domenica 27 aprile 2008

Esposito, Roberto, Terza persona. Politica della vita e filosofia dell’impersonale.

Torino, Einaudi, 2007, pp. 184, € 17,00, ISBN 9788806187811.

Recensione di Gianmaria Merenda – 27/04/2008

Filosofia politica

L’autore, nell’introduzione al proprio lavoro concernente la categoria di persona, mette in chiaro un fatto indiscutibile, apparentemente incontestabile, sicuramente paradossale: “Se c’è un postulato indiscusso nel dibattito contemporaneo, esso riguarda il valore universalmente conferito alla categoria di persona” (p. 3). Iniziare un lavoro esplicitando che l’argomento di cui si vuole discutere è quasi off-limits non è male. Suona un po’ retorico, ma con il dipanarsi dell’opera viene in luce l’obiettivo di Esposito: sondare il campo, forse gettare l’esca, tanto per vedere che effetto può sortire in ambito accademico-filosofico. Difatti il testo sembra improntato sul versante ricognitivo più che su quello definitivo, ovvero per la definizione di una teoria risolutiva al problema. Questo però non toglie che si tratti di un’ottima base di partenza per ulteriori e successive ricerche, quasi doverose visto il “la” di Esposito. La particolare caratteristica si comprende anche dal fatto che non esiste una bibliografia finale, così come manca del tutto un indice dei nomi, utili strumenti per comprendere l’impianto di un’opera. Non crediamo che si sia trattato di una certa pigrizia compositiva ma che, anzi, sia l’indizio di un lavoro di ricerca ancora tutto in itinere e per questo non concluso con poderosi, ma spesso annichilenti, apparati paratestuali. Ne deriva un correre di qua e di la tra le pagine per cercare il nome citato, il testo e l’autore che si desidera trovare in ogni saggio, fosse solo per capire in una rapida lettura se il testo può essere compreso in un determinato filone di ricerca.

Un primissimo inquadramento del concetto di persona si ha a pagina sette: “Quella di persona appare l’unica categoria capace di unificare uomo e cittadino, anima e corpo, diritto e vita”. Constatazione repentina per essere messa in introduzione. Infatti poco sotto l’autore si chiede se in qualche modo possa bastare ciò per giustificare il massacro continuo, lo stillicidio silenzioso, che, nonostante la dichiarazione dei diritti dell’uomo, la persona per eccellenza, quotidianamente si attua nel mondo e nella storia ai danni dell’uomo stesso. “Se con questo termine si voleva alludere all’ingresso dell’intera vita umana nel cerchio protettivo del diritto, si è costretti ad ammettere che oggi nessun diritto è meno garantito di quello della vita” (p.7). Perentorio e lapidario. Esposito da queste parole raggelanti per la loro inerte verità inizia una breve storia delle motivazioni che hanno portato alla disfatta del diritto sul fronte della difesa della vita umana. Qui si presenta la tesi che caparbiamente si porterà avanti per l’intero sviluppo del testo, ovvero che proprio il concetto di persona ha introdotto una frattura insanabile tra diritto e vita. Proprio nel momento in cui i popoli del mondo hanno cercato di interrompere gli spargimenti di sangue stabilendo con la dichiarazione dei diritti dell’uomo un invalicabile limite, questa dichiarazione divenne la base edificante dei successivi massacri. Causa di tutto ciò pare essere l’introduzione di paradigmi biologici all’interno del lessico di filosofia e politica. Dal XIX secolo in poi le nozioni della “teoria organicistica del linguaggio” di Schleicher, gli sviluppi della fisiologia apportati dal fisiologo Bichat, tesi poi approfondite e tradotte in filosofia da Schopenhauer, e da Comte in ambito sociologico, porteranno alla moderna branca della filosofia politica che prende il nome di “biopolitica” (p. 9). Questo il cancro che una volta incistato nelle altre scienze si svilupperà fino alla fioritura della morte in serie della macchina di sterminio totalitaria. “Ciò è l’esito di uno spostamento paradigmatico che va anche al di là della semplice contaminazione lessicale tra discipline differenti. Quello che in esso si registra è una sorta di effetto retroattivo, o di rimbalzo prospettico, in base al quale l’influsso della biologia sulla politica viene caricato di significato politico aggressivo ed escludente” (p. 10). Il concetto di persona è dunque associato all’uomo in quanto essere animale con delle peculiari caratteristiche che lo distinguono dagli altri animali. Un quid in più che solo l’essere umano possiede rispetto agli altri animali: la capacità di astrazione. Il problema nasce però da quel resto di animalità che insiste in ogni essere umano. Su quel resto andranno ad infrangersi i sogni di giustizia di ogni diritto positivo. Le sfumature infinite che si possono dare all’ineludibile caratteristica dell’uomo, saranno di fatto la continua apertura del diritto verso una tanatologia incurante del diritto stesso, un’antroposociologia virata verso una zoologia comparata, per utilizzare le parole di Esposito. Il “dispositivo” persona opera una spaccatura nell’ambito del riconoscimento dell’esser umano: da una parte una categoria astratta di persona, gestibile in vari modi, verrebbe da dire spinoziani, dall’altra parte “un uomo come essere naturale cui può convenire o meno uno statuto personale” (p. 13). Da qui tutto il delirio razzista ed eugenetico.

A questo punto dell’introduzione Esposito mette in gioco un concetto pesante nel tentativo di svincolarsi dal pericoloso postulato di persona che ha appena illustrato: l’impersonale. La terza persona come unica via d’uscita alla dicotomia uomo/persona. “L’impersonale – si potrebbe dire – è quel confine mobile, quel margine critico, che separa la semantica della persona dal suo naturale effetto di separazione. Che blocca il suo esito reificante. Non è la sua negazione frontale […] ma la sua alterazione, o estroflessione, in un’esteriorità che ne revoca in causa e rovescia il significato prevalente” (p. 19).

Il lavoro di Esposito, in un certo senso, potrebbe considerarsi concluso in questa introduzione, per i motivi, di ricognizione, che si elencavano poco sopra. Invece con Deleuze e Kojève, con i loro apparati di differenziazione, dell’evento e del divenire animale, Esposito rilancia la definitiva sfida teoretica, foriera, c’è da sperarlo, di ulteriori sviluppi: “La figura estrema, quasi postuma, del ‘divenire animale’ – che sembra anticipare nel presente l’immagine preumana, o postumana, proiettata da Kojève alla fine della storia – apre il pensiero dell’impersonale a una prospettiva ancora ignota nel suo significato d’insieme. Ciò che in essa si profila, ormai fuori dalla sagoma fatale della persona, e dunque anche dalla cosa, non è solo la liberazione dell’interdetto fondamentale del nostro tempo. È anche il rimando a quella riunificazione tra forma e forza, modo e sostanza, bíos e zoé, sempre promessa, ma mai davvero sperimentata” (p. 24).

Il primo capitolo intitolato “La doppia vita (la macchina delle scienze umane)” è un largo scorcio della pesante eredità che le così dette scienze umane si portano appresso dopo aver incamerato al loro interno i paradigmi della fisiologia. Il pesante fardello che ha generato in successione le teorie razziste, le persecuzioni e l’eliminazione di una parte del genere umano, sta nel aver diviso e valorizzato la vita umana in due grandi contenitori pronti per essere sfruttati dalle grandi ideologie del XX secolo: l’uomo e la persona. L’essere umano come oggetto che sorregge la persona umana, ammette la possibilità tassonomica di dividere il genere umano in differenti categorie animali, non umane, e per questo non in grado di assicurarsi una personalità definita e difendibile.

Il secondo capitolo, “Persona, uomo, cosa”, è la disamina dell’applicazione in ambito politico delle categorie razziali esposte nel primo capitolo. Particolare rilevanza è data alla differenza della dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789 e quella del 1948. “Il lemma concettuale volto a riempire la frattura aperta, fin dalla Dichiarazione del 1789, tra le due polarità dell’uomo e del cittadino è quello di ‘persona’. Se si confronta a quel testo la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 la differenza salta all’occhio: il nuovo epicentro semantico, rispetto all’enfasi rivoluzionaria sulla cittadinanza, è costituito dalla rivendicazione incondizionata della dignità e del valore della persona umana” (p. 87). Qui il termine persona è da riferirsi, come efficacemente indicato dall’autore, alla possibile e ambivalente lettura nel senso laico e illuminista, da una parte, e teologico dall’altra. La fortuna del termine, se si può parlare di fortuna, sta tutta nella plurisecolare erranza che va dai testi sacri fino all’alveo della politica secolarizzata di Hobbes.

Il terzo capitolo, “Terza persona”, è quello più organizzato dal punto di vista compositivo. Sono sette i paragrafi che lo compongono. Sette passi che come in un cammino mistico ci portano in un intenso crescendo dalla Non-persona di Benveniste all’Evento deleuziano, per poi tacere su ciò di cui non si può ancora parlare. Quindi uno studio che dal pronome “io” ci porta verso l’indeterminato “egli”, passando da Kafka, per l’“indeterminato” di Blanchot, verso un fuori della persona che annuncia le teorie di Foucault sugli enunciati, (espressa ne L’archeologia del sapere , Milano, 1980), dove l’enunciato, il si dice, è una pura molteplicità, per approdare all’Evento di Deleuze. “Se la filosofia contemporanea si è mai esposta alla potenza dell’impersonale, questo incontro è certamente avvenuto nell’opera di Gilles Deleuze. […] Alla sua base non vi è, come negli autori precedenti, semplicemente la sostituzione di una persona all’altra, o anche una triangolazione che apra il dialogo a due alla presenza diagonale di un terzo, ma una rotazione dell’intero orizzonte filosofico in direzione di una teoria dell’evento preindividuale e impersonale” (p. 173). E ancora: “Ciò non vuol dire, per Deleuze, che il soggetto scompaia del tutto – che divenga un contenitore inerte o uno spettatore passivo dell’evento che si scarica su di lui. Al contrario, la formula più volte ripetuta, che invita ciascuno ad essere degno di ciò che gli accade, rimanda a una concezione più complessa, secondo la quale l’individuo da un lato si identifica con l’evento impersonale, ma dall’altro è in grado di tenergli testa arrivando a rivolgerlo contro se stsso – o, come Deleuze si esprime, a ‘controeffettuarlo’” (p. 174).

Esposito sembra tentare una fuga veloce dal quel fatale termine che è “persona”: “La persona vivente – non separata dalla, o impiantata nella, vita, ma coincidente con essa come sinolo inscindibile di forma e di forza, di esterno e d’interno, di bíos e zoé. A questo unicum, a questo essere singolare e plurale, rimanda la figura, ancora insondata, della terza persona – alla non-persona inscritta nella persona, alla persona aperta a ciò che non è mai ancora stata” (p. 184).

Indice

Introduzione

La doppia vita (la macchina delle scienze umane)
Persona, uomo, cosa
Terza persona


L'autore

Roberto Esposito insegna filosofia teoretica presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane di Napoli. Tra i suoi libri si segnalano: Communitas. Origine e destino della comunità (Einaudi, Torino, 2006); Immunitas. Protezione e negazione della vita (Einaudi, Torino, 2002); Bíos. Biopolitica e filosofia (Einaudi, Torino, 2004).

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