Recensione di Roberta Cavicchioli - 07/01/2010
Estetica
Protagonista di un dibattito che percorre trasversalmente discipline, quali la teoria dell’arte, la sociologia dei processi culturali e, naturalmente, la filosofia estetica, scuotendone i fondamenti epistemologici, Gottfried Boehm si interroga sulle implicazioni di un utilizzo sempre più “illusionistico” delle immagini che caratterizza la tarda modernità.
Quella che l’autore ha segnalato per la traduzione italiana è una silloge di saggi dall’elevata densità concettuale, in cui si problematizza il primato dell’immagine, tentando di promuovere nel pubblico un atteggiamento di consapevolezza rispetto al peculiare potere di seduzione del medium iconico. In tal senso, il termine di “svolta iconica” non definisce il ritorno entusiastico e naïf alle immagini, di cui molti si sono fatti profeti, quanto piuttosto la riaffermazione dell’autonomia semantica e del valore euristico dell’immagine. L'equivoco si scioglie già nel primo saggio, ove si precisa che la svolta iconica prepara l’avvento di una cultura visuale attraverso le immagini, affinando lo sguardo e fornendogli argomenti per superare l’ambivalenza insita in un’estetizzazione del mondo che, da un lato, sposta indefinitamente i confine dell’arte, dall’altro, aggredisce ed erode la realtà.
Impliciti il riferimento e la reazione al logocentrismo del paradigma rorthiano, già fecondo idolo polemico per gli studi fioriti a partire dagli anni Novanta in ambito anglosassone, che ricevettero un importante impulso dai Cultural Studies - e che furono, a loro volta, l’apripista per la nascita dei Visual Culure Studies. Maturata nel contesto di tali esperienze, L’Iconic Turn si propone di integrare immagine e parola in un medesimo modello interpretativo, in ragione dell'inscindibilità di visione interiore e descrizione, abilità antropologiche che rendono possibile la comprensione della realtà circostante e costituiscono il sostrato della socialità umana. È ciò di cui si tratta diffusamente nel quarto contributo presente nel testo, Al di là del linguaggio? Osservazioni sulla logica del linguaggio, auspicando il radicamento di una sensibilità visuale non superficiale o di maniera. Proliferano le sollecitazioni visive, ma si avverte drammaticamente l’assenza di un sapere adeguato a decifrarle: tale sapere, un tempo appannaggio di artisti e creativi, deve socializzarsi e costituire la premessa per una considerazione consapevole delle implicazioni della dittatura iconica.
A differenza di un eccellente compagno di strada, Mitchell, che con la sua Pictorial Turn intendeva contrastare l’egemonia del linguaggio, condannando provocatoriamente “l'imperialismo della testualità”, Boehm ricorre alla tradizione ermeneutica per ricomporre lo strappo fra eikon e logos, principi che si compenetrano nella capacità tipicamente umana di immaginare, rappresentare e rappresentarsi la realtà. L’uomo è presente a se stesso e può definirsi tale solo tramite e in rapporto alle immagini. “All’inizio era l’immagine e il processo si ripete nella biografia di ogni bambino”: queste le parole con cui l'autore ha esordito in un’intervista rilasciata alcuni anni or sono alla Televisione Svizzera per presentare il Progetto Eikonen.
L'immagine è costitutiva della dialettica di identità e alterità, di familiarità ed estraneità: in altre parola, è la modalità non mediata con cui ci si appropria del mondo. Situazione dialogica per eccellenza, quella innescata dal processo percettivo permette allo spettatore di essere compresente all’immagine, di penetrarla e di esserne pervaso. Che siano temute o ammirate per il loro carisma, le immagini mettono in scena un significato, cui rimandano incessantemente e cui sono fatalmente vincolate. Tale ambivalenza innesca un circolo virtuoso: l’osservazione conferisce presenza alle immagini, l’immagine conferisce presenza a un oggetto, lo sottrae alla collezione di oggetti indistinti che popolano il reale e consente di immortalarne alcune caratteristiche, isolandole da un tutto - ciò spiega il nesso di presenza-rappresentazione-presentazione. Costante il riferimento a Merleau-Ponty, cui si guarda per riaffermare il dato concreto della percezione, che trasforma un segno, una traccia schematica in immagine: la presenza corporea fa apparire possibile, ancorché derivata, l’osservazione del mondo dall’esterno, perché colloca nuovamente l’osservatore nel continuum degli oggetti e dei soggetti, nella sua duplice appartenenza ai due ordini, il cui punto di sutura è la concretezza del corpo.
E La questione delle immagini, posta con insufficiente decisione, viene esplorata a partire da un punto di vista situato che non rinnega la vis metaforica della sperimentazione, caratteristica dell’arte moderna, sperimentazione che ha indotto a indagare più a fondo cosa siano le immagini, in cosa consistano, come funzionino e cosa comunichino, ma deplora la simulazione destrutturante della serialità. Si intende contrastare la convinzione che le immagini operino come specchi rigidi, che non comportino alcun accrescimento di essere o di conoscenza: la tarda modernità non ha intaccato né il potere evocativo, né il valore euristico della dimensione iconica - l’immagine non può che definirsi per il suo carattere allusivo, per la sua insopprimibile ambiguità.
Di qui la tensione fra il “medium e l’immagine”: se è vero che le immagini possono operare come media, in virtù della loro capacità ostensiva e auto-ostensiva, la loro fascinazione non gioca sulla ripetizione ininterrotta, ma su di un complesso sistema di rinvii e di sostituzioni. Al contrario, i nuovi media, le tecniche che rendono possibile tale ripetizione, traggono la loro forza da una sostituzione infinita, in cui l’immagine perde la sua struttura semantica - la fotografia digitale è immagine di immagine - ed è sostanzialmente arido e autoreferenziale. Ma è un rapporto in evoluzione, perché i progressi strabilianti della tecnologia riproduttiva promettono di dischiudere nuovi modi di vedere la realtà, restituendo l’immagine al mondo della vita.
Formulata chiaramente nel settimo saggio, Concetti e immagini: sui limiti della domanda socratica, la conclusione cui perviene Boehm è che il discorso figurativo sia parte del processo di comprensione culturale, individui una delle tante modalità del domandare. Muto, perché ancorato al versante concreto della realtà, il logos dell’immagine trova la sua espressione nella descrizione, fondamento della conoscenza scientifica. La facoltà immaginativa di cui parlava Kant si fonda sul precario rapporto della vista con la favella, sulla sfida quotidiana con cui superiamo la parziale intraducibilità dell’immagine “figurandoci” qualcosa.
Non pochi i problemi sollevati da un’impostazione né superficiale, né ingenua, che tende però ad accomunare la produzione artistica e gli artefatti mediologici. Acute le osservazioni del postfatore Tonino Griffero che contesta a Boehm di aver assunto acriticamente il primato delle immagini e di averlo interpretato alla luce di un’indeterminatezza, che moltiplica, sì, le potenzialità dell’iconico, ma sta all'origine della sua ambiguità e rappresenta il suo maggiore deficit. Alla luce di un limite tanto vistoso, Griffero paventa il pericolo che la svolta iconica si chiuda nell’autoreferenzialità trionfalista che ha caratterizzato l’avvento della roboante svolta linguistica.
A Boehm vanno però riconosciuti due grandi meriti, che fanno auspicare, per la sua proposta, un esito più fecondo: la sua impostazione epistemologica consente, non soltanto, di unificare l’esperienza visiva, anche valicando gli steccati dell’arte, e di farne uno spazio di discussione, ma di interloquire con le schiere di artefici inconsapevoli e dei fruitori ingenui dell’immagine in una riflessione di larga portata su ciò che vuol dire comunicare: un'alfabetizzazione visuale feconda, vivificante, ricca di spunti e di potenzialità gnoseologiche. In questi termini, l'Autore sembra condividere la diagnosi di Jean-Luc Nancy rispetto alla crescente iconoclastia di un'epoca che esibisce, in luogo di mostrare: “Più che questa ‘civiltà dell'immagine’ che si accusa, anch'essa di crimini contro l'arte, siamo piuttosto una civiltà senza immagine, perché senza Idea”.
Indice
Introduzione (di Michele Di Monte, Maria Giuseppina Di Monte)
Il ritorno delle immagini
La questione delle immagini
Rappresentazione- presentazione- presenza. Sulle tracce dell’homo Pictor
Al di là del linguaggio? Osservazioni sulla logica del linguaggio
Dal medium all’immagine
Crescita nell’essere. Riflessione ermeneutica e arte figurativa
Concetti e immagini. Sui limiti della domanda socratica
La descrizione dell’immagine. Sui confini fra immagine e linguaggio
Fra l’occhio e la mano. Le immagini come strumenti di conoscenza
Il logos muto
Mnemosine. La categoria del vedere rammemorante
Postfazione (di Tonino Griffero)
Bibliografia
L'autore
Gottfried Boehm è ordinario di Storia dell’Arte Moderna all’Università di Basilea. Membro del Wissenschaftskolleg di Berlino e corrispondente dell’Accademia di Scienze di Heidelberg, dal 2005 dirige il Progetto di ricerca Eikones: Bildkritik, Macht und Bedeutung der Bilder, su cui convergono gli sforzi di tredici discipline diverse. Si è occupato soprattutto dei rapporti tra storai dell’arte e filosofia e teoria delle immagini, ed è autore di importanti contributi sull’arte fra Rinascimento e del Novencento.
Link
Bernd Stiegler, Iconic Turn et réflexion sociétale, Trivium, 1–2008, [En ligne], mis en ligne le 08 avril 2008.
http://trivium.revues.org/index308.html. Consulté le 10 septembre 2009
Silke Horstkotte, Photograpic Interventions http://poeticstoday.dukejournals.org/cgi/reprint/29/1/1.pdf
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