giovedì 7 febbraio 2008

Lolli, Gabriele, Sotto il segno di Gödel.

Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 174, € 14,00, ISBN 9788815120236.

Nota di Nicola Angius – 07/02/2008

Logica, Filosofia della matematica, Filosofia della mente

Abstract

Gabriele Lolli proposes with this book a compendium of Austrian mathematician Kurt Gödel’s work. First chapters are devoted to the logical results that made Gödel’s name famous among mathematicians and philosophers; in particular completeness theorem, the two famous incompleteness theorems, contributions to computability theory and to set theory are analyzed. The second part of the book concerns philosophical remarks that Gödel made reflecting upon his own logical results and that made him engaged in the fields of philosophy of mathematics, philosophy of mind, mathematical perception and philosophy of time.

Sommario

Introduzione

Il teorema di completezza

I teoremi di incompletezza

Indecidibilità e computabilità

I contributi alla teoria degli insiemi

La filosofia della matematica

L’approccio fenomenologico

La filosofia della mente

La filosofia del tempo

La disputa fra intuizionisti e formalisti

1. INTRODUZIONE
Nel 2006 ricorreva il centenario della nascita di Kurt Gödel (Brno 1906–Princeton 1978), commemorato con numerose iniziative e incontri scientifici. Gabriele Lolli raccoglie in questo testo alcune delle conferenze da lui tenute in Italia per l’occasione, fornendo al vasto pubblico un appassionante ritratto intellettuale e, allo stesso tempo, una limpida ed attenta disamina dei contributi che hanno reso il logico austriaco una delle figure centrali del Novecento. In particolare l’Autore analizza i temi della completezza logica, dell’incompletezza, del fenomeno dell’indecidibilità, dei contributi alla teoria degli insiemi, per poi passare alle riflessioni filosofiche che videro impegnato Gödel nel campo della filosofia della matematica, in quello della filosofia della mente e della metafisica. Lolli definisce il XX secolo il secolo di Gödel: egli “ha chiuso il XIX secolo, ha dissolto le sue preoccupazioni e le sue illusioni. […] In positivo egli ha dato il via ad alcune tendenze che hanno preso forza nella seconda metà del secolo: non solo orientamenti specifici di ricerca o posizioni filosofiche, ma anche impostazioni generali o per meglio dire una nuova mentalità, che si esprime adesso clamorosamente della diffusione dell’informatica e dell’intelligenza artificiale.” (p.11)
2. IL TEOREMA DI COMPLETEZZA
Tra i meriti del testo c’è quello di fornire, per ogni tema trattato, l’essenziale background di conoscenze storico-matematiche necessarie per comprendere la portata dei contributi gödeliani, si ché anche il lettore meno esperto non trovi difficoltà nella lettura. Per esempio, la parte inerente il teorema di completezza e i teoremi di incompletezza sono preceduti da un paragrafo sul programma di Hilbert. L’Autore fa anche un passo in dietro, per parlare di come la matematica si fosse sviluppata e trasformata nel corso dell’Ottocento, presentando nuovi concetti e nuove strutture come le algebre di Boole, gli spazi vettoriali, le geometrie non euclidee. Ciò che era cambiato era l’atteggiamento epistemologico che la matematica assumeva nei confronti dei propri oggetti di indagine. Non si trattava più di studiare le proprietà della realtà sensibile come giustificazione dei teoremi; la giustificazione si trovava in un ripensamento del metodo assiomatico degli Elementi di Euclide. Le teorie diventavano sistemi assiomatici, gli assiomi diventavano concetti primitivi caratterizzati dalle mutue relazioni imposte dagli assiomi stessi, i teoremi diventavano deduzioni dagli assiomi. Le teorie risultavano dunque essere sistemi deduttivi per i quali una condizione si imponeva come necessaria per dare loro un valore: la non-contraddittorietà, l’escludere cioè la possibilità che nella deduzione dei teoremi si potesse giungere ad una contraddizione, altrimenti, per una nota legge logica, la teoria avrebbe incluso qualunque enunciato come teorema. In alternativa alla prova di non contraddittorietà si poteva fornire l’interpretazione della teoria in un modello nel quale tutti i suoi assiomi fossero veri. Un’altra condizione sembrava auspicabile per un sistema assiomatico: la sua completezza, la proprietà per la quale per ogni enunciato o esso o la sua negazione dovevano sono deducibili dagli assiomi. Il problema della completezza era sentito particolarmente urgente in riferimento all’aritmetica: su di essa infatti poggiava l’analisi, nonché la non contraddittorietà della geometria. Il programma di Hilbert, ricorda Lolli, intendeva dare risposte a queste aspettative, così sentite negli anni Venti del secolo scorso. L’idea di Hilbert era quella di generare un nuovo settore della matematica, che egli chiamò metamatematica, la quale, sfruttando la nuova logica formale e procedure unicamente finitiste, avrebbe dovuto dapprima formalizzare la teoria in esame cosicché si sarebbe potuto in seguito ragionare intorno ai suoi enunciati in modo combinatorio e con metodi di sicura garanzia.

Dopo aver delineato il panorama logico matematico che Gödel ha davanti negli anni degli studi di dottorato, Gabriele Lolli introduce in maniera limpida e informale il Teorema di Completezza. Dato un sistema formale assiomatico T, la proprietà per la quale se φ è dimostrabile in T allora φ è conseguenza logica degli assiomi di T è detta correttezza o validità di T; viceversa se φ è conseguenza logica di T allora φ è dimostrabile in T, è la proprietà di completezza del sistema logico T. Il problema, che era stato posto da Hilbert e Ackermann nel 1928, fu risolto da Gödel nel 1929 nella sua tesi di dottorato. Il teorema di completezza è equivalente al teorema di soddisfacibilità, secondo il quale se T è non contraddittoria allora esiste un modello di T (nel quale la teoria è soddisfatta). L’Autore non manca di rilevare le conseguenze filosofiche e matematiche di questo teorema. Il teorema di soddisfacibilità, asserendo che la non contraddittorietà implichi l’esistenza, ha un certo sapore metafisico, che dovette sorprendere non poco i contemporanei. Dopo aver accennato al teorema di compattezza, per il quale se ogni sottoinsieme finito di T ha un modello allora anche T ha un modello, l’Autore mostra come dal teorema di completezza si possa dimostrare l’esistenza di modelli non standard per l’aritmetica, ovvero modelli per l’aritmetica non isomorfi alla struttura dei numeri naturali ℕ. Più in generale esso permette di dimostrare come nessuna teoria formulata nel linguaggio del primo ordine che abbia un modello infinito è categorica (ammetta cioè un unico modello). La completezza dunque sanzionava una nuova caratteristica del metodo assiomatico, quella della pluralità dei modelli.

3. I TEOREMI DI INCOMPLETEZZA
Ai due Teoremi di Incompletezza è dedicato per intero il secondo capitolo, in esso Lolli introduce, in maniera dettagliata e formalmente rigorosa, i due teoremi, il linguaggio col quale furono formulati, unitamente alla ricostruzione del percorso seguito da Gödel nell’idearli. Informalmente il primo di essi asserisce che in ogni teoria T non contraddittoria e abbastanza potente da contenere l’aritmetica elementare esiste un enunciato indecidibile, va a dire un enunciato tale che né di esso né della sua negazione è possibile fornire la dimostrazione. Il secondo afferma che T contiene un enunciato che codifica la non contraddittorietà di T ed è un enunciato indecidibile del sistema T medesimo.

L’Autore sottolinea più volte come nella memoria originale del 1931 Gödel era ancora convito che il suo secondo risultato non minasse alla base il programma di Hilbert, pensando che si potessero trovare procedure finitiste al di fuori dell’aritmetica, per poi rassegnarsi successivamente al fatto che in realtà tali procedure erano tutte definibili all’interno dell’aritmetica. Un’altra sottolineatura degna di nota è che se i due teoremi ebbero senz’altro un’importanza intrinseca dovuta ai risultati metamatematici (ed anzi ebbero un impatto formidabile sul pubblico matematico e non) non meno importante fu la dimostrazione in sé; il processo di codifica, poi chiamato di gödelizzazione, ideato dal logico austriaco, sarà destinato ad avere seguito nel campo della teoria della computazione e dell’informatica, lo stesso si deve dire a proposito della nozione di ricorsività. L’intento originario di Gödel era quello, in accordo col programma hilbertiano, di ridurre la non contraddittorietà dell’Analisi a quella dell’aritmetica. Egli avrebbe voluto costruire una definizione aritmetica della verità delle proposizioni dell’Analisi ma si accorse che non è possibile costruire il concetto di verità aritmetica all’interno dell’aritmetica stessa, ciò infatti porta all’insorgere di antinomie del tipo di quella del mentitore. Da qui l’idea dell’incompletezza dell’aritmetica, la cui dimostrazione, per usare le parole di Lolli, consta di una parte Hard ed una Soft. Gödel trovò che i paradossi come quello del mentitore possono sorgere in realtà in qualunque linguaggio capace di parlare di se stesso; la causa del sorgere di questo tipo di paradossi è dovuta dunque dal confondere linguaggio e metalinguaggio. L’idea geniale consistette nel far sì che linguaggio e metalinguaggio coincidessero per l’aritmetica, ovvero pensò di codificare il metalinguaggio del linguaggio aritmetico nel linguaggio aritmetico stesso. Questo processo di codifica costituisce quella che l’Autore chiama la parte hard della dimostrazione; la parte soft è costituita dalla costruzione del paradosso nel metalinguaggio formalizzato. Il tipo di paradosso a cui Gödel si ispira è fondamentalmente quello del mentitore; egli riuscì a costruire un enunciato aritmetico che interpretato nel metalinguaggio attraverso la codifica da lui elaborata significa “questa frase non è dimostrabile nell’aritmetica”; esso è un enunciato tipicamente indecidibile.

L’aritmetizzazione (o gödelizzazione) del metalinguaggio consiste in una codifica numerica di tutti gli elementi del metalinguaggio stesso; il linguaggio oggetto scelto da Gödel per l’aritmetizzazione è il sistema dei Principia Matematica di Whitehead e Russell. Per dirla a grandi linee, dapprima si assegnano numeri ai simboli dell’alfabeto aritmetico, alle espressioni, alle successioni di espressioni e così via. In seguito si definisce una lunga serie di relazioni sintattiche del metalinguaggio necessarie per la dimostrazione dei teoremi, e le si interpretano come relazioni e operazioni fra numeri. Così ad esempio la formula Ter(n) indica che n è il gödeliano di un termine, Form(n) che n è il gödeliano di una formula, Ass(n) che n è il gödeliano di un assioma e così via. Il testo di Lolli ha il merito di riuscire a dare un’idea precisa di cosa sia il processo di aritmetizzazione, pur senza entrare nei dettagli più formali. Ciò che qui è importante riportare sono “alcuni requisiti essenziali generali e alcuni specifici per il linguaggio aritmetico in vista della dimostrazione dell’incompletezza” (p.42). Una prima condizione è che gli insiemi dei numeri utilizzati nella codifica siano decidibili, che esista cioè una procedura effettiva per determinare se un qualunque n appartenga ad uno di questi insiemi. È in oltre essenziale che n contenga tutte le informazioni necessarie alla formula (o alla successione di formule) cui si riferisce; si deve cioè essere in grado di estrarre i numeri delle espressioni componenti (quali sottoformule, variabili libere, termini ecc). Il processo di codifica, in altre parole, non può essere arbitrario, deve essere costruito effettivamente, in modo da poter eseguire anche l’operazione inversa. Deve essere possibile svolgere sui codici alcune operazioni, quali ad esempio sostituire il gödeliano di una variabile con il gödeliano di un'altra variabile nel gödeliano di una formula. Un’ultima osservazione è che per il metalinguaggio formalizzato deve valere la completezza, deve essere cioè sempre dimostrabile, ad esempio, o Ass(n) o ­­¬Ass(n). Il carattere di effettività dell’aritmetizzazione è garantito dall’utilizzo di funzioni e relazioni ricorsive primitive, introdotte da Gödel proprio nell’articolo del ’31, per definire funzioni e relazioni aritmetiche. La funzione ricorsiva primitiva fondamentale è la funzione di successione f. Attraverso una successione finita di applicazioni di f e 0 è possibile ottenere tutti i termini numerali. Una funzione inoltre si dice ricorsiva primitiva se è introdotta per mezzo di due schemi definitori (riportati nel testo): lo schema di composizione, per il quale una funzione è definita per sostituzione da quelle che la precedono in una successione, e lo schema di ricorsione primitiva, per il quale una funzione è definita ricorsivamente sempre da funzioni precedenti in una successione.

La parte soft dell’argomentazione è costituita, come si diceva, dalla costruzione di una proposizione indecidibile. Gödel riferì esplicitamente di essersi richiamato al paradosso del mentitore e all’antinomia di Richard. L’Autore dunque analizza brevemente queste ultime allo scopo di far notare come il teorema di incompletezza possa essere formulato alla luce delle medesime. Come è noto, secondo l’antinomia del mentitore, il cretese Epimenide asserisce la frase: “io sto mentendo”. Questo enunciato non può essere né vero né falso, è un non enunciato, dal momento che se fosse vero allora Epimenide non starebbe mentendo, ma allora l’enunciato sarebbe falso, e se l’enunciato fosse falso allora Epimenide starebbe mentendo e dunque l’enunciato sarebbe vero. Si tratta di una proposizione autoreferenziale, che tenta di asserire la verità o la falsità di se stessa; in questo senso è equivalente alla proposizione “questa frase è falsa”. Gödel interpreta verità e falsità come dimostrabilità e non dimostrabilità in un sistema formale, l’aritmetica formalizzata, e riesce a costruirvi un enunciato che decodificato significa “io sono indimostrabile”. Sia Teor(x) una formula soddisfatta da tutti e soli i gödeliani dei teoremi; sost(x,y) la formula che risulta dalla sostituzione nella formula di gödeliano y della sua variabile libera (se c’è) con x (sia uguale a 0 se non vi sono variabili libere); not(x) la negazione di x; sostnot(x) indichi sost(x,not(x)). È dunque possibile costruire una proposizione del tipo ¬Teor(sostnot(n)), dove n sia il gödeliano di Teor(sostnot(x)); se si esegue la sostituzione ci si rende conto che il gödeliano di ¬Teor(sostnot(n)) è proprio sostnot(n) e che dunque essa è capace di parlare di se stessa. Questa proposizione asserisce che non è un teorema (non è cioè dimostrabile) una formula che, eseguite le sostituzioni, si identifica con la formula di partenza, ovvero con se stessa. L’antinomia di Richard riguarda invece la nozione di definibilità; egli si chiede se i numeri reali compresi tra 0 e 1 siano tutti definibili (e dunque numerabili). Se rappresentiamo i numeri reali come espansioni binarie di 0 e di 1 è li organizziamo in una matrice infinita (che rappresenta l’insieme dei numeri definibili), è possibile applicare il così detto metodo dell’antidiagonale per trovare una nuova successione di 0 e di 1 non presente nella matrice, la quale sarà quindi non definibile. Consideriamo ora un’enumerazione di tutte le formule; è possibile associare alla dimostrazione di Gödel una matrice definita dalla funzione g(n,m) il cui valore è 1 se la formula che si ottiene sostituendo il numerale di m nell’n-esima formula è dimostrabile, è uguale a 0 se è invece dimostrabile la negazione di tale formula, non è definita se non si dà nessuno dei casi precedenti. In questo caso, ricorda Lolli, l’antidiagonale genera una formula che può far parte della matrice senza portare a contraddizione (come invece capita nel caso dell’antinomia di Richard o del continuo di Cantor): essa può in effetti identificarsi nel terzo caso. All’interno di un insieme di formule enumerabili esiste dunque una formula tale che né essa né la sua negazione sono dimostrabili; questo è per l’appunto il senso del primo teorema di Gödel. Il capitolo sull’incompletezza si conclude con alcune specificazioni. La proprietà metateorica che Gödel indica come necessaria per la dimostrazione del primo teorema non è la semplice coerenza, ma quella che egli chiama la ω-coerenza, condizione più forte della precedente, secondo la quale non è possibile per alcuna formula φ dimostrare φ(n) per ogni numerale n e allo stesso tempo ∃x ¬φ(x). Così l’enunciato sopra costruito risulta indecidibile in quanto ne i) ¬Teor(sostnot(n)) né la sua negazione ii) Teor(sostnot(n)) sono dimostrabili. Se i) fosse dimostrabile allora ∃yDim(y, sostnot(n)), esisterebbe cioè il gödeliano y dimostrazione del gödeliano di i) (che è come si notava sopra proprio sostnot(n)), ma allora varrebbe Teor(sostnot(n)) contro quanto si voleva dimostrare. D’altro lato neanche ii) è dimostrabile in quanto, si è visto che i) non è dimostrabile e dunque ∀m ¬Dim(m, sostnot(n)), ma se ii) fosse dimostrabile allora si avrebbe ∃yDim(y, sostnot(n)), contro l’assunzione dell’ω-coerenza.

Quanto al secondo teorema di incompletezza, Lolli ricorda come esso in realtà richieda un’aritmetizzazione della dimostrazione del primo teorema, mentre nell’articolo del ’31 Gödel presenta una dimostrazione intuitiva del suo secondo teorema. Una dimostrazione vera e propria verrà data solo nel 1939 da Hilbert e Bernays. Intuitivamente la validità del secondo teorema di incompletezza è immediata e risulta quasi come un corollario del primo; sia infatti NConT la non contraddittorietà di una teoria T, stando al primo teorema, se T è non contraddittoria l’enunciato i) non è dimostrabile; ricordando che sostnot(n) è il gödeliano di i) potremmo formalizzare così: T⊢ NConT → ¬Teor(sostnot(n)). Ora, se fosse possibile dimostrare NConT sarebbe possibile dimostrare anche ¬Teor(sostnot(n)) contro il primo teorema di incompletezza.

4. INDECIDIBILITA’ E COMPUTABILITA’
Il capitolo terzo è dedicato a indecidibilità e calcolabilità e ai contributi che direttamente o indirettamente Gödel vi ha apportato. Come è noto un altro grande problema connesso al programma di Hilbert era l’Entscheidungsproblem, il problema della decisione, il quale, in termini generali, si domandava se esistesse sempre un algoritmo per rispondere positivamente o negativamente agli infiniti casi di un determinato problema. Hilbert pensava a problemi di diversa natura, ma suggeriva di concentrare gli sforzi nella soluzione del problema per la classe delle formule logiche, visto che la formalizzazione permetteva di rappresentare in essa qualsiasi problema. L’Entscheidungsproblem poneva dunque l’ulteriore problema di una definizione rigorosa e matematicamente trattabile del concetto intuitivo di algoritmo; questo, ricorda Lolli, si rende necessario per le soluzioni negative di un problema, nelle quali bisogna dimostrare che “non esiste neanche un algoritmo tale che..”. Le funzioni ricorsivo primitive utilizzate da Gödel per l’aritmetizzazione, e già studiate da Hilbert e dalla sua scuola, offrivano una prima caratterizzazione di metodo effettivo. Tuttavia era una caratterizzazione non ancora esaustiva in quanto tale classe di funzioni è soggetta alla diagonalizzazione (è cioè possibile ottenere una funzione computabile non ricorsivo primitiva). Gödel, negli anni successivi al ’31, lavorò sulla nozione di calcolabilità e nel 1934 ottenne i risultati voluti con la classe delle funzioni ricorsive generali. Gli anni che vanno dal ’34 al 36’ risultarono particolarmente fecondi per la teoria della computazione e portarono ad una serie di definizioni equivalenti della classe delle funzioni computabili, come la λ-definibilità di Church, la μ-ricorsività di Kleene e la Turing-computabilità. Il capitolo prosegue con un’analisi dettagliata delle macchine di Turing, macchina di Turing universale, problema della fermata e teorema di Church (e dunque risposta negativa al problema della decisione) e relative dimostrazioni, dando così al lettore una visione di insieme sull’ampio capitolo della logica computazionale. Anche qui sono degne di nota alcune considerazioni dell’Autore. L’Entscheidungsproblem aveva già avuto, prima ancora che da Turing e Church, una risposta dalla dimostrazione di incompletezza; quest’ultima, in effetti, provava che per l’aritmetica non esiste una metodo di decisione. L’insieme dei suoi teoremi non è un insieme decidibile; la funzione caratteristica f(x) di tale insieme che ha valore 1 se Teor(x) e 0 altrimenti non è rappresentabile nell’aritmetica, poiché sarebbe possibile applicare il metodo dell’antidiagonale alla matrice definita da f(x). Un'altra importante considerazione è che la fortunata nozione di macchina universale di Turing deve moto alla dimostrazione di incompletezza, in particolare all’aritmetizzazione. Una macchina universale riceve come input dati che codificano un’altra macchina ed un argomento e dà come output l’output che avrebbe dato tale macchina codificata operando su tale argomento. Le macchine cioè sono codificate numericamente allo stesso modo dei dati; l’idea dei programs as data è alla base dei futuri calcolatori universali di Turing e von Neumann e si ispirò proprio alla codifica numerica ideata da Gödel.

5. I CONTRIBUTI ALLA TEORIA DEGLI INSIEMI
Dopo il ’34 Gödel comincia ad interessarsi di teoria degli insiemi, contribuendo in maniera fondamentale agli sviluppi della teoria nel XX secolo. A tali contributi è dedicato il quarto capitolo. Anche questo capitolo presenta una breve ma completa introduzione alla teoria degli insiemi e ai problemi che Gödel ha davanti quando decide di dedicarvisi, rendendo così agile la lettura anche ai meno esperti. Il capitolo inoltre funge da ponte all’interno del testo fra la parte matematica e quella filosofica, mettendo in luce come proprio riflettendo sulla natura degli insiemi il logico austriaco abbracciò una certa forma di realismo matematico. La teoria intuitiva di George Cantor aveva ricevuto una soddisfacente assiomatizzazione per opera di Ernest Zermelo e Abraham Fraenkel (ZF); diverse questioni restavano tuttavia aperte, riconducibili perlopiù alla coerenza. Ad un sistema assiomatico devono poter corrispondere diverse interpretazioni; nel caso della teoria degli insiemi nessuno era riuscito a fornirne alcuna, salvo quella intuitiva. La questione era assai problematica in quanto una qualunque possibile interpretazione sarebbe dovuta comunque essere un “insieme di elementi” e dunque esso stesso un elemento dell’universo che si cercava di determinare. L’apporto di Gödel consistette nel definire un nuovo tipo di modello, chiamato modello interno, il quale, intuitivamente, è costituito da classi definibili di insiemi non contenute in nessun altro insieme. Egli dimostrò che la classe degli insiemi costruibili L è un modello interno per ZF con l’aggiunta dell’assioma di costruibilità; il modello interno L per ZF gli permise di dimostrare la non contraddittorietà dell’assioma di scelta AC e dell’ipotesi generalizzata del continuo GCH. Questi ultimi erano risultati attesi e ricercati dalla comunità dei matematici in quanto significavano la coerenza di ZF. L’Autore sottolinea come proprio la nozione di costruibilità (e non costruibilità) traghetterà Gödel verso riflessioni filosofiche. Nell’ideare il modello degli insiemi costruibili egli si era ispirato alla teoria ramificata di Russell, e ciò lo aveva indotto a prendere in considerazione solo insiemi definibili. In un secondo momento Gödel assumerà un atteggiamento meno costruttivista ed asserirà che gli assiomi di ZF possono essere soddisfatti anche dalla classe delle “molteplicità arbitrarie” o insiemi arbitrari, cioè non costruibili per giungere in fine ad affermare che l’ipotesi dell’esistenza di insiemi non costruibili è anch’essa non contraddittoria. Con quest’ultima affermazione Gödel abbraccia il platonismo matematico, che lo porterà ad affermare che insiemi e concetti hanno un’esistenza indipendente dalla nostra conoscenza.

6. LA FILOSOFIA DELLA MATEMATICA
I contributi filosofici di Gödel sono analizzati nella seconda parte del testo, in diversi capitoli che riprendono, da ottiche diverse, sostanzialmente quattro temi: la filosofia della matematica, la fenomenologia e l’analisi della percezione matematica, la filosofia della mente, la cosmologia. La filosofia della matematica in Gödel è legata da un lato, come si diceva, alla teoria degli insiemi e dall’altro ai suoi risultati sull’indecidibilità. L’Autore riprende le riflessioni gödeliane che dal fenomeno dell’indecidibilità cercano di giustificare il realismo matematico analizzando la famosa Gibbs Lecture del 1951. In questo testo, di estremo interesse per il pubblico filosofico, Gödel deriva quelle che a suo avviso sono dirette conseguenze dei suoi teoremi. Il secondo in particolare suggerisce come sia impossibile che, dato un sistema S di assiomi e regole di derivazione, qualcuno possa dire di “percepire” la correttezza di S e il fatto che esso contenga tutta la matematica. Colui che percepisse la correttezza di S ne percepirebbe, contro quanto ammette il secondo teorema di incompletezza, anche la non contraddittorietà e sarebbe dunque capace di un’intuizione matematica. D’altro canto se si ammettesse che tutta la matematica può essere derivabile da un numero finito di assiomi e regole si sarebbe costretti ad ammettere, è questo il senso profondo dei due teoremi, che la matematica è incompletabile in senso forte e che esistono problemi assolutamente indecidibili. Si giunge dunque ad una disgiunzione diventata famosa: “o la matematica è incompletabile […] e la mente umana sorpassa infinitamente i poteri di qualsiasi macchina finita, oppure esistono problemi diofantei […]

Bibliografia

assolutamente insolubili”. Entrambi i membri di questa disgiunzione conducono, secondo il logico, ad ammettere una certa forma di realismo. Più precisamente, la prima alternativa implica che le operazioni della mente non possono essere ridotte a quelle del cervello, il quale, essendo costituito da un numero finito di parti, può essere considerato una macchina finita; ammettere l’esistenza di problemi assolutamente indecidibili, d’altro canto, sembrerebbe suggerire l’idea che la matematica non è una nostra creazione, in quanto “il creatore conosce necessariamente tutte le proprietà delle sue creature” e dunque che gli oggetti matematici abbiano un’esistenza oggettiva. Lolli sottolinea come sebbene la seconda alternativa sembrerebbe più adeguata alla visione di Gödel, questi la rifiuterà, ritenendo, come Hilbert, che non possano esistere problemi assolutamente indecidibili.

7. L’APPROCCIO FENOMENOLOGICO
Successivamente Gödel cercherà un altro fondamento alle sue convinzioni realiste; più in generale riterrà il formalismo hilbertiano inadeguato a fondare la matematica. Tra la fine degli anni ’50 e i primi del ’60 studia Husserl e trova nella fenomenologia un metodo soddisfacente per i suoi obbiettivi. Egli ritiene che la “certezza matematica” trovi un fondamento nell’approfondimento “dei concetti astratti stessi che sono quelli che conducono alla costruzione di questi sistemi meccanici”. La fenomenologia consiste in uno strumento atto alla chiarificazione del significato di tali “concetti astratti”. L’Autore elenca i punti salienti del metodo husserliano che Gödel fa propri; un elemento centrale è sicuramente quello dell’intuizione delle essenze e Lolli sottolinea ripetutamente come quello di Gödel non fosse un realismo ingenuo. Riportando un articolo sul problema del continuo Lolli mostra come oggetto della percezione matematica sia per Gödel non ogni singolo insieme ma il concetto di insieme. Nell’opinione del logico austriaco avere una percezione chiara del concetto di insieme è condizione necessaria e sufficiente per riconoscere la correttezza e la verità degli assiomi della teoria degli insiemi. La chiarificazione del significato a cui egli si appella riguarda dunque soltanto gli oggetti matematici generali. A tale chiarificazione fa poi seguito la fase deduttiva della matematica. Il testo si sofferma infine a chiarire il concetto di percezione. La percezione è per Gödel fonte di conoscenza, di conoscenza matematica; ed egli non comprende per quale motivo i matematici, come i logicisti o i costruttivisti, fuggano dal ricorso all’intuizione. Essa è una forma di conoscenza razionale, ed è del tutto analoga all’intuizione sensibile. Inoltre, come a partire dall’intuizione sensibile siamo capaci di costruire teorie fisiche, così a partire dall’intuizione matematica siamo capaci di costruire teorie matematiche. Con toni kantiani, Gödel giunge ad affermare che “persino le nostre idee sugli oggetti fisici contengono costituenti che sono qualitativamente differenti dalle sensazioni ad esempio l’idea stessa di oggetto”. Ora, compito della fenomenologia è proprio quello di portarci ad un progressivo approfondimento del contenuto delle nostre percezioni, focalizzandoci su di esse; questo processo è simile allo sviluppo cognitivo del bambino, il quale perviene ad una sempre migliore comprensione del linguaggio e dei concetti sui quali esso si poggia. Allo stesso modo si sviluppa la mente matematica, alla quale sempre nuovi assiomi, non ottenibili formalmente dai precedenti, risultano via via evidenti; questo è precisamente ciò che per Gödel distingue la mente umana dalla macchina.

8. LA FILOSOFIA DELLA MENTE
Un ulteriore tema filosofico, sul quale il testo si sofferma, è per l’appunto quello del rapporto mente/macchine. È noto come Gödel non abbia mai accettato l’idea che le operazioni della mente potessero ridursi totalmente a quelle del cervello; ovvero, pur accettando il paradigma computazionalista egli mantenne una visione antiriduzionista. Le sue argomentazioni in merito sono legate, anche in questo caso, tanto ai risultati di indecidibilità quanto alla teoria degli insiemi. Lolli ricorda tuttavia come Gödel fu molto cauto nel trarre delle conclusioni; egli considerava la prima alternativa della disgiunzione cui era giunto nel ’51 come non rilevante al di fuori della disgiunzione stessa, si concentrerà invece sul suo secondo teorema di incompletezza. Nella Gibbs Lecture del 1951 egli aveva introdotto un’importante distinzione, quella fra matematica oggettiva (cioè l’insieme di tutte le proposizioni matematiche vere) e matematica soggettiva, costituita dall’insieme di tutte le proposizioni matematiche dimostrabili. Il secondo teorema di incompletezza dimostra, a suo avviso, che un sistema finito di assiomi e regole non può contenere tutta la matematica oggettiva. Per quel che riguarda la matematica soggettiva, Gödel non esclude che una regola finita possa produrre tutti i suoi assiomi evidenti, ma noi non potremmo mai riconoscere una tale regola, perché non potremmo mai sapere che tutte le proposizioni che essa produce sono corrette, siamo solo capaci di valutare la verità di una sola proposizione dopo l’altra. La conclusione è che se la mente è equivalente ad una macchina finita, allora essa non è capace di comprendere il proprio funzionamento; la mente potrebbe essere una macchina, ma noi non potremmo dimostrarlo o potremmo non accorgercene. Il testo riporta infine la critica che Gödel rivolge a Turing ed al suo argomento per dimostrare che i processi mentali non vanno al di là dei processi meccanici. Turing, sottolinea Gödel, non ha tenuto in considerazione il fatto che la mente non è statica ma è in continuo sviluppo, e qui egli si riferisce al processo fenomenologico di chiarificazione concettuale. Un esempio è dato, ancora una volta, dalla formazione di nuovi assiomi dell’infinito sempre più forti in teoria degli insiemi. La sua tesi è, spiega Lolli, che se si considera la mente in un preciso momento allora il suo funzionamento è assimilabile a quello di una macchina, ma non lo è più se la si considera nella sua evoluzione storica. È l’evoluzione a non poter essere meccanizzabile, se la si considera come un processo infinito; qui, sottolinea ancora l’Autore, Gödel sembrerebbe pensare ad una mente transtorica o comunque eterna.

9. LA FILOSOFIA DEL TEMPO
Quanto alla filosofia del tempo, l’Autore accenna brevemente come il matematico austriaco cercò di derivare le sue convinzioni idealiste dai suoi risultati matematici inerenti la teoria einsteiniana della relatività generale. I così detti “universi di Gödel” sono universi rotanti nei quali la curva dello spazio-tempo si chiude su se stessa; questo significa che si potrebbe raggiungere il passato passando per il futuro. Se ciò fosse possibile significherebbe che il passato non è esattamente tale e lo scorrere del tempo sarebbe un’illusione. Ora, noi non sappiamo se il nostro sia un universo di Gödel, né mai potremmo venirlo a sapere perché in un universo di Gödel valgono le stesse leggi fisiche del nostro universo e dunque avremmo la medesima percezione dello scorrere del tempo (essendo noi fisicamente uguali) pur nella totale assenza dello scorrere del tempo. Tuttavia, argomenta Gödel, sarebbe assurdo sostenere che il tempo esiste nel nostro universo ma non in un universo rotante siffatto, perché ciò equivarrebbe a sostenere che l’esistenza oggettiva o meno del tempo dipende dal modo in cui la materia e il moto sono disposti nell’universo, il che a suo avviso è davvero poco credibile.

10. LA DISPUTA FRA INTUIZIONISTI E FORMALISTI
Il testo si conclude con due brevi capitoletti sulla personalità del grande logico, sulla quale tanto è stato scritto. Nel primo di essi, dal titolo “Gödel umorista”, si fa riferimento a come egli seppe contribuire alla disputa sulla logica intuizionista che vedeva negli anni ’20 contrapposte le due scuole formalista (Hilbert) e intuizionista (Brouwer). Gödel intervenne con due articoli nel 1932 e 1933; nel primo di essi dimostrava come la nuova logica intuizionista non fosse riducibile alle logiche a più valori. In seguito, cosa assai più importante, dimostrerà come la logica classica sia in realtà interpretabile all’interno del calcolo intuizionista mediante la doppia negazione: A è un teorema classico sse ¬¬ A è un teorema intuizionistico. Così, ad esempio, una tipica legge logica non valida nella logica intuizionista come la legge del terzo escluso (A ⋁ ¬A), diventa valida se interpretata come ¬¬ (A ⋁ ¬A ). La logica e aritmetica intuizioniste non sono dunque meno potenti di quelle classiche, ma anzi comprendono queste ultime. Con questa sorprendente conclusione Gödel pose fine alle accese dispute fra scuole fondazionaliste avversarie, i metodi intuizionisti non sono infatti alternativi ai metodi finitisti di Hilbert (formalizzabili nell’aritmetica classica) per la dimostrazione di coerenza dell’aritmetica.

Il capitolo conclusivo, dal titolo “In cosa credeva Gödel?”, è una raccolta di curiosità sull’eccentrico personaggio e sulle sue idee contrarie allo “spirito del tempo” su diversi temi, dalla teologia alla biologia e alla politica. È qui sufficiente sottolineare come dietro questo atteggiamento avverso alla cultura del tempo vi sia una chiara visione della storia del pensiero, ben messa in luce nella Gibbs Lecture del 1961 intitolata Il moderno sviluppo dei fondamenti della matematica alla luce della filosofia, cui l’Autore fa un celerissimo riferimento. In questo breve articolo Gödel classifica le filosofie in base alla loro affinità o distanza dalla metafisica e pone in un lato destro spiritualismo, idealismo e teologia, al lato sinistro scetticismo, materialismo, positivismo. A partire dal Rinascimento, sostiene Gödel, si è assistiti ad un progressivo spostamento della cultura dal lato destro al sinistro; questo spostamento ha caratterizzato via via tutti i settori del sapere (come la filosofia, la fisica, la biologia ecc..) fino a raggiungere (tra XIX e XX secolo) anche la matematica. Compito della filosofia, per Gödel, sarebbe proprio quello di far compiere alla cultura il percorso inverso, da sinistra verso destra. Gödel sosteneva che una metafisica razionale, del tipo di quella leibniziana, fosse possibile; nutriva infine l’ambizione di riuscire egli stesso a costruire un sistema paragonabile a quello di Kant o Leibniz, suoi punti di riferimento.

Indice

Prefazione

Il secolo di Gödel

Incompletezza

Indecidibilità

Gödel e gli insiemi

Gödel filosofo

La filosofia della matematica

Gödel umorista

In cosa credeva Gödel?

Riferimenti bibliografici
Indice dei nomi
Bibliografia

Godel, K.
1929 Sulla completezza del calcolo della logica, in Gödel (1999)
1931 Proposizioni formalmente indecidibili dei “Principia Mathematica” e di sistemi affini I, in Godel (1999).
1932 Sul calcolo proposizionale intuizionista, in Gödel (1999).
1933 Sull’aritmetica e la teoria dei numeri intuizioniste, in Gödel (1999).
1951 Some basic theorems on the foundation of mathematics and their implications (Gibbs Lecture 1951), in Gödel (2006).
1961 Il moderno sviluppo dei fondamenti della matematica alla luce della filosofia (Gibbs Lecture 1961), in Gödel (2006).
1999 Opere, Vol. I: 1929-1936, Torino, Bollati Boringhieri.
2006 Opere, Vol. III: Saggi inediti e conferenze, Torino, Bollati Boringhieri.

Hilbert, D. e Ackermann, W.
1928 Grundzüge de theoretischen Logik, Berlin, Springer.

Hilbert,D. e Bernays, P.
1939 Grundlagen der Mathematik, Vol.II, Berlin Springer.


L'autore

Gabriele Lolli insegna logica matematica nell’Università di Torino. Fra le sue più recenti pubblicazioni ricordiamo: “Il riso di Talete”, Bollati Boringhieri, Torino, 1998; “Beffe, scienziati e stregoni”, il Mulino, Bologna, 1998; “La crisalide e la farfalla”, Bollati Boringhieri, Torino, 2000; “Filosofia della matematica. L'eredità del Novecento”, il Mulino, Bologna, 2002; “Da Euclide a Gödel”, il Mulino, Bologna, 2004 ; “QED - Fenomenologia della dimostrazione”, Bollati Boringhieri, Torino, 2005; “Guida alla teoria degli insiemi”, Springer Italia, Milano, 2008; e la cura, in collaborazione con e U. Pagallo, “La complessità di Gödel”, Giappichelli, Torino 2008.

Links

La pagina web di Gabriele Lolli: 
http://www2.dm.unito.it/paginepersonali/lolli/index.htm dalla quale è possibile scaricare altri articoli dell’Autore
La rubrica che Lolli tiene su Polymath:
Gödel nella Stanford Encyclopedia of Philosophy:
Un bell’articolo di Wilfried Sieg su Gödel e computabilità:

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