martedì 2 agosto 2005

Pareyson, Luigi, Estetica dell’idealismo tedesco. I. Kant e Schiller.

Milano, Mursia (Opere Complete, vol. 7, Centro Studi Filosofico-Religiosi Luigi Pareyson), 2005, pp. 313, € 28,00, ISBN 88-425-3319-X.

Recensione di Davide Sisto - 02/08/2005

Estetica, Storia della filosofia (moderna)

Il settimo volume delle Opere Complete di Luigi Pareyson, curate dal centro studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson, ripropone due delle più rilevanti testimonianze del meticoloso lavoro interpretativo svolto dal filosofo torinese nei confronti dell’idealismo tedesco, vale a dire L’estetica di Kant ed Etica ed estetica di Schiller. I due saggi, in origine pubblicati nel 1949, vengono ora riediti, secondo il criterio seguito per le Opere Complete, in modo da farne risaltare l’importanza per lo sviluppo speculativo del pensiero pareysoniano. 
Lungi dal ripercorrerne filologicamente gli aspetti più consueti e dal rimarcarne le apparenti incongruenze, Pareyson si accosta alla Critica del Giudizio con l’intento di far affiorare ciò che Kant «lascia allo stato di pura proposta incidentale» (p. 26), cercando di cogliere «le nascoste implicanze delle esplicite dichiarazioni kantiane» (p. 12). Pertanto, il filosofo torinese considera la terza critica kantiana, non tanto come confluenza dei molteplici aspetti dell’estetica illuministica, quanto, piuttosto, come «primo manifesto romantico» (p. 13) che, «nella sua ricchezza tumultuosa e un po’ disordinata, nella sua complessità vivente e un po’ diseguale» (ibid.), offre spunti problematici all’estetica romantica e alla metafisica idealistica.
Due sono le esigenze kantiane a fondamento della Critica del Giudizio: l’una verso la purezza della contemplazione, soddisfatta dalle dottrine dell’ateoreticità e dell’apraticità del giudizio estetico, l’altra verso l’umanità e la concretezza della contemplazione estetica, affrontata solo indirettamente, attraverso le dottrine della bellezza aderente e del sublime, le quali, trasportando in una sfera estetica sia la praticità che la teoreticità, «reintroducono nella contemplazione estetica la concretezza delle altre attività spirituali» (p. 92). Secondo Pareyson, la bellezza aderente e il sublime non sono affatto inconciliabili con l’ateoreticità e l’apraticità della contemplazione estetica, come invece è solita credere una diffusa tradizione storiografica; piuttosto, Kant, nel considerarle marginali rispetto alla trattazione dell’analitica del giudizio di gusto, cade «in un difetto di completezza» (p. 91). Egli, infatti, ritiene doveroso, per l’autonomia e la purezza del giudizio estetico, estendere l’ateoreticità e l’apraticità anche all’oggetto contemplato, elaborando così la dottrina della bellezza libera, cioè di una bellezza formale e indipendente da elementi pratici e teoretici, la quale, facendo della contemplazione estetica l’atto inevitabile d’una facoltà separata e isolata dalle altre, «oltrepassa la stessa esigenza da cui è sorta: ne deriva che la seconda esigenza rimane compressa e tenuta in secondo piano, perché la dottrina della bellezza libera non permette che le dottrine della bellezza aderente e del sublime acquistino quel rilievo e quello sviluppo che meritano nell’economia dell’estetica kantiana» (p. 92). La lettura pareysoniana della Critica del Giudizio cerca invece di dimostrare che la purezza della contemplazione non presuppone necessariamente l’impossibilità dell’inserzione di elementi extraestetici nella sfera estetica; la contemplazione, infatti, più che l’atto di una facoltà separata e isolata, va intesa come «un atteggiamento distinto da altri, ma che verte sulla totalità complessa degli oggetti dello spirito umano in una sua qualsiasi facoltà» (p. 77).
Semmai, il significato dell’apraticità e ateoreticità del giudizio estetico va cercato nella perfetta corrispondenza fra contemplante e contemplato che, stabilita implicitamente da Kant, viene sviluppata in primis da romantici e idealisti e, successivamente, dalla stessa estetica formativa di Pareyson, laddove il filosofo torinese, intento a celebrare il sodalizio fra estetica ed ermeneutica, afferma che la bellezza di un’opera artistica o naturale, lungi dall’aver un significato limitatamente oggettivo o soggettivo, consiste nella «contemplabilità e godibilità della forma in quanto forma, che s’offre allo sguardo che sa farsi veggente e contemplante» (Estetica. Teoria della formatività, Milano 1998, p. 196). Tali osservazioni sono avvalorate dalla medietà del giudizio estetico rispetto alla conoscenza e alla moralità, dal momento che a esso spetta il compito di costituire soggettivamente l’accordo tra l’intelletto legislatore della natura e la ragione legislatrice di sé: proprio da qui Pareyson prende le mosse per restituire alle dottrine della bellezza aderente e del sublime quel primigenio valore, che Kant ha sminuito conformemente alla necessità sistematica interna alla sua filosofia.
Se lo stesso Kant non pare così riluttante ad ammettere una possibile conciliazione della dottrina della bellezza aderente con l’ateoreticità della contemplazione pura, integrando, durante l’analisi dell’arte come produzione del genio, il concetto di scopo interno nel giudizio estetico, il filosofo torinese si spinge ancora oltre, ritenendo opportuno, per cogliere l’analogia vigente tra creatività artistica e produttività naturale, includere il giudizio teleologico nel giudizio estetico, in modo che questo dipenda da quello. Tale dipendenza obbedisce alla «necessità di oltrepassare la considerazione meccanicistica della natura in una considerazione che, invece di conoscere teoreticamente la natura, cercasse di interpretarla: lo stesso giudizio teleologico è già un’interpretazione della natura. Includere il giudizio teleologico nel giudizio estetico significa allora considerare l’interpretazione della natura come condizione della contemplazione di essa» (p. 141). Dal momento che la bellezza è sempre «sintesi di intenzionalità e contingenza» (p. 149), come la bellezza di un’opera d’arte può essere considerata solo in seguito a un movimento ermeneutico che ne metta in risalto, accanto all’intenzionalità dell’artista, un suo interno carattere contingente, così «per vedere la natura come bella occorre considerarla nella sua produttività organica, vale a dire interpretarla. Voler interpretare la natura è già un amarla: l’interpretazione è già una visione innamorata della natura che ne mette in luce la bellezza» (p. 141). Ciò significa che la problematica distinzione kantiana fra bellezza libera e bellezza aderente può essere oltrepassata, non appena ci si renda conto che l’aderenza è aderenza non a un concetto dell’intelletto, ma «all’interpretazione che si dà della natura» (p. 142), e la bellezza, in quanto colta mediante un atto interpretativo, «è sempre libera e aderente: libera perché non aderisce a una conoscenza concettuale, aderente perché aderisce a un’interpretazione della natura» (ibid.). Tali considerazioni, di per sé originali poiché presentano l’estetica kantiana come un’estetica della produzione, anziché come una filosofia della contemplazione estetica, saranno compiutamente svolte dal pensiero di Goethe, intento a insistere sull’ineludibile somiglianza fra opere d’arte e prodotti della natura.
Con l’analitica del sublime si manifesta, invece, la possibilità d’includere la moralità nella bellezza estetica, non come autonomia della ragione o volontà razionalmente determinata, ma come risonanza sentimentale nel soggetto contemplante. Proprio il sublime, esteriorizzando, in oggetti naturali particolarmente idonei a cogliere tale proiezione, il conflitto tra la natura sensibile e la natura razionale in noi, «è l’unico caso, nell’estetica kantiana, di un giudizio estetico ch’è vera e propria espressione d’un sentimento, nel senso che offre a tale sentimento una figurazione sensibile» (p. 102). Nel sublime, infatti, si figura il sentimento morale, cioè si trasferisce su un oggetto sensibile «ciò che il sentimento morale tributa alla ragione sovrasensibile e ci si serve di un’immagine sensibile offerta dalla natura per raffigurare la nostra destinazione soprasensibile» (pp. 101-102). Ne conseguono, da una parte, la dottrina dell’immaginazione creatrice nell’arte e nel genio, dall’altra, la teoria dell’idea estetica come simbolo, vale a dire come «rappresentazione che dà occasione di pensare molto, senza che però un qualsiasi pensiero determinato, cioè un concetto, le possa essere adeguato» (Kant, Critica del Giudizio, Milano 1993, p. 290). La definizione kantiana dell’idea estetica, nel ribadire la distanza incolmabile fra il denken e l’erkennen, è ritenuta da Pareyson fondamentale per descrivere l’inoggettivabile inseparabilità di fisicità e trascendenza insita nella natura geheimnisvoll offenbar: il simbolo, infatti, per il suo inconfondibile carattere tautegorico, si mostra come rivelazione viva e istantanea dell’imperscrutabile, come ciò che coglie l’eterno in quanto c’è di più propriamente storico.
Sarà Schiller a ereditare il vincolo kantiano tra l’inventività libera e immaginosa dell’arte e il fondo morale della contemplazione estetica, vincolo esigente una profonda educazione estetica dell’uomo, «in quanto la sfera estetica è passaggio necessario alla moralità, tanto che solo come uomo estetico l’uomo è veramente uomo» (p. 158). Da qui traggono origine le tre idee fondamentali del pensiero etico ed estetico schilleriano – il concetto di un ideale di perfetta umanità, il principio dell’educazione estetica e la concezione d’uno sviluppo storico dell’umanità – le quali instaurano un dialogo inevitabile tra Schiller e i principali esponenti della filosofia idealistica. Il saggio schilleriano di Pareyson, volto a far parlare Schiller filosofo «con la sua voce autentica nel modo in cui essa può essere oggi più comprensibile» (p. 163), analizza innanzitutto il concetto di un ideale di perfetta umanità, esplicitato in Grazia e dignità, opera che cerca di conciliare il sublime e il bello, mirando all’unione di sensibile e sovrasensibile nel mondo e all’armonia fra sensibilità e razionalità nell’anima umana. Ne consegue la necessità di «ridare alla sensibilità i suoi diritti» (p. 231), educandola in vista della realizzazione morale dell’uomo, senza mortificarla, come pretende inopportunamente chi predica un eccessivo rigorismo morale. Schiller si distingue pertanto da Kant, in quanto concepisce l’ideale dell’umanità come «un ideale estetico, che include e risolve in sé la moralità» (p. 233); perseguendo l’educazione completa di tutte le facoltà umane, il poeta tedesco identifica la perfezione dell’umanità con l’anima bella, «ch’è quella in cui “i due principi si trovano in perfetta armonia”, e che per il fatto solo d’esser bella è anche buona» (ibid.).
Lo studio pareysoniano delle Lettere sull’educazione estetica, secondo cui «l’unica educazione possibile è l’educazione estetica» (p. 308), mette invece in luce «una non dichiarata, ma chiarissima polemica antifichtiana» (ibid.), riconducibile al fatto che Schiller applica il concetto fichtiano di determinazione reciproca per dimostrare proprio ciò che si oppone al pensiero di Fichte. Egli se ne serve per conciliare un’opposizione, cioè per mediare, nell’impulso estetico del gioco, due indipendenze divergenti, cioè l’impulso attivo alla forma, mirante a «estirpare il puramente mondano» (p. 261), e l’impulso passivo alla materia, il quale esige «l’estrinsecarsi nell’esterno» (ibid.). «Il gioco è la contemplazione, sottratta alla serietà della passività come intuizione e bisogno e dell’attività come intelletto e ragione» (p. 266); l’oggetto della contemplazione e del gioco è la bellezza. Ora, in base a ciò, il gioco risulta essere «la contemplazione dell’apparenza» (ibid.), in cui si conciliano recettività e produttività, dal momento che le cose non sono più considerate come oggetti di conoscenza o di attività pratica, ma appartenenti al mondo irreale dell’immaginazione, «perché è l’immaginazione che si sottrae all’intuizione imposta dal bisogno e all’astrazione imposta dalla legge della verità formale» (p. 266).
Infine, il saggio Sulla poesia ingenua e sentimentale propone «una storia dell’umanità che passa da un’unità originaria e armonica all’esperienza d’una scissura fra ideale e reale che tende verso una nuova e più ricca armonia» (p. 308), anticipando la dottrina hegeliana della totalità e della conciliazione, tanto che Pareyson parla esplicitamente di prehegelismo in Schiller.

Indice

Premessa del curatore
L’ESTETICA DI KANT
Prefazione
Capitolo Primo I problemi della «Critica del Giudizio»
Capitolo Secondo La contemplazione pura
Capitolo Terzo Rapporti della sfera estetica con la teoretica e la pratica
Capitolo Quarto Purificazione estetica di elementi estraestetici
Capitolo Quinto Il sublime come espressione estetica della moralità
Capitolo Sesto La bellezza aderente come interpretazione della natura
Conclusione
ETICA ED ESTETICA IN SCHILLER
Prefazione
Capitolo Primo Esigenze originali di Schiller
Capitolo Secondo Il sublime come libertà dal sensibile
Capitolo Terzo Il bello come libertà nel sensibile
Capitolo Quarto L’anima bella
Capitolo Quinto L’ideale dell’umanità
Capitolo Sesto L’educazione estetica
Capitolo Settimo Ideale e reale
Conclusione

Indice dei nomi

L'autore

Luigi Pareyson (1918-1991) è stato accademico dei Lincei e professore di Estetica e di Filosofia Teoretica presso l’Università degli Studi di Torino. Tra i primi interpreti italiani dell’esistenzialismo, l’ha proseguito nella direzione d’un personalismo ontologico (La filosofia dell’esistenza e Carlo Jaspers, 1940; Studi sull’esistenzialismo, 1943; Esistenza e persona, 1950). Ha interpretato con rinnovate prospettive storiografiche le filosofie del romanticismo e dell’idealismo tedesco (Fichte, 1950; Estetica dell’idealismo tedesco, 1950; L’estetica di Kant, 1968; Schelling, 1975; Schellingiana rariora, 1977) e ha elaborato una dottrina estetica come teoria della formatività (Estetica, 1954; Teoria dell’arte, 1965; I problemi dell’estetica, 1966; Conversazioni di estetica, 1966; L’esperienza artistica, 1974). Si è impegnato nella formulazione di una teoria ermeneutica come ontologia dell’inesauribile (Verità e interpretazione, 1971) e come Ontologia della libertà (1995, postumo).


Links

Centro studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson: http://www.pareyson.unito.it/

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