodoriane l’attenzione al lavoro di ricerca in altri arcipelaghi attigui: le neuroscienze, la psicologia, la filosofia della mente.
La parte centrale e decisamente più ricca del testo è dedicata ai “temi privilegiati” di ricerca in linguistica cognitiva. L’escursione nell’arcipelago pianificata dall’autrice permette così di scendere in ciascuna isola per visitare il terreno accidentato degli studi sull’embodiment, la categorizzazione, la concettualizzazione, la metafora e lo spazio. L’embodiment è, secondo l’autrice, la pietra portante della linguistica cognitiva: la mente e il suo rapporto con l’esterno dipendono dal corpo umano e dalla sua esperienza sensoriale e affettiva in un determinato contesto culturale. Diversamente da una prima generazione “non-embodied”, per cui la mente è indipendente dal corpo e dalle sue attività, gli studiosi di linguistica cognitiva appartengono invece ad una seconda generazione “embodied”, per cui la mente non si è evoluta “semplicemente per registrare rappresentazioni del mondo, ma adattandosi ad azioni e comportamenti” (p. 29). In questa prospettiva, gli oggetti nel mondo esterno sono percepiti come affordances, ovvero insiemi di usi potenziali (es. per una pietra: colpire, percuotere, scagliare, ecc.), che collegano caratteristiche del mondo esterno con abilità senso-motorie dell’organismo stesso. Le stesse rappresentazioni concettuali dipendono da procedure percettive e motorie. La scoperta dei neuroni specchio con una specificità rispetto alla finalità e al tipo di azione compiuta, è stata interpretata come prova del nesso tra pensiero, percezione e azione. Tuttavia, nota l’autrice, “anche se il principio dell’embodiment riveste un ruolo basilare nei processi percettivi e cognitivi, non può essere considerato l’unico fondamento per l’insieme dei rapporti di pensiero e linguaggio” (p. 37). Il sistema concettuale umano, pur essendo ancorato all’esperienza corporea, procede anche indipendentemente dal corpo: i concetti originano da informazioni sensoriali ma seguendo altre strade, come l’immaginazione e le operazioni simboliche, diventano più complessi. 
Il processo di categorizzazione mostra proprio come la dimensione corporea sia necessaria ma non sufficiente. Fin da piccoli creiamo categorie, ovvero gruppi di oggetti, sensazioni, emozioni, ecc. che ci aiutano a orientarci nel mondo. Si tratta di scorciatoie cognitive che la nostra mente utilizza per “risparmiare la memoria” e affrontare le esperienze future in base alle esperienze passate. Le categorizzazioni dei bambini sono molto più flessibili e malleabili rispetto a quelle degli adulti, pronte ad adattarsi alle novità dell’esperienza. A partire da singole esperienze si elaborano però categorie sempre più complesse e astratte che guidano le azioni e definiscono la propria e altrui identità sociale. Le categorie possono diventare stereotipi, insiemi di conoscenze tacite e condivise da una data comunità linguistica, che influenzano i nostri giudizi e a volte anche i nostri pregiudizi. La nozione di “somiglianza di famiglia” e quella di “prototipo” vengono utilizzate per spiegare come si costituiscono le categorie. In entrambi i casi, il problema è quello di spiegare - dati i confini sfumati di ciascuna categoria - l’inclusione o l’esclusione di casi marginali. Possiamo includere in una categoria elementi che presentano certe somiglianze, come quelle dei membri di una famiglia, oppure individuare un prototipo, ovvero un esemplare che rappresenta al meglio le caratteristiche salienti, tipiche di un gruppo. La nozione di “grado di appartenenza” può infine dare conto della vaghezza dei confini della categoria stessa. Bazzanella approfondisce il caso della categorizzazione del colore, che presenta sia delle caratteristiche universali secondo le ricerche di Berlin e Kay (1969), sia delle importanti differenze culturali che traspaiono nel lessico cromatico delle lingue e che dimostrano una forte influenza della lingua e della cultura sulla percezione categoriale.
La linguistica cognitiva sostiene che ci sia un ristretto numero di universali linguistici in tutte le lingue, ma rispetto alla tradizione chomskyana, privilegia la prospettiva relativista per cui la maggior parte dei concetti sono specifici per lingua e cultura. Seguendo Langacker, l’autrice nota quindi che “la concettualizzazione non consiste in entità mentali statiche, ma nell’attività cognitiva intesa in senso ampio, che comprende concetti stabilizzati e nuovi, esperienza (sensoria, motoria, prossemica, emotiva) e vari tipi di contesto (fisico, linguistico, sociale, culturale)” (p. 62). Il significato è letteralmente costruito dal parlante, a partire dalla propria esperienza e dal contesto in cui si trova. Inoltre, secondo la nozione di construal, il parlante è in grado di concettualizzare e verbalizzare una stessa situazione in modo alternativi, a seconda del punto di vista che assume. In questo senso, la dinamicità e l’immaginazione diventano caratteristiche essenziali della capacità umana di creare concetti, come avrebbe voluto Vico nella sua Scienza Nuova (1725). La linguistica cognitiva utilizza proprio la nozione di frame, presa a prestito da Minsky in ambito informatico e sviluppata da Fillmore (1975) in ambito semantico, per dar conto del “modo strutturato in cui una scena tipicamente è presentata o ricordata” (p. 69), in base alle esperienze soggettive del parlante, ai suoi punti di riferimento e ai suoi possibili cambiamenti di prospettiva. Il framing è di conseguenza quell’insieme di aspettative, basate sull’esperienza previa del parlante, che influenzano il modo in cui interpreta il messaggio comunicato. Negli schemi di concettualizzazione rientrano anche gli schemi di immagine, rappresentazioni schematiche della realtà in base ad esperienze embodied, che permettono di comprendere concetti lessicali più complessi e di verbalizzarli tramite forme idiomatiche del linguaggio. Le forme idiomatiche non sono delle rare eccezioni del linguaggio, di ostacolo ad una spiegazione onnicomprensiva del comportamento linguistico, come accadeva nella tradizione chomskyana. Sono piuttosto delle cartine al tornasole di schemi di pensiero diffusi in una data comunità e vengono usate proprio come segno di appartenenza e solidarietà con gli altri membri della comunità.
Anche la metafora, grazie agli studi di Black (1962) ma soprattutto di Lakoff e Johnson (1980), non è più considerata una mera “questione di linguaggio”, quanto piuttosto una “questione di pensiero”. La metafora non è infatti un’eccezione che ostacola il normale funzionamento dei meccanismi formali della linguistica computazionale, ma è invece un fenomeno pervasivo di “natura concettuale”. La maggior parte delle metafore sono infatti lessicalizzate e consolidate nell’uso del linguaggio di una determinata comunità linguistica, tanto che i parlanti non le notano e le considerano alla stessa stregua di espressioni letterali. Secondo la teoria della pertinenza di Sperber e Wilson (1986), la comprensione delle metafore dipende in modo cruciale dal contesto e dalle conoscenze implicite condivise dai parlanti. La pervasività di tale fenomeno linguistico è dovuta al fatto che la metafora serve al parlante per rappresentare un dominio concettuale ignoto attraverso uno già noto. Come messo in luce da Aristotele, la metafora ha il potere di farci “vedere ciò che è simile”, instaurando un’analogia tra un dominio concreto e uno solitamente più astratto, lontano dall’esperienza. In particolare, secondo la Blending Theory di Fauconnier e Turner (1996), l’integrazione dei due domini creerebbe uno spazio mentale nuovo e spiegherebbe il potere creativo della metafora viva. 
Infine, lo spazio è un’isola particolarmente visitata all’interno dell’arcipelago della linguistica cognitiva non solo perchè le metafore spaziali sono primarie e basilari nelle lingue, ma anche perchè molte altre dimensioni fondamentali dell’esperienza umana, come quella del tempo, sono elaborate in termini spaziali. Si dice spesso, infatti, che “il futuro è davanti a noi” o che “ci siamo lasciati il passato alle spalle”, ma usiamo lo spazio anche per parlare di situazioni della nostra vita più difficili da concettualizzare, come l’amore (“La nostra relazione è arrivata a un bivio”) o la propria professione (“Le mie scelte lavorative mi hanno portato nella strada giusta”). Anche in questo caso, la concettualizzazione dello spazio varia da lingua a lingua, ma ci sono delle costanti - come nel caso dell’organizzazione figura/sfondo - provate anche da studi recenti sulla codificazione neurale dello spazio. Le connessioni e gli intrecci della linguistica cognitiva con le neuroscienze, non solo nell’ambito della cognizione spaziale, sono oggetto dell’ultima parte del testo “Interfacce”. L’autrice mostra come il viaggio nell’arcipelago porti con sè, necessariamente, il confronto con il mare aperto, ovvero, la possibilità di scoprire nessi inediti con altre discipline, come la neurolinguistica, e altre tematiche, come il ruolo svolto nel linguaggio da emozioni, sinestesie, effetti di salienza, attenzione e memoria. In ultima analisi, il testo di Carla Bazzanella, Linguistica cognitiva. Un’introduzione, non offre solo una sistematizzazione di un campo di indagine che potrebbe risultare, agli occhi del grande pubblico, caotico e disordinato, ma propone al lettore una mappa ragionata della disciplina, capace di mettere in luce i nessi con altri filoni di ricerca sul linguaggio. Il testo offre inoltre numerose indicazioni bibliografiche sui più importanti testi di riferimento, manuali, collettanee, proceedings di convegni, glossari, che offrono un’ulteriore guida al lettore desideroso di proseguire il viaggio nei fiordi più remoti dell’arcipelago della linguistica cognitiva.
Indice

Premessa

Nota terminologica e bibliografica

1. Uno sguardo d’orizzonte
1.1. Una prima caratterizzazione
1.2. Punti di partenza
1.2.1. Confluenze iniziali
1.2.2. Linguistica cognitiva e grammatica generativa: divergenze
e convergenze
1.2.3. Grammatica dello spazio, Grammatica cognitiva e Semantica cognitiva
1.2.4. Percorsi iniziali di ricerca della linguistica cognitiva
1.3. Sviluppi

2. Temi privilegiati
2.1. L’«embodiment»
2.1.1. Un principio guida
2.1.2. Percezione, azione, cognizione
2.1.3. La scoperta dei neuroni specchio
2.2. La categorizzazione
2.2.1. Categorizzare come attività cognitiva
2.2.2. Tre tipi di classificazione
2.2.3. Linguaggio e categorizzazione
2.2.4. La categorizzazione del colore
2.2.5. Le categorie grammaticali
2.3. Concettualizzazione, significato, grammatiche
2.3.1. Concettualizzazione e significato
2.3.2. Strumenti di rappresentazione della conoscenza in linguistica cognitiva
2.3.3. Grammatiche costruzioniste
2.3.4. Modelli basati sull’uso
2.3.5. Le espressioni idiomatiche
2.4. Metafora come meccanismo cognitivo
2.4.1. La natura concettuale della metafora
2.4.2. Tra mente e discorso
2.5. Spazio, cognizione, linguaggio
2.5.1. Sistema cognitivo e linguistico dello spazio
2.5.2. Spazio e linguistica cognitiva

3. Interfacce
3.1. Connessioni interdisciplinari
3.2. Intrecci di piste
3.2.1. Sinestesia percettiva e linguistica
3.2.2. Attenzione, salienza, memoria
3.3. Una non-conclusione

Bibliografia
Indice analitico

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