martedì 10 giugno 2008

Curi, Umberto, Meglio non essere nati. La condizione umana tra Eschilo e Nietzsche.

Torino, Bollati Boringhieri, 2008, pp. 292, € 18,00, ISBN 9788833918402.

Recensione di Francesca Rigotti  - 10/06/2008

Filosofia della religione, Antropologia, Storia della filosofia (antica)

Questo è un libro da tenere caro perché fa parte di una specie in via di estinzione: è infatti una monografia e non una raccolta di saggi spacciata per saggio monografico; ha le note (e che note! precise, puntuali - come diceva Dal Pra - accurate ed esaurienti); nasce dalla ricerca di una singola mente in continuo e visibile dialogo, condotto di persona e attraverso la lettura, con molte altre menti (e non il risultato di qualche improbabile «programma di ricerca filosofico» come quelli che ci si prospettano, del tipo «tu leggi Euripide», «tu Erodoto», «tu Giobbe e Kierkegaard» e poi discutiamo e mettiamo insieme i risultati).
Insomma è uno studio prezioso e di uno stile raro ormai, su tema di grande incidenza e coinvolgimento: dico questo, inserendo qui una nota personale, perché per anni e anni ho tenuto sotto gli occhi la massima «meglio non essere nati» scritta su un cartoncino, in greco, nella versione cantata dal coro nell'Edipo a Colono di Sofocle. L'avevo incollato sull'immagine di Primo Levi disegnata da Pericoli e uscita sull'«Indice» di circa vent'anni fa, andando a memoria. Era la copertina del numero sul quale era stata pubblicata la poesia di congedo dal mondo di Levi, quella che inizia dicendo:
Cari amici, qui dico amici
Nel senso vasto della parola:
Moglie, sorella, sodali, parenti,
Compagne e compagni di scuola,
Persone viste una volta sola
O praticate per tutta la vita:
Purché fra noi, per almeno un momento,
Sia stato teso un segmento,
Una corda ben definita...
e che continua, rivolgendosi a dei «voi» tra i quali era però compreso anche l'autore, voi che avete perduto
L'anima, l'animo, la voglia di vita.
Quella immagine, quei versi e quelle parole di Sofocle mi hanno accompagnata per anni quotidianamente perché erano appesi sul muro contro cui poggiava la scrivania del lavoro quotidiano che proprio a metà degli anni '80 si era arricchita per me di un nuovo strumento di lavoro, il computer.
«Meglio non essere nati», Sofocle e Primo Levi coi suoi amici, sodali e parenti e adesso il libro di Curi sulla condizione umana, che sembra indirizzato a me. Poi ovviamente io non c'entro nulla se non che sono anch'io un' «amica incontrata per via», con cui si fa la strada, ma non percorrendo la strada giàtracciata, passando dalla citazione di Primo Levi a quella di Curi/Machado, ma costruendo la strada nell'andare, construens eundo.
La tesi del libro, ben espressa nel suggestivo capitolo finale No hay camino, èche la vicenda iniziata con accenti tragici nel pensiero greco e che racconta che è«meglio non essere nati», non essere, essere niente o al piùmorire presto (seil responso che il Sileno dàal re Mida il quale gli aveva chiesto quale fosse la cosa migliore e piùdesiderabile per l'uomo),prosegue nel pensiero veterotestamentario con la figura di Abramo; la quale segue il pensiero concettuale del giudaismo su un percorso orizzontale e rettilineo fino all'incontro col punto di catastrofe, e si inoltra infine in una ascesa impervia e faticosa, trasformandosi nella figura di Cristo che di fronte alla disperazione del pensiero greco classico propone invece la speranza, per dirla ancora con le parole di Primo Levi, «che l'autunno sia lungo e mite». Eppure la fede e l'obbedienza sono cose pericolose perché possono giustificare cose terribili, dall'andar vicino a praticare il sacrificio umano da parte di Abramo alla legittimazione dell'olocausto da parte dei carnefici fedeli e obbedienti perinde ac cadaver al loro Führer.
Spesso il libro ritorna sulla dualità della sorte umana, tema già affrontato da Umberto Curi nel suo affascinante Endiadi. La vita dell'uomo è per definizione piena di dolori, dai quali in teoria si può imparare, anche se tutti sappiamo che è quasi impossibile. E' comunque nello statuto dell'umano «l'essere costantemente in bilico tra miseria e grandezza, fra prosperità e affanni, fra gioie e dolori, fra salute e malattia», l'essere «sempre e comunque esposti insieme all'una e all'altra cosa, il non poter mai essere soltanto uno» (p. 144). E' come, per concludere, se questo statuto si attagliasse all'Autore, per il quale pare che la condizione disperata, senza dio, la quale esalta le potenzialità demiurgiche dell'uomo, conviva in qualche modo endiadico con la condizione della speranza che apre all'impossibile felicità.

Indice

Introduzione
Meglio non essere nati
1. La sentenza di Sileno
2. Racconti di un altro mondo
3. Amor mortis. Il destino dell'uomo nel Prometeo incatenato
4. Un orizzonte senza speranza
5. Incontrare Dio
6. No hay camino


L'autore

Umberto Curi insegna Storia della filosofia presso l'Università di Padova. Tra i suoi ultimi saggi: «Pólemos». Filosofia come guerra e La forza dello sguardo (entrambi Bollati Boringhieri, 2000 e 2004); Endiadi. Figure della duplicità e La cognizione dell'amore. Eros e Filosofia (entrambi Feltrinelli, 1995 e 1997); Pensare la guerra. L'Europa e il destino della politica, Dedalo 1999; Filosofia del Don Giovanni. Alle origini del mito moderno, Bruno Mondadori 2002 e Il farmaco della democrazia. Alle radici della politica, Marinotti 2003. Al cinema sono dedicati Lo schermo del pensiero. Cinema e filosofia, Cortina 2000, Ombre delle idee. Filosofia del cinema da «American Beauty» a «Parla con lei» Pendragon 2002 e Un filosofo al cinema, Bompiani 2006.

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