domenica 9 marzo 2008

Capella, Juan-Ramon, La nuova barbarie. La globalizzazione come controrivoluzione conservatrice, trad. it. di Alberto Rotondo.

Bari, Dedalo, 2008, pp. 272, € 16,00, ISBN 978-88-220-5372-5.
[Ed. or.: Entrada en la barbarie, Trotta Editorial, Madrid 2007]

Recensione di Matteo Sozzi – 09/03/2008

Filosofia politica, sociologia

Questo volume di Capella è un testo appassionato e di ampio respiro che si propone un’analisi dell’attuale situazione sociale, politica ed economica, con l’intento di evidenziarne i problemi e il desiderio di offrire contributi per i movimenti di emancipazione sociale. La tesi fondamentale dell’autore risiede nella valutazione dei fenomeni della globalizzazione e del progresso tecnico-scientifico, non disgiunti dalle politiche neoliberiste che si vanno affermando, come elementi caratterizzanti l’attuale “Grande Restaurazione” conservatrice del capitalismo. Si tratta di una “controrivoluzione” capitalistica – sostiene Capella – in quanto mette in discussione e fa arretrare in modo significativo le conquiste sociali degli ultimi secoli, a tal punto che il momento contemporaneo è considerato il tempo di una “nuova barbarie”. Il testo si impreziosisce di riferimenti a pensatori del secolo scorso che hanno offerto categorie e chiavi di lettura dei processi sociali, politici ed economici, a cui è dedicata la prima parte. Nella parte seconda viene invece offerto un quadro storico, eziologico e descrittivo del momento contemporaneo con alcune indicazioni per i movimenti di emancipazione sociale. Il libro si struttura in otto capitoli: quattro compongono la prima parte, altrettanti la seconda.

Il volume, privo di introduzione, inserisce da subito il lettore nella riflessione di Gramsci (con particolare attenzione ad Americanismo e fordismo), a cui è dedicato il primo capitolo. L’autore illustra alcuni strumenti concettuali gramsciani ancora preziosi per la comprensione dei mutamenti attuali. Innanzitutto è presentata l’interpretazione delle dinamiche contemporanee di relazione tra le forze politico-sociali come una “guerra di posizione”, caratterizzata da cambiamenti molto lenti con avanzamenti e arretramenti microscopici, in sostituzione dell’idea di “attacchi a sorpresa” di una forza sociale contro l’altra (come fu, ad esempio, la Rivoluzione d’Ottobre). A questa concezione si lega la categoria di “rivoluzione passiva”, che spiega l’avanzata del nuovo capitalismo: si tratta di un capitalismo capace di operare una restaurazione, una “controrivoluzione”, priva di improvvisi mutamenti, che mira all’egemonia culturale attraverso l’attrazione esercitata dai valori borghesi. Esempio di tale “rivoluzione passiva” è il patto sociale che si delineò dopo la seconda guerra mondiale, che segnò una perdita di numerose posizioni conquistate dai movimenti emancipatori, spesso neppure avvertita.

Il secondo capitolo esamina la prospettiva emancipatrice dell’ultimo Benjamin. Attraverso la lettura delle Tesi di filosofie della storia, Capella ci conduce ad una serrata critica del mito del progresso, capace di paralizzare i movimenti emancipatori con la delineazione di un immaginario collettivo, che di fatto immobilizza la semplice e concreta azione nel presente. In radice, approfondisce l’autore, è la stessa concezione del tempo propria di alcune culture del progresso che rischia di vanificare l’impegno concreto. Al tempo del progresso viene quindi opposta la concezione del “tempo-adesso”: è il presente la dimensione temporale che deve essere proposta come riferimento per il passato e per gli scenari a venire. Da qui l’indicazione per i movimenti emancipatori dell’adozione di un modello di tempo tipico di un “messianismo debole”: “messianismo” perché lotta nel presente per l’emancipazione (“la “redenzione”) del passato oppresso e rimane aperto ad una speranza veniente, “debole” perché rinuncia alle scappatoie in un mitico futuro o in assoluti risolutori (il messianismo forte dell’escatologia).

Il terzo capitolo offre alcuni lasciti culturali di Simone Weil. In particolare, viene illustrata l’affermazione della sacralità della vita umana, quale limite invalicabile di ogni azione, e una riflessione sul concetto di legittimità del potere nelle democrazie in relazione agli aspetti procedurali delle decisioni politiche: se è vero che ogni decisione politica che non rispetti le procedure democratiche è illegittima, non ogni decisione rispettosa delle procedure può dirsi legittima, poiché l’opinione pubblica, detentrice ultima di ogni legittimità politica, conserva un’autonomia di pensiero che la democrazia deve tutelare dai rischi insiti nei mezzi di manipolazione di massa. Un ulteriore lascito della scrittrice riguarda la determinazione del concetto di diritto individuale, così enfatizzato dall’Illuminismo e dalle rivoluzioni borghesi; alla tradizione dei diritti viene contrapposto dalla Weil il primato dell’obbligazione. L’obbligo infatti si radica nella natura umana che è essenzialmente debitrice all’altro e all’ambiente e permette il superamento della cultura dell’individualismo autoreferenziale promosso dalla borghesia; solo dal riconoscimento dell’obbligo verso l’altro possono nascere relazioni libere e volontarie, mentre la cultura del diritto offre il fondamento a relazioni di tipo mercantile improntate all’individualismo.

Nel capitolo quarto viene presentato il contributo di Pier Paolo Pasolini. La spiccata sensibilità ha permesso a quest’intellettuale di captare i profondi mutamenti in atto negli anni ’60 e ’70. Primo fra tutti, proprio perché lo coinvolgeva in prima persona, la concezione stessa di intellettuale: Pasolini comprese il ruolo dell’intellettuale “nel Palazzo”, favorito da possibilità economiche e di carriera, a condizione di divenire complice con i poteri politico ed economico e scelse di collocarsi “fuori dal Palazzo”, assumendosi con onestà la responsabilità intellettuale e affrontando i disagi conseguenti anche in termini di isolamento. Pasolini inoltre percepì la necessità di superare gli ideologismi che pretendono di spiegare tutto, come il marxismo del dopo rivoluzione russa, che di fatto rappresentano un freno ai movimenti autenticamente progressisti. Il contributo maggiore dell’intellettuale italiano, però, è da ricercare nell’analisi del “mutamento antropologico” operato dalla produzione di massa, dalla creazione di domande di consumi ad essa adeguati attraverso l’industria della pubblicità e dalla diffusione omogeneizzante della cultura borghese. Pasolini denunciò la cultura edonista del consumismo, repressiva poiché impone l’obbligo del consumo e induce nuovi bisogni, animata da un neocapitalismo capace, per ritornare alla metafora, di “modificare l’uomo” stesso nei suoi desideri, bisogni, criteri di giudizio e di valore.

Una volta esplicitati gli strumenti concettuali di riferimento attraverso l’evocazione di questi quattro lasciti culturali, nella seconda parte l’autore inizia con il capitolo quinto una rapida ricognizione storica del movimento emancipatore che dal 1848 aveva reso protagoniste le masse di lavoratori e contribuito alla creazione di una società con regole più giuste e improntata a minori diseguaglianze. Tale movimento – giunge ad affermare Capella – negli anni ’70 del secolo scorso rischiò di scomparire senza neppure esserne consapevole. La storia di questo percorso inizia con la Rivoluzione francese per il suo significato paradigmatico e continuò fino al trionfo della Rivoluzione d’Ottobre, seguito dalla controrivoluzione dello stalinismo, un sistema di gestione del potere politico, economico e culturale che vanificò dal di dentro la rivoluzione, pur rimanendo un mito per i lavoratori occidentali. L’autore prosegue poi ad esaminare i casi della Cina, di Cuba e i fallimenti del 1968 fino a giungere agli anni ’70 con l’esplosione di nuovi fenomeni: il consumismo, l’enorme potere dei mezzi di comunicazione di massa e il proporsi con drammaticità della questione ecologica. E’ un orizzonte sociale in cui da un lato i lavoratori acquistano e si indebitano per possedere beni di consumo, con l’arroccamento su valori individualistici tipicamente borghesi e la dissoluzione di una coscienza di classe; dall’altro lato, i mezzi di comunicazione di massa costituiscono uno strumento efficace di manipolazione delle coscienze in un momento in cui la crisi ecologica mostra l’insostenibilità dell’industrialismo crescente, senza peraltro che tale problematica sia percepita come decisiva per il futuro dell’umanità.

Al sesto capitolo è quindi affidato il compito di analizzare i caratteri del cambiamento sociale della “controrivoluzione”, che si caratterizza come un processo di restaurazione del capitalismo, frutto della fusione della terza rivoluzione industriale con una politica neoliberista. I tratti salienti del cambiamento qualitativo nei processi produttivi che vanno sotto il nome di terza rivoluzione industriale sono individuati nell’applicazione dell’informatica ai processi di produzione e di relazione sociale, nell’uso di nuovi materiali e biotecnologie, nel ruolo ormai decisivo della pubblicità di massa e nel radicale mutamento dell’organizzazione imprenditoriale. L’autore, a questo proposito, dedica attenzione ai cambiamenti organizzativi imprenditoriali, soffermandosi sui mutamenti di scala frutto della tendenza alla concentrazione di capitali e alla multinazionalizzazione delle imprese, sui cambiamenti dei sistemi di finanziamento, sul ruolo della rete e sui fenomeni di esternalizzazione, delocalizzazione e integrazione tra marchi. Tali mutamenti non spiegherebbero, però, lo scenario attuale, se non fossero accompagnati da politiche neoliberiste, ben personificate dai neoconservatori anglosassoni Thatcher e Reagan. Queste politiche si caratterizzano per alcuni chiari obiettivi: l’offerta di meno garanzie ai lavoratori attraverso l’incentivazione del lavoro autonomo, l’alleanza con intellettuali compiacenti, la regressione della fiscalità, la “deregulation”, il ritiro dello stato dalla società. Parallelamente a queste politiche statali si è andata affermando una sovranità sovrastatale diffusa e policentrica: istituzioni dotate di grande influenza (si pensi alla Banca Mondiale), che attuano il progetto globalizzatore della libera circolazione dei capitali, delle merci, ma non dei mercati del lavoro.

Negli ultimi capitoli vengono tratte alcune conclusioni dallo scenario appena delineato. Nel settimo capitolo vengono denunciate le “barbarie” che questo processo reca all’umanità: il problema energetico, alimentare, l’approvvigionamento idrico, la manipolazione mediatica e culturale, la degenerazione delle condizioni sociali delle classi lavoratrici, la questione ecologica, la paralisi delle istituzioni pubbliche, la militarizzazione, il venir meno di una cultura del diritto, aspetti allarmanti che richiedono un rapido intervento e sono invece sottovalutati dall’opinione pubblica. Di fronte a queste barbarie avanzanti, nell’ottavo capitolo l’autore propone di vivere il presente in modo “resistente”, con scelte coerenti e politicamente impegnate improntate ai principi della lotta alla disuguaglianza, al mero cambiamento tecnologico separato da una riflessione di significato, allo sradicamento e al contenimento del superfluo, nella convinzione che questo movimento alternativo sia assistito dalla ragione.

Il testo non presuppone conoscenze disciplinari specifiche e si presta ad una lettura agevole. Davvero notevole e impegnativa è l’ampiezza dei temi che si propone di trattare in uno sforzo evidente di offrire uno scenario globale, che non rende possibile l’approfondimento del singolo tema; ciononostante l’autore riesce a garantire una lettura fluida e ad evitare il rischio dell’eccessiva generalizzazione. Appare raggiunto l’intento di proporre una prospettiva, a volte radicale, di comprensione delle trasformazioni politiche, economiche e sociali che interessano l’attuale momento storico. Il punto di vista dell’autore infatti viene presentato in modo scorrevole e con lucida passione; anche quando non venisse condiviso, fornisce incisivi elementi per una comprensione critica del nostro tempo.

Indice

Capitolo primo. Tempo di progresso: Gramsci
Capitolo secondo. Il tempo messianico. L’ultimo Benjamin
Capitolo terzo. Tempo di sradicamento: Simone Weil
Capitolo quarto. Il tempo del consumo: Pasolini
PARTE SECONDA
Capitolo quinto. Tempo di “prima della rivoluzione”
Capitolo sesto. Tempo di controrivoluzione
Capitolo settimo. Tempo di barbarie
Capitolo ottavo. Tempo di resistenza

Nota dell’autore
Indice dei nomi


L'autore

Juan-Ramon Capella insegna all’Università di Barcellona, dove dirige l’Istituto di Filosofia del Diritto. Ha pubblicato diversi libri di filosofia politica, tra cui: Grandes esperanzas nel 1996, Los ciudadanos siervos nel 2005, Fruta prohibida e Elementos de anàlisis juridico nel 2006.

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