venerdì 6 luglio 2007

Herbart, Johann Friedrich, Il fondamento del sistema platonico.

Firenze, Le Lettere, 2007, pp. 185, € 25,00, ISBN 9788860870364

Recensione di Adele Patriarchi – 06/07/2007

Storia della filosofia (antica)

Francesco Aronadio, curatore del testo, ha raccolto in questo volume quattro scritti di J.F. Herbart. Il primo è la De platonici systematis fundamento commentatio (Dissertazione sul fondamento del sistema platonico), redatto nel 1805 dall’autore in occasione dell’accesso all’incarico di professore straordinario di Filosofia presso la Georg-August-Universität di Göttingen. Segue una Beylage (Aggiunta), pubblicata insieme alla Dissertazione, che, indirizzata agli ascoltatori delle lezioni di Herbart intitolate Allgemeine Einleitung in die Philosophie (Introduzione generale alla filosofia), si prefigge il compito di fare emergere i contenuti principali della Commentatio, talora oscurati dalle lunghe citazioni in greco presenti nel testo. Nella Appendice I è contenuta una Segnalazione della Dissertazione redatta dallo stesso Herbart per le «Göttingische gelehrte Anzeigen» (1806, n° 76). Nella Appendice II, viene presentata una puntuale e ironica recensione della Commentatio pubblicata da A. Böckh nella «Jenaische Allgemeine Literatur-Zeitung» (1808, nn 224-225). Infine, nella Appendice III, è contenuta la dura replica alla recensione di Böckh scritta da Herbart per la «Neue Leipziger Literatur-Zeitung [Intelligenzblatt]» (1808, n° 43).
La Commentatio si apre con l’affermazione dell’esistenza di due «generi di sistemi filosofici: l’uno comprende quelli che prendono le mosse dalla natura stessa, così come ci appare; l’altro quelli che sorgono quando i filosofi, scorte le difficoltà insite nelle formulazioni già proposte, ne elaborano di nuove, che permettano di uscire dalle angustie» (p. 57). Il sistema platonico sarebbe da ascriversi a questo secondo genere di sistemi filosofici e quindi può essere compreso solo avendo «una chiara visione di quali siano gli errori» che Platone «ha voluto evitare» (ivi). Secondo Herbart, si può attingere al «genuino pensiero di Platone» constatando che «al rifiuto delle tesi di Eraclito e Protagora, in primo luogo, e, poi, anche degli eleati, segue necessariamente, quasi ultimo rifugio, la dottrina delle idee» (p. 61). Il fondamento del pensiero platonico sarebbe, quindi, da rintracciare nella dottrina delle idee, a partire dalla quale diventa possibile trovare il filo conduttore che lega fra loro gli scritti di Platone.
Partendo da tale presupposto, Herbart avvia un esame del pensiero platonico che prende le mosse dall’analisi del Timeo. In questo dialogo è infatti possibile rintracciare l’importante distinzione fra «due generi di ricerca, rivolti, l’uno, alla aletheia [verità], l’altro alla pistis [credenza]» (p. 65). Il primo «deve essere trattato dal filosofo sempre con accuratezza», mentre dal secondo genere «non ci si deve aspettare e pretendere niente di più che un racconto verosimile, offertoci il quale, conviene non cercare ancora oltre» (ivi). Dal Timeo emerge così la separazione fra episteme (scienza) e doxa (opinione) e anche una prima indicazione delle indagini proprie di questi ambiti: il tema della creazione del mondo viene individuato come «del tutto estraneo alla vera scienza, e non affrontabile se non per mezzo dell’opinione» (ivi), al pari delle questioni dell’anima e della materia. Herbart prosegue la propria indagine attraverso la lettura del Fedone e del Fedro: nel primo l’autore rintraccia la distinzione fra ousia (essenza) e genesis (divenire) (p. 69); nel secondo individua «due specie di procedimenti […]. Precetti logici, riguardanti la definizione e la divisione» (pp. 71-73). Tuttavia, essendo presenti solo pochi suggerimenti utili alla propria ricerca, l’autore afferma che il Fedone e il Fedro siano complessivamente di scarsa utilità «ai fini della conoscenza della concezione del filosofo» (p. 73). Per ciò che concerne il Parmenide, la rilevanza di tale dialogo può essere rintracciata nel fatto che nella sua introduzione vi siano affermazioni che mentre in apparenza sembrano «addotte contro la dottrina delle idee», in realtà, ci consentono di «cogliere la sostanza del discorso platonico meglio di quanto siamo soliti fare» (p. 75).
Rispetto ai testi precedentemente citati, Herbart ritiene che per la comprensione della filosofa platonica sia di maggiore utilità la lettura della Repubblica, del Teeteto, del Sofista e del Filebo. In tali opere l’autore individua nella contraddittorietà del mondo sensibile il fattore determinante per l’elaborazione della nozione di eidos: poiché l’esperienza può dare luogo a sensazioni opposte contemporaneamente (p. 79), Platone è spinto a diffidare della verità dei fenomeni; di conseguenza, il filosofo «esclude nettamente ciò che è soggetto a divenire, a generazione, e insomma la natura tutta dall’ambito di ciò che veramente è e può essere attinto con la scienza» (p. 89). La scienza non può infatti accettare alcuna «mutevolezza» nel proprio oggetto, perché «la nozione di cosa mutevole è attraversata da un’interna contraddizione, poiché dello stesso essere si dice che passa da una sua propria qualità in un’altra» (ivi).
Mosso da tale dato problematico, il filosofo cerca di risalire dai Molti all’Uno, cioè alla comprensione di che cosa sia l’Uno (pp. 83, 91). Tale tentativo, secondo Herbart, «mira in realtà alla definizione di una nozione generale»; per cui, cercando l’Uno, Platone finisce con il trovarsi «nel bel mezzo della nostra Logica» che, pur non essendo stata inventata, stava per emergere (p. 91). L’eidos platonico ha dunque, per l’autore della Commentatio, un valore essenzialmente logico. E non solo. Herbart prosegue la propria indagine affermando che le idee non sono sostanze perché «si dicono sostanze quelle realtà alle quali fanno capo molti accidenti, per di più mutevoli» (p. 95); poiché l’idea platonica esclude il mutamento, non può esserne il sostrato. Infatti, le «idee non sono in null’altro! Sussistono per sé: affinché per esse ciò sia possibile, bisogna innanzi tutto concedere loro che siano! E all’infuori di quelle non v’è alcuna cosa che sia» (pp. 97-99). Per l’autore, quindi, l’eidos platonico ha valore sia logico che ontologico. Herbart si appresta così a portare a compimento la sua Dissertazione, mettendo a tema la differenza esistente fra la filosofia di Platone e quella di Parmenide: «tutta la contraddizione si nasconde nel fatto che allo stesso Essere sono ricondotte Qualità opposte. Pertanto possiamo conservare o l’Essere, quando siano rigettate le qualità, oppure le qualità stesse quando sia rigettato quell’Essere delle cose mutevoli, che non poteva tenerle insieme. La prima ipotesi piacque a Parmenide, la seconda a Platone» (p. 109). Dopo un breve accenno alla assolutizzazione della nozione di mutamento in Eraclito, Herbart conclude la sua Commentatio con una sintesi di tono aritmetico: «Dividi il divenire di Eraclito per l’essenza di Parmenide: avrai le idee di Platone» (p. 111).
Nella Beylage, Herbart si dichiara spinto da ragioni didattiche a fornire agli ascoltatori del proprio corso una chiarificazione della Commentatio, con particolare riguardo alla «retta comprensione dei luoghi estrapolati dagli scritti platonici» (p. 113), citati direttamente in greco senza l’ausilio di una traduzione. In queste pagine viene, da subito e con estrema chiarezza, messa in luce la relazione esistente fra le filosofie di Platone, di Eraclito e di Parmenide. Eraclito «aveva pensato il tutto come un unico generale mutamento, che è originariamente, imperversa senza ulteriore fondamento, e senza costrizione» (ivi). Al contrario, Parmenide «sentì che, se si concede che l’essere divenga altro, vi si introducono in tal modo delle negazioni, con il che esso viene ad essere tolto» (ivi). Platone, come Parmenide, avrebbe avvertito il rischio di cui la filosofia eraclitea era portatrice, per cui dovette «disconoscere l’essere di tutte quelle cose che presentano un cambiamento» (ivi), perché «l’essere in sé» deve bandire «le qualità opposte» (p. 117). Herbart entra così nello specifico della dottrina delle idee, utilizzando come esemplificazione la definizione del bello offerta da Platone: «è eterno e né nasce né perisce, né cresce né diminuisce […] né […] apparirà giammai in alcun caso formato per i sensi […]. Esso è se stesso per sé e in sé stesso uniforme ed eterno. Tutte le cose che diciamo belle partecipano di esso» (ivi). Il mondo dei sensi è «nulla», è «apparenza» e, dunque, non può diventare «oggetto del sapere filosofico» (ivi). Ad essere propriamente oggetto del vero sapere sono le idee e l’indagine su di esse, la domanda «che cosa è» (il bello, il buono, il giusto ecc.) è un’interrogazione che riguarda lo «sviluppo dei concetti» (p. 119), dei loro «rapporti logici» e delle loro «trame di relazioni» (pp. 119-121). Cade in questa situazione discorsiva la puntualizzazione di Herbart secondo cui il proprio metodo, che egli chiama «metodo delle relazioni» o «teoria dell’integrazione dei concetti», sia profondamente diverso da quello platonico, «di conseguenza il sistema di Platone non è il mio».
Segue alla Beylage una Segnalazione della Dissertazione, redatta dallo stesso Herbart, e la recensione della Commentatio pubblicata dal filologo August Böckh, che analizza con puntualità e severità lo scritto herbartiano. Böckh inanella tutta una serie di commenti fortemente negativi rispetto alla forma, al metodo e al contenuto della Commentatio. Dal punto di vista formale, viene ironicamente sottolineato lo stile grafico del testo, ricco «di caratteri onciali, di scrittura in corsivo e di lettere ordinarie» (pp. 135-137). Vengono disapprovate le scelte linguistiche effettuate dall’autore: nella Commentatio sarebbero presenti un numero eccessivo, anche per la lunghezza, di brani in greco e vi sarebbe un utilizzo del latino non sempre stilisticamente adeguato (p. 149), mentre nella Beylage risulta «sgradita» la presenza del tedesco (p. 155). Dal punto di vista metodologico, Böckh ritiene che Herbart, nell’elaborare la propria interpretazione dei testi platonici, contravvenga all’avvertenza da lui stesso posta, commettendo l’errore di «riportare singoli brani scelti» (p. 151, cfr. anche p. 139); inoltre, il recensore reputa che l’autore possegga una conoscenza approssimativa della letteratura critica (Schleiermacher, p. 135, Tennemann, p. 145). Dal punto di vista contenutistico, innanzitutto Böckh non considera valida la divisione dei sistemi filosofici in due generi, così come la collocazione di Platone fra gli esponenti del secondo gruppo (pp. 133-135). Viene poi giudicata contraddittoria l’interpretazione data da Herbart della nozione di anima presente nel Timeo; ed è rigettato il giudizio negativo espresso dall’autore sull’utilità del Fedone nella ricostruzione del pensiero platonico; inoltre, il recensore ironizza sia sul fatto che l’unitarietà dell’argomentazione del Fedro venga rintracciata nella polemica nei confronti di Lisia, che sulla necessità di «prendere alla lettera» lo stesso Platone quando, nel Parmenide, afferma di argomentare «solo per esercizio» (p. 139). Nella Repubblica, nelle Leggi, nel Teeteto, nel Sofista e nel Filebo, Herbart individuerebbe la differenziazione tra ousia e genesis come l’esigenza fondamentale della dottrina platonica. Da tale asserzione, ritenuta ovvia dal recensore, l’autore dedurrebbe, in maniera secondo Böckh «precipitosa», che Platone escluda «dall’ambito del vero conoscere “ciò che è soggetto a divenire e a generazione, e insomma la natura tutta”» (p. 141). Cade in questa situazione discorsiva uno dei giudizi più taglienti pronunciati dal recensore nei confronti di Herbart: «l’esposizione, sua peculiare più che antica e platonica, potrebbe destare il sospetto che egli abbia voluto rendere Platone un mezzo fichtiano, dal momento che è del tutto evidente la tendenza a mettergli in bocca con questa deduzione la filosofia della natura» (p. 143). Il recensore ritiene anche banale l’affermazione herbartiana secondo cui le idee non sarebbero sostanze, questione a suo avviso gia chiarita da W.G. Tennemann (1761-1819) nel suo System der platonischen Philosophie, testo che Herbart sembrerebbe non conoscere o ignorare (p. 145).
È proprio questa difesa della posizione di Tennemann che manifesta l’inconciliabilità fra la lettura di Platone offerta da Herbart e quella sostenuta da Böckh. Come giustamente fa rilevare Francesco Aronadio, nella sua Introduzione al testo, Tennemann si faceva sostenitore di un’interpretazione kantiana e «criticista» di Platone, in cui le idee assumevano un valore epistemologico e gnoseologico (Introduzione, pp. 11-12). Diversamente Herbart, come già visto, nega tale possibilità affermando la natura logica e ontologica delle idee. Per questa ragione Böckh, nella conclusione della sua recensione, finisce per capovolgere l’esito della Commentatio: «si porti il divenire di Eraclito nell’essenza di Parmenide: avrai le idee di Platone» (p. 155). Allo stesso modo Herbart, nella Replica alla recensione – dopo avere distinto i tre stadi in cui andrebbe a suo avvisi distinta la dottrina platonica, in cui «Il primo stadio, il fondamento, è la dottrina delle idee, intese come essenze per se sussistenti, e dei loro nessi logici e di relazione reciproca, che a esse appartengono come loro forma originaria» (p. 159) –, afferma: «Ora il recensore scorge senza dubbio il punto principale che differenzia i nostri punti di vista. Per lui tutti questi stadi sono un solo sistema, da cui il suo ducatur Heracl. […]. Per me la tesi: divide Her. ecc. vale solo per il fondamento, per la dottrina delle idee, nella misura in cui essa si colloca prima di ogni ulteriore indagine su una qualsiasi singola idea fra le altre» (p. 163).
Per ciò che concerne l’influenza esercitata dalla filosofia di Platone sullo sviluppo intellettuale di Herbart, si deve necessariamente rimandare alla lettura dell’Introduzione di Francesco Aronadio. Il curatore ha la capacità di districare la complessità delle argomentazioni herbartiane e, soprattutto, riesce a collocare la Commentatio all’interno di un dibattito più ampio, i cui interlocutori sono talora velati fra le pagine dello scritto di Herbart. Bisogna infine esprimere un giudizio positivo sul modo con cui l’edizione è stata curata, non solo perché offre la possibilità di leggere il testo in lingua originale ma anche per il sussidio fornito con l’inserimento delle traduzioni dei passi citati da Herbart in greco che, per il numero e l’estensione, rischierebbero di nuocere alla comprensibilità della Dissertazione stessa.

Indice

Introduzione di Francesco Aronadio: Il ruolo della riflessione su Platone nell’elaborazione del pensiero di Herbart alla luce della Commentatio del 1805.
Ringraziamenti
Nota all’edizione
La Commentatio di Johann Friedrich Herbart
De Platonici systematis fundamento commentatio
Beylage

Appendici
Appendice I
Johann Friedrich Herbart: Segnalazione della Commentatio
Appendice II
August Böckh: Recensione della Commentatio
Appendice III
Johann Friedrich Herbart: Replica alla recensione di Böckh
Bibliografia
Indice dei luoghi platonici
Indice dei nomi


L'autore

Johann Friedrich Herbart (1776-1841) compie i suoi studi universitari prima a Jena e poi a Göttingen. Nel 1808, l’università di Königsberg lo nomina professore ordinario di Filosofia e Pedagogia sulla cattedra che era stata di Kant. Nel 1833 ritorna a Göttingen, dove insegna come professore ordinario di Filosofia fino alla sua morte. Tra le sue opere più note: Allgemeine Pädagogik aus dem Zweck der Erziehung abgeleitet (1806), Allgemeine praktische Philosophie (1808), Lehrbuch zur Einleitung in die Philosophie (1813), Lehrbuch zur Psychologie (1816), Psychologie als Wissenschaft neu gegründet auf Erfahrung, Metaphysik und Mathematik (1824-25), Allgemeine Metaphysik nebst den Anfängen der philosophischen Naturlehre (1828-1829), Psychologische Untersuchungen (1839-40).

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