martedì 1 maggio 2007

Losurdo, Domenico, Il linguaggio dell’impero. Lessico dell’ideologia americana.

Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 323, € 20,00, ISBN 9788842081913.

Recensione di Maurizio Brignoli – 01/05/2007

Filosofia politica

Con Il linguaggio dell’impero Losurdo analizza lo “smisurato fronte” della guerra ideologica che accompagna la “guerra contro il terrorismo”. L’ideologia dominante statunitense pretende non solo di stabilire in modo inappellabile chi siano i terroristi, ma sta stendendo sull’insieme delle relazioni internazionali lo spettro di un terrorismo “permanente, planetario e totalizzante” e, fra le forme particolari che il terrorismo di una grande potenza può assumere, l’embargo costituisce la più micidiale arma di distruzione di massa. A definire il terrorismo non è più l’analisi di un comportamento concreto volto a colpire la popolazione civile, ma è invece la contrapposizione fra Oriente e Occidente.

Il terrorismo viene considerato il prodotto peculiare di una religione fondamentalista, quella islamica, incapace di adattarsi alla modernità. Il fondamentalismo, però, andrebbe declinato al plurale e, soprattutto, non è qualcosa palesatosi solamente al di fuori dell’Occidente. Si può parlare di “spinta al fondamentalismo” ogni volta che si faccia riferimento a valori “sacri” capaci di delegittimare le norme giuridiche positive. Dopo la fine dell’internazionalismo comunista ci troviamo di fronte a due internazionalismi che si pongono come custodi di valori sacri sanciti dal Corano e dalla tradizione ebraico-cristiana rispetto ai quali le norme che regolano i rapporti fra stati dileguano.

Il fondamentalismo trasforma un’identità culturale determinata in qualcosa di esclusivo che tende, cancellando rapporti e influenze con altre culture, a trasformarsi in natura e ad assumere una configurazione etnica. È così che la critica al dominio occidentale diventa critica all’Occidente e all’“uomo occidentale” spostando il conflitto dal piano storico a quello antropologico.

Il fondamentalismo è una forma di reazione all’incontro-scontro fra due culture diverse accompagnato dalla tendenza alla naturalizzazione di entrambe. Oggi si contrappone la società aperta dell’Occidente alla chiusura del fondamentalismo islamico dimenticando come la reazione di tipo fondamentalista appartenga a tradizioni quali il sionismo, il movimento afroamericano, la lotta di indipendenza irlandese o la reazione tedesca all’espansionismo napoleonico, fino a giungere alla prima guerra mondiale delineata dai contendenti come scontro fra civiltà irriducibilmente antagoniste.

Oggi il fondamentalismo assume, a causa della “globalizzazione” che generalizza l’incontro-scontro e l’imposizione del mercato mondiale che distrugge legami comunitari e identità culturali, dimensioni e qualità nuove. Qui nascono le reazioni fondamentaliste che esprimono una protesta contro l’“universalismo” imperiale che vuole cancellare differenze culturali e nazionali.

Si parla poi della necessità di difendere, di fronte all’Islam, la tradizione e l’“anima” dell’Occidente che incarna l’eredità del mondo ebraico-cristiano e di quello greco-romano, dimenticando puntualmente i conflitti sanguinosi che hanno visto contrapposti il mondo greco e romano all’ebraismo e al cristianesimo o la lotta fra le due religioni. Questo mito genealogico greco-romano-ebraico-cristiano costituisce il “biglietto da visita del fondamentalismo dell’Occidente”. Il tema della “guerra santa” non è estraneo all’Occidente e negli Stati Uniti si è sviluppata una sorta di “religione nazionale” il cui dogma fondamentale, a partire dalla lotta contro i selvaggi pagani, è quello della provvidenziale missione morale di cui è investito il popolo eletto, ma, se molteplici possono essere le forme del fondamentalismo, solo negli Stati Uniti esso “garantisce l’assistenza divina alla pretesa di edificare un impero planetario” (p. 87).

Chi volesse veramente combattere il fondamentalismo dovrebbe ricostruire la capacità di unire la critica all’Occidente col riconoscimento dei suoi punti alti; è proprio l’indebolimento di questa posizione che permette ai movimenti di resistenza di popoli ridotti in posizione semi-coloniale di ricorrere alle guerre di religione o di civiltà e la guerra santa islamica si presenta come risposta alla guerra santa dell’Occidente.

Le critiche che vengono rivolte alla politica statunitense vengono interpretate come frutto di quell’“antiamericanismo”, inteso come disadattamento alla modernità e alla democrazia, che accomuna nazifascismo e comunismo. In realtà diversi comunisti da Marx a Gramsci, da Stalin a Bucharin hanno espresso giudizi più che favorevoli sulla capacità degli Stati Uniti di sviluppare le forze produttive e di superare le barriere di casta e di razza e, d’altro canto, si dimentica come gli stessi Stati Uniti abbiano costituito per il nazismo un modello di stato razziale, abbiano fornito con Lothrop Stoddard la teorizzazione del “sottouomo” e abbiano applicato l’eugenetica ben prima di Hitler. Decisamente mitologica è quindi l’idea della convergenza di un antiamericanismo di destra e di sinistra visto che ciò che viene apprezzato dagli uni è disprezzato dagli altri e viceversa.

Il fondamento dell’“antiamericanismo”, e del relativo “antieuropeismo”, sta nel fatto che l’Europa, dopo la stagione illuministica, conosce un ulteriore processo di secolarizzazione che rende priva di credibilità ogni idea di missione imperiale e di elezione divina. Nella storia degli Stati Uniti la religione ha invece svolto una funzione politica rilevante, ma tutto ciò costituisce un elemento di forza perché la certezza di rappresentare una causa divina permette una grande mobilitazione nei momenti di crisi e rimuove al contempo le pagine più fosche della storia nazionale. L’Europa è incapace di comprendere l’intreccio fra fervore religioso e spregiudicato perseguimento dell’egemonia economica, politica e militare, ma è proprio questo peculiare fondamentalismo che permette agli Stati Uniti di considerare irrilevanti l’ordinamento internazionale e le leggi puramente umane.

Si arriva al punto di affermare che l’antiamericanismo costituisca il nuovo antisemitismo e a conferma della stretta relazione fra i due fenomeni l’ideologia dominante sottolinea come la “soluzione finale” si sia manifestata solo in Europa, dimenticando così l’influenza che gli Stati Uniti hanno esercitato sulla Germania in questo campo. Losurdo distingue fra la giudeofobia cristiana che prende di mira la religione, ma, essendo assimilazionista, lascia aperta la via di scampo della conversione e l’antisemitismo che prende di mira la razza e ricorre all’annientamento piuttosto che assimilare un corpo estraneo. La categoria di antisemitismo va delimitata, se no altrimenti vi rientra l’intera cultura occidentale (Seneca, Tacito, Erasmo, Lutero, Voltaire, Kant, Hegel, Marx, Nietzsche). La critica all’ebraismo di Hegel e Marx, ad esempio, non implica nessuna discriminazione, ma si pone l’obiettivo di cancellare la discriminazione stessa. Non bisogna quindi confondere antisemitismo e antigiudaismo, inteso come critica legittima di una tradizione religiosa e culturale. Mentre l’antigiudaismo non implica discriminazione alcuna e la giudeofobia discrimina negativamente ma anche positivamente (visto che con gli ebrei i cristiani possono discutere sulla base comune dell’Antico Testamento e quindi l’eterodossia religiosa ebraica è parziale rispetto a quella totale delle altre religioni come l’Islam), l’antisemitismo discrimina in modo esclusivamente negativo giungendo ad una “despecificazione” naturalistica.

All’analisi storica non regge la tesi della continuità fra giudeofobia religiosa e antisemitismo razziale. Sorvolare sul passaggio dal paradigma religioso a quello razziale porta a rimuovere il ruolo svolto dal razzismo coloniale e anticamitico nel favorire la formazione del razzismo antiebraico. Si può così dimenticare che arabi e islamici sono stati fra le prime vittime dei processi di “razzizzazione” dell’Occidente.

Anche l’antisionismo viene identificato coll’antisemitismo. I teorici come Herzl, che depreca il pericolo dei matrimoni misti, e Nordau, che paventa la perdita dell’“individualità ebraica”, trovano all’inizio una forte ostilità nella comunità ebraica caratterizzata dall’assimilazionismo o dalle correnti radicali che puntano a trasformazioni rivoluzionarie mondiali. Il sionismo rappresenta l’esigenza di un popolo oppresso di raggiungere un riconoscimento, ma questa esigenza viene perseguita a spese di un altro popolo ridotto, all’interno di un’ottica coloniale, ad entità trascurabile.

Oggi che Israele tende ad assumere un aspetto sempre più simile a quello del Sudafrica dell’apartheid si è di fronte al paradosso per cui i sospettati di razzismo sono i colonizzati invece che i colonizzatori. Del resto una lettura in chiave razziale del conflitto è più accentuata nel paese colonizzatore che necessita di autolegittimarsi escludendo le vittime dal consorzio civile. A ostacolare la comprensione di tutto ciò concorre il mito dell’antisemitismo universale e perenne che, come sottolineato dalla Arendt, costituisce il pendant del mito antisemita del complotto. Come non esiste un popolo che possa rivendicare per sé il ruolo di guida eterna dell’umanità allo stesso modo non esiste un popolo vittima perenne dell’odio razziale.

Contrapporre l’Occidente ebraico-cristiano ad un Islam accusato di quell’antisemitismo che ha avuto il suo aspetto più infame proprio in Occidente permette di attenuare il senso di colpa per ciò che è stato fatto agli ebrei e fornisce un alibi per ciò che viene fatto oggi al mondo arabo-islamico. Lo scontro odierno non è tanto basato sulla religione quanto sulla lotta fra espansionismo e resistenza che ha trasformato l’islamofobia religiosa in odio razziale. Le accuse all’islam sono riconducibili a quella di estraneità all’Occidente stabilendo così una linea di continuità con le accuse rivolte in passato all’ebraismo.

Se l’antisemitismo tradizionale era l’odio per l’agente patogeno che aveva scatenato la rivoluzione francese e quella d’ottobre, il razzismo verso arabi e islamici apparteneva alla tradizione coloniale e alla rivoluzione anticoloniale; ora, però, vi è una significativa novità: gli immigrati arabi e islamici vengono visti come “quinta colonna” del nemico o come elemento patogeno che inizia ad infettare l’organismo sano dell’Occidente e si sviluppa così un processo di razzizzazione simile a quello che ha colpito gli ebrei, come risulta evidente dall’analisi comparata condotta da Losurdo fra i testi di Oriana Fallaci e i classici dell’antisemitismo. Se prima la minaccia portata alla civiltà occidentale risiedeva nel complotto ebraico-bolscevico oggi, con l’Islam al posto dell’ebraismo e la Cina al posto dell’Unione Sovietica, la minaccia sembra essere diventata quella islamico-confuciana.

Il peccato capitale è costituito dalla rivolta contro l’Occidente e il suo primato culturale e morale. Occidente che però ha confini incerti e mobili che, soprattutto negli Stati Uniti, tendono a coincidere con l’appartenenza alla razza bianca. Dalla civiltà sono esclusi, a seconda dei casi, i popoli considerati estranei all’Occidente, a partire da quelli coloniali, nei confronti dei quali si esercitano stermini e olocausti che vengono puntualmente negati e rimossi.

L’Occidente non ha sconfitto i popoli coloniali solamente con la sua superiorità militare, ha sviluppato una cultura che con efficacia ha teorizzato e realizzato una limitazione del potere con le sue istituzioni politiche e che, al contempo, ha sviluppato una schiavitù-merce su base razziale e l’annientamento delle popolazioni inutilizzabili come strumento di lavoro. Si è così realizzata una Herrenvolk democracy su scala planetaria dove “il governo e le garanzie della legge a favore degli inclusi vanno di pari passo con una violenza senza limiti a danno degli esclusi. Il «negazionismo» dell’Occidente e soprattutto del suo paese-guida vuole per l’appunto rimuovere il carattere Herrenvolk della democrazia di cui l’uno e l’altro vanno orgogliosi” (p. 269).

Indice

Terrorismo
Fondamentalismo
Antiamericanismo
Antisemitismo
Antisionismo
Filo-islamismo
Odio contro l’Occidente
A mo’ di conclusione. I bandi di scomunica dell’aspirante impero planetario


L'autore

Domenico Losurdo (Sannicandro, 1941) è ordinario di Storia della filosofia presso l’Università degli Studi di Urbino. Fra i suoi lavori più recenti: Il revisionismo storico, Laterza, Roma-Bari 1998; Nietzsche, il ribelle aristocratico, Boringhieri, Torino 2002; Fuga dalla storia?, La Città del Sole, Napoli 2005; Controstoria del liberalismo, Laterza, Roma-Bari 2005.

 Links

http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=222 (Rai Educational pagina dedicata a Losurdo)

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