domenica 18 dicembre 2005

Losurdo, Domenico, Controstoria del liberalismo.

Roma-Bari, Laterza (Biblioteca Universale Laterza, 578), 2005, pp. 376, € 24,00, ISBN 88-420-7717-8.

Recensione di Maurizio Brignoli – 18/12/2005

Filosofia politica (liberalismo)

Domenico Losurdo prosegue con Controstoria del liberalismo il suo lavoro di analisi critica, da un punto di vista marxista, della tradizione liberale. L’obiettivo è di analizzare, su un arco di tempo che giunge fino allo scoppio della prima guerra mondiale, il liberalismo non come astratta elaborazione teorica, ma nella concretezza delle società liberali storicamente realizzatesi.
I liberali a metà Ottocento tendono a contrapporre all’interminabile ciclo rivoluzionario francese l’ordinato trionfo della libertà delle tre rivoluzioni liberali in Olanda, Inghilterra e Stati Uniti. In realtà però le rivoluzioni liberali uniscono – come emerge dai testi di Grozio, Locke e dalle reticenti formulazioni della costituzione statunitense che contrappone “uomini liberi” e “resto della popolazione” – rivendicazione della libertà e giustificazione della schiavitù e dell’annientamento dei selvaggi. La schiavitù, dunque, non permane nonostante le vittorie liberali, ma è un fenomeno che si sviluppa e rafforza proprio in seguito a questo successo. Il trionfo del liberalismo e la schiavitù-merce su base razziale sono il frutto di un parto gemellare.
Il disagio liberale si evidenzia bene in Montesquieu, che vuole limitare la schiavitù solo a quei paesi in cui questa possa essere giustificata dal clima. La condanna della schiavitù è netta solamente quando è presente “tra noi”, quando cioè mette in crisi la percezione di sé che ha l’Europa come luogo esclusivo della libertà. Di fronte a questa contrapposizione fra metropoli e colonie, che esclude queste ultime dallo spazio sacro della civiltà e della libertà, emerge la reazione dei coloni americani che pongono il confine civiltà-barbarie non più in termini spaziali, ma in termini di appartenenza etnica e razziale.
Anche per i servi bianchi la situazione è drammatica. Fra il 1688 e il 1820 in Inghilterra si sviluppa una legislazione terroristica con la quale i reati che prevedono la pena di morte, quasi sempre reati contro la proprietà, si moltiplicano. Le classi popolari oltre a essere controllate nella vita privata, tramite l’indottrinamento religioso o il consumo di oppio, lo sono ancor di più nella vita pubblica dove vengono varate leggi per impedire le azioni collettive della classe operaia.
I liberali presentano la “libertà moderna” come “libertà negativa”, come quella sfera in cui ogni individuo gode di una sfera privata di libertà garantita dalla legge. In realtà il ricorso a tale categoria è problematica negli Stati Uniti anche per la stessa classe dominante: il padrone di schiavi ha un potere assoluto sulla sua proprietà, ma non può metterne in discussione il processo di reificazione e mercificazione. È proibito insegnare a leggere e scrivere agli schiavi, sono vietati i rapporti sessuali e matrimoniali interrazziali, è vietato il riconoscimento della prole nata da un rapporto fra padrone e schiava. Siamo di fronte a una società che esercita una dura costrizione anche sui suoi membri privilegiati, in quanto la comunità esige di mantenere invalicabile la barriera tra la razza dei signori e quella dei servi. A proposito della società statunitense si potrebbe parlare di Herrenvolk democracy in cui i membri di un’aristocrazia di classe o di razza, visto che la netta demarcazione fra bianchi e neri/pellerossa permette rapporti di maggiore eguaglianza nella comunità bianca, si autocelebrano come “pari” che godono del potere di escludere gli “inferiori”.
Se negli Stati Uniti vi è questo sentimento di relativa eguaglianza fra bianchi, in Inghilterra l’esclusione dall’eguaglianza giuridica e dalla libertà negativa è un fenomeno ancora più ampio: considerando le tre distinte situazioni giuridiche – libertà, servitù, schiavitù – il servo bianco non fa parte, nonostante l’abisso razziale, della comunità dei liberi. Anche quando dopo la guerra di secessione le caste si riducono a due, ai semischiavi neri negli Usa corrispondono i servi bianchi inglesi, permane una barriera che separa questi ultimi dalla casta degli uomini veramente liberi. All’apartheid razziale corrisponde un apartheid sociale.
Anche i rapporti tra l’Occidente e il mondo coloniale sono riassumibili nella formula della “democrazia per il popolo di signori” ormai estesa a livello planetario. Se alcuni dei popoli barbari sono destinati, come ad esempio i cinesi, a forme di lavoro servile, altri, meno utili come i pellerossa o i nativi australiani e neozelandesi, sono destinati all’annientamento.
La Francia, che nel 1763 dopo la sconfitta nella guerra dei Sette anni aveva perso buona parte del suo impero coloniale, sviluppa una critica del colonialismo e dello schiavismo che, per i consistenti interessi economici in gioco, è assente in Inghilterra e negli Stati Uniti. Il radicalismo francese è così in grado di dissolvere l’immaginaria trasfigurazione universalistica dell’americana “democrazia per il popolo dei signori”, differenziandosi dal liberalismo respingendo sia la delimitazione spaziale (inglese) che quella razziale (statunitense) della comunità dei liberi. Mentre la tradizione liberale, anche quando critica la schiavitù, non rinuncia mai alla dicotomia Occidente/civiltà-mondo coloniale/barbarie, il radicalismo di Condorcet e Diderot denuncia la barbarie della schiavitù in contrasto con l’ingenuità epistemologica di autori liberali, come Tocqueville, che concentrano la loro attenzione solo sulla comunità bianca e celebrano come luogo della libertà un paese in cui fiorisce la schiavitù su base razziale e che attua una politica di massacro e di deportazione nei confronti dei pellerossa.
La tradizione liberale si fonda così su due macroscopiche clausole di esclusione nei confronti delle “macchine bipedi” della metropoli da un lato e degli schiavi e delle popolazioni coloniali dall’altro. Di fronte alla lotta per il riconoscimento dei lavoratori, la classe dominante replica che la partecipazione alla vita politica non è un elemento essenziale della libertà e che i rapporti di lavoro e le condizioni materiali di vita rientrano in una sfera privata in cui non solo il legislatore non deve entrare, ma la cui immutabilità è consacrata dalla natura. Emerge nel liberalismo una dimensione social-darwinistica che vede nella legislazione a favore dei poveri una distruzione delle leggi di natura: lo stato non deve interferire con la lotta per l’esistenza.
L’opposizione alla comunità dei liberi può giungere non solo dalle colonie, ma anche dalle metropoli, e allora la barbarie esterna viene identificata dai liberali con quella interna e l’unica soluzione possibile, in entrambi i casi, è la dittatura. Il conflitto politico-sociale può produrre anche un’interpretazione in chiave psicopatologica: è la follia che spinge i socialisti a voler modificare rapporti di proprietà e produzione sanciti dalla natura e dalla Provvidenza. Il passaggio dalla malattia alla razza è conseguente e rapido: l’agente patogeno è introdotto da elementi rivoluzionari estranei alla razza inglese, come slavi e latini, o dagli ebrei.
In conclusione le rivoluzioni liberali sono caratterizzate da un intreccio di emancipazione e de-emancipazione ed esprimono inizialmente l’autocoscienza di una classe di proprietari di schiavi o servi che si forma insieme allo sviluppo del sistema capitalistico. I liberali rivendicano l’autogoverno e il godimento della proprietà contro il dispotismo monarchico: “Quella liberale è la tradizione di pensiero che con più rigore ha circoscritto un ristretto spazio sacro nell’ambito del quale vigono le regole della limitazione del potere; è una tradizione di pensiero caratterizzata, più che dalla celebrazione della libertà o dell’individuo, dalla celebrazione di quella comunità degli individui liberi che definisce lo spazio sacro” (p. 305). Nella delimitazione rigorosa di questo spazio, che svolge la funzione estremamente positiva di far valere regole precise all’interno del popolo eletto, il liberalismo approfondisce, d’altro canto, in modo ancora più rigoroso, l’abisso che lo separa dallo spazio profano.
Per superare il mito agiografico del graduale e pacifico passaggio dal liberalismo alla democrazia, oltre al costante intreccio di emancipazione e de-emancipazione, bisogna ricordare che: 1. i classici del pensiero liberale sono ostili alla democrazia e la considerano una rottura arbitraria del patto sociale; 2. le clausole di esclusione sono state superate tramite sconvolgimenti violenti; 3. il processo storico che porta alla democrazia non è un processo unilineare: dopo la Comune di Parigi, e soprattutto dopo la rivoluzione bolscevica, molti liberali rimettono in discussione non solo le concessioni democratiche strappate dalle masse popolari, ma anche lo stesso governo della legge, appoggiando ad esempio il fascismo; 4. il processo di emancipazione ha avuto spesso uno spunto esterno al mondo liberale come con la rivolta degli schiavi di Santo Domingo o la rivoluzione russa.
I meriti e la forza del liberalismo consistono nella sua capacità di adattarsi alle sfide del tempo e nella capacità di apprendere dai suoi antagonisti, dal radicalismo al marxismo, molto più di quanto i suoi antagonisti non abbiano appreso da lui. Soprattutto gli avversari non hanno saputo apprendere il grande punto di forza del liberalismo consistente nel pensare il problema della limitazione del potere.
Il lavoro di Losurdo costituisce un importante strumento per un tentativo di demistificazione della tradizione liberale che oggi tende a imporsi come dominante. Inoltre la lettura del testo – dove ad esempio si ricorda come le operazioni contro le bestie selvagge dalla pelle rossa non siano considerate a Washington operazioni di guerra, impossibili contro popoli che non hanno raggiunto lo stadio della civiltà, bensì di polizia – permette al lettore immediati rimandi alla politica odierna e alla stessa terminologia utilizzata in occasione delle operazioni di “polizia internazionale”.
Se si volesse individuare un limite, oltre a quello temporale che ferma l’analisi alla prima guerra mondiale, si potrebbe sottolineare come l’autore tenda in alcuni punti a dare maggiore rilievo, per usare un definizione utilizzata dallo stesso Losurdo nel suo Nietzsche, alla “razzizzazione orizzontale” (basata su una differenziazione nazionale o etnica e razziale) rispetto a quella “trasversale” – che procede a una razzizzazione delle classi subalterne contrapponendo malriusciti/benriusciti, nobili/plebei, liberali/servili nel nostro caso, indipendentemente dall’appartenenza nazionale o etnica – che ci pare invece essere fondamentale nelle diverse fasi dell’imperialismo, a partire dall’ultimo quarto del XIX secolo, proprio per la sua utilità nel disgregare in anticipo possibili alleanze fra gli sfruttati delle metropoli capitalistiche e delle colonie.

Indice

Una breve premessa metodologica
I. Che cos’è il liberalismo?
II. Liberalismo e schiavitù razziale: un singolare parto gemellare
III. I servi bianchi fra metropoli e colonie: la società proto-liberale
IV. Erano liberali l’Inghilterra e gli Stati Uniti del Sette e Ottocento?
V. La rivoluzione in Francia e a Santo Domingo, la crisi dei modelli inglese e americano e la formazione del radicalismo sulle due rive dell’Atlantico
VI. La lotta per il riconoscimento degli strumenti di lavoro nella metropoli e le reazioni della comunità dei liberi
VII. L’Occidente e i barbari: una «democrazia per il popolo dei signori» di dimensioni planetarie
VIII. Autocoscienza, falsa coscienza, conflitti della comunità dei liberi
IX. Spazio sacro e spazio profano nella storia del liberalismo
X. Liberalismo e catastrofe del Novecento

L'autore

Domenico Losurdo (Sannicandro, Bari, 1941) è ordinario di Storia della filosofia presso l’Università degli Studi di Urbino. Fra i suoi lavori, molti dei quali tradotti in più lingue, ricordiamo i più recenti: Antonio Gramsci dal liberalismo al comunismo critico, Gamberetti, Roma 1997; Il revisionismo storico. Problemi e miti, Laterza, Roma-Bari 1998; Nietzsche, il ribelle aristocratico, Boringhieri, Torino 2002.

Links

(Rai Educational pagina dedicata a Losurdo)
(recensioni, articoli, dibattiti sul Nietzsche di Losurdo)
(testi e collegamenti sui classici del pensiero liberale)

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