lunedì 25 febbraio 2008

Minazzi, Fabio, Filosofia della Shoah. Pensare Auschwitz: per un'analitica dell'annientamento nazista.

Firenze, Giuntina, 2006, pp. 362, € 25,00, ISBN 9788880572598.

Recensione di Francesca Rigotti - 25/02/2008

Filosofia politica, filosofia della storia

Nel raccogliere in volume una serie di saggi elaborati in anni recenti su differenti aspetti della Shoah, Fabio Minazzi fa il punto sulla riflessione filosofica intorno ad Auschwitz, presentandosi con una posizione fortemente personalizzata. Non certo quella del silenzio attonito davanti all'orrore, e nemmeno la posizione, opposta ma altrettanto sterile, dello studio storico-analitico dei campi di sterminio condotto come se l'oggetto di studio fosse più o meno neutro. La proposta di Minazzi parte dall'analisi del problema filosofico del male impostato secondo quello che chiamerò «il teorema di Epicuro», tanto difficile da non aver ancora trovato una soluzione da quando è stato posto. «Se la divinità vuole abolire il male e non può, è impotente; se può e non vuole, è impotente e malvagia: e se vuole e può (è buona e onnipotente) perché non lo abolisce?». Hans Jonas prova a risolvere il teorema con la sua risposta sul perché dio ad Auschwitz restò muto: perché se voglio continuare a postulare l'esistenza di dio non posso credere che, essendo buono, onnisciente e onnipotente, abbia assistito ad Auschwitz con indifferenza; ma poiché l'attributo della bontà di dio è immodificabile, resta soltanto la possibilità di rinunciare alla sua onnipotenza. Nella soluzione di Jonas dio scende dunque dal piedistallo della perfezione data dal possesso degli attributi tradizionali di bontà, onniscienza e onnipotenza e perde di necessità l'ultimo di questi.
Senza accettare l'ipotesi di Jonas, che presuppone in ogni caso l'esistenza di un dio creatore che si prende cura dell'uomo, Minazzi preferisce interrogarsi sulla natura della razionalità filosofica - che mi pare costituire la cifra costante della sua posizione filosofica dichiaratamente razionalista – per presentare un approccio sostanzialmente trascendentalistico di tipo kantiano al problema del male, anzi del male assoluto quale fu quello di Auschwitz. Il male di Auschwitz va inserito nella storia politico-morale dell'uomo, il quale della propria storia deve essere considerato responsabile. Nei campi di sterminio si è assistito al soffocamento della razionalità critica dell'uomo, la quale rappresenta invece l'unico sostegno teorico per una moralità umana che si appoggi kantianamente alle ragioni della conoscenza.
Un modo per conoscere un fenomeno è nominarlo, dal momento che dare un nome alle cose è esercizio ontologico specificamente umano. La semantica dello sterminio di Minazzi prende le mosse dal termine di genocidio (crimine efferato finalizzato alla cancellazione storico-culturale di un gruppo), rifiutato in quanto mischia il concetto di annientamento fisico con quello di distruzione dell'identità culturale. Anche olocausto non appare adeguato per indicare quel tipo di sterminio, a causa dell'insistenza sul senso di sacrificio della vittima che «brucia completamente», come se gli ebrei dovessero espiare qualche segreta colpa. Più pertinente dunque Shoah, parola ebraica del linguaggio biblico denotante una situazione di catastrofe e di distruzione in generale. L'analisi di Minazzi non si ferma comunque al gradino lessicale ma sale subito a quello concettuale, e dallo studio del concetto deriva l'innegabile conclusione – per troppi ancora una stupefacente rivelazione: che i nazisti non hanno fatto altro (!) che riproporre in Europa ciò che gli europei hanno fatto a danno dei non-bianchi e non occidentali con la conquista del nuovo mondo, la devastazione dell'Africa, la tratta degli schiavi e mille altre barbarie e crudeltà commesse in nome di dio, del progresso e dell'igiene, per dirla con Noam Chomsky, Domenico Losurdo, Tzvetan Todorov: il nazismo è figlio legittimo di un modello occidentale che ha assassinato sistematicamente e barbaramente milioni di persone con varie forme di genocidio e olocausto, senza provare mai alcun serio rimorso civile.
Quanto all'ermeneutica del male e alla posizione rispetto alla fede degli uomini del nazismo - ultimo punto filosofico che tratterò, dei molti che Minazzi coraggiosamente affronta e discute – il programma nazista non è né con dio né contro dio, e se prende posizione è per puro opportunismo. Il nazismo non fonda certo la propria delirante ideologia sull'«ateismo» (non c'è mai stato uno sterminio commesso in nome di non-dio, di fronte ai numerosissimi effettuati in nome di dio). La fonda, marginalmente, sull'avversione per il cristianesimo, considerato dottrina che sfianca e deprime la gente rendendola inadatta alle dure quanto improrogabili esigenze della dottrina del nazionalsocialismo. Torna qui, a conclusione, la prospettiva kantiana di Minazzi per il quale non esistono un bene e un male per sempre e univocamente definiti, quanto un'inclinazione, una tensione al, e una ricerca del, bene coltivate dalla ragione, o meglio dalla razionalità radicata sulla legge morale. È ad essa che secondo l'autore si dovrebbe ricorrere ogni volta che la barbarie si ripresenta nella storia.

Indice

Introduzione
Nota al testo
Per un'analitica del paradigma nazista dell'annientamento
Capitolo primo
Auschwitz e la riflessione filosofica
Capitolo secondo
Sterminio, genocidio, olocausto o Shoah?
Dai nomi dello sterminio al suo concetto critico
Capitolo terzo
Per un'ermeneutica del male: la Shoah e il razzismo nazista
Capitolo quarto
La cultura fascista e il razzismo:
dalla voce Fascismo sull'Enciclopedia Italiana alle leggi razziali

Capitolo quinto
Fenomenologia epistemica del testimone della Shoah
Appendice
Contributo per una pedagogia dopo Auschwitz
Considerazioni cronachistico-storiografiche a margine di un seminario di studio presso lo Yad Vashem di Gerusalemme
Il treno della memoria per Auschwitz. Cronaca di un viaggio
Alfredo Violante: dalla Puglia a Mauthausen
L'epurazione della scuola fascista.
Elenco degli insegnanti ebrei espulsi dalle scuole medie italiane
Indice dei nomi


L'autore

Fabio Minazzi (Varese 1955), ordinario di Filosofia teoretica dell'Università degli Studi di Lecce, ha pubblicato una ventina di monografie e curato una quarantina di testi vari. Si è occupato del problema del realismo, del dibattito epistemologico contemporaneo, della rivoluzione scientifica galileiana, del pensiero di filosofi come Giulio Preti, Karl Popper e Ludovico Geymonat, del problema della scuola italiana e della didattica della filosofia. Ha curato testi di protagonisti della Resistenza europea e italiana e diversi volumi dedicati alla storia del Novecento, alla Shoah e al totalitarismo nazista.

Link

Sito del Dipartimento di Filologia classica e Scienze Filosofiche dell’Università degli Studi di Lecce

2 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Recensore, F. Rigotti, antimetafisicamente e contro stesso dettato epicureo di ovvietà, pone pensiero ad indefinito e così fa emerger nulla del Dio dei filosofi greci antichi neppure dei moderni e di Evo Di Mezzo senza più mezzo ma con fardello intellettuale. In indefinito, peso di affermazioni in recensione di stessa ne fa cadere premesse dimostrative e con ciò stesse concezioni antieuropee, eredità marxista stalinista che fu imposta a vasto mondo religioso, perdono protezioni logiche che impediscono di riconoscer la Europa innocente da gli ex europei che da lor colpe di sfruttamento e razzismo impediti a restar quel di prima.
In grande evento di violenza non solo occidentale che "Stalin" e stalinismo tentarono di occultare anche ai danni della vera contemporanea innocente e coraggiosa ideologia cittadina di Stalingrado, è da annoverarsi assieme ai malesseri indigeni i malesseri dei coloni in Americhe e non solo giunti perché non solo da India anche da Europa desiderata convivenza e specialmente da mondi assai selvaggi ed autoctoni... A legittime esagerazioni di còmputi di morti amerindi si aggiunga considerazione maggiore della testimonianza di J. Owens ad olimpiadi berlinesi ove A. Hitler e suoi preferirono i neri per ridicolizzar più i bianchi tedeschi che tutti gli altri infine neri compresi, cui riusciron ed anche a bianchi per lunghi istanti finanche a provocarne di cambiarsi colori... ed Hitler sfuggito da intenzioni di reazione mortale di folla solo per timor di morti ammazzati lontano... Era A. Hitler un fraccomodo estremamente pericoloso e non il più disistimabile in Villaggio Globale ideato fatto valere da Naviganti ma tra i più invadenti in assoluto e non era figlio di colpe ancora europee né europee. Owens non diede filosofici mòniti, d'altronde questo era un tipaccio spesso assai violento e senza motivi, da lui stesso raccontato e senza diniego di autorità americane... però ebbe ottima idea di far notare estraneità di Hitler a vari e vasti tipi di risse occidentali, americane, europee, orientali, africane... adottando atleta mimesi tradizionale in agonismo tribale africano e retaggio afroamericano pure... e ne risultò pertinente riflesso quasi azzurro-mare e rosa - non-speranza.



MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Auschwitz era il campo (di concentramento e) di sterminio ove esiziale e mortale anche idiozia di carcerieri nazisti; ebraismo tradizionale ne restò perplesso fino a disfatta religiosa ma da potere rabbinico già ordinati da tempo mutamenti religiosi ed è ovvio intuire che delittuosità non ha inventiva originale e non centra nessuno scopo e se violenta troppo non sa porsi scopo... Soluzione parziale in riflessione sulla Creazione per autolimitazione, formulata in particolare e modernamente da Jonas, mostrò cabalisticamente non talmudicamente che fosse pochezza del mondo circostanza tanto tragica e non solo per vittime in fondo simpatiche e sessualmente desiderabili da molti non peggiori dei loro nemici; peraltro chi seppe salvarsi in quantità tra vittime diverse, tra gli zingari, era un esempio che non consentiva più ad ebrei che ne meditavano antica fede... già scomunicata dai rabbini tra fine Secolo XIX° e inizio XX° e dei rari e più diversi ancora raggiri di quelli che riuscivan a rendersi campi nazisti ospedali e a sopravviver non altrimenti non bisogna confonder con sopravvissuti che poi in tarda età per sfuggir da malasanità si ponevano in condizioni suicide già morenti...
Heidegger diceva teologismo del "Lasciar essere" cioè di Creazione da pensarsi non attiva (né produzione!!) e stesso Jonas se ne assunse qual rimprovero, sicché anche giudaismo dei tragici eventi sparì ma con dono di conoscenza teologica e non solo teologismo.

Eppure altre vicende storiche vi erano, che riflessioni ne mostraron forza e verità, proprio in esaurirsi di potere (dimostrativo esistentivo) del nominar il mondo per starne.
Perché la fine della storia del mondo dominato dal dirne, finisse in un quasi nulla e quasi tutto sia restato ed in alterità remota, antecedente, ciò non se ne trova in tradizioni filosofiche occidentali ma globali e nipponiche ed anche in accadimento giapponese, la impensabile alterità,

ugualmente al mutar colore di una foglia che non muta giardino proprio ma altrui;

che pareva agli empi erranza del suo troppo, ma invero non con termine di doversi terminar vita se non da pochissimi erranti, invece dai molti e moltissimi solo la vita.


MAURO PASTORE