lunedì 20 ottobre 2008

Scruton, Roger, Gli animali hanno diritti?, trad. it. di Daniela Damiani.

Milano, Raffaello Cortina, 2008, pp. XII+164, € 16,50, ISBN 9788860301703.
[Ed. or.: Animal rights and wrongs, Demos, 1996]

Recensione di Michele Paolini Paoletti – 20/10/2008

Filosofia morale

Il dibattito sui diritti degli animali costituisce probabilmente una delle tematiche più originali della filosofia contemporanea. La filosofia morale degli ultimi decenni, in effetti, ha riflettuto su tale questione non solo per affermare, sulla scia di autori come Hans Jonas, una più diffusa responsabilità umana nei confronti del mondo extraumano. Essa si è occupata del rapporto uomo – animale anche e soprattutto per definire meglio lo status metafisico, etico e giuridico della persona umana, individuando le eventuali affinità (oltre che le evidenti divergenze) col regno degli animali superiori. Il motivo di un simile interesse filosofico sembra pressoché scontato: dinnanzi alle sfide della tecnica contemporanea, che può incidere profondamente su ciò che costituisce la persona in quanto persona, occorre stabilire alcuni punti fermi nel trattamento morale e giuridico degli esseri umani. Oppure, al contrario, occorre giustificare la liceità degli interventi sull’uomo. In tal senso, alcuni filosofi hanno sostenuto che non esiste una differenza netta tra l’uomo e l’animale, e dunque: se paiono legittime alcune operazioni sul secondo, in effetti, le stesse operazioni possono essere considerate legittime anche sul primo. La tendenza ad estendere alcuni diritti tipicamente umani agli animali superiori, tuttavia, è ben più presente ed incisiva. Questo genere di inclusivismo morale, comunque, può spingere persino a ritenere che certi animali, in particolari condizioni, godano di maggiori diritti degli uomini che si trovano in situazioni eticamente border-line. Per Peter Singer, ad esempio, lo scimpanzè adulto dovrebbe essere maggiormente tutelato rispetto all’embrione umano nell’utero materno. La dinamica che anima simili riflessioni sembra essere la seguente: bisogna stabilire una certa caratteristica (es. la capacità di provare dolore) per individuare la persona e i suoi diritti; questa caratteristica non si presenta in certi esseri umani, mentre si presenta, sia pure con modalità differenti, in certi animali; questi animali, dunque, dovrebbero beneficiare di diritti simili a quelli umani.

Roger Scruton pare dedicare questo pamphlet proprio alla confutazione di questa tesi. Il titolo inglese del volume (Animal rights and wrongs) sembra già suggerire il pericolo insito nell’animalismo e nella difesa ad oltranza dei diritti degli animali. La tesi principale di Scruton è la seguente: gli animali non hanno diritti, poiché gli animali non sono persone e poiché solo le persone, in quanto esseri morali, hanno diritti. Nondimeno, “ciò non significa che gli esseri umani non abbiano doveri nei loro confronti, doveri che nascono e vengono assunti nel momento in cui rendiamo gli animali dipendenti da noi per la loro sopravvivenza e il loro benessere” (p. 97). L’autore, dunque, si impegna a dimostrare che vi è un vero e proprio salto di qualità tra l’essere umano e l’animale, che può essere osservato in base ad alcuni elementi che connotano l’uomo e che sono invece assenti persino negli animali più sviluppati. In seconda battuta, Scruton tenta di analizzare le basi del giudizio morale, per applicare poi le conclusioni teoriche raggiunte ai numerosi casi in discussione.

Nei primi capitoli dell’opera, il filosofo si occupa dello statuto metafisico degli animali. Non tutti gli animali sono dotati delle stesse facoltà. Occorre indicare, allora, alcuni livelli di “dotazione” mentale che possono darsi o meno nelle differenti specie. Il livello sensorio è presente in tutti gli animali, mentre quello percettivo, che comporta già una valutazione soggettiva, non è prerogativa di tutti. Ogni animale detiene appetiti e bisogni, ma soltanto gli animali superiori hanno delle credenze e sono capaci di apprendere proprio tramite l’acquisizione o la perdita di queste ultime, riconoscendo gli oggetti e le situazioni, nonché nutrendo certe aspettative nei loro confronti. Le specie più evolute sono contraddistinte dall’intenzionalità, poiché non reagiscono semplicemente agli stimoli, ma alle idee degli stimoli. Esse, dunque, riescono a suscitare la nostra simpatia. La simpatia umana verso gli animali, in ogni caso, non deve confondersi assolutamente con un’emozione sentimentalistica giacché, mentre il vero amore è interessato all’oggetto, l’amore sentimentalistico “non va oltre il Sé e dà priorità ai suoi stessi piaceri e dolori, oppure inventa per se stesso un’immagine gratificante dei piaceri e dei dolori del suo oggetto” (p. 100). L’animalismo sentimentalista, così, ignora alcune semplici constatazioni. In primo luogo, la categoria odierna di “naturale”, contrapposta a quella di “culturale” o “artificiale”, è sempre e comunque un prodotto dell’uomo, sicché anche la natura cui guardiamo per consolarci dai problemi della tecnica “ci rimanda un sorriso dai tratti umani poiché ci siamo assicurati che non possa offrirne uno differente” (p. 117). In secondo luogo, e proprio in virtù di quanto appena notato, l’uomo è diventato custode dell’ordine naturale: anche gli animali che più sembrano vivere in funzione dell’uomo, dunque, conducono spesso, sotto la nostra protezione, una vita migliore di quella che condurrebbero allo stato selvaggio. In terzo luogo, non tutte le specie cui assegneremmo certi diritti (almeno fondandoci sulle nostre emozioni) dovrebbero goderne, in quanto dannose per l’equilibrio tra uomo e ambiente, mentre altre specie, emotivamente ripugnanti, sono utilissime per l’uomo e per l’ecosistema in cui vive. In quarto luogo, dopo aver stabilito i diritti degli animali, dovremmo precisare anche i loro doveri, cui essi, di certo, non sarebbero in grado di ottemperare.

La ragione principale del mancato riconoscimento dei diritti degli animali, però, risiede nel fatto che gli esseri umani sono esseri razionali in senso stretto, poiché possono giustificare le loro credenze e le loro azioni e possono dialogare in modo sensato con gli altri. Gli uomini, così, possono scegliere di fare ciò che non vogliono fare, gettano in modo considerevole il loro sguardo sul passato e sul futuro, sviluppano ed utilizzano il linguaggio, provano passioni più elevate (o più basse, si dovrebbe aggiungere), sono dotati di senso dell’umorismo, di senso morale, di senso estetico e di immaginazione delle circostanze possibili ed impossibili. Essi, da ultimo, “sono consapevoli di sé e dei loro stati mentali, distinguono sé dall’altro e si identificano nella prima persona singolare” (p. 16). In qualità di esseri morali, gli uomini sono disposti al confronto con gli altri ed al compromesso nel contesto di una comunità morale, elaborano la legge morale e possono vivere all’insegna della virtù, sono capaci di pietas e di simpatia ad alti livelli. La simpatia umana, in particolare, è ben più raffinata di quella animale, poiché può accompagnarsi al pensiero di ciò che l’altro sta provando.

Le radici del giudizio morale, allora, sembrano essere quattro: la legge morale, la simpatia, le virtù e la pietas. Scruton, in questo ambito, rigetta ogni genere di utilitarismo morale, volto ad identificare il bene con la massimizzazione del piacere e la minimizzazione del dolore. L’utilitarista, a suo avviso, negherebbe a se stesso ed agli altri qualsiasi responsabilità (ed imputabilità) morale, considererebbe la giustizia e l’ingiustizia come fattori relativi ad un calcolo dei piaceri e, soprattutto, ignorerebbe la vera natura della felicità umana, che è la felicità propria di un essere razionale. L’unico calcolo di utilità ammissibile, per l’autore, è quel calcolo che permette di allargare il novero degli oggetti della propria simpatia, nel tentativo di considerare non solo il bene di un singolo uomo (l’uomo a noi più caro o vicino), ma il bene di gruppi sempre più estesi e, normativamente, quello dell’intera umanità.

Gli animali, ad ogni modo, non essendo capaci di un simile giudizio, non sono membri della comunità morale, non hanno doveri né responsabilità e sono privi di diritti. Gli uomini, però, proprio in virtù della loro moralità, hanno il dovere di trattare moralmente gli animali. A seconda della condizione dell’animale in rapporto all’uomo (l’animale da compagnia, quello da allevamento e l’animale selvatico), il filosofo delinea, dunque, alcune ipotesi di risposta alle questioni più rilevanti del dibattito corrente. Il libro è anche corredato da tre appendici (sull’allevamento, sulla caccia e sulla pesca) che mirano ad abbozzare una sorta di prassi, in linea con gli intenti programmatici di questo esercizio di pensiero lucido, attento e di particolare utilità per affrontare problematiche storicamente nuove, ma ormai consuete nella filosofia del nostro tempo.

Indice

Introduzione
1. Metafisica
2. L’essere morale
3. Vita, morte, gioia e sofferenza
4. Il margine morale
5. Le radici del pensiero morale
6. La base razionale del giudizio morale
7. Lo status morale degli animali
8. Il dovere e la bestia: conclusioni morali
9. La moralità e la legge
Appendice 1. Riflessioni sull’allevamento
Appendice 2. Riflessioni sulla caccia
Appendice 3. Riflessioni sulla pesca
Glossario di termini filosofici
Note
Indice analitico


L'autore

Roger Scruton (1944), filosofo e polemista inglese, è stato professore di Estetica al Birkbeck College dell’Università di Londra. Sono stati tradotti in italiano: Guida filosofica per tipi intelligenti (Cortina, 1998), L’Occidente e gli altri. La globalizzazione e la minaccia terroristica (Vita e Pensiero, 2004), Manifesto dei conservatori (Cortina, 2007), Sulla caccia. Riflessioni filosofiche per un’apologia dell’ars venandi (Olimpia, 2007).

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