sabato 2 febbraio 2008

Bonesio Luisa, Paesaggio, identità e comunità tra locale e globale.

Reggio Emilia, Diabasis, 2007, pp. 232, € 18,00, ISBN 9788881034913.

Recensione di Francesca Saffioti - 02/02/2008

Geofilosofia

Di un testo va riconosciuta la necessità. Il libro di Luisa Bonesio, Paesaggio, identità e comunità tra locale e globale, corrisponde all’esigenza di pensare filosoficamente il paesaggio come pratica dell’abitare. È solo questa quotidianità di relazione che può consegnare la cura dei luoghi alla responsabilità individuale e, più in generale, chiamare in causa la sfera della deliberazione politica.
Si tratta di liberare il paesaggio dall’ambiguità della sua stessa denominazione concettuale − con cui si vorrebbe indicare sia la rappresentazione che la cosa stessa − attestata dalla frequente confusione fra i termini ambiente, natura, territorio, paesaggio. Rispetto alla persistenza di questa ambiguità, il testo denota una precisa scelta epistemologica che costringe a cambiare paradigma di riferimento. Da procedimento estetico-rappresentativo, che ne fa una proiezione interiore, il concetto di paesaggio si sposta verso un’analisi di tipo fisiognomico, che riguarda le forme della cultura, evidenziando il carattere storico, comunitario, simbolico proprio dell’esperienza dell’abitare.
Pervenire a questo nuovo concetto di paesaggio appare possibile solo rivolgendosi al significato di cui esso è portatore. Solo un paesaggio differenziato, stratificato e memoriale può offrire ospitalità ai suoi abitanti, rispettandone il diritto a vivere in luoghi significativi. Dopo l’estasi modernista del disincarnamento, si tratta di riaffermare una percezione qualititativa del proprio essere-nel-mondo. Questa percezione riguarda non solo la sfera della sensibilità, ma richiede un diverso approccio teoretico e una nuova prospettiva ontologica che, disattendendo il proposito moderno del dominio sullo spazio, guardi al rapporto fra soggetto e luogo come relazione di senso.
Seguendo questa indicazione, l’analisi del paesaggio si muove attorno ad alcune linee principali. Innanzitutto rivela l’intrinseca contraddittorietà dello sguardo paesaggistico. Dal punto di vista storico, il concetto di paesaggio nasce come assunzione, in campo estetico, della prospettiva geometrica. Il “quadro” si identifica infatti con il paesaggio, come dimostra la pittura rinascimentale. Il sublime rompe con la cornice classica, modifica il concetto tradizionale di bello, amplia l’orizzonte paesaggistico, rivela un’inedita attrazione verso la verticalità; allo stesso tempo, quando perde i suoi connotati più propri − la meraviglia rispetto a ciò che non può essere dominato dall’uomo − rischia di celebrare il pittoresco. L’idea della conquista e del primato disincanta anche l’estetica del sublime. Il paesaggio rischia di ridursi alla veduta, alla teatralizzazione, semplice messa in scena per l’azione umana, sia utilitaristica che contemplativa.
Anche l’ascensionalità della montagna, tema particolarmente caro all’autrice, finisce per essere assorbita dalla forza rappresentativa del soggetto e, nel moltiplicarsi di valichi transalpini e di vie di scorrimento, diventa spazio accessibile, prolungamento della pianura e della vita cittadina, “provincia” residuale e folklorica.
La facilità di spostamento e l’uso di nuovi mezzi di trasporto contribuiscono a rendere i luoghi semplici spazi di attraversamento. Essi spesso si identificano non più con connotazioni reali, ma con dei segni che si incontrano lungo il tragitto. La stessa attrazione verso le rovine (anche quando esse appartengono ad un’epoca recente, come dimostra il fascino dell’archeologia industriale, o addirittura quando sono artificialmente prodotte per uso artistico) testimonia dell’impossibilità di ristabilire un rapporto vitale con i luoghi, facendo di questi stessi oggetto di celebrazione, mitologizzazione, musealizzazione. L’attrazione per il “lontano” appare il segno di una civiltà faustiana protesa verso l’avvenire, che vuole segnare il suo irrevocabile distacco, magari nostalgico, dal passato. Il lontano è infatti tanto il passato che il futuro, di cui subisce l’attrattiva. Questa riduzione dello spazio a tempo è un altro carattere significativo della modernità.
Seguendo questa ampia analisi, il testo propone nuove categorie per pensare il paesaggio. Innanzitutto la centralità del concetto di limite, da contrapporre al desiderio faustiano dell’infinito e di una potenza tecnica in grado di dominarlo. Rispetto ad una modalità di rapporto con i luoghi di tipo dominativo/nostalgico e idealizzante, che ne celebra il distacco e l’artificialità, la distruzione e la successiva ricreazione, il testo ci invita a pensare la necessità del confine, la delimitazione come “finitezza aperta”, nel solco tracciato dalle preveggenti analisi di Rosario Assunto.
Quando il paesaggio viene tradizionalmente identificato, nella teoria estetica, con il “bello naturale”, esso si presta facilmente ad essere superato dall’idealità del soggetto. Questa lettura si basa sul presupposto dell’identificazione fra natura (ambiente) e paesaggio. Al contrario, il concetto decisivo, che ci viene consegnato dal testo di Luisa Bonesio, è quello di “simbolo”. L’idea che emerge con precisione è che il paesaggio, come già aveva intuito Simmel, non sia una mera dimensione naturale, ma sempre una sua rielaborazione culturale. Da qui l’interpretazione del paesaggio come «selezione di possibilità naturali da parte di una cultura» (p. 100). Solo l’attenta decifrazione degli elementi naturali – e dunque la loro ritrascrizione geosimbolica e geostorica – è in grado di dar luogo a un paesaggio. I riferimenti espliciti di questa analisi geofilosofica vengono indicati in due geografi di area tedesca: Lehmann, per la natura “espressiva” del paesaggio, che si traduce in una vera e propria ermeneutica, dunque nel tentativo di mediare ed integrare i caratteri dell’analisi geografica e filosofica, e Schwind, per l’idea di paesaggio culturale. Il paesaggio è dunque interamente un concetto geo-simbolico, culturale ed ermeneutico.
Viene inoltre discussa dall’autrice la nozione di “interesse”, che lega esplicitamente il paesaggio all’uso che ne fanno gli abitanti. Il paesaggio va primariamente pensato a partire da chi vive in esso. Ancora una volta ad essere messa in discussione è la matrice estetica che fa del paesaggio qualcosa di esclusivo, di elitario, di soggettivo, che rimane fuori dalla storia. Luisa Bonesio assume, invece, il punto di vista di un’analisi fisiognomica che lo rende forma, impronta, più che immagine senza spessore. La fisiognomica del paesaggio produce in senso letterale un’“impressione” singolare e qualitativa, assimilabile ad un “volto”, che impegna l’ethos, che chiama in causa la responsabilità della condivisione di una “dimora”. Non si possono dividere luoghi eletti, oggetto di cura e di attenzione, oltre che di commercializzazione, da luoghi marginali, da relegare alla semplice funzionalità. Piuttosto l’elezione di un luogo riguarda le possibilità di appartenenza e il significato ad esso attribuito dai suoi abitanti, divenendo dunque potenzialmente riferibile ad ogni spazio culturale. Il testo lascia intravedere le possibilità inedite di una geografia memoriale e soggettiva che, attraverso la stessa “singolarità” dell’autrice, si esemplifica, ad esempio, nella descrizione “materna” della montagna. Rispetto alla mitologia della conquista della vetta, questa geografia singolare ne rivela piuttosto la conformazione femminile ed accogliente. Il carattere memoriale non vuole rimandare ad un’origine nostalgica quanto piuttosto a quella comprensione dello specifico di un luogo che è condizione necessaria per ogni ragionevole trasformazione che non voglia prescindere da una relazione di senso.
L’uso del paesaggio presuppone dunque il riconoscimento di un significato, e non viceversa. L’uso non va concepito in senso strumentale, ma come quel prendersi cura a partire dalle possibilità stesse del luogo, il quale, dunque, contiene sempre potenzialità di senso non ancora espresse. Ecco perché una concezione culturale ed ermeneutica del paesaggio non è mai un’operazione di retroguardia. La salvaguardia dei luoghi non può prescindere dal riconoscimento di tale nucleo di senso se non vuole ridursi ad una semplice valutazione quantitativa delle “risorse” naturali. In realtà, solo a partire dal riconoscimento dell’alterità del paesaggio, del suo carattere singolare e differenziato, si può contrastare il dominio dell’identico. Che questa esigenza si manifesti anche sul piano politico è dimostrato, secondo Bonesio, dalla ratifica della Convenzione europea del paesaggio. L’autrice ritorna spesso su questo aspetto (si veda in particolare l’intero paragrafo dedicato, pp. 196-199), valorizzando l’accresciuta consapevolezza e condivisione maturata attorno ad una identità qualitativa del paesaggio, definibile, come recita la Convenzione, come quella porzione di territorio caratterizzata da interrelazioni naturali e umane.
Secondo Norberg-Schulz la perdita del senso del luogo (genius loci) dipende dall’assenza di tre elementi fondamentali: la memoria, l’orientamento e l’identificazione. Ciò che si conserva richiede sempre un atto di interpretazione, dunque apre verso il futuro. Il paesaggio è pensabile solo come sedimentazione di una memoria vivente e non oggettivata (nel qual caso si tratterebbe di un’operazione di storicizzazione), che racchiude in sé l’esigenza della memoria e dell’avvenire.

Indice

Il paesaggio come rappresentazione
Natura, paesaggi, ambiente
Un secolo ostile al paesaggio
La riscoperta del paesaggio
Ermeneutica del paesaggio
Paesaggio come luogo dell’abitare
Bibliografia


L'autrice

Luisa Bonesio è docente di Estetica all’Università di Pavia e di Geofilosofia in vari corsi di formazione e di specializzazione. Studiosa del pensiero di Nietzsche, Spengler, Jünger, di estetica del paesaggio e di geofilosofia, si sta dedicando da tempo all’elaborazione di un’ermeneutica del paesaggio. Tra i suoi scritti principali: La terra invisibile, Marcos y Marcos, Milano 1990; Geofilosofia del paesaggio, Mimesis, Milano 2001; Oltre il paesaggio. I luoghi tra estetica e geofilosofia, Arianna, Bologna 2002.

Links

Luisa Bonesio è coideatrice e autrice, insieme con Caterina Resta, del sito 
Luisa Bonesio è presidente dell’associazione culturale Terraceleste www.terraceleste.blogspot.com
Luisa Bonesio è responsabile scientifica del Festival del Paesaggio di Pavia www.animadeiluoghi.com

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