Recensione di: Dario Di Dato – 07/05/2009
paradosso, incompletezza, indimostrabilità.
Nel suo libro Francesco Berto elabora un discorso che chiarisce il pensiero e il contributo dato alla matematica da Kurt Gödel, uno dei logici più importanti del Novecento che, negli anni trenta del secolo scorso, elaborò undici teoremi matematici dei quali il sesto e lundicesimo rappresentano i più importanti e i più ricchi di ricadute non solo sulla matematica ma, come mostra l'autore stesso, anche su molti altri campi del sapere. A tal punto ciò è vero che alcune proposizioni gödeliane sono state definite un terremoto nel pensiero matematico del tempo, e inoltre i risultati delle ricerche di Gödel sono stati affiancati al principio di indeterminazione di Heisenberg e alla teoria della relatività di Einstein, come a costituire la terza spallata ai fondamenti delle cosiddettescienze esatte. In questo modo i risultati di incompletezza di Gödel sono stati assunti come un'icona della cultura postmoderna e relativista, una dimostrazione della fine delle verità oggettive, spesso attraverso passaggi indebiti dall'ambito matematico a quello extramatematico, come l'autore sostiene nella seconda parte del testo.
L'autore non manca di tranquillizzare il lettore, dichiarando in anticipo che non sono necessarie conoscenze matematiche particolari, salvo le nozioni elementari della teoria insiemistica. Anzi, proprio su questo punto, si gioca la scommessa di Berto: accompagnare il lettore alla comprensione della complessa dimostrazione del teorema di Gödel, attraverso un linguaggio chiaro e una semplificazione dei ragionamenti, mettendo da parte i formalismi, senza perciò banalizzare il discorso. Ecco perchè il titolo Tutti pazzi per Gödel: Berto vorrebbe che il lettore provasse l'euforia che egli stesso ha provato nel seguire il ragionamento del grande matematico austriaco.
Muovendosi lungo un doppio binario, Berto procede lungo due direttrici: la prima porta alla ricostruzione della prova di Gödel, dopo una breve descrizione di quello che è stato il contesto storico in cui il matematico ha elaborato le sue teorie. Lo stesso autore descrive questa prima parte del libro come una sinfonia gödeliana".
La seconda parte esamina invece quelle teorie che nel campo della filosofia, della metafisica, della teoria della mente e persino della sociologia e della politica si ispirano al teorema di Gödel. Pur tenendo fermo il punto che è scorretto usare il pensiero di un genio per fargli dire cose che a noi piace si dicano, cosa che può essere in qualche caso avvenuta con il teorema di Gödel, Berto sottolinea come a volte certi fraintendimenti siano altrettanto interessanti quanto le corrette interpretazioni.
La prima parte del libro, ovvero la ricostruzione della dimostrazione del teorema, prende avvio dalla definizione di alcune nozioni importanti. La prima di queste è quella di paradosso, che Berto definisce come un argomento che partendo da principi plausibili, conduce, attraverso deduzioni ragionevoli, a conclusioni insensate o contraddittorie. Nel testo è importante la distinzione tra paradossi semantici e paradossi insiemistici. I primi riguardano la semantica del linguaggio, ovvero il rapporto tra i segni linguistici e i loro significati. I secondi invece si riferiscono alla teoria degli insiemi, teoria importante per la matematica, perché su di essa logici come Frege e Russel hanno costruito la conoscenza matematica, dandole basi definitive e inattaccabili.
Prendendo in considerazione il tema dei paradossi, Berto pone attenzione sui "mentitori", cioè quei paradossi che vertono sulle dichiarazioni di verità e falsità. Il vero e proprio paradosso del mentitore si pone nel caso in cui un enunciato affermi la propria falsità. Qui l'autoreferenzialità dell'enunciato fa sorgere il paradosso. Poniamo l'esempio: "Questo enunciato è falso". In questo caso se l'enunciato è vero, conferma di essere falso; se invece è falso, in fondo conferma ciò che dice di essere, dunque è vero ma falso allo stesso tempo. In questo caso accade dunque che non è possibile stabilire se l'enunciato sia vero, perché finisce per essere contemporaneamente vero e falso, violando il principio di non-contraddizione.
L'esistenza di paradossi di questo tipo ha portato alcuni logici a cercare di elaborare sistemi matematici formali in grado di superare queste contraddizioni. Gli esempi più famosi in tal senso sono quelli di Frege e di Russel. Entrambi, per il loro tentativo di fondare la matematica esclusivamente in riferimento alla logica, sono stati definiti logicisti.
La "sinfonia gödeliana" eseguita da Berto prosegue con la descrizione delle proprietà fondamentali della teoria insiemistica e continua quindi con la nozione di algoritmo, una procedura di tipo meccanico, per la cui esecuzione si esclude qualsiasi forma di creatività o anche di libera scelta.
Assunto ciò, possiamo aggiungere che un insieme si dice decidibile se esiste un algoritmo che permetta di decidere se, dato un elemento x, esso appartiene o meno a quell'insieme.
Sarebbe ragionevole pensare che per ogni proprietà esista anche un insieme corrispondente, come afferma il principio di astrazione. Proprio questa ragionevole convinzione ha scosso le basi della matematica del e900. Sappiamo infatti che esistono insiemi che non appartengono a se stessi, cioè non contengono se stessi come elementi. Per esempio l'insieme dei francesi non è un francese. Esistono invece insiemi che appartengono a se stessi, e sono detti normali. In base al principio di astrazione si produce un paradosso che, individuato da Russel, portò Frege in crisi. Esiste cioè un insieme y a cui appartiene ogni x, se e solo se x non appartiene a se stesso, conducendo così a un'evidente contraddizione.
Con queste descrizioni iniziali di paradossi, Berto ci fa capire come partendo dalla nozione di autoreferenzialità e dalla ricerca dei propri fondamenti, la matematica abbia imboccato quella strada che ha messo in crisi i suoi fondamenti, crisi alla quale Gödel ha cercato di mettere riparo con il suo teorema.
A questo punto, per entrare più a fondo nell'analisi del teorema di Gödel, è indispensabile incontrare il discorso di un altro importante matematico del e900: David Hilbert. In un congresso di matematici tenutosi a Parigi, Hilbert ha posto una serie di problemi rimasti aperti, tra i quali uno riguardante la dimostrazione della coerenza dell'aritmetica. Secondo questo matematico, non esisteva a quell'epoca una dimostrazione dei fondamenti dell'aritmetica. Ha preso così sviluppo l'ipotesi formalista, ovvero l'idea di tradurre tutti i principi aritmetici e logici in regole formali. Un linguaggio formale è tale quando perde ogni riferimento a elementi quali verità, significiato e contenuto; ciò che conta è esclusivamente la sintassi, ovvero il rapporto tra i segni che costituiscono il linguaggio formalizzato, mentre la semantica, ovvero il significato dei segni, viene scartato. Un linguaggio formalizzato può essere così definito come un sistema di segni, che possono essere: simboli, formule, regole d'inferenza, assiomi, dimostrazioni e teoremi. Sciolto in questo modo ogni legame tra linguaggio e significato, i segni del linguaggio operano dentro un sistema che è meccanico; cioè attraverso una logica puramente combinatoria si eseguono i passaggi stabiliti dalle regole d'inferenza, fino a giungere ai teoremi. I legami esistenti tra le parti del linguaggio sono poi così trasparenti da poter essere rappresentati da simboli e stringhe.
Tramite il suo formalismo Hilbert credeva di aver teorizzato la costruzione di un linguaggio trasparente e in grado di dimostrare i propri fondamenti, tramite la "metamatematica", ovvero quel discorso che verte sul sistema formale, cioè sulla sua sintassi. Secondo Hilbert la metamatematica rappresenta una nuova branca della matematica che cerca di dimostrare ciò che quest'ultima non è in grado di dimostrare, venendo perciò definita anche come "teoria della dimostrazione" che rende possibile dimostrare la coerenza della matematica, facendo ricorso a un discorso coerente e finitario: coerente, nel senso che se dimostra una formula, non dimostra anche il suo contrario (cioè rispetta il principio di non-contraddizione); finitario nel senso che i ragionamenti fanno ricorso a oggetti potenzialmente infiniti (come per esempio la sequenza dei numeri naturali) e non infiniti in atto (cioè tutti i numeri naturali considerati come un tutto completo).
Hilbert riteneva dunque di aver risolto il problema dei fondamenti della matematica ricorrendo alla metamatematica, applicata con metodi coerenti e finitari. Su quest'ultimo punto in particolare le tesi di Hilbert sembravano effettivamente aver colto il segno.
È a questo punto che interviene Gödel, il quale sostiene che in un linguaggio formale esiste sempre un enunciato autoreferenziale che afferma di essere indimostrabile, ovvero di cui non si può dire né che è vero, né che è falso. Il sistema formalizzato perde così una delle sue caratteristiche più importanti, cioè la completezza, perché al suo interno esiste un enunciato che non è dimostrabile, laddove un linguaggio è completo se è in grado di dimostrare la verità o la falsità di tutti i suoi enunciati.
Da quest'intuizione Gödel ricava il suo Primo Teorema di Incompletezza che Berto riassume così: "Se S è un sistema formale corretto, in grado di esprimere una certa porzione di aritmetica, allora esiste un enunciato Gs formulato nel linguaggio L del sistema, tale che Gs è indicidibile in S, ossia né dimostrabile né refutabile" (p. 59).
Dal Primo teorema si ricava poi il Secondo: "Se S è un sistema formale corretto, in grado di esprimere una certa porzione di matematica, allora S non può provare la propria coerenza" (p. 60).
Questo secondo teorema manda in frantumi il progetto di Hilbert di una matematica formalizzata ed è intuitivamente esprimibile in questi termini: un sistema formale che vuole dimostrare la propria coerenza in modo autoreferenziale, finisce inevitabilmente per provare l'antecedente al condizionale, cioè assume procedimenti interni al sistema la cui coerenza viene premessa alla sua dimostrazione, che invece può essere assunta solo al termine del procedimento dimostrativo.
Dopo aver definito gli aspetti principali del teorema di Gödel, Berto espone nella seconda parte del suo libro una serie di letture che di quel teorema sono state fatte in ambito extramatematico. Anche se, scrive Berto, spesso i filosofi sono poco apprezzati dagli specialisti, perché pretendono di trarre conclusioni da argomenti di cui non possiedono le conoscenze più approfondite, nonostante ciò la simpatia dell'autore è proprio per i filosofi, le cui intepretazioni, anche se spesso e volentieri non corrette, risultano essere tuttavia interessanti quanto le analisi più approfondite. Berto si sofferma in sostanza sulle ricadute culturali del teorema di Gödel, in primo luogo i richiami che si rifanno al matematico da parte del pensiero debole o postmoderno, la forma del moderno scetticismo, che ci dice che non esistono più saperi forti, che la domanda che verte sulla verità non ha più senso, perché essa non è qualcosa che è e che può essere conosciuta, quanto qualcosa che si fa storicamente, attraverso l'azione interpretante dell'essere umano. Dal teorema di Gödel, secondo i postmoderni, può trarsi la conferma che nemmeno in matematica esistono verità definitive e incontrovertibili; addirittura alcuni si sarebbero spinti a individuare nel teorema di incompletezza la prova dell'insufficienza ontologica di tutti i sistemi politici totalitari, in quanto sistemi chiusi che si basano solo su elementi interni al sistema. Non sono mancati nemmeno paragoni tra la Bibbia, il Corano e il Capitale da un lato, e i sistemi formali dall'altro, anch'essi messi in discussione dal teorema di incompletezza.
Il tema in cui maggiormente risalta il rapporto tra Gödel e la filosofia è l'intepretazione platonista del teorema. Secondo i platonisti il matematico non inventa i numeri ma li scopre; essi sarebbero entità immateriali e incorporee che il matematico coglie attraverso l'intuizione intellettuale, come accade per le idee platoniche. Gödel era un platonista, anche se formatosi in quel circolo di Vienna, all'interno del quale dominava l'idea che la matematica fosse sostanzialmente una sintassi, con la quale i matematici non descrivono una realtà indipendente ma la inventano. Secondo Gödel invece le cose non stanno in questo modo e la messa in crisi del formalismo di Hilbert serviva proprio a dimostrare come la matematica non fosse un'invenzione dei matematici. Il teorema di incompletezza dimostra infatti che esiste sempre un enunciato non dimostrabile all'interno di un sistema, ciò significa che la matematica descrive sempre in modo incompleto le proprie verità e che qualsiasi sistema formale non è in grado di superare questo limite.
Il discorso dell'autore sul rapporto tra teorema di Gödel e cultura contemporanea prosegue poi soffermandosi sul tema dell'intelligenza artificiale, anch'essa concepibile come un sistema autoreferenziale e quindi incompleto.
La rassegna sulle ricadute del teorema di incompletezza in ambito extramatematico si conclude con un esame dell'interpretazione che Wittgenstein ha dato di quel teorema. Il filosofo e il matematico sono divisi da una diversa concezione della matematica: Gödel è un platonista, mentre per Wittgenstein la matematica non descrive un mondo esistente in sé ma crea ciò che descrive. Perciò il filosofo austriaco nega la possibilità della metamatematica, ovvero di un discorso "sulla" matematica che dia fondamento ai suoi assunti, quindi lo stesso teorema di Gödel non sarebbe in fondo dimostrabile, perdendo così tutta la sua forza persuasiva.
Indice
Prologo
Ringraziamenti
PARTE PRIMA
La sinfonia gödeliana
Fondamenti e paradossi
Hilbert
La gödelizzazione, ovvero ditelo con i numeri!
Un po' di aritmetica ricorsiva...
...E come l'Aritmetica Tipografica riesce a rappresentarla
"Io non sono dimostrabile"
L'indimostrabilità della coerenza e le "conseguenze immediate" di G1 e G2
PARTE SECONDA
Il mondo dopo Gödel
"Buttarla in politica": le interpretazioni postmoderne
Gödel e Platone
Atti di fede
Mente contro computer: Gödel e l'Intelligenza artificiale
Gödel contro Wittgenstein e l'interpretazione paraconsistente
Epilogo
Bibliografia
Indice dei nomi
Francesco Berto è Chaire d'Excellence Fellow CNRS alla Sorbona di Parigi, insegna Ontologia all'École Normale Supérieure e Logica all'Università di Venezia. Ha un dottorato e un post-dottorato all'Università di Padova, una scholarship alla University of Notre Dame (Usa). Tra le sue pubblicazioni: La dialettica della struttura originaria, Che cos'è la dialettica hegeliana, Teorie dell'assurdo, Logica da zero a Gödel.
Links
http://it.wikipedia.org/wiki/Teoremi_di_incompletezza_di_G%C3%B6del
http://it.wikipedia.org/wiki/Kurt_G%C3%B6del
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