Recensione di Michele Paolini Paoletti – 10/09/2009
Storia della filosofia (medievale), Bioetica
Il libro di Fabrizio Amerini sull’embriologia di Tommaso d’Aquino si colloca all’interno di un dibattito molto complesso ed appassionato sulla definizione e sui limiti estremi (nascita e morte) della vita umana. In primo luogo, infatti, Amerini si propone di chiarire la dottrina di Tommaso, che è il punto di riferimento primario del Catechismo della Chiesa Cattolica e che, tuttavia, sembra presentare tesi non del tutto aderenti alle odierne posizioni cattoliche (almeno al livello dei fondamenti metafisici, come si noterà). In secondo luogo, le discussioni inerenti all’origine ed al termine della vita dell’uomo paiono spesso fin troppo viziate da esigenze politico-mediatiche di corto respiro ed animate da una opposizione netta e pretesa tra sostenitori della “sacralità della vita” e sostenitori della “qualità della vita”. Un’opposizione che, come è ben noto, lascia ben poco spazio alla ricerca di sfumature e possibilità di compromesso e che sembra richiedere, piuttosto, una decisione arbitraria ed irrazionale sui valori di riferimento.
Amerini, dal canto suo, distanzia il proprio punto di osservazione e si concentra prevalentemente sul lessico e sulle strutture argomentative di Tommaso. Il libro, del resto, vuole essere più uno studio di storia della filosofia medievale che un trattato di bioetica o uno dei molti e polemici pamphlets sul tema che abbondano nelle librerie. L’autore coglie con rigore e lucidità le numerose problematiche dell’embriologia già presenti al tempo di Tommaso. In sintesi, il Dottore Angelico tenterebbe di conciliare due differenti prospettive. La prima prospettiva è connotata dalla discontinuità del processo generativo, per la quale “l’embrione non può essere considerato in alcun modo un essere umano almeno finché non si siano formati gli organi vitali fondamentali, formazione che mediamente avviene intorno al mese e mezzo di gestazione” (p. 30): l’anima razionale, infatti, subentra nell’embrione soltanto quando l’embrione è materialmente adatto a riceverla come propria forma sostanziale. La seconda prospettiva, invece, è sostanzialmente “continuista”: nonostante la “umanizzazione tardiva”, “l’embrione non deve essere considerato come qualcosa di differente, quanto al soggetto, dall’uomo cui darà poi origine e questo perché l’embrione acquisisce una propria identità metafisica fin dal momento del concepimento” (pp. 30-31).
Posto lo strettissimo legame che si instaura, secondo la tradizione aristotelica, tra la materia e la forma sostanziale di un ente, e posto che il proprium dell’essere umano risiede nell’anima razionale, non si potrà ammettere che l’embrione possegga già dal concepimento (cioè prima della formazione degli organi utili a svolgere le funzioni intellettive) un’anima razionale. In questo senso, difatti, “né il seme né l’embrione appena concepito possono avere l’anima perché non dispongono di un’organizzazione materiale adeguata per poter supportare eventuali atti intellettivi” (p. 93). L’embrione, piuttosto, è caratterizzato da una “virtù formativa”, da “una qualche forma di animazione”, quella vegetativa, che “è responsabile delle operazioni vitali che l’embrione manifesta” (pp. 103, 127).
Non volendo addentrarci nelle profondità speculative di questa soluzione, vogliamo piuttosto rilevare l’ampiezza della discussione sulla nozione di identità e la distinzione che viene operata in Tommaso tra l’uso di una capacità ed il suo possesso. L’identità che si stabilirebbe tra l’embrione e l’uomo dotato di anima razionale sarebbe, per Tommaso, una sorta di “identità dinamica”: “l’unità tra un embrione e un uomo più che fissa e data una volta per tutte, in definitiva viene ad essere variabile e graduale; via via che il processo si realizza, il grado di unità diventa sempre meno generico e sempre più specifico, così come, quando la forma sostanziale viene meno, le stesse funzioni mantengono un grado di unità via via più generico” (p. 147). Dal punto di vista bioetico, questa ipotesi si tradurrebbe in una tutela graduale della vita umana, che dovrebbe sempre considerare la gravità dell’intervento sull’embrione (o sull’uomo morente), il suo contesto e le sue finalità, nonché il suo effettivo statuto ontologico.
Il principio della “identità dinamica”, nondimeno, pare esser bilanciato e contemperato dalla fondamentale distinzione tra possesso ed uso delle capacità intellettive. Il possesso di una capacità, per Tommaso, è l’atto primo e, come tale, il presupposto dell’uso, che è l’atto secondo. In linea di principio, bisognerebbe considerare umano, pertanto, anche un essere vivente che possieda le capacità intellettive e non possa utilizzarle. Resta da chiarire, tuttavia, cosa si intenda per “capacità intellettive” (se esse, cioè, si identifichino materialmente con gli organi intellettivi o si costituiscano, piuttosto, come la semplice possibilità che tali organi si formino). Bisogna constatare, inoltre, la persistenza di una questione: “come si può essere certi che qualcuno possieda la capacità di ragionare se non la esercita? L’uso di una capacità implica il suo possesso, ma come si può determinare il suo possesso a prescindere dall’uso?” (p. 223).
Per quanto concerne le implicazioni bioetiche odierne di un quadro dottrinario siffatto, infine, Amerini chiarisce che per Tommaso l’aborto resta un grave peccato mortale, benché non sia equiparabile all’omicidio volontario. In effetti, sia gli anti-abortisti che gli abortisti potrebbero citare Tommaso tra i propri autori di riferimento: i primi, ritenendo che l’embrione non è un uomo perché è un uomo in potenza; i secondi, notando che l’embrione è un uomo proprio per la stessa ragione. Tommaso, tuttavia, pensa che l’aborto sia un peccato mortale “perché incide su un processo naturale che avrebbe condotto di per sé a una vita umana” (p. 215). Rinviamo direttamente al libro, comunque, per l’esame delle altre possibilità di riflessione (fecondazione assistita, sperimentazioni, etc.).
Il problema che vorremmo sollevare (sia pur brevemente) alla conclusione di questa presentazione verte sulla possibilità di conciliare le posizioni tommasiane con le moderne scoperte biologiche. Si deve certamente riconoscere che gli studi sul processo umano di fecondazione e la scoperta del codice genetico hanno radicalmente mutato la biologia. I tomisti riterranno che la dottrina di Tommaso possa essere ancora oggi applicata ai problemi della bioetica (magari con qualche correzione), mentre gli anti-tomisti considereranno tale dottrina falsa o, al limite, antiquata. La situazione è, come al solito, ben più complessa di quanto si creda. Amerini tenta di sganciare le posizioni di Tommaso dal piano dell’analisi scientifica, ritenendo che gli argomenti filosofici del Dottore Angelico non siano né verificati né contestati dai biologi, per il semplice fatto che si pongono ad un livello differente da quello delle scienze empiriche e perché l’anima umana non può esser comunque descritta in termini materialistici (come struttura genetica, ad esempio). Resta da capire, tuttavia, se, posta l’esistenza di un codice genetico unico ed individuato di ogni embrione, sia ancora possibile pensare che l’anima intellettiva trovi una materia “disposta” ad accoglierla soltanto dopo alcune settimane di gravidanza. In altri termini, si potrebbe sostenere che “l’introduzione dell’anima razionale richiede la presenza di un’organizzazione materiale sufficiente allo sviluppo di organi in grado di supportare le funzioni dell’anima razionale” (p. 249). Questa “organizzazione materiale sufficiente” sarebbe fornita già dal codice genetico, nel quale i geni che presiedono alla formazione del sistema nervoso sono già distinti da quelli che presiedono alla formazione di altri sistemi. Secondo Amerini, questa interpretazione sarebbe poco fedele a quanto sostenuto da Tommaso nei propri testi e non terrebbe conto del fatto che Tommaso si basa su una concezione aristotelica della generazione. La genetica contemporanea, inoltre, fa notare che “fino al secondo giorno circa i codici genetici parentali non si fondono, per cui fino a quel momento non si può parlare propriamente di qualcosa che è individuale e quindi in potenza un uomo” (pp. 262-263n). Circa la prima serie di problemi, si potrebbe comunque rispondere che è proprio nel tentativo di ridiscutere le posizioni tommasiane alla luce delle recenti scoperte scientifiche che occorre “decentrare” Tommaso dal proprio contesto: il punto della questione, infatti, consiste nel paragonare i principi metafisici tommasiani con una nozione di codice genetico e con uno studio del processo di generazione che Tommaso non poteva conoscere. Per quanto riguarda il secondo problema, invece, bisognerebbe chiedersi se quella cellula in cui coesistono due codici genetici distinti sia biologicamente ed ontologicamente equivalente alle cellule seminali dei genitori. Il suo codice genetico, infatti, non ancora individuato, ma composto dalla somma dei codici genitoriali, sarebbe comunque numericamente distinto dai singoli codici genetici componenti, poiché la cellula seminale del padre non ha il codice genetico della cellula seminale della madre, e viceversa.
Indice
Premessa
Introduzione
Principi generali dell’embriologia di Tommaso d’Aquino
La natura dell’anima umana
Lo statuto dell’embrione
Alcuni problemi
L’identità dell’embrione
Implicazioni bioetiche
Origine e fine della vita umana
Il dibattito sull’umanizzazione dell’embrione
Conclusione
L'autore
Fabrizio Amerini (Prato, 1971), è attualmente ricercatore e docente di Storia della Filosofia Medievale presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università di Parma. Si occupa di logica, metafisica e filosofia della mente nel periodo classico medievale (1250-1350). Editore e contributore dei volumi Dal convento alla città. Filosofia e teologia in Francesco da Prato O.P. (Firenze, 2008) e La logica di Francesco da Prato (Firenze, 2005); autore di Mental Representation and Semantics. Two Essays in Medieval Philosophy (in corso di stampa).
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