lunedì 4 aprile 2005

Bardone, Emanuele - Rossi, Enzo (a cura di), Oltre le culture. Valori e contesti della comunicazione interculturale.

Como-Pavia, Ibis, 2004, pp. 203, € 18,00

Recensione di Daniela Montuschi - 04/04/2005

Filosofia politica (multiculturalismo), Sociologia (multiculturalismo, globalizzazione), Filosofia del linguaggio

Otto saggi inediti, raggruppati in due parti distinte ma complementari, ci introducono ai principali temi della riflessione sulle possibilità e i limiti della comunicazione interculturale. Si tratta di questioni che rimandano al tema della differenza culturale e che prendono maggior risalto sullo sfondo di quel complesso insieme di fenomeni chiamato “globalizzazione”, pur non avendo in esso la propria radice.

Rossi e Bardone organizzano la prima parte della loro raccolta in modo da offrire una panoramica degli aspetti di antropologia (Matera), teoria linguistica (Ramat), epistemologia (Magnani) ed etica (Carter) toccati dall’ argomento trattato, ruotando attorno ad un comune interrogativo: in che modo la diversità culturale influenza o determina le possibilità di comunicazione e reciproca comprensione? La seconda parte del testo, invece, è formata da quattro contributi che si occupano degli aspetti filosofico-politici della comunicazione interculturale, strettamente legati al valore della tolleranza e a come esso debba essere inteso da individui e istituzioni liberali. Le domande centrali sono, in questo caso, le seguenti: è possibile la convivenza tra persone o gruppi appartenenti a culture diverse, e, soprattutto, quale modello cooperativo è preferibile dal punto di vista “dei valori e delle istituzioni occidentali, latu sensu liberali” (p. 18)? È sufficiente ricercare un “equilibrio contingente fra le aspirazioni dei diversi ‘noi’”, o occorre individuare “un terreno comune, dei valori comuni sui quali costruire un ‘noi’ più ampio ed inclusivo” (pp. 18-19)?

1. Matera parte dalla nozione antropologica di “cultura” per opporsi al multiculturalismo come difesa delle culture quali “essenze” ben precise: il rischio è, infatti, quello di un “razzismo mascherato” (p. 31). Le culture non esistono come entità separate le une dalle altre, ma sono flussi di significati, frutto di un contesto storico e sociale in continua evoluzione, e con potenzialmente infinite varianti individuali. La nozione di multiculturalità, dunque, va ripensata a partire dalle persone, non dalle culture, e anche le modalità di convivenza con la/le diversità vanno riviste in questa chiave. Il problema del superamento della “soglia di tolleranza” è solo una facciata, dietro la quale si nasconde la realtà della perdita, da parte della “nostra” società, del senso della propria identità, e, quindi, della capacità di riflettere criticamente sui propri valori e di generarne altri. Fare posto alla diversità, significa (ri)mettersi in gioco per elaborare altri modi di affrontare il problema delle differenze di culture e di valori, rispetto alla totale indifferenza—finché l’“altro” non oltrepassa la “soglia”— o all’uso della forza (pp. 38-39).

2. Ramat esamina la questione del “traduttore traditore”: non esiste mai una traduzione “perfetta” da una lingua all’altra. Tuttavia la traduzione è, in qualche misura, sempre possibile. Dunque quanto le imperfezioni vincolano la comprensione reciproca? Come si stabilisce che un processo di comunicazione è “riuscito”? Anche Ramat parte dall’antropologia, criticando l’ipotesi “Sapir-Whorf” dell’influenza diretta della (madre)lingua che parliamo sul nostro modo di pensare. Secondo l’autore, al di sotto della struttura linguistica superficiale, in effetti diversa per lingue diverse, esistono proprietà invarianti, intese come funzioni comuni a tutte le lingue. Il fondamento di questa universalità è nel cervello umano, che “funziona allo stesso modo ovunque, impiegando le stesse categorie cognitive” (pp. 45-46). Secondo Ramat, i casi di intertraducibilità veramente impossibile sono quelli in cui si fa “un uso metalinguistico della lingua” (p. 48). In tutti gli altri casi è sempre possibile risolvere la questione in favore della traducibilità. Che poi quella che si ottiene sia una buona traduzione dipende dallo scopo per il quale realizziamo la traduzione, con una crescente difficoltà di resa man mano che aumenta l’importanza della connotazione rispetto alla denotazione.

3. Magnani mette in relazione il tema dell’incommensurabilità dei punti di vista con quello dei cambiamenti concettuali nella scienza, cioè, secondo la terminologia kuhniana, con il mutamento di paradigma. La sua analisi si sviluppa in chiave antirelativista, rifiutando quindi la visione secondo la quale ogni sistema di pensiero può essere compreso e criticato solo dall’interno, e in cui, a suo dire, la scelta tra teorie avverrebbe come nel lancio della moneta. A tali idee irrazionalistiche, Magnani oppone, quali criteri per una scelta razionale, i parametri di coerenza interna, semplicità e capacità esplicativa di una teoria, propendendo infine per un modello computazionale della theory construction che unisce reti connessioniste e teoria dell’explanatory coherence di Thagard (1994). La conclusione è che, per recuperare un’idea di progresso scientifico e razionale, non solo è auspicabile, ma è anche epistemologicamente “soddisfacente”, avendo di mira i parametri sopra elencati, una collaborazione complementare tra filosofia, scienze cognitive ed intelligenza artificiale.

4. Il saggio di Carter si pone come “ponte” tra la prima e la seconda parte del volume, sposandosi sul piano etico-politico. Parte dal “fatto del pluralismo” e si chiede come conciliare, nei contesti di liberalismo politico rawlsiano, l’incommensurabilità concettuale fra valori morali con la scelta razionale, sul piano pratico, tra valori alternativi (p. 18).

La soluzione proposta discende dalle particolari interpretazioni del concetto di incommensurabilità (pp. 84-89) e del valore della libertà (pp. 90-91) sostenute dall’autore, che vede nel diritto assoluto ad un certo grado di libertà il fulcro del liberalismo e la base per la tolleranza liberale.

5. Il contributo di Ferretti propone la diversità morale e culturale come “valore” positivo per la società liberale. L’autrice cerca di estendere ai gruppi culturali il ruolo di “stimolatori” ed “innovatori” della società che J. S. Mill attribuiva agli individui “anticonformisti”. In particolare, Ferretti riconosce una potenzialità innovatrice nelle “ragioni culturali” espresse dai gruppi culturali. Queste ragioni godono di una certa pubblicità all’interno di un particolare gruppo, legato da una forte affinità, ma non possono essere trasmesse all’esterno di esso, e, quindi, non sono accessibili a chi non fa parte del gruppo. Questo le rende inadatte a informare le regole di una società liberale. Tuttavia la sfera pubblica e il carattere della società sono dominati e informati da particolari credenze e “ragioni culturali”: quella della cultura maggioritaria, i cui membri si trovano nella posizione di poter comunicare meglio, e far valere di più, le proprie ragioni rispetto a quelle degli altri. Si tratta perciò di un meccanismo che può mettere a rischio la garanzia del libero confronto di idee: ed ecco che le ragioni culturali dei gruppi di minoranza possono assumere una rilevanza “strumentale” (p. 120) per impedire che la società liberale si chiuda in se stessa. Infatti l’esistenza di uno spazio politico per il dissenso, in cui le minoranze possono vivere secondo le ragioni che hanno, è necessaria—non nel livello “costituzionale” (quello cioè delle questioni fondamentali per una società liberale) ma nel livello “normale” della politica—“per creare lo spazio in cui ragioni innovative possano emergere” (p. 123).

6. Horton affronta il problema della tollerabilità del razzismo in una società liberale partendo dalla definizione di tolleranza come “deliberata repulsione a proibire o interferire nelle azioni o nelle credenze che non sono valutate positivamente da chi le tollera” (p. 129) e individua il nocciolo della questione nella conflittualità tra i valori fondamentali del liberalismo e quelli alla base del razzismo, e, quindi, nella disapprovazione del primo nei confronti del secondo. L’autore esamina per prima cosa come il liberalismo debba rapportarsi a discorsi e a scritti politici razzisti, passando poi ad occuparsi delle associazioni volontarie che impiegano criteri di selezione razzisti. In nome della libertà di parola, scritti e discorsi sono tollerabili, purché i danni (reali e sostanziali) che essi potrebbero procurare siano poco probabili, ma non sono mai scusabili, e ad essi si deve rispondere con altri discorsi politici. Le associazioni che fanno della discriminazione il loro obiettivo esplicito (es.: Ku Klux Klan), invece, non sono tollerabili in alcun modo, mentre altre associazioni “selettive” che non abbiano chiaramente questa finalità vanno valutate caso per caso, ed in generale sono tollerabili purché sia salvaguardata l’uguale dignità morale di tutti i cittadini. Tuttavia esse non devono ricevere finanziamenti pubblici né premi in genere, e i benefici derivanti ai membri non devono ridurre in modo significativo le opportunità, per le persone escluse, di realizzare il proprio piano di vita. Lo spazio politico della tolleranza, dunque, può “aiutare a mediare i conflitti generati per i liberali dalla presenza, in mezzo a loro, di gruppi o individui illiberali” (p. 144).

7. Ricciardi analizza cosa significhi “tolleranza”. Secondo Ricciardi, che riprende Aristotele (1997), la tolleranza riguarda gli individui ed è una virtù, laddove “agire in modo virtuoso non è semplicemente fare qualcosa [o non impedire a qualcuno di fare qualcosa], ma farla perché si riconosce che si tratta di un’azione virtuosa, cioè di un’azione che esibisce un’eccellenza del carattere che la persona ha acquisito attraverso l’educazione e che è diventata come una seconda natura” (p. 159). Ricciardi fa i conti anche con la definizione di Raphael (1988), che ha il merito di chiarire il rapporto tra tolleranza e libertà, quindi l’importanza della prima per i liberali: “la tolleranza ha valore per i liberali in quanto tende ad aumentare la libertà. Se in una società ci sono più persone tolleranti, ci dovrebbe essere più libertà” (p. 161). Inoltre, se le virtù sono eccellenze del carattere, allora non ha senso parlare di “virtù della tolleranza” per le istituzioni: esse infatti, pur essendo formate da persone, non hanno un “carattere” (p. 167), e hanno scopi nell’agire e responsabilità per le azioni in un senso molto diverso da quello in cui ce li hanno le singole persone.

8. Kymlicka si occupa del problema della cittadinanza, mettendo insieme il piano delle istituzioni e quello degli individui. Discute l’asserto secondo il quale multiculturalismo a livello di Stato e interculturalismo a livello individuale si sostengono reciprocamente e si corrispondono. Spesso, infatti, non è così ma esistono tensioni tra lo sviluppo di politiche e istituzioni multiculturaliste, da un lato, e sviluppo interculturale sul piano degli individui, dall’altro. Ma altre contrapposizioni sono possibili: tra interculturalismo locale e interculturalismo cosmopolita o globale; tra interculturalismo e isolazionismo; tra interculturalismo e simbolicità superficiale (pp. 187-197). Secondo l’autore, la promozione dell’interculturalismo per la crescita dell’individuo è importantissima, purché tale “interculturalismo individuale non mini la giustizia delle istituzioni multiculturali dello stato”. Ciò significa che in alcuni casi potrebbe essere necessaria “una riduzione della promozione dell’interculturalismo individuale, a vantaggio dei nostri doveri speciali verso gruppi locali (invece che distanti), del venire incontro alle richieste dei gruppi isolazionisti, e del riconoscimento della parziale opacità delle differenze culturali profonde” (p. 198), per trovare “modi di coesistere che siano accettabili per tutti” (p. 197).

Per concludere, Bardone e Rossi hanno curato un testo originale che fa dell’interdisciplinarità dell’approccio il proprio punto di forza e illustra ampiamente l’irriducibile complessità del tema della diversità culturale, contro qualsiasi tentazione riduzionistica e dogmatica, o semplificazione relativistica. Il libro non è dunque un punto di arrivo ma di partenza per ulteriori approfondimenti e, soprattutto, discussioni sui numerosi spunti di ciascun contributo.

Indice

Prefazione, di Salvatore Veca
Introduzione, di Emanuele Bardone ed Enzo Rossi
PARTE PRIMA
Vincenzo Matera, Contro la cultura: note critiche su un concetto critico
Paolo Ramat, Della traducibilità interlinguistica
Lorenzo Magnani, invenzione scientifica, incommensurabilità, comparabilità delle teorie
Ian Carter, L’incommensurabilità dei valori e il diritto alla libertà
PARTE SECONDA
Maria Paola Ferretti, fra le ragioni pubbliche e le ragioni private
John Horton, Liberalismo, tolleranza e razzismo
Mario Ricciardi, la tolleranza come virtù
Will Kymlicka, Stati multiculturali e cittadini interculturali

I curatori

Emanuele Bardone si è laureato in scienze filosofiche presso l’Università di Pavia, conseguendo successivamente la specializzazione in Teorie Filosofiche presso lo stesso Ateneo, sotto la supervisione del Prof. Lorenzo Magnani.

Enzo Rossi si è laureato in scienze filosofiche all’Università di Pavia, sotto la guida di Salvatore Veca. Attualmente segue un corso di dottorato di ricerca presso l’Università di St. Andrews. È caporedattore del Sito Web Italiano per la Filosofia. Si interessa di etica e di filosofia politica.

Bibliografia


Aristotele.1997. Etica Nicomachea. Roma-Bari: Laterza.
Raphael, D. D. 1988. The Intolerable. In Justifying Toleration: Conceptual and Historical Perspectives. A cura di S. Mendus. Cambridge: Cambridge University Press.
Thagard, P. 1994. Rivoluzioni concettuali : le teorie scientifiche alla prova dell'intelligenza artificiale. A cura di L. Magnani, trad. E. Giorgi. Milano: Guerini.

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