martedì 2 ottobre 2007

Ries, Julien, L’uomo e il sacro nella storia dell’umanità.

Milano, Jaca Book, 2007, pp. 673, € 58,00, ISBN 9788816407619.

Recensione di Martina Subacchi – 02/10/2007

Filosofia della religione, teologia

L’uomo e il sacro nella storia dell’umanità è il secondo volume dell’Opera Omnia che raccoglie gli scritti di Julien Ries, lo storico delle religioni che da oltre quarant’anni si dedica allo studio del sacro.

Il testo, di notevoli proporzioni, ha il pregio di presentare le diverse espressioni che il sacro ha assunto nella storia dell’umanità, dalle pitture rupestri del Paleolitico alle cosmogonie delle religioni indoeuropee fino alla desacralizzazione in atto nella civiltà contemporanea. L’Opera, inoltre, non è circoscritta a un unico punto di vista, ma analizza l’esperienza sacrale secondo prospettive differenti: storica, filologica, sociologica, antropologica, entologica e fenomenologica.

Il sacro è una realtà polimorfa che, pur mutando a seconda delle culture, dei tempi e dei luoghi, presenta caratteristiche comuni presso le diverse civiltà e religioni. In generale la parola sacro indica un insieme di cose separato dall’ordinario perchè riservato a un essere superiore: Dio. In quanto appartiene al divino, l’esperienza sacrale è segnata dalla trascendenza e dalla presenza del soprannaturale; trovandosi su un piano ontologicamente distante dall’uomo, rappresenta il puro spirituale distinto dal profano, perciò una realtà inviolabile, meritevole di rispetto e anche misteriosa.

Mentre la filologia studia il sacro dal punto di vista linguistico, ma in modo astratto, perché non tiene conto delle pratiche cultuali in cui esso si manifesta, gli storici lo valutano come il risultato di determinati eventi storico-culturali, negandone il valore spirituale. La sociologia, con Durkheim, Mauss e Weber, considera il sacro un prodotto della società e lo identifica con il mana, ossia con un’entità sociale impersonale e misteriosa, creata dalla società allo scopo di imporre l’ideale collettivo alla coscienza individuale. L’antropologia cerca invece di recuperare la dimensione esperienziale del sacro, secondo tre differenti ipotesi: il sacro è sorto insieme al profano; il sacro è sorto nella storia dell’umanità solo in un secondo momento, insieme alla religione; all’inizio gli uomini primitivi avevano una visione magico-sacrale della realtà, in seguito è nata la distinzione tra sacro e profano.

Al neoplatonismo, che esaspera la trascendenza e il tema dell’ineffabilità divina, si ispirano l’idealismo romantico tedesco e il sentimentalismo religioso di Friedrich Schleiermacher, per il quale Dio può essere colto attraverso un’esperienza di tipo emozionale, più che mediante un processo razionale. Tra i seguaci della corrente sentimentalista si trova anche Rudolph Otto, che coglie un elemento comune a tutte le religioni nell’irrazionale e nell’indeterminato del sentimento religioso. Per lui il sacro suscita nell’uomo sentimenti opposti: l’orrore, che coincide con il tremendum, e l’attrazione ossequiosa, che coincide con il fascinans.

Otto sviluppa l’indirizzo fenomenologico inaugurato da Lars Söderblom. Questi ritiene che l’essenza del fenomeno religioso si trovi nel sacro e nella sua distinzione dal profano: «Sacro è la parola che conta in religione; essa è perfino più importante della nozione di Dio. Una religione può realmente esistere senza una concezione precisa della divinità, ma non esiste alcuna religione reale senza la distinzione tra sacro e profano». Il sacro prima di tutto deve essere studiato nell’essere umano; per questo la fenomenologia descrive l’esperienza religiosa come è vissuta dall’uomo e identifica il sacro con quella forza sacrale al cui cospetto egli prende coscienza dell’esistenza del soprannaturale.

Su questa strada prosegue van der Leeuw, secondo il quale il sacro si manifesta dal punto di vista esperienziale come una potenza misteriosa che esula dall’ordinario, perciò risulta formato da due elementi: il mistero e l’esperienza vissuta. Tale realtà misteriosa è il tao dei Cinesi, l’asha di Zarathustra, il karman dell’India, la moira dei Greci, il mana dei Melanesiani, il baraka degli Arabi e il wakanda dei Sioux. Gli oggetti che entrano in relazione con questa potenza diventano essi stessi sacri e sono chiamati tabù, nel senso di «separati». Un altro storico delle religioni, il rumeno Mircea Eliade, ritiene invece che l’unico approccio adeguato al sacro, in grado di coglierne la vera natura, sia la religione: «Girare intorno al fenomeno per mezzo della fisiologia, della psicologia, della sociologia, della linguistica, significa sfuggire all’elemento unico e irriducibile che contiene: il suo carattere sacro». Pur non essendo il divino, il sacro ne è la manifestazione a livello empirico e deve essere considerato il principio costitutivo di ogni religione.

La qualità sacrale nel corso della storia è stata attribuita non solo al divino, ma anche a ciò che si credeva in qualche modo in relazione ad esso: piante, animali, luoghi, persone, fenomeni celesti. Già le pitture rupestri dell’Homo sapiens, risalenti all’età Paleolitica e Neolitica, attestano la consapevolezza di una Realtà che supera il mondo empirico e il tentativo umano di spiegarne l’origine e di stabilire un contatto con essa. Ciò avviene mediante una serie di riti e gesti (riti della morte e della caccia con le lance) che trovano espressione nei miti cosmogonici e nella simbologia astrale: creazione della volta celeste, della luce e delle tenebre, delle acque e del fuoco; misteri della nascita, della morte e della fecondità; simbologia funeraria. Per questo Ries — riprendendo la famosa espressione di Eliade — non esita a chiamare l’uomo dell’età arcaica homo religiosus e a riconoscere l’esistenza di un’unità spirituale che accomuna l’intera umanità. Gli elementi attraverso i quali il sacro si manifesta sono il simbolo, il mito e il rito:

Il simbolo rappresenta il linguaggio del sacro, perché è la forma attraverso la quale si rende visibile. La simbolica sacrale è piuttosto ampia: gli scavi archeologici di Eliade, ad esempio, hanno permesso di scoprire nella simbologia della volta celeste la credenza dei popoli antichi in un Essere soprannaturale1; nelle religioni orientali prevale il tema della luce, mentre in India il sacro è rappresentato dall’acqua, dalle montagne e dalla vegetazione; nell’antico Egitto prevale il simbolismo cosmico, espresso nei riti onirici che segnano il passaggio dal caos al cosmo.

Il mito è un racconto sacro mediante il quale l’uomo cerca di spiegare l’origine della vita e la sua presenza nel mondo. Tali sono i miti genealogici e cosmologici — raffigurati già nelle pitture rupestri del Paleolitico e presenti ancora oggi presso le popolazioni arcaiche dell’America Latina, dell’Africa, dell’Australia — che raccontano la creazione del cosmo e la genealogia dei popoli; i miti delle stagioni e dell’eterno ritorno; i miti escatologici che prevedono la nascita di un nuovo mondo.

Il rito è costituito da quell’insieme di parole e gesti del corpo (come le braccia alzate verso il cielo e la genuflessione) che conferiscono un valore sacrale a persone (sacerdoti e indovini), oggetti (animali sacrificati o elementi naturali come l’acqua, il fuoco, il pane e il vino) e luoghi (templi, santuari, cattedrali e cappelle votive). Ciò che partecipa al rituale di consacrazione, riceve dal soprannaturale forza, efficacia e durata e, soprattutto, una dimensione di realtà.

Eliade per indicare la manifestazione del sacro ha inventato il termine ierofania. Pur essendo un elemento comune alla storia dell’umanità, la ierofania assume forme diverse a seconda del modo o del luogo in cui il sacro si manifesta: uomini, animali, piante, luoghi, simboli, miti e riti, fino a trovare la suprema espressione nell’incarnazione di Dio in Gesù Cristo. Molteplici possono essere le cause che portano l’uomo a sacralizzare ogni aspetto del vivere: la paura di forze oscure, il desiderio di impossessarsi di esse o di ottenerne il favore, il bisogno di proiettare i propri ideali in una realtà «altra».

Qualunque sia il modo in cui il sacro si manifesta e l’uomo ne fa esperienza, ogni ierofania si compone di tre elementi:

L’elemento naturale passibile di sacralità: il sole in Egitto, la luna in Mesopotamia e in Arabia, il monte Meru in India, e poi stelle, pietre, animali, piante, fuoco e acqua, re e sapienti, angeli e demoni.

La realtà invisibile che si manifesta nell’oggetto: Dio, l’Essere supremo, il Soprannaturale, il Numen romano, Anyad eva in India, Jahvé biblico, Allah nel Corano, Noute presso gli egizi.

L’oggetto stesso in quanto rivestito di valore sacrale, perciò separato dal mondo profano: il dio sole Ra, il monte Sinai, il pipal (pianta sacra indù), i sacerdoti delle varie religioni. Costituiti nella dimensione sacrale, tali oggetti svolgono la funzione di mediatori tra l’Assoluto e l’homo religiosus.


L’Opera di Ries, oltre a presentare uno studio molto approfondito sul sacro, offre una vasta bibliografia sull’argomento, permettendo al lettore di prendere parte al dibattito contemporaneo sulla tematica sacrale. Strumento di consultazione indispensabile per chi si occupa di storia delle religioni, il testo può rivelarsi utile anche a chi fosse interessato a uno sguardo d’insieme sul fenomeno religioso.

Indice

Sezione prima: Le vie della ricerca sul sacro

Introduzione: Saggio di definizione del sacro

Parte prima: Le vie della semantica storica

Parte seconda: Le vie della storia delle religioni

Sezione seconda: risorse, valore e ruolo del sacro

Parte prima: valori e risorse

Parte seconda: Ruoli del sacro

Parte terza: L’uomo e lo spazio sacro

Parte quarta: L’uomo sulle tracce di Dio

L’homo religiosus sulle tracce di Dio

Preghiera cristiana ed esperienza del sacro

Il sacro come avvicinamento a Dio nelle religioni

Sacro, secolarizzazione e metamorfosi del sacro


L'autore

Nato in Belgio nel 1920, Julien Ries ha conseguito il dottorato in teologia e la licenza in filologia e storia orientali all’Université Catholique di Louvain-la-Neuve, dove ha insegnato storia delle religioni dal 1968 al 1990. Ha fondato e diretto il Centre d’Histoire des Religions e quattro collane di studi: Homo religiosus, Cerfaux-Lefort, Information et Inseignement, Conférences et travaux. Dal 1975 al 1980 ha presieduto l’Institut Orientaliste di Louvain-la-Neuve.

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