mercoledì 22 ottobre 2008

Greco, Lorenzo, L’io morale. David Hume e l’etica contemporanea,

Liguori Editore, Napoli, 2008, pp. 302,€. 25,00, ISBN 978-88-207-4141-9.

Recensione di: Sarin Marchetti – 22/10/2008

Etica, filosofia della mente, storia della filosofia moderna

Il volume di Lorenzo Greco rappresenta un elaborato e convincente tentativo di riabilitazione dell’etica sentimentalista humeana che in Italia non ha avuto mai vita facile. Come scrive Eugenio Lecaldano (maestro dell’autore e primo sostenitore di questo progetto) nella post-fazione, questa linea teorica di ricerca è stata variamente preferita nel nostro paese ora al razionalismo kantiano, ora ad una qualche forma di giusnaturalismo, che pretendono tutt’oggi di dettare l’agenda morale e politica nel dibattito e nella discussione pubblica. È in questo clima culturale che si deve leggere, e quantomeno apprezzare, l’intento di mostrare come vi possa essere un’alternativa virtuosa e proficua a tali tradizioni dominanti, e come essa riesca a render conto in modo più soddisfacente delle nostre esigenze e scrupoli morali quotidiani, costituendo, nello stesso tempo, un paradigma di ricerca valido per far fronte ai continui problemi morali che la modernità ci presenta. Questo obiettivo è portato avanti dall’autore tramite un’analisi dettagliata ed originale della riflessione morale di David Hume, eroe settecentesco di una concezione laica, secolarizzata e sentimentalisticamente orientata dell’etica. Investigando ed elaborando a fondo alcune delle idee più importanti del filosofo scozzese, Greco sostiene con forza che proprio dal recupero di tali idee la discussione etica contemporanea trarrebbe vantaggio.
Il libro si divide in una prima parte in cui l’autore porta alla luce ed esamina criticamente la teoria dell’io morale humeana, e in una seconda in cui tale modello è messo al confronto con gli altri disponibili, su tutti utilitarismo e kantismo, mostrando le sue migliori credenziali teoriche in grado di legittimarlo come il modello di riflessione etica disponibile più proficuo, e dunque quello da adottare nella risoluzione delle controversie morali.
Greco introduce i temi del libro con un’asserzione per nulla scontata: “[l]a nozione di io morale non può essere aggirata quando si fa etica” (p. 1, corsivo nostro). In questa affermazione di sapore programmatico è racchiuso il leitmotiv della ricerca dell’autore: il ruolo centrale che il soggetto morale occupa nella riflessione etica, ed in particolare la sua non-negoziabilità, poiché come afferma Greco sin dalle prime battute non è possibile parlare o riflettere circa il contenuto dell’etica indipendentemente dalla nozione di io morale. L’etica riguarda intimamente l’io morale, e quei progetti che pensano di poter elaborare un pensiero morale non mettendo al centro l’io bensì astratti principi, regole o diritti sembrano essere sfocati rispetto al centro di interesse principale della riflessione morale; tuttavia, sostiene l’autore, anche quei progetti che hanno effettivamente messo al centro l’analisi dell’io ne hanno però fornito un’immagine insoddisfacente, schiacciata ora sull’esaltazione della sua componente razionale, ora su quella egoistica. La sfida di Hume consiste invece nel mostrare come sia nella dimensione sentimentale che bisogna guardare per guadagnare gli elementi adatti necessari alla riflessione morale. Sembrerebbe tuttavia quantomeno azzardato, continua l’autore, tornare proprio a Hume per trovare risposte soddisfacenti al problema della centralità dell’io, quando la vulgata comune (italiana, ovviamente) vuole proprio nel filosofo scozzese il più acerrimo nemico di tale nozione, sfociando la sua trattazione negli esiti scettici dell’appendice al primo libro del Treatise (1739-40). È tuttavia questa una cattiva lettura di Hume, che si ferma in modo miope al primo libro del Treatise, falsando e travisando in tal modo completamente il pensiero del suo autore. Greco ci suggerisce di leggere invece le riflessioni scettiche del primo libro all’interno dell’intera opera di Hume, e soprattutto degli ultimi due libri del Treatise, in modo da re-interpretare le affermazioni contenute nel primo libro. Letti alla luce dell’intera riflessione humeana sulle passioni e sulla moralità, gli esiti scettici circa l’intelletto umano del primo libro acquisteranno una nuova fisionomia e significato, non essendo più in contraddizione con le considerazioni positive svolte dal filosofo scozzese circa l’io morale e passionale; in particolare, risulterà chiaro che ciò che Hume rifiuta non è una caratterizzazione positiva tout court dell’io, bensì una sua fondazione teoretica nei termini di identità personale tra io diacronici connessi nel tempo. Con le inequivocabili parole dell’autore “l’ipotesi che si vuole sostenere è che […] il problema dell’io morale non corrisponde a un problema di identità personale. Se si vuole capire che cosa intenda Hume con ‘io’ in ambio etico, bisogna lasciare da parte il problema dell’identità personale e concentrarsi invece altrove” (p. 13). Quest’altrove è, naturalmente, la complessa psicologia filosofica che Hume tesse nel secondo libro del Treatise ed impiega nel terzo quando tratta la moralità.
Rifiutare che il campo semantico in cui definire i confini della nozione di io è quello dettato dalla riflessione circa l’identità personale è una mossa originale, dato che questo è stato, almeno da Locke in poi, il terreno su cui i vari autori si sono scontrati nella definizione di cosa costituiva la nostra soggettività – ancora W.O. Quine scriveva “no entity without identity”. Greco presenta Hume come il primo critico di questo progetto, riportando le sue conclusioni scettiche circa l’individuazione di un io diacronico stabile come l’indice che questa strategia di riconoscimento e fondazione teoretica dell’io attraverso l’analisi della sua identità personale non sia la giusta strada da percorrere per guadagnare una buona immagine dell’io; in particolare Hume rifiuterebbe questa strada per motivi interni alla sua concezione dell’intelletto umano, in particolare della natura dell’accesso introspettivo che abbiamo alla nostra mente che ci mostra solo fasci di percezioni disomogenei che si susseguono come in una rappresentazione teatrale, confondendosi e legandosi tramite l’intervento dell’immaginazione, e dunque dandoci una sensazione erronea della persistenza di un io stabile, di un’anima o di una sostanza individuale. Greco sostiene che Hume distingue a questo proposito il problema teorico dell’identità personale, che è au fond un problema di conoscenza, dal problema dell’io, che è un problema pratico che ricade all’interno della sfera dell’etica. La tesi interpretativa forte consiste nel sostenere che se non distinguiamo nettamente questi due ambiti non possiamo comprendere la pars construens del discorso di Hume, in cui il filosofo scozzese presenta la sua concezione ricca e sostantiva dell’io morale.
L’immaginazione gioca in Hume un ruolo centrale, soprattutto quando questa ci fa ‘sentire’ alcune connessioni tra stati mentali o ci permette di rappresentarci come soggetti continui nel tempo. La natura associazionistica della mente ci può facilmente confondere e sviare da come sono le cose realmente, e solo cambiando prospettiva riusciremo a guadagnare un’immagine soddisfacente della soggettività. Greco si interroga sul tipo di associazionismo che Hume vuole difendere, ed in particolare come esso possa affrontare i problemi dell’unità della coscienza e della consapevolezza di sé (pp. 26-60): per comprendere cos’è il sé non dobbiamo andare a vedere i costituenti della mente, bensì le loro molteplici attività – tuttavia, questo progetto non va inteso come una sorta di ‘protokantismo’ (p. 48). Greco, rifiutando varie interpretazioni del metodo newtoniano humeano, avanza una proposta alternativa, ossia quella di leggere le affermazioni di Hume circa la nostra consapevolezza non problematica di un io semplice avanzate nel terzo libro come una proposta di superamento del paradigma conoscitivo per dar spazio a quello pratico-morale, dato che è proprio quest’ultima prospettiva quella più importante per il filosofo scozzese. Nella seconda parte Greco mette in relazione queste riflessioni con la teoria passionale dell’io morale descritta da Hume nel secondo libro del Treatise, in cui la discussione dell’orgoglio e dell’umiltà porteranno alla luce la vera natura dell’io humeano. L’io, afferma Hume, è infatti l’oggetto di tali passioni, ma non solo; esso è anche un oggetto semplice in sé, poiché altrimenti si tornerebbe al problema del primo libro in cui l’io era dissolto in una miriade di percezioni sconnesse. L’autore spiega questo cambiamento tramite uno slittamento da una prospettiva in terza persona ad una in prima persona: se è vero che lo scienziato della natura umana newtoniano studierà le passioni nei termini di sensazioni piacevoli o dolorose che sono in relazione al nostro io, dal punto di vista fenomenologico del soggetto stesso tali passioni sono immediate e non divisibili dal nostro stesso io. Passione e orgoglio hanno l’io come oggetto nel senso che “io e orgoglio e umiltà si presentano simultaneamente […] non c’è nessun io che precede o che segue orgoglio e umiltà, ma arriviamo ad avere consapevolezza dell’io nel momento stesso in cui proviamo queste passioni” (p. 72): questi elementi e nozioni non sono l’uno l’effetto degli altri o viceversa, ma hanno una genesi simultanea. Da questo cambiamento di focus segue in effetti un cambiamento di soggetto, nel senso che qui Hume non sta più trattando il soggetto intellettuale (la mente), bensì il soggetto passionale (l’individuo); Greco sottolinea questo stacco radicale sostenendo (con Lecaldano ed altri) che se non si comprende questo salto concettuale non si riesce a comprendere il cuore stesso della proposta humeana. Tramite una ricca ricostruzione del complesso apparato teorico dei libri secondo e terzo del Treatise l’autore mostra convincentemente la portata di questo salto, specificandone il significato tramite un fitto confronto con la letteratura secondaria.
Per l’autore la caratteristica saliente di questo io passionale è il suo essere già moralmente connotato: la discontinuità forte tra Hume e la tradizione cartesiana consiste in un ri-orientamento di prospettiva che Greco formalizza con l’espressione “da ‘io penso’ a ‘noi facciamo’” – riprendendo la terminologia di Nicholas Capaldi. Protagonista di questa prospettiva “non è più un astratto soggetto pensante, ma un agente, un essere attivo e non solo intellettuale, il cui scopo primario è di tipo pratico” (p. 93). La simpatia è la nozione cardine dell’intero sistema morale humeano, poiché questa connette l’idea (lockeana) della responsabilità verso il proprio io alla ineliminabile dimensione di socialità in cui tale io si staglia. Come spiega chiaramente l’autore, il principio di simpatia è funzionale per rispondere alle critiche di quanti hanno letto Hume come un autore che risolveva la morale in un discorso solipsistico chiuso tra le incomunicabili barriere dell’io; Hume, invece, “presenta la simpatia come il principio che permette di spiegare come sia possibile la comunicazione emotiva” (p. 109), e nello stesso tempo chiarifica a noi stessi la natura delle passioni che proviamo e che attribuiamo anche alle altre persone: “è la stessa sfera passionale a venire specificata attraverso lo scambio simpatetico” (p. 119). Se la simpatia è dunque il ponte che connette l’io agli altri, il carattere rappresenta propriamente il locus dell’io morale: Greco mostra nella parte terza del suo libro la complessità di questa nozione, per poi farla reagire con altri paradigmi di soggettività e di riflessione morale, per mostrarne la fecondità. La nozione di carattere è presentata come lo snodo dal “momento passionale a quello propriamente morale” (p. 126), poiché questo è insieme l’espressione della nostra vena passionale e il bersaglio delle nostre valutazioni morali: il carattere è per Hume “un insieme strutturato e duraturo di passioni che rivelano le intenzioni degli agenti […] a partire dal quale siamo in grado di prevedere le loro azioni” (p. 127). È proprio a partire dall’educazione, la cura e lo sviluppo di un certo carattere che derivano quelle particolari passioni che sono i sentimenti morali, ossia i materiali primi dell’etica. L’approvazione e il biasimo morali sono sempre diretti ad un certo carattere, e l’autore sostiene, con Hume, che questi sentimenti sono nello stesso tempo fondativi della soggettività: non vi sarebbe io senza carattere, ossia senza un oggetto stabile proprio di approvazione o biasimo.
L’io moralizzato di Hume rappresenta secondo l’autore una ipotesi più convincente di quella proposta dalle etiche utilitaristiche e kantiane, poiché il tipo di soggettività elaborata da quest’ultime (o, per essere più precisi, la particolare antropologia filosofica che emerge dalle loro differenti teorie morali) è ora troppo esigente ed impegnativa, ora altamente idealizzata. Nella parte quarta del volume, di carattere più teorico, l’autore tratteggia i contorni di un’etica delle virtù neo-humeana che ruota intorno alla nozione di soggetto morale sostenuta dal filosofo scozzese; questa proposta, la cui validità è vagliata in contrapposizione ad alcune opzioni teoriche contemporanee alternative, elabora ed attualizza la riflessione morale humeana mostrandone la freschezza e la validità. Nello specifico, Greco sostiene che la nozione di io morale, al centro dell’etica di Hume, è in grado di soddisfare alcune delle nostre più care intuizioni circa la soggettività e la moralità, quali il valore della separatezza delle persone , la loro limitatezza e, nonostante questo, la loro capacità di impegnarsi in stabili e proficue relazioni morali. Citando le parole con cui l’autore chiude il volume “ciò che si ricava dalla lettura di Hume è la valorizzazione degli individui così come sono: creature che possono racchiudere in sé grandi qualità, ma anche grandi difetti […] Contano le persone: la constatazione della loro imperfezione è per Hume parte integrante dell’etica, non qualcosa che va eliminato […] Alla fine, la teoria che si ricaverà sarà forse meno coerente e magari meno armonica nella sua mancanza di geometria, ma di sicuro sarà veramente, e senza false illusioni, umana” (p. 247).
Nel volume di Greco c’è molto di più di quanto il breve spazio di una recensione possa contenere, e nonostante il materiale presentato sia tanto, questo è sempre ben supportato da una gran mole di letteratura secondaria con cui l’autore si confronta direttamente, senza però appesantire il filo del discorso, sempre chiaro e mai confuso. Le molte e corpose note, di carattere più specialistico ed interno al dibattito, possono infatti essere lette in un secondo momento come approfondimento del discorso avanzato dall’autore. Inoltre, la proposta avanzata dall’autore, sia nella sua componente più storico-interpretativa, sia in quella teorica ed originale sembra solida e ben argomentata, oltre che interessante. Questo volume rappresenta dunque sia una buonissima introduzione al pensiero di Hume e all’etica contemporanea, sia uno stimolo per specialisti e addetti ai lavori, che avranno molto materiale su cui lavorare, per implementare, o anche mettere in discussione, tale progetto.

Indice

Premessa
Parte Prima – L’io e l’identità
Parte Seconda – L’io e le Passioni
Parte Terza – L’io e l’etica
Parte Quarta – Il paradigma humeano e le sue alternative
Postfazione – L’etica sentimentalistica e i limiti della concezione razionalistica del soggetto morale di Eugenio Lecaldano
Bibliografia
Indice degli argomenti
Indice dei nomi


L'autore

Lorenzo Greco è dottore di ricerca in filosofia. Ha studiato a Pisa, Roma ed Oxford. Svolge la sua attività presso l’Università ‘Sapienza’ di Roma. Ha pubblicato su varie riviste nazionali ed internazionali, tra cui ‘Rivista di filosofia’ e ‘Utilitas’, e in volumi collettanei.

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