lunedì 9 maggio 2005

Vegetti, Mario, Platone. Repubblica, libro XI. Lettera XIV. Socrate incontra Marx lo Straniero di Treviri.

Napoli, Guida (coll. “Autentici falsi d’Autore”), 2004, pp. 52, € 6,00

Recensione di Maurizio Brignoli – 09/05/2005

All’interno del progetto editoriale degli “autentici falsi d’autore” Mario Vegetti analizza un testo, il cui ritrovamento ad opera dello studioso sovietico Josiph Vissarionovich risale al 1937, identificabile come l’XI libro della Repubblica platonica. Un testo condannato all’oblìo, e la cui autenticità è ancora oggi contestata dagli studiosi di scuola anglosassone, perché presumibilmente sottoposto a censura dall’indirizzo conservatore dell’Accademia post-platonica, o forse costituente forse l’autentico libro X, in seguito sostituito dall’attuale, che offre una lettura mitica e religiosa al posto di quella politica presente nel testo qui ritrovato.

Il libro XI si apre con l’arrivo dello Straniero di Treviri, forse un dotto di origine germanica acculturatosi negli ambienti greci di Marsiglia o un commerciante al servizio del ricco Federikos Anghelos, che dà vita a un dialogo con Socrate incentrato sul rapporto fra educazione e rivoluzione e sulla questione del potere. Lo Straniero sostiene la necessità che il popolo non abbia bisogno di speranze o paure per essere ben governato, bensì di verità. Socrate replica allo Straniero sostenendo che le disuguaglianze di carattere e intelligenza, che permettono a pochi straordinari di capire che la felicità dell’insieme è superiore a quella delle parti, sono all’origine della sua convinzione che il comunismo e il governo della città debbano cominciare dai pochi migliori. Che gli uomini non siano eguali per natura è comunque posizione condivisa anche dallo Straniero che rifiuta le tesi, da lui definite sciocchezze, sostenute in Palestina e da Rossone d’Elvezia che gli uomini siano tutti belli e buoni.

Secondo lo Straniero di Treviri è dalla base che si deve partire, dall’elemento che rende eguali falegnami, fabbri, muratori, che non è il loro sapere o la loro natura, bensì il loro lavoro che aggiunge valore alla materia e dal quale dipende la ricchezza della città nel suo insieme; è questo che li unifica e li rende, con un termine barbarico non presente nel pensiero politico greco, una Klasse. Di fronte alle obiezioni di Socrate e Trasimaco, il Trevirita deve comunque ammettere la necessità di una guida di pochi ottimi capaci di interpretare i bisogni e le aspirazioni dei lavoratori, di renderli coscienti e di guidarli verso la liberazione loro e della città tutta. Questa tesi dell’oligon meros, di un Partei in barbarico, potrebbe risalire all’influenza dello scita Vladimiros Leninos.

Lo Straniero non nasconde comunque le sue simpatie per l’ispirazione comunista di fondo di Socrate (enunciata nel libro V) e, di fronte alle obiezioni del giovane Aristotele al comunismo, lo Straniero replica che, ben lungi dal sostenere che ogni tipo di proprietà sia un furto, come vuole Prudone di Lutezia, lo sia invece la proprietà privata della terra, fonte del sostentamento comune, e l’appropriazione del frutto del lavoro altrui. In conclusione, sia Socrate che lo Straniero concordano sulla necessità di una mutazione straordinaria del mondo in un momento in cui la barbarie avanza sempre più e Socrate non esclude neppure che un giorno anche Trasimaco, nel momento in cui la sua ossessione per il potere si trasformi in uno strumento per cambiare l’inerzia dei tempi, si allei con lui e lo Straniero in quest’opera di trasformazione.

Vegetti nell’edizione del testo e nell’introduzione offre un ricco apparato di note con continui richiami a studiosi importanti come Giuseppe Mucca, D. Lomuto, M. Vecchietti e riviste prestigiose come i Quinterni di storia, Quaderni histerici e la Revue phantastique de Philosophie.

Di questo prezioso manoscritto, andato perso durante la seconda guerra mondiale, pare che esista un esemplare identico in un convento del monte Athos che i monaci non consentono però di trascrivere o fotografare. Ci pare assolutamente condivisibile l’invito volto da Vegetti a un intervento, anche militare, da parte della comunità internazionale per recuperare questo patrimonio culturale.

La lettera XIV, presumibilmente l’ultimo scritto di Platone, prende spunto da un episodio della storia italiana pre-romana: la tirannide esercitata da un politico dalle origini incerte, noto col nomignolo spregiativo di Bereskhetos – indicante in Aristofane, secondo la dotta ricostruzione di S. Funghi-Porcini, le forze della stoltezza e della follia – che governa utilizzando come mercenari tribù di barbari cispadani e pretoriani tiburtini.

Prendendo spunto dalla magia del piccolo tiranno che è capace di trasformare i giudici in accusati e i malfattori nei loro giudici, Platone riformula in modo radicale alcune posizioni fondamentali esposte nella Repubblica. Prima di tutto riconosce l’eccessivo formalismo socratico a proposito della giustizia identificata col rispetto delle leggi e dei poteri costituiti. Platone riconosce la giustezza delle tesi di Trasimaco: come si possono cambiare le leggi ingiuste di un tiranno o di una maggioranza maneggiata da abili impostori? La questione della giustizia si risolve in quella del potere giusto.

Platone afferma di aver riflettuto sulle parole del barbaro di Treviri che sosteneva come la giustizia legale e politica potesse essere solo la conseguenza, e non già la premessa, di una giustizia più radicale riguardante i rapporti sociali fra gli uomini. È per questo che secondo Platone risulta fallace sia il tentativo socratico di garantire la giustizia tramite l’ossequio a leggi e tribunali già ingiusti, sia quello di Platone stesso di sostituire un governo ingiusto con uno giusto mantenendo intatto l’ordine sociale e rischiando ogni volta di dar vita solamente a nuove tirannidi.

Bisogna quindi partire non più da un numero ristretto di individui, ma dalle moltitudini degli sfruttati e Platone invita gli amici d’Italia a chiamare alla lotta contro il tiranno proprio questi oppressi e in questo modo la vittoria sarà vicina: “Sappiate però che essa costerà anche a voi un prezzo pesante, perché nulla sarà come prima nel mondo che ne verrà, e spariranno anche i privilegi di cui voi stessi comunque godete” (p. 52).

Indice

La Repubblica, libro XI: Introduzione (La storia del testo; Gli interlocutori: lo Straniero, il giovane Aristotele; Lo sviluppo argomentativo). Libro XI

Lettera XIV: Introduzione (La tradizione manoscritta; Il contesto storico; Il senso dell’epistola)
Lettera XIV – Agli amici d’Italia (Sulla giustizia)


L'autore

Mario Vegetti (Milano, 1937), ordinario dal 1975 di storia della filosofia antica presso l’Università di Pavia, ha dedicato i suoi studi alla storia del pensiero scientifico greco, grazie anche agli insegnamenti di Ludovico Geymonat, e alla sfera etico-politica della filosofia antica. Tra le sue opere recenti ricordiamo: Biologia. La medicina in Platone (Il Cardo, Venezia 1995), Guida alla lettura della Repubblica di Platone (Laterza, Roma-Bari 1999), Quindici lezioni su Platone (Einaudi, Torino 2003).

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