Recensione di Gianluca Verrucci – 22/11/2007
Etica
Il lavoro di Mordacci si presenta come una raccolta di saggi, parte inediti e parte già pubblicati ma profondamente riveduti, suddivisa in due parti metodologicamente distinte. La prima parte del lavoro è dedicata all’analisi critica del pensiero di alcuni tra i più influenti filosofi morali contemporanei (Bernard Williams, Charles Taylor e Thomas Scanlon) e si distingue per l’accuratezza della ricostruzione e la profondità delle acquisizioni. La seconda, meno estesa ed elaborata, si preoccupa di precisare il punto di vista dell’autore su alcuni nuclei metodologicamente ineludibili per l’etica teorica: il rapporto tra senso morale comune e riflessione critica, il posto del rispetto delle persone nella ricerca scientifica e la relazione tra persona e comunità.
Il punto critico che costituisce il filo conduttore di tutti i saggi che figurano in questa raccolta è la questione di una possibile e quanto mai problematica integrazione tra la vita etica, intesa come vita personale in cui l’identità individuale prende corpo e si fa storia vissuta, e le buone ragioni, intese come ragioni che giustificano la condotta morale aspirando ad una validità almeno in principio universale, aperta a tutti gli esseri razionali, e perciò mai soltanto idiosincratica e soggettiva. Il rapporto tra universale e particolare, o tra vita individuale, con il suo radicamento imprescindibile nella comunità e nella storia, e riflessione pratica come potenza critica di trasgressione di ogni punto di vista semplicemente individuale, è indagato in un’ottica kantiana che pone come requisito irrinunciabile della riflessione morale la considerazione dell’elemento trascendentale. Lo sforzo dell’autore è volto a coniugare l’elemento trascendentale dell’azione, che in termini kantiani è espresso dalla non-contraddizione pratica e dall’universalizzabilità, e l’orizzonte dialogico che costituisce lo spazio in cui le considerazioni morali acquistano spessore intersoggettivo e accolgono il travaglio della critica. Di seguito si chiarirà la prospettiva dell’autore sul tema della razionalità pratica come emerge dal confronto con gli autori citati.
Bernard Williams è uno dei filosofi morali che più hanno contribuito, specie in ambito analitico, al dibattito intorno ai fondamenti dell’etica. Williams ha senz’altro il merito di aver posto al centro della riflessione morale il tema dell’identità e particolarità del soggetto nell’intento di riscattarlo da forme impersonali e astratte di prescrizione morale. Sono ben note, infatti, le critiche rivolte all’utilitarismo e al kantismo, come alle sue interpretazioni prescrittiviste e proceduraliste, che contrapporrebbero irrimediabilmente le richieste impersonali della moralità alla ricchezza dell’identità e della storia dell’agente. Mordacci accoglie il punto di vista di Williams sull’importanza dell’identità personale. Le considerazioni morali devono risultare giustificate dal punto di vista della prima persona, cioè l’agente deve poter esprimere le ragioni dell’azione come sue proprie ragioni, deve appropriarsene e identificarsi con esse. Il punto critico che, invece, distanzia l’autore da Williams, riguarda il modo in cui quest’ultimo rappresenta la deliberazione, e più ampiamente la razionalità pratica, facendo appello ad alcuni presupposti squisitamente humiani. Secondo Williams un agente è giustificato ad agire in un certo modo se nel suo “complesso motivazionale soggettivo” vi è un desiderio di compiere quell’azione: la presenza del desiderio appropriato è requisito di razionalità. Pur considerando il desiderio un insieme di intenzioni, pulsioni e considerazioni molto vario e stratificato Williams, secondo Mordacci, non ne ricaverebbe un quadro deliberativo soddisfacente e lascerebbe del tutto in secondo piano, dati i suoi presupposti humiani, il lavoro della riflessione. Si deve osservare, invero, che il desiderio è sempre il frutto di un’elaborazione riflessiva, è qualcosa che nel suo apparire ha già subito un processo di revisione e adattamento; del resto, un desiderio puro avrebbe l’aspetto di una pulsione cieca, non orientata ad uno scopo, che in tale forma non può pretendere di giustificare l’azione razionale. In un certo senso, secondo entrambi gli autori, le ragioni sono sempre interne al soggetto, ma Mordacci aggiungerebbe che ciò non è dovuto alla dipendenza delle ragioni dai desideri, quanto, semmai, dal fatto che le motivazioni sono già plasmate dalla riflessione che dunque ha un valore originario e non secondario o derivato (come ritengono gli humiani). Il lavoro della ragione pratica è quello della critica e della revisione delle pulsioni e dei desideri che sono plasmati e riconfigurati sulla base del confronto che il soggetto instaura con se stesso e con gli altri. In questo senso, più che essere una dato acquisito, una sorta di habitus fondato sulla configurazione interna del sistema motivazionale, l’identità personale è piuttosto il prodotto dell’esercizio della riflessione e della critica in quello spazio che si apre nella distanza da sé che costituisce la libertà.
Charles Taylor, un altro importante esponente dell’etica analitica contemporanea, ritiene primario il radicamento della riflessione morale nell’identità personale e però intende quest’ultima come libero riferimento al bene che si determina a partire da condizioni storiche particolari. In un’ottica profondamente influenzata dal pensiero di Hegel, Taylor ritiene che i valori non si diano una volta per tutte allo sguardo riflessivo bensì che la loro appropriazione da parte del soggetto sia sempre mediata dalla storia. Questo per Taylor non significa rinunciare ad una concezione realista dei beni. Solo il realismo, sebbene nella veste storicizzata proposta da Taylor, può infatti garantire un effettivo confronto critico fra i beni che ne determini gradi di priorità e correttezza morale tali da consentire un effettivo confronto tra le diverse forme culturali e storiche. Ora, Mordacci, pur condividendo l’impostazione data al tema dell’identità, che è sempre situata e storica, contesta a Taylor un’incoerenza nella concezione metaetica e, di conseguenza, nell’immagine della razionalità pratica che ne deriva. Se per Taylor può darsi esclusivamente una genealogia delle diverse forme storico culturali e del relativo orizzonte morale di riferimento, non si comprende quale possa essere il criterio per un loro confronto critico. Tale confronto dovrebbe essere condotto ad un livello di universalità che manca del tutto se guardiamo ai modi particolari in cui il bene si concretizza storicamente. Viene meno anche il criterio per decidere della correttezza dei giudizi morali stessi, poiché questi, una volta fatti derivare dalla naturalità e dalla cultura storica particolare di cui l’agente partecipa, mancano di qualsiasi pretesa alla validità universale, che è invece uno dei requisiti fenomenologicamente imprescindibili delle considerazioni morali. In conclusione secondo Mordacci, è fondamentale che entro le singole e storiche ontologie morali si dia un quadro di validità universale, che Kant propone di pensare in chiave trascendentale, che sia tale da riportare all’interno della riflessione critica del soggetto il fondamento normativo dell’agire individuando le strutture invarianti della deliberazione pratica.
Tra le teorie studiate la proposta contrattualista di Thomas Scanlon è quella che più si avvicina all’orizzonte kantiano anche se ne restringe l’oggetto d’indagine allo studio di ciò che “dobbiamo l’uno all’altro”, cioè alla dimensione interpersonale, trascurando l’intero della moralità che include, invece, anche i doveri verso se stessi. Il punto di partenza delle riflessione di Scanlon è il concetto di ragione che egli ritiene un concetto originario. Una ragione è ciò che sta alla base della giustificazione della propria azione che l’agente offre agli altri ed è, nel contempo, causa efficace di quell’azione. In tal modo, il concetto di ragione, sulla scia delle riflessioni di Thomas Nagel in La possibilità dell’altruismo, tende ad assorbire quello di motivazione. Una ragione è efficace perché può modificare il “complesso motivazionale soggettivo”, ma ha una autorità che va oltre questa sua capacità di motivare e che risiede nella validità della pretesa che la ragione indirizza. Il criterio per la scelta e la critica delle ragioni, che a quanto sembra hanno un contenuto cognitivo, è fornito dal principio contrattualistico che una ragione è giustificata se nessuno la può ragionevolmente rifiutare (date certe condizioni come la piena informazione e la motivazione a raggiungere un accordo). Il punto problematico, che Mordacci evidenzia molto bene, è che mentre Kant fonda la validità delle ragioni sulle condizioni di ogni azioni razionale, e dunque sulla struttura della volontà autonoma di ognuno, Scanlon ha bisogno di riconoscere la presenza di altri che esibiscano ragioni e siano adeguatamente motivati a convergere sulla giustificazione. È pur vero che in ogni offrire ragione dell’azione, l’agente si apre alla dialogicità, almeno con quell’altro che egli stesso è; tuttavia, rimane che per Scanlon questa dimensione dialogica è individuata nella realtà della presenza dell’altro e non all’interno della riflessione pratica stessa come suo elemento costitutivo. Si tratta, come nota finemente Mordacci, di un presupposto pragmatista che la teoria di Scanlon non ha risorse per giustificare completamente.
L’elemento trascendentale kantiano, che si esprime nella non-contraddizione pratica e nell’universalizzabilità, permette a Mordaci di individuare un solido criterio per la giustificazione e il confronto critico delle ragioni. Questa dimensione formale della deliberazione, che in questo libro è fatta valere molto efficacemente contro le proposte teoriche studiate, si apre alla dimensione dialogica, e dunque più propriamente morale, in virtù della stessa struttura della deliberazione razionale. Nel momento in cui si intende offrire una ragione per, o dare ragione di, un’azione, il pensiero riflessivo non può prescindere dal riferimento ad un altro, fosse anche nient’altri che se stesso, per guadagnare un orizzonte intersoggettivo, e perciò universale, di validità. La possibilità che hanno le ragioni morali di trovare una giustificazione razionale viene così radicata nella struttura stessa del pensiero riflessivo.
Indice
Premessa
Le buone ragioni per leggere questo libro, di Roberta De Monticelli
Introduzione
I. ANALISI
1. L’identità personale oltre la moralità. Bernard Williams e i limiti dell’etica
2. Responsabilità, deliberazione pratica e libertà. Williams tra antico e moderno
3. Norme morali e storicità: la genealogia del moderno di Charles Taylor
4. Ragioni morali e giustificazione. Il contrattualismo ragionevole di Thomas Scanlon
II. PROSPETTIVE
5. Il senso comune, la morale e la riflessione critica
6. Un valore interno alla pratica scientifica: il rispetto per le persone
7. Persone, comunità e libertà. Oltre il proceduralismo
Bibliografia
Indice dei nomi
L'autore
Roberto Mordacci insegna Filosofia Morale e Etica e soggettività presso la Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano. È membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Fra le sue pubblicazioni Una introduzione alle teorie morali (Feltrinelli, Milano 2003), Salute e bioetica (con G. Cosmacini, Einaudi, Milano 2002) e Bioetica della sperimentazione (Franco Angeli, Milano 1997). Ha inoltre curato e tradotto Il giusto e il bene di W.D. Ross (Bompiani, Milano 2004).
Links
La pagina dell’autore sul sito dell’Università Vita e Salute del San Raffaele di Milano: www.unisr.it/persona.asp?id=2446
Intervista all’autore: www.angelfire.com/ct3/maghiso/int/int_mordacci.htm
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