venerdì 26 settembre 2008

Jacques Derrida, Incondizionalità o sovranità. L’università alle frontiere dell’Europa, a cura di Simone Ragazzoni.

Milano, Mimesis, 2008, pp. 45, € 10,00, ISBN 9788884836748

Recensione di Francesco Tampoia  - 26/09/08

Filosofia politica

Nella sterminata, difficilmente controllabile produzione derridiana alcuni biografi e storici, anche se altri evidenziano la continuità del percorso filosofico- teorico, parlano di terza e ultima fase orientata verso le tematiche religiose, sociali e politiche. In quest'ultimo caso, allo scopo di stendere un filo sia pure esile e tortuoso, una sorta di percorso tematico, ma anche cronologico, si consiglia di partire dal noto Politiche dell’amicizia, che porta nel titolo il termine politica, poi di sfogliare Oggi l’Europa. L’altro capo, Spettri di Marx e Moscou aller-retour, infine Quale domani e altri numerosi interventi minori e d’occasione, in cui Derrida, alla luce della sua speculazione filosofica, fugando ogni dubbio sul suo personale engagement politico, pone la questione del politico e del potere in modo più attuale e raffinato che in passato. Il testo da recensire è certamente uno scritto minore, riproduce la Conferenza pronunciata da Derrida il 3 giugno 1999 presso l’Università Pantion di Atene in occasione del conferimento della laurea honoris causa. La chiave di lettura dell’intera conferenza è offerta dallo stesso Derrida in esergo : “Possibilità di un im-possibile al di là della pulsione di morte, al di là della pulsione di potere, [...] al di là della sovranità, un al di là incondizionale. Non sovrano ma incondizionale” (J. Derrida, Etats d’ame de la psychanalyse).
Simone Regazzoni nell’Introduzione, un vero e proprio saggio, anche se non del tutto centrata sulla Conferenza, si perita in una documentata presentazione dello status quaestionis, fa riferimento a G. Agamben, a R. Esposito, a M. Foucault e scrive che “altra è la ricostruzione genealogica dell’dea di sovranità; altra l’idea stessa di sovranità nel suo legame alla vita e alla morte; altro infine è l’obiettivo della decotruzione che mira a tracciare le coordinate di uno spazio im-possibile al di là del principio e della pulsione di potere e, a partire da qui, [ Derrida] tenta di elaborare l’idea di una forza senza potere, il tutto nel contesto di una incondizionata fedeltà all’idea di democrazia a venire” (p. 10). La sovranità, correntemente intesa, è concepita come una macchina di morte per servire il vivente, mentre il concetto-spazio di sovranità che Derrida propone va a situarsi al punto di saldatura, ai margini di elementi differenti: l’ontologico, il teologico e il politico. A Derrida non interessa tanto riscoprire una fondazione democratica (Nancy) o di altro tipo per supportare la sovranità, preme, invece, dopo il richiamo alle radici greche, alla teogonia di Omero e Esiodo, alla teologia politica da Bodin e Hobbes, porre sotto esame il principio fantasma di onnipotenza, che abbiamo visto circolare nel corso della civiltà occidentale, un principio di potere non neutro, bensì maschile, virile, fallico. In Stati canaglia il principio di onnipotenza è chiamato ipseità, potenza dello stesso, e, situato in confronto e/o opposizione all’incondizionalità, evidenzia l’aporia incondizionalità-sovranità, aporia discussa anche in Università senza condizione, e qui esemplarmente riproposta nel luogo suo proprio, più idoneo alla decostruzione della sovranità e della istituzione che dà corpo all’incondizionalità senza sovranità. Ma in compagnia di Derrida ci chiediamo: è possibile una condizione di incondizionalità alla lettera, senza potere? La risposta di Derrida è positiva, purché detta condizione di possibilità dell’impossibilità, si traduca e sia non senza forza, o meglio sia una debole forza messianica, senza messianismo o alcuna connotazione religiosa. Leggendo l’apertura della Conferenza la memoria corre al testo Oggi l’Europa. L’altro capo per il richiamo all’oggi “Che cosa accade oggi, nel mondo, e più vicino a noi in Europa? Che cosa accade a questi limiti che si chiamano frontiere? A questi fronti virtuali che disegnano tutte le frontiere? Frons nomina ciò che fa fronte [fait face], nel punto più alto della testa e del capo (κεφαλή, caput), al di sopra dello sguardo, all’altezza capitale di ciò che è capitale, la capitale, il capitale stesso” (p. 29). Dal capo alla testa, alla fronte e al fronte e infine alla zona sopra gli occhi come zona di frontiera. L’Europa ha un confine fisico-geografico più o meno definito: se penisola dell’Asia è in continuità con essa a Est; il confine più a Sud-Sud-Est è invece sfilacciato, molto mobile e controverso. Derrida, siamo nel 1999, ricorda che vi è una guerra europea in Serbia, ma anche mondiale in un momento in cui “non riconosciamo nemmeno più i nostri vecchi concetti e il nostro vecchio immaginario del partito o del campo, del fronte e della frontiera, della guerra, propriamente, del diritto di guerra e del diritto delle genti, e nemmeno del crimine di guerra, nel momento in cui i nostri concetti di politico, di Stato e di nazione, di diritto internazionale sono continuamente sollecitati…” (pp. 30-31). Senza perdere di vista l’hic et nunc, quasi volendo più emotivamente coinvolgere l’uditorio, riafferma che l’Università non è soltanto una istituzione, un luogo fisico, è stata ed è uno spazio reale e nel contempo ideale in cui si svolge una missione per l’appunto universale. A partire dalle sue origini greche l’università europea e mondiale non è altro che l’archivio e la legge, l’ordinamento civile. Pensiamo per un momento alle leggi di Atene cui Platone nel Critone dà la parola. Nel dialogo platonico sono in gioco le leggi, il cittadino e lo straniero, l’ospitalità politica, la sua etica e la politica della frontiera. Le leggi si rivolgono a Socrate, vogliono farsi sentire, pur non avendo una forza di coazione, uno strumento materiale per imporsi, perché Socrate è un cittadino libero e può ubbidire alle leggi come può disubbidire.
Oggi non siamo ai tempi di Critone e Socrate, eppure come Europei abbiamo una unica coscienza politica e ne avvertiamo la responsabilità, sentiamo di essere coinvolti nelle vicende serbe alle frontiere della Grecia. Lo siamo perché si tratta di partecipare e lottare per i diritti universali dell’uomo. Come possiamo interpretare ed esercitare la nostra responsabilità universale di universitari greci ed europei? Facciamo parte degli stati-nazione d’Europa e del Nord America, ma cosa significa per noi la sovranità? Che valore ha per noi l’Europa fisica, delle frontiere e lo stato nazione? Lungo il corso della storia le frontiere sono state sempre labili, oggi “La quasi-guerra mondiale è anche la guerra sul World Wide Web, conteso tra i poteri di Stati-nazione o coalizioni di Stati-nazione egemonici, corporazioni di capitali sovranazionali (capaci, da due o tre lati, di tutte le manipolazioni possibili) e cittadini o non cittadini di tutti i paesi, resistenti, oppositori, dissidenti che possono così, grazie a questi stessi poteri tecnici delle e-mail e di Internet, liberarsi dai poteri dello Stato o del capitale, e liberare così una certa affermazione democratica, cosmopolitica, se non addirittura meta-cittadina” (p. 36). Più avanti riprendendo il filo del discorso Derrida chiarisce “La mia questione e la mia ipotesi concernono ancora il fronte e la frontiera, il divenire-fronte della frontiera, ma questa volta in modo più discreto, fragile, anche difficile, sulla linea di una frontiera tra due concetti che spesso si ha difficoltà a dissociare: l’incondizionalità [inconditionnalité] e la sovranità” (p. 37). Incondizionalità e sovranità sono rappresentazioni vicine a ciò che chiamiamo libertà; ma al tempo stesso eterogenee. L’idea di Università di cui parla Derrida presuppone il diritto alla verità senza condizione. E nell’Università non vi è limite, o non vi dovrebbe essere limite alcuno all’esame critico. Non vi sono condizionamenti di sorta all’attività del libero pensiero. Mentre nello status di guerra le parti in campo per af-frontarsi si ispirano al principio fantasma arcaico della sovranità, nell’Università lo scontro delle idee si svolge in un luogo di discussione e di affermazione senza limite, ove si può rispondere operando “con rigore l’analisi critica e genealogica, io preferirei dire la decostruzione in corso del sovranismo, dei fantasmi della teologia politica e dell’ideologia stato-nazionalista che, come sempre saldate insieme, comandano più o meno lucidamente” (p. 40). In questo stesso luogo di discussione libera si può portare avanti un vero discorso sui diritti dell’uomo. Certo si tratta di “ decostruire all’infinito ma anche denunciare i meccanismi, le astuzie, le menzogne tramite cui questo rispettabile discorso dei diritti dell’uomo si aggiusta, in modo ingiusto o selettivo, alle mire egemoniche delle superpotenze statuali-nazionali. Esse non rinunciano alla propria sovranità. Quando lo ritengono opportuno non rispettano nemmeno le organizzazioni del diritto internazionale che esse istituiscono e continuano a dominare” (p. 41). Decostruzione del principio di sovranità, quindi, non molto diversamente da come la pensarono gli illuministi, e critica del fondamento di origine religiosa e sacrale, anche quando la sovranità divina o monarchica viene trasferita al popolo in una repubblica o democrazia che si suppone libera e autodeterminata. Riecheggia, in queste note, il messaggio rousseauiano del Contratto sociale, che Derrida si affretta a citare, la celebre distinzione tra ‘volontà generale’ e ‘volontà di tutti’, la consapevolezza che la volontà sovrana del popolo si pone in competizione con la sovranità del monarca. Qui Derrida aggiunge che la contrapposizione tra le due sovranità può trovare nel popolo il suo portatore. Ma, per viverle e sostenerle, il popolo deve appropriarsi della incondizionalità senza sovranità, della condizione ‘senza potere, ma senza debolezza. Senza potere, ma non senza forza, foss’anche una certa forza della debolezza’.
Appoggiandosi apparentemente a una sorta di anarchismo, Derrida chiude con le seguenti parole: “Piuttosto che ritirarsi dietro le frontiere sicure di un campo, di un campus inoffensivo e protetto da autorità invisibili, questo pensiero dell’Università deve preparare, con tutte le sue forze, una nuova strategia e una nuova politica, un nuovo pensiero del politico. E della responsabilità politica” (p. 44).
In una fase di approfondimento post-decostruzionista, riappare il limite del pensiero politico derridiano, quello di non riuscire a nascondere i suoi caratteri elitistico-utopici, anche e/o perché smussati e diluiti, per scelta fatta, nella prospettiva dell’impossibilità, di una democrazia a-venire.

Indice

AL DI LA DELLA PULSIONE DI POTERE di Simone Ragazzoni 
Diritto di vita e di morte 
Il fantasma, il principio e la pulsione 
Incondizionalità o l’iperbole impossibile della sovranità 
La forza debole del messianismo 
INCONDIZIONALITA O SOVRANITA'
L’Università alle frontiere dell’Europa di Jacques Derrida


L'autore

Jacques Derrida (1930-2004), filosofo e critico letterario di origine ebraica, noto come il fondatore del decostruzionismo, è riconosciuto come uno dei maggiori filosofi del nostro tempo. Numerosa e molto varia la sua produzione saggistica. Tra le sue opere più note: L'écriture et la différence, De la grammatologie, La voix et le phénomène, La dissémination, Marges de la philosophie, Glas, La Vérité en peinture, La Carte postale: de Socrate à Freud et au-delà, De l'espirit: Heidegger et la question, Limited, Inc, Du droit à la philosophie, "Circonfession," in Jacques Derrida, Politiques de l'amitié: suivi de l'oreille de Heidegger, Apories: mourir--s’attendre aux "limites de la vérité", Adieu à Emmanuel Lévinas. Oggi l’Europa. L’altro capo, Spettri di Marx, Moscou aller-retour, Quale domani.

5 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Ritengo necessaria precisazione, date inesattezze biografiche riportate da recensore su Autore.

L'origine ebraica per Derrida era un ambiente procuratogli, con sua tristezza e rifiuto, dalle aberrazioni pseudoreligiose insistite, che destinavano fingendo fatalità e si dissociavano dai propri errori sulla religione confessandosi irreligiosi od agnostici od atei... E che giocavano con fraintendimenti e superstizioni per fingere il rapporto al Mistero una beffa e misconoscevano proprie premesse idolatriche e le ragioni dei propri successi dovuti ad idoleggiamenti le occultavano, dando dubbi col proprio fatale futuro incontro, attraverso gli idoli stessi e le relative ossessioni spiacevoli, col divino nella Natura... E tale incontro accadeva per essi fuori tempo, fuori mestiere, fuori da successi politici, questi consumati nelle polemiche contro "l'oppio dei popoli" ma basati sui misconoscimenti stessi... Per esempio quelli intorno alle vere origini del filosofo ed intellettuale politicamente impegnato e culturalmente autorevole J. Derrida. Derrida proveniva da ambienti arabi non alieni da contatti con ebraismo e capaci di usare cultura ebraica per diplomazia comunicativa ma non ebrei né ebraici.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Nel mio messaggio precedente trovasi soggetto non annunciato ma contenuto nella menzione delle aberrazioni, che pur sempre hanno effettuatori se non protagonisti, per forza di cose, dato che non si tratta di coincidenze ma di volontari o non involontari sviamenti da molti autopraticati su altrui religioni ed origini. Oltretutto il commento essendo tale, va letto in concomitanza con oggetto commentato. Ad ogni modo, fatta salva idea di correttezza grammaticale e sintattica (e paratattica) del mio precedente messaggio, lo riscriverò ed invierò senza alcun soggetto 'absconditus', soprattutto per evitare che gli svianti siano presentati da taluni per sorta di "Dei Absconditi".

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Ritengo necessaria precisazione, date inesattezze biografiche riportate da recensore su Autore.

L'origine ebraica per Derrida era un ambiente procuratogli, con sua tristezza e rifiuto, dalle aberrazioni pseudoreligiose insistite, cui alcuni, troppi destinavano fingendo fatalità, dissociandosi dai propri errori sulla religione e confessandosi irreligiosi od agnostici od atei... E giocando costoro con fraintendimenti e superstizioni per fingere il rapporto al Mistero una beffa misconoscevano proprie premesse idolatriche e occultavano le ragioni dei propri successi nei fatti dovuti ad idoleggiamenti, dando dubbi col proprio fatale futuro incontro, attraverso gli idoli stessi e le relative ossessioni spiacevoli, col divino nella Natura... E tale incontro accadeva per essi fuori tempo, fuori mestiere, fuori da successi politici, questi consumati nelle polemiche contro "l'oppio dei popoli" ma basati sui misconoscimenti stessi... Per esempio quelli intorno alle vere origini del filosofo ed intellettuale politicamente impegnato e culturalmente autorevole J. Derrida, che proveniva da ambienti arabi non alieni da contatti con ebraismo e capaci di usare cultura ebraica per diplomazia comunicativa ma non ebrei né ebraici.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

I pensieri che Derrida faceva quale cittadino francese non sono interscambiabili, per altre realtà nazionali restando analogia da fare ma senza attribuirne a Derrida. Ovvio questo e per niente originale!

Il recensore descrive limiti di intellettualità di Autore connotandone negatività estranea ad autore ma questo non lo specifica.

Derrida in ultima istanza non agì mai per il socialismo reale e difese il valore pratico delle utopie quali segni politici ed era consapevole dei fondamenti ulteriori della forma democratica, non solo nei riferimenti particolari francesi, però solo questi ultimi si mostravano concretamente nel suo pensiero francese. Dunque si riferiva a storia francese di popoli e re, notando impossibilità per partecipazione politica popolare a sbarazzarsi di ascendenze monarchiche ma forza di prescinderne in attività politica collettiva. Non invertiva tali affermazioni ma ne lasciava invertibilità per i monegaschi, che in Francia il monarca ancora avevano ed hanno.
In Italia noi abbiamo anche lo Stato di San Marino, da poco Comune politico ed ancora oggi Principato, dunque si capisce bene che si può usare analogia a patto di farne adeguata ma di tanta adeguatezza nella recensione non se ne trova neanche registro, ci si ritrova certa indistinzione, retaggio critico marxista ora in tempi di opportunità fatali ex-totalitarie non più adatto neppure a bonifiche interne a comunismo stesso, neanche buono per esser decostruito, solo adattabile per essere usato quale simulacro di cattivo potere terminato, cui porre attenzione perché eventuale causa di attardamenti od errori possibili e reali. Certo non significherebbe analogizzare con menzione occulta oramai dal valore solo passato di "Stato della Città del Vaticano", perché non era una storia comune di idee comuni di Stato quella istituita dai filosofi catto-comunisti e cattolici col Vaticano ma un rapporto con semisconosciuta o sconosciuta entità politica alfine propositrice di ideale e non accettabile concretamente statalità; eppure non significando è stato proprio tale vano analogizzare costante, ostinato, per la vera filosofia più o meno mortifero, anche contro l'opera filosofica di Derrida, anche coinvolgendo altri nei movimenti sociali cattolici o socialmente catto-comunisti che creavano realtà parallela ed interlocutrice fino ad impedire di essere ri-posti ai margini medesimi della politica, dove essi stessi quali movimenti si erano pre-posti! Dico dunque non di 'Deus ex Machina', semmai di 'Deus absconditus' ma pure di 'res conditas' certo non 'Publica', ovvero di insinuazioni (non mie, non sto facendo insinuazioni), anche e purtroppo in attività filosofiche esenti da soggezioni, quali quelle di Derrida, e di insinuanti reali non solo coinvolti con scopo di evitare confronto reale... Infatti non è reale la analogia imperfetta che oblia sfondi nazionali dei riferimenti intellettuali celandosi essa dietro antiassolutismi od assolutismi, intolleranze od accettazioni pedisseque, queste peraltro antifilosofiche o strumenti di rifiuto culturale occulto.

Certo va considerata, nella stima o disistima di una recensione, quali siano stati gli artefatti estranei a recensire stesso, infatti dette strategie di evitamento culturale ed intellettuale cercano, ancor adesso, innocenti da coinvolgere e non è giusto non difendersi da tali sfruttamenti.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Derrida si riferì alla guerra del Kosovo, indicando incerto fronte Settentrione-Sud del Pianeta, una quasi-guerra mondiale e contrasti bellici comunicativi globali tramite messaggi Web.
La guerra del Kosovo, quella con èsito in anno 1999, ebbe in realtà per sconfitti Milosevich ed i suoi complici assieme agli albanesi imperialisti. Le forze sostenute dalla Alleanza Atlantica distrussero il regime etnofobico in Serbia sottraendo false giustificazioni e coperture alle prepotenze antietniche degli stessi imperialisti. I serbi preferirono lasciar fare estranei perché constatavano errori in Serbia di origine estranea.
Con la fine dei soprusi etnici i poteri etnici si rafforzano ed anche i lasciti si manifestano forti.
Così il lascito greco-elleno, dalla antica Accademia platonica, nelle contemporanee vicende di sradicamento-smarrimento etnici, si mostrava con chiarezza, definendo realtà di studi universitari francesi non incerta, dalla radice ellena, col retaggio non elleno ma non non-greco cioè non esso stesso greco. Non c'era da rifiutarlo per antimetafisica ma da accoglierne liberandosi delle sovrastrutture e per distinzioni non inclusive non esclusive. Tra il pensiero accademico francese e l'orgoglio etnico serbo, per gli statunitensi improbabile fino a rendere impossibili programmazioni belliche americane a lungo termine per l'Europa, eppure vivo in mezzo alle guerre postcomuniste, cosa c'era di mezzo? Per i serbi il retaggio bizantino, ancora presente e vivo, che avvicinava il ricordo degli antichi greci o lo allontanava, secondo intuizioni e cose diverse. Milosevich applicando sistemi stalinisti fuori da stalinismo era meno violento degli stessi stalinisti e per questo i serbi lo lasciarono sopravvivere e lo fecero imprigionare... Ma citati questi fatti nella recensione senza consapevolezze di valori storici e politici, con nozioni derivate da stesso mondo sotto scacco dello stalinismo, entro Schema marxista anche oltre tempo massimo, non se ne potrebbe quindi valutare e neanche usare per autentico pietismo né falso, religioso o solo spirituale che fosse. Eppure i riferimenti a quella attualità erano fondamentali per capire e lo restano per intendere stessa pubblicazione recensita!
Oltretutto la vicenda geopolitica è continuata, recentissimamente, con un principio di diplomazia politica tra Serbia e Kosovo; e quella culturale politica civile con Accademie universitarie francesi ancora esistenti nonostante invasioni subculturali di messaggi, atti, fondazioni dubbie aggiunte, compromissioni politiche finanche in istituzioni statali in Francia stessa! Non è accaduto questo resistere con la fine delle democrazie né con autoritarismi sociali, questi essendo obiettivo e pur troppo occulto di tanto revanscismo marxista e di vasto postmarxismo; e la resistenza dimostra la non negatività della prassi filosofica politica del Decostruzionismo, oltre gli intenti sopraffattori e sfruttatori che volevano totale decostruzione culturale ed economica, volontà per odi etnofobici, per bassezze antireligiose, per assenze di disposizioni interiori ad autentiche convivenze umane, per idolatrie sociali compromesse con suicidi sociologici causati dalla disperazione ma del deliberato, insavio, mancato autoriconoscimento di non appartenenze.

MAURO PASTORE