sabato 1 luglio 2006

Gurisatti, Giovanni, Dizionario fisiognomico. Il volto, le forme, l’espressione.

Macerata, Quodlibet, 2006, pp. 546, € 28,00, ISBN 88-7462-142-6.

Recensione di Rolando Ruggeri – 01/07/2006

Psicologia, fisiognomica

La fisiognomica, comunemente intesa, è la scienza o pseudoscienza che dai caratteri del volto umano ricava le caratteristiche di un individuo. È sufficiente rifarsi all'etimologia della parola, che letteralmente significa "scienza della natura", per accorgersi che lo spettro di azione della materia è molto più ampio. Il volto è un concetto che può applicarsi non solamente al viso dell'uomo, ma che può essere esteso a ogni sua produzione ed espressione. Gurisatti ci guida nel suo libro attraverso lo sviluppo di tutto il discorso fisiognomico, esamina le pieghe del volto umano e delle sue produzioni. Il suo dizionario non è una raccolta di voci sparse e autosufficienti, ma una guida chiara e completa al cammino che la fisiognomica ha compiuto nel corso dei secoli e dei millenni. È impossibile in questa sede produrre un sunto esauriente delle concezioni che sono presentate da Gurisatti, dunque ci si limiterà a coglierne l'indirizzo e a mostrare la strada che l'opera traccia. Se già in Aristotele è presente l'idea secondo la quale dalla forma esteriore di una cosa è possibile giudicarne e capirne la natura, sino a Lavater ancora non si ha una vera e propria fisiognomica del carattere individuale. Lavater libera l'interpretazione del volto e del corpo umano dalla tendenza tipizzante che, nell'antichità, forniva la chiave d’interpretazione dei fenomeni osservati; a uno sguardo che si rifà a un modello stabile e che, a seconda della somiglianza con questo o quel modello, interpreta ciò che gli si presenta davanti agli occhi, Lavater sostituisce una visione del volto quale unica, individualizzante e irripetibile finestra verso la comprensione del carattere dell'uomo. La complessità di un volto (e per converso di un carattere) non può certo stare nella combinazione dei quattro umori elementari, che la tipizzazione antica poneva ad atomi della vita interiore dell'uomo. L'uomo è un fascio di complessità, un insieme di forze che si scontrano e si armonizzano, in tensione o rilassamento, è una polarità irrisolta e irrisolvibile che va colta nella sua complessità, pena lo scadimento nel riduzionismo. Nell'uomo vive, ed è questo il principio cardine cui un’autentica fisiognomica si ispira, una tensione tra esterno e interno, e l'osservazione dell'uomo può dire molto di più sul suo carattere e sulla sua individualità di quanto egli stesso intende far trasparire dai suoi atti, dalle sue parole o dalle sue produzioni in genere. La capacità di cogliere l'essenza dell'uomo "nel suo corpo" è una facoltà quasi divinatoria (Lavater vede la fisiognomica come una sorta di Rivelazione, un’incarnazione continua nell'uomo dell'idea di Cristo), una peculiarità del genio, che però va forgiata ed educata (la Bildung dello sguardo è l'educazione alla vista attraverso la quale passa un vero fisionomo).
A una visione statica del volto però si oppone una visione dinamica dello stesso. Laddove Lavater esamina i tratti immobili di un viso, Lichtenberg si concentra su quei segni che rendono mutevole il volto umano e ne esprimono lo stato emotivo immediato; dal carattere si passa a un'attenzione sempre più marcata agli impulsi emotivi che l'uomo vive e supera ciclicamente. L'intento di Lichtenberg è in realtà quello di evitare un abuso "popolare" della fisiognomica, un decadimento della stessa a insieme di regole interpretative a uso folkloristico e pseudoscientifico. Già questa esigenza è presente in Lavater: l'enfasi sul concetto di Bildung quale formazione necessaria al vero fisionomo ha come scopo quello di non far pensare alla fisiognomica come a un prontuario interpretativo del volto umano. L'uomo di Lichtenberg non è l'uomo fisso e immutabile, ma l'uomo inserito nel tempo. La fisiognomica si allarga a comprendere la dimensione della temporalità, l'uomo nei suoi mutamenti contingenti, l'interpretazione si apre al mondo e la vediamo allontanarsi dall'uomo stesso (in quanto volto e corpo) per portare la propria attenzione a diversi tipi di espressione, che non sono meno indicativi e rappresentativi della vita interiore umana.
A poco a poco si aprono scenari interpretativi nuovi, la luce si sposta su altre produzioni umane, altre espressioni, ognuna portatrice del segno lasciato dal proprio autore. Il collegamento tra l'interpretazione del volto umano e una concezione più allargata di fisiognomica viene da Goethe e dalla sua morfologia; nel rapporto tra l'uomo e le cose c'è una in-differenza paritaria, uno scambio che non fa pendere l'ago della bilancia dall'una o dall'altra parte, si instaura tra soggetto e oggetto una sorta di empatia intuitiva che svela la trasparenza interno-esterno delle cose della natura. Il rapporto tra la natura e lo sguardo apre i confini del paradigma fisiognomico e Gurisatti guida il lettore alla scoperta dei segni che l'uomo lascia nelle sue espressioni, il portato umano che è nascosto nelle cose e che una Bildung del vedere può aiutare a svelare. Assieme agli "oggetti" che si accingono a essere esaminati o, meglio, colti dallo sguardo, si presentano una serie di nomi che hanno fatto la storia della fisiognomica. Schopenhauer, con la sua sovrapposizione del concetto di volontà e carattere (in cui volontà è intesa non come forza intenzionale ma come portato istintuale, irrazionale e rappresentativo dell'essenza ultima dell'uomo), è in tutti i sensi un fisionomo, anche se non è stato posto nella giusta luce da coloro che si sono interessati di espressioni significanti dopo di lui. La caratteriologia schopenahueriana non è una teoria nuova, ma un'organizzazione in termini più sistematici di ciò che già Lavater, Lichtenberg e Goethe avevano presentito e presentato nei loro scritti; Schopenhauer mostra d'essere perfettamente in linea con gli autori precedenti, affermando che "la fisiognomica è un mezzo essenziale per la conoscenza degli uomini, e il viso di un individuo dice cose più interessanti di quelle che dice la sua bocca" (p. 136). Non si esamina il con-tenuto ma l'espressione che lo accompagna, non è il concetto che può spiegare la persona ma è ciò che passa a lato del concetto, ciò che entra nell'espressione del concetto stesso e che sfugge al controllo razionale dell'individuo stesso.
Al di là dell'intenzione, al di fuori del controllo dell'uomo si esprime l'uomo stesso. Il portato più autentico dell'individuo si insinua in ogni parte di lui, è presente a sua insaputa nei tratti del volto, lascia traccia indelebile nei segni che la scrittura fissa su un foglio, si nasconde (ma non all'occhio del fisionomo), dietro la spontaneità di un gesto ma non sparisce anche laddove ci sia artificio nei movimenti. Il volto, però, nella società odierna sta svanendo (di questo è profeta Nietzsche), la maschera che l'uomo si mette per stare in società scardina dalla radice il paradigma fisiognomico e lo destituisce di ogni valore ermeneutico; una volta perduta la polarità vitale tra interno ed esterno, una volta che il carattere dell'uomo non si rispecchia più nel suo corpo e il corpo non è più espressione caratteriale ma pura uniformità sociale, la fisiognomica non ha più ragione d'essere, rimane intrappolata dietro la maschera dell'uomo e muore senza vedere la luce di uno sguardo (divinatorio o laico che sia) in grado di liberarla dalla sua prigione.
La seconda parte del libro è dedicata alle forme. Viene presentata la profonda Bildung fisiognomica del pittore che dipinge un personaggio dando spirito alla superficie del quadro e facendo ri-vivere il carattere personale e unico del soggetto ritratto. Il rischio però è in agguato, laddove il pittore entra quale elemento perturbante nella coppia polare di mimesi ed espressione del soggetto, laddove la sua idea sovrasta quella che il volto vorrebbe e dovrebbe dire del suo portatore, la fisiognomica perisce sotto i colpi di una volontaria e retorica rappresentazione.
Le forme si moltiplicano, l'uomo è produttivo, si rispecchia in ogni cosa che fa, ma se tutto diviene dissimulazione lo specchio si infrange. Dopo aver visto la fisiognomica permeare il ritratto umano (in cui il pennello crea ciò che il pittore sente della persona che sta dipingendo), la sua capacità di riprodurre emozioni attraverso l'uso del corpo e della voce (per questo motivo l'attore deve essere un buon fisionomo), la sua produzione artistica e la sua storia, occorre vedere quale destino la fisiognomica ha davanti a sé. L'anima non è necessariamente del singolo uomo ma può presentarsi quale spirito collettivo (di un gruppo, di una nazione), leggibile in diverse espressioni quali la scrittura, lo stile artistico e la storia. Proprio questa ha un ruolo centrale nell'applicazione del paradigma ermeneutico. La troviamo già valutata da Schopenhauer in modo perfettamente fisiognomico: "Come ogni individuo ha la sua fisionomia [...] così ogni epoca ha la propria fisionomia che non è meno caratteristica" (p. 381). La perdita del volto da parte degli uomini comporta inevitabilmente l'inutilizzabilità di ogni interpretazione e di ogni intuizione ermeneutica, lo smarrimento individuale del carattere dell'uomo non può che compromettere il carattere collettivo della società. Se non ci sono più volti da guardare, lo sguardo non può più essere formato, tutto si uniforma e la produzione dell'uomo risente di questa mancanza d'anima nelle sue espressioni. Il libro termina col presentare i frutti di questa perdita del volto, dalla produzione artistica dell'avanguardia, che tenta una ricomposizione del viso umano al di là della sua maschera. Punto emblematico della nostra società è la metropoli, ammasso senz'anima di uniformità, inespressività per eccellenza. La metropoli è segno dei nostri tempi, interpretabile ma deprimente, è il segno negativo dell'anima dell'uomo, l'anima collettiva che non si mostra, si chiude in se stessa. Il funzionalismo e il calcolo uccidono il carattere collettivo dell'uomo, la città mira a darsi una nuova personalità ma è una finzione, un compromesso che compromette la presenza di un'anima ma che non può produrla. Nel rispetto di questa promessa sta il futuro della fisiognomica, nel darsi dei significanti è il destino dell'interpretazione. Il volto dell'uomo è nascosto e diviene tanto più criptico nel momento in cui non è più possibile formare il proprio sguardo, è un circolo vizioso incatenante che porta a tentativi di ricreare fittiziamente un'anima che l'uomo non mostra più. Gli sforzi avanguardistici di scomposizione e ricomposizione del volto umano tentano di ri-creare il volto dell'uomo moderno, ma perdono necessariamente il rapporto tra volto e il suo portatore, investono il volto di un significato che il pittore stende sul quadro e che appiattisce la fisiognomica come colore sulla tela. Dal canto suo la metropoli rappresenta proprio l'irregimentazione e la massificazione dell'animo umano che perde la propria individualità (ciò che costituì, con Lavater, il vero decollo di una fisiognomica autentica) e si perde in una sfumatura di grigio che vela il significato ermeneutico di gesti, parole, espressioni individuali e collettive dell'uomo contemporaneo.

Indice

Prefazione
Introduzione. Il paradigma fisiognomico
Parte prima. Il volto
I Zoognomica
II Fisiognomica
III Patognomica
IV Morfologia
V Carattere
VI Gesto
VII Volto
VIII Maschera
Parte seconda. Le forme
IX Ritratto
X Caricatura
XI Attore
XII Parola
XIII Scrittura
XIV Opera
XV Storia
XVI Metropoli
Conclusione. Tramonto dell'espressione e crisi di un paradigma
Note
Bibliografia
Indice dei nomi


L'autore

Giovanni Gurisatti svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università di Padova. Tra i suoi lavori ricordiamo l'edizione di J.C. Lavater - G.C. Lichtenberg, Lo specchio dell'anima. Pro e contro la fisiognomica (Il poligrafo, 1991) e Caratteriologia, metafisica e saggezza. Lettura fisiognomica di Schopenhauer (Il poligrafo, 2002). Ha curato e tradotto per Adelphi opere di Schopenhauer, Heidegger, Spengler, Schmitt.

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