giovedì 22 giugno 2006

Cantù, Paola - Testa, Italo, Teorie dell’argomentazione. Un’introduzione alle logiche del dialogo.

Milano, Bruno Mondadori, 2006, pp. xx+187, € 14,00, ISBN 88-424-9316-3.

Recensione di Fabio Lelli - 22/06/2006

Filosofia del linguaggio, Logica

A partire dalla fine degli anni ‘50, con i pionieristici lavori di Toulmin e Perelman, si è diffusa una crescente attenzione verso la teoria dell’argomentazione, un campo di studi complesso e dalla forte valenza interdisciplinare, e che racchiude al suo interno molteplici interrogativi filosofici di ampia portata, che spesso travalicano il puro e semplice interesse logico-linguistico, arrivando a toccare campi quali le neuroscienze e l’intelligenza artificiale, l’etica, la politica, e la riflessione giusfilosofica.

Alla base di questi studi c’è innanzitutto un rinnovato interesse per l’argomentazione quale pratica dialogica e dialettica, che si può contrapporre alla (o considerare un necessario ampliamento della) stretta visione della razionalità cartesiana, monologica e formale, e comporta, quindi, anche un ripensamento della razionalità umana e delle forme in cui essa si esprime. 

L’argomentazione è generalmente intesa come la pratica di addurre e contestare ragioni all’interno di uno scontro dialogico. La teoria che se ne occupa potrà rendere conto di un aspetto descrittivo, quale l’analisi delle argomentazioni della vita quotidiana (specificando se e in quale modo vadano ricostruite logicamente), di un aspetto normativo, quale l’indicazione di regole e standard da seguire per poter condurre un’argomentazione razionale, di un aspetto fondativo, nel caso in cui un approccio voglia giustificare gli schemi adottati per valutare o ricostruire gli argomenti. Queste le direzioni fondamentali della rassegna di Cantù e Testa, gli snodi teorici che opportunamente vengono ricordati e riassunti anche lungo il corso del testo.

Perelman e Olbrecht-Tyteca riaprono questo campo di studi con la loro “nuova retorica” (1958), dall’intento prevalentemente descrittivo, cercando di rivalutare il discorso retorico, persuasivo, dalla razionalità diversa rispetto alla pura logica deduttiva. Nello stesso anno, Toulmin ripensa l’intera logica quale “giurisprudenza generalizzata”, e cioè come una dialettica del dare e testare ragioni, ma - a differenza di Perelman - studiata normativamente, fornendo cioè schemi normativi di corretta argomentazione.

Il rifiuto della riduzione di ogni ragionamento razionale alla logica deduttiva ha invece generato quel vasto movimento noto come “informal logic”. Nella varietà degli autori e delle prospettive di questi movimenti, si possono tenere fermi alcuni punti, tra i quali il rifiuto del riduzionismo deduttivista, un atteggiamento prevalentemente normativo nello studio dell’argomentazione, un’attenzione particolare verso l’atteggiamento pragmatico di Peirce e agli studi pionieristici di Grice sulle implicature conversazionali e convenzionali.

Fra gli approcci indirizzati a cogliere l’aspetto specifico della logica “dialogica”, si può ricordare la scuola di Erlangen con Lorenzen, Kamlah e Schwemmer, che tenta di produrre il significato delle formule logicamente valide attraverso la procedura dialogica; i lavori di Hamblin, nei quali un sistema dialettico è concepito come orientato verso obbiettivi (goal) sia generali che specifici; e la riflessione di Barthe e Krabbe, particolarmente interessante per il tentativo di pragmatizzare, cioè di riformulare la logica degli ambiti teorici particolari in una prospettiva pragmatica, e per il principio di esternalizzazione della dialettica, per il quale la pratica argomentativa del dare e contestare ragioni deve unicamente indirizzarsi alle parole effettivamente espresse (e quindi agli impegni pubblicamente assunti), e non alle “intenzioni” dei partecipanti al dialogo.

Con un intento più radicale, Hintikka considera la logica l’unico mezzo di argomentazione razionale, ma intendendola principalmente come dialettica - come era concepita già in Aristotele -, comprendente non solo regole “difensive” per evitare illeciti logici, ma anche buone strategie per vincere il confronto. In questo senso possono essere anche giudicate correttamente le fallacie, intese non solo come “mosse illegali” logicamente, ma anche come “mosse stupide”, cioè non adatte alla strategia del confronto.

L’indirizzo della Pragma-dialectics di Van Eemeren e Grootendorst vorrebbe conciliare l’aspetto “descrittivo” (l’analisi dei ragionamenti quotidiani) con un aspetto spiccatamente “normativo”, che si specifica in alcune meta-regole dell’argomentazione e in “dieci comandamenti” che elencano gli atti linguistici permessi durante un confronto, e il loro lecito ed efficiente utilizzo. Il dialogo è qui concepito come il confronto fra due posizioni contrastanti che ha lo specifico compito di raggiungere un consenso. Anche in questo caso le fallacie sono intese principalmente nel loro ruolo dialettico: fallacia è ciò che impedisce il raggiungimento del consenso. 

Il complesso modello di Walton e Krabbe tiene conto in particolare delle peculiarità contestuali dell’argomentazione, e caratterizza in modo articolato quegli impegni (commitments) che ogni parlante assume nel corso di un’argomentazione (caratterizzandoli come dark side/light side commitments, a seconda del loro essere impliciti o espliciti), e introduce anche la nozione di shift (spostamento) all’interno di uno stesso dialogo, fra un modello di argomentazione “rigoroso” e uno “permissivo” (quotidiano). In maniera molto interessante, le fallacie vengono lette come usi inappropriati di tale shift.

Raccolti in un capitolo specifico, tre importantissimi autori che legano la loro riflessione sul dialogo a un progetto filosofico di ampia portata. Jürgen Habermas elabora una teoria della comunicazione linguistica generale, che vale come “pragmatica universale”, valida per ogni possibile comunicazione. L’argomentazione assume inoltre il valore di teoria generale della razionalità umana, che è quindi essenzialmente comunicativa. L’argomentazione è concepita come lo scontro fra impegni dialogici contrastanti - chiamati da Habermas “pretese di validità” - che cercano di essere soddisfatti mediante argomenti. Le norme meta-contestuali individuate da Habermas sono universali e isolano le condizioni di possibilità di un argomento razionale rispetto a una “situazione ideale”, che deve essere tenuta presente dai partecipanti alla discussione almeno controfattualmente, come impegno reciproco.

La struttura essenzialmente pragmatica del linguaggio può essere invece individuata, per Robert Brandom, attraverso il gioco fra impegni dialogici e “titoli” (entitlements), cioè le ragioni che siamo pronti a dare per sostenere i nostri impegni. Brandom sostiene inoltre una concezione olistica e argomentativa del significato, per la quale la comprensione del significato di un termine coincide con la capacità di saperlo utilizzare in contesti argomentativi. La formalizzazione delle inferenze valide avviene sempre “dopo” la loro istituzionalizzazione nelle pratica sociale dell’argomentazione. Il parlante razionale deve inoltre essere capace di essere uno “scorekeeper” dei suoi “impegni” e “titoli”, aggiornando in modo razionale il suo virtuale “deposito”, e mantenendo una coerenza interna.

La pragmatica trascendentale di Apel non si fonda su ragioni pragmatiche, ma su pure considerazioni di ordine trascendentale: le regole dell’argomentazione sono condizioni inaggirabili, non violabili a meno di incappare in una autocontraddizione performativa. Apel risolve così brillantemente il trilemma di Münchausen di Albert (l’impossibilità di una qualunque fondazione a causa della caduta nella petitio principi, nel regresso all’infinito o in una presupposizione arbitraria) ma la sua proposta sembra non essere verosimile nel ricavare tutti gli impegni discorsivi a partire da un solo assunto. La proposta di Apel e quella di Habermas hanno anche una valenza morale: i vincoli da loro individuati per la gestione del discorso assumono anche il ruolo di una morale minimale, che nel caso di Apel è fondata a livello trascendentale, mentre in Habermas è fondata tramite la ricostruzione delle intuizioni dei parlanti.

Lo studio dell’argomentazione si intreccia così con la riflessione pratica in genere, per individuare anche per la morale modelli di razionalità (ad esempio con R.M. Hare), liberandola dalla condanna di insensatezza dell’emotivismo neopositivista. Infatti, autori quali Perelman e MacCormick legano la pretesa di correttezza del ragionamento giuridico alla correttezza dell’argomentazione razionale. Per Robert Alexy, il ragionamento giuridico non è altro che un “caso particolare” della ragione pratica, che sottostà quindi alle sue norme e che si specifica per particolari condizioni. Habermas rifiuta invece la teoria del “caso particolare” per non sottoporre il diritto alla morale, concependo il discorso morale (legato al principio di universalizzabilità) e quello giuridico, come istanze di un contesto più generale di imparzialità di tutti i discorsi razionali (principio “D”, e cioè la validità delle norme per l’azione che sarebbero approvabili da tutti gli interessati partecipando ad un discorso razionale).

Infine, per Ronald Dworkin, il diritto è inteso come pratica interpretativa sulla base di certi valori della società quali l’equità e la giustizia, espressi dal principio dell’integrità. Si comincia a dipanare in tal modo il collegamento fra teoria dell’argomentazione e l’ordinamento democratico costituzionale, legato cioè all’ideale di una società in cui sia garantita la libertà di discussione e la legittimità dell’ordinamento democratico attraverso la capacità di prendere decisioni razionali giustificate pubblicamente. Sotto questo aspetto sarebbe stato interessante inserire anche un riferimento alla democrazia deliberativa.

Il campo di studi è molto ampio, ma l’agile volume di Cantù e Testa riesce a fornire una panoramica ragionata, seppur sintetica, dei problemi e degli autori, accompagnandosi con una buona scelta bibliografica e rivelandosi un ottimo testo introduttivo in questo ambito, che è tanto interessante quanto complesso.

Indice

Introduzione
La rinascita novecentesca
La logica informale
Dialogo e dialettica
Pragmatica e dialettica
Intersoggettività e impegni dialogici
Razionalità e fondazione
Argomentazione e pratiche sociali
Bibliografia
Indice dei nomi

Gli autori

Paola Cantù è dottore di ricerca in Filosofia della scienza all’Università di Genova, e svolge attività di ricerca in storia della logica presso l’Università degli Studi di Milano. È autrice di Giuseppe Veronese e i fondamenti della geometria.

Italo Testa insegna Storia della filosofia politica all’Università di Parma e svolge attività di ricerca a Ca’ Foscari. Ha pubblicato Hegel critico e scettico e curato i volumi Ragionevoli dubbi e Hegel contemporaneo.

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