Recensione di Sara Fortuna - 20/12/2007
Filosofia della religione
L’errore del maestro è il tentativo di comprendere la narrazione evangelica della vicenda di Gesù Cristo da una prospettiva inusuale, che integra diversi approcci disciplinari e ha, tra i suoi obiettivi, quello di dare una spiegazione naturalizzata dell’origine del cristianesimo.
L’esergo, una citazione di Pier Paolo Pasolini (”Io ho potuto fare il Vangelo così come l’ho fatto perché non sono credente”), allude evidentemente al punto di vista dell’autrice. Come non credente e come filosofa, Antomarini ritiene degno di una riflessione densa e concentrata il senso della parabola di Gesù nell’interpretazione datane dai suoi seguaci.
La prospettiva di L’errore del maestro ci invita anzitutto a prendere le distanze da quello che il cristianesimo è oggi nelle specifiche forme di vita contemporanee, in particolare in Occidente. In queste forme del cristianesimo, in cui si intrecciano dimensione spirituale e sociale, ideologica e politica, estetica e morale, noi siamo talmente addentro da non riuscire a coglierne il senso, se non come qualcosa a cui aderiamo o meno, e rispetto a cui ci sentiamo o dichiariamo in misura maggiore o minore estranei o critici.
Riguardo alla comprensione filosofica del cristianesimo vale dunque ciò che Ludwig Wittgenstein sostiene per il nostro linguaggio: esso, nella sua estrema complessità, ci è troppo vicino perché siamo in grado di coglierne la forma. Per comprenderne la natura è necessario allora percorrere un cammino indiretto: immaginare forme più primitive di linguaggio e identificare, a partire da esse, le articolazioni e stratificazioni con cui esse intessono i giochi linguistici più complicati di cui ci serviamo.
Il cristianesimo va dunque sottoposto a un’operazione filosofica analoga, attraverso cui si risale al suo nucleo più primitivo. In questo modo si stringe ancor più il nesso con la prospettiva wittgensteiniana in quanto il cristianesimo rivela così la sua più originaria natura linguistica: esso è il prodotto di un’attività protosimbolica in cui un tipo di narrazione orale investe di un nuovo senso la vicenda di un giovane profeta ebreo che, come diversi altri, predica il Regno dei Cieli e viene poi, inaspettatamente, crocifisso.
È questo l’errore del maestro, a cui il titolo fa riferimento: un incidente, qualcosa di non previsto nella parabola spirituale del profeta Gesù, che fa precipitare nella disperazione i suoi seguaci e impone loro di trovare un altro senso, un livello di interpretazione ulteriore dell’esito tragico, la morte di Gesù, che ne rovescia il senso più comune e immediato.
Quali sono le condizioni di ordine cognitivo e linguistico perché ciò possa avvenire? Come possiamo descrivere adeguatamente la forma di un senso prodotto in modo inedito? È questo il punto di avvio dell’indagine, che fa uso per affrontare queste questioni, dei metodi d’analisi della psicologia cognitiva, dell’etologia, della linguistica, della critica biblica.
È anzitutto necessario considerare, ricorda l’autrice, quelle condizioni cognitive comuni a qualsiasi credenza religiosa, condizioni che si innestano su facoltà cognitive già presenti nel mondo biologico, almeno nelle specie superiori. È il caso della ritualizzazione, che, anche in altre specie, attribuisce un nuovo senso ad attività funzionali di primo livello. Rispetto a essa Antomarini avanza l’ipotesi che ”esista una ritualità naturale, inscritta per selezione naturale nel cervello umano”. L’impulso a ricondurre al dominio del sovrannaturale fenomeni percepiti come innaturali, non previsti, ossia contrari alle normali aspettative è dunque la matrice anche dell’interpretazione cristiana della resurrezione di Gesù.
Gli apostoli agirebbero secondo una logica arcaica, in cui percezione e immaginazione non sono separabili. Essi non creano dal nulla, ma, se pure esiste nella loro narrazione un aggancio reale, quello della predicazione di Gesù e dei suoi miracoli e dell’esperienza della morte del maestro da loro vissuta, tale base di realtà, grazie a una serie di dispositivi cognitivi, viene radicalmente rielaborata attraverso ‘ricordi immaginativi’, che si innestano a loro volta sul contesto storico-culturale preesistente. Nel caso del cristianesimo è, ad esempio, l’ebraismo a costituire un potente vincolo per l’interpretazione, pur nella risignificazione e nella torsione critica che la predicazione di Gesù imprime a molte nozioni ebraiche.
Nell’articolazione tra livello ontologico, cognitivo (o psicologico) e storico-culturale in cui L’errore del maestro pensa il fenomeno religioso, il protocristianesimo è concepito come fenomeno linguistico specifico di una cultura orale, secondo quelle modalità di composizione e di trasmissione operanti nella tradizione poetica di tutti i popoli privi di scrittura di cui gli studi critici hanno da tempo identificato abbondanti tracce nei testi evangelici.
La prospettiva così abbracciata mira a scandagliare il tessuto narrativo dei Vangeli per approdare allo strato simbolico più primitivo da cui esso dipende: quello appunto di una pratica discorsiva arcaica, in cui la parola è incardinata in una dimensione sensomotoria, gestuale, che fa delle vicende della morte e della resurrezione di Cristo anzitutto una messa in scena e coinvolge l’intera corporeità in tutte le sue sfere sensoriali.
In questo modo, attraverso un’inversione di segno dal punto di vista assiologico, la dimensione negativamente marcata della sconfitta, dell’umiliazione, dell’uccisione del maestro viene ribaltata in valori positivi, concepiti come elementi necessari alla risurrezione e all’avvento del Regno dei Cieli per tutti gli esseri umani.
La molla che consente il ribaltamento è il dolore condiviso degli apostoli, la loro compassione per la fine tragica del maestro e l’intollerabilità del suo senso più immediato: quest’ultimo viene sostituito con uno positivo, che fa del dolore e della morte la condizione salvifica per eccellenza.
Tutto ciò viene vissuto in prima persona da chi predica il messaggio cristiano, che è impresso attraverso una forte carica emozionale nello stesso corpo, secondo modalità descrivibili secondo Antomarini con la teoria del marcatore somatico di Damasio. Nella riproduzione affettivamente marcata degli atti, che imitano e rivivono così, innumerevoli volte la passione di Gesù, si attua un rituale che svuota del suo senso immediato l’evento e gli affida un nuovo connotato simbolico. In esso si fondono gli opposti concetti di morte e salvezza, umiliazione e gloria. Condizione perché il messaggio veicolato dal rituale abbia effetto, risulti credibile e venga dunque diffuso non è la coerenza e la plausibilità del messaggio dal punto di vista razionale, ma il fatto che esso sia in grado di esprimere la paradossalità del ribaltamento attraverso una forma ridondante, multisensoriale che fa perno sulla componente corporea della messa in scena.
Il messaggio degli apostoli, nell’ipotesi proposta dal saggio, funziona perché, ancor prima che come un discorso con un contenuto semantico astratto, ha un significato che si esprime immediatamente nella recitazione danzata, nel ritmo, nella gestualità. In questo tipo di attività simbolica, la materia significante in cui il messaggio si esibisce è qualcosa di cui ci si nutre, che si assimila anzitutto affettivamente, come si ricorda facendo riferimento agli studi antropologici di Marcel Jousse. Oppure, come viene anche suggerito, si può considerare la forma di questo discorso quella di una fisionomia di cui cogliamo anzitutto la componente espressiva e la tonalità emotiva.
Si tratta di un tipo di significazione arcaica, che corrisponde a un modello semiotico diadico, in cui la simbolizzazione si dà immediatamente a livello percettivo e la cui evoluzione viene delineata attraverso un modello semiologico che avrebbe forse tratto profitto dalla riflessione di Peirce su icona, indice e simbolo, di cui peraltro l’autrice si è a più riprese occupata, e dalla versione glottogenetica che di essa è stato data da Terrence Deacon in La specie simbolica [Roma, Fioriti, 2001].
Il ruolo che diffusione e ripetizione del messaggio dei seguaci hanno, riguardo al senso sovrannaturale della morte di Gesù e alla legittimazione e al consolidamento di quest’ultimo, attraverso la creazione di una religione ufficiale, è pensato da Antomarini attraverso il modello di Dan Sperber del contagio delle idee e dei dispositivi cognitivi a esso sottesi. Se è vero però che i seguaci puntano sulla diffusione e considerano l’accettazione e la fede nel loro messaggio sovrannaturale come presupposto indispensabile per la sua verità, questo elemento, che è certamente peculiare del cristianesimo come movimento politico-religioso e può servire a spiegare i suoi sviluppi successivi, deve però essere separato dalla dimensione del ribaltamento di senso della vicenda reale di Gesù.
È quindi opportuno e possibile individuare uno scarto più forte rispetto a quanto viene fatto in questo saggio tra il messaggio tramandato degli apostoli e soprattutto dai seguaci successivi, riguardo a un Regno del Cielo a cui tutti gli esseri umani avranno accesso grazie al sacrificio di Gesù da un lato e, dall’altro, quel senso della vita e della morte, rovesciato rispetto a quello ordinario, che fa dell’esperienza di Gesù un modello di un atteggiamento in cui si fondono azione e comprensione.
La scelta di Gesù di non difendersi dalla condanna a morte (che ricalca per certi versi il rifiuto di Socrate di sfuggire alla morte inflittagli dalla sua città) deve essere separata da una promessa di resurrezione e di eternità e avvicinata piuttosto a un gesto di paradossale ribellione alla dimensione del potere umano e del suo esercizio: il rovesciamento del senso comune, delle usuali costellazioni assiologiche è del tutto immanente a un modo di pensare e di concepire la finitezza, la temporalità, il valore della vita umana. A esso non va legata, né sovrapposta, alcuna idea di trascendenza.
L’eccezionalità di un Gesù sottratto a un quadro trascendente è dovuta al fatto che, solo così, egli diventa l’emblema della libertà dall’istinto di sopravvivenza, dal bisogno, anzitutto simbolico, di sicurezza e riconoscimento, grazie a un rapporto con la morte che ne accetta anche la declinazione più terribile, quella di trovare la fine per mano di altri esseri umani, perché questa è l’unica condizione per non soccombere alle loro leggi di dominio e sopraffazione.
È a questo scandalo del tutto umano che sembra fare riferimento la conclusione del saggio, dove l’autrice ritrova Gesù là dove solo un non credente può trovarlo, un Gesù che immaginiamo, con Dostoevskij, smarrito e costernato nell’ipotesi che abbia intuito solo per un attimo quello che, nei millenni successivi, sarebbe diventato il suo insegnamento, nelle diverse Chiese ufficiali della cristianità e nel potere che esse esercitano e rappresentano. Coerentemente con il cammino compiuto, il saggio ci congeda con un ultimo sguardo su questa figura che ne riporta alla luce gli aspetti più autentici e paradossali: ”Gli dobbiamo questo: vederlo camminare per quella piccola parte di mondo con irruenza e arroganza, una certezza disperata e tragicomica. Gli dobbiamo la liberazione dalle preghiere che non siano uno sguardo muto sull’abbandonato. Siamo le creature di uno che ci chiude nel palmo bucato della mano”.
Indice
Introduzione
I Capitolo: La disperazione dei discepoli
II Capitolo: Le modifiche al messaggio
III Capitolo: Formule orali
IV Capitolo: Poesia collettiva
V Capitolo: Arrendersi
VI Il racconto di Matteo
Riferimenti bibliografici
L'autrice
Brunella Antomarini insegna estetica e filosofia contemporanea alla John Cabot University, Roma. Ha numerose pubblicazioni su riviste italiane e straniere. E traduttrice di poesia. Dirige un festival di poesia bilingue (italiano-inglese), InVerse, che si tiene ogni anno a Roma. Tra le sue pubblicazioni più recenti: La percezione della forma nell’estetica di Hans Urs von Balthasar (Aesthetica Edizioni, Palermo, 2004); L’errore del maestro. Per una lettura laica dei Vangeli (DeriveApprodi, Roma 2005); co-editor con Silvano Tagliagambe di AA.VV. La tecnica e il corpo. Su un inedito di Pavel Florensky, Franco Angeli Editore, Roma 2007; Pensare con l’errore (Codice edizioni, Torino 2007).
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