sabato 2 ottobre 2010

Feuerbach, Ludwig, Teogonia secondo le fonti dell’antichità classica, ebraica e cristiana.

Roma-Bari, Laterza, 2010, pp. XLII+367, € 38,00, ISBN 9788842092094

Recensione di Maurizio Brignoli – 02/10/2010

Filosofia della religione

Nel 1857 Feuerbach pubblica quello che lui stesso definisce il suo lavoro “più semplice, perfetto e maturo”. Nella Teogonia si sviluppa una ricerca nuova incentrata sull’indagine filologica dei testi religiosi che deve servire a realizzare la definitiva emancipazione dal terreno della filosofia speculativa.
Centrale nella nuova ricerca è il ruolo del desiderio di cui le idee religiose rappresentano (anticipando Freud) la proiezione razionalizzata. L’analisi linguistica prende le mosse da Iliade e Odissea ed evidenzia come a fondamento delle divinità omeriche vi sia il desiderio umano di vendetta di Achille e di ritorno di Ulisse: “La mera volontà, ovvero il desiderio che qualcosa sia od accada, è e si chiama uomo; ma la stessa volontà che si realizza concretamente, che si impone, che vince, che ha successo, è e si chiama dio” (p. 18). È del tutto indifferente che il desiderio venga espresso in maniera teistica o atea, in ogni desiderio è nascosto una divinità e contemporaneamente dietro ogni divinità vi è un desiderio.
All'nizio di ogni opera l'uomo richiede l'intervento di una potenza divina in quanto la riuscita dell'azione dipende anche dalle circostanze esterne che l'uomo spera non siano insormontabili e di fronte alla possibilitð del fallimento egli invoca la potenza divina, di fronte alla volontà che può essere ostacolata nasce la rappresentazione, che ha le sue radici nell'interesse dell'uomo, di una volontà illimitata: "la divinità è essenzialmente un oggetto del bisogno, del desiderio, è qualcosa di rappresentato, pensato, creduto soltanto perché è qualcosa di anelato, di agognato, di ambito" (p. 38). La fede, nel senso più stretto della parola, non è altro che la certezza della soddisfazione del desiderio. Il desiderio è l'espressione di una mancanza, di un limite, l'espressione però reattiva, il desiderio che questa mancanza non sia: "il desiderio è uno schiavo del bisogno, ma uno schiavo che vuole essere libero" (p. 45). Quando il desiderio vuole vedere rimossa la mancanza, insieme al desiderio vi è anche la rappresentazione di una divinità, la rappresentazione dell'unità immediata, e non condizionata da nessun ostacolo, dell'inizio con la fine, del desiderio con il fatto. La divinità è un essere in cui si realizza l'unità fra desiderio in realtà. Il presupposto fondamentale della fede è l'inconsapevole desiderio di essere dio: l'uomo si sente limitato nel proprio potere, ma illimitato nel proprio desiderare; in origine quindi la divinità non è un'essenza altra dall'uomo, ma la metà che manca all'uomo, il compimento della sua essenza imperfetta.
Le divinità si manifestano non solo dove l’insufficienza del poter fare umano è una possibilità, ma soprattutto dove questa possibilità è divenuta realtà. Dove finisce il potere di azione dell’uomo si manifesta la forza degli dei, quando l’uomo non può più nulla può ancora desiderare e pregare. Dove finisce l’uomo lì comincia Dio, la fine del potere è l’inizio del desiderio. Il desiderio fondamentale è il desiderio di felicità, ma questa non dipende solo dall’uomo e proprio per questo anche la fortuna è oggetto di preghiera (presso i greci la parola theos significa fortuna). Il sentimento umano della propria impotenza è lo spazio in cui sorgono gli dei, ma la materia creativa è l’infinito istinto di felicità. Se non ci fosse l’infelicità, il male, non ci sarebbero neppure gli dei. Gli idoli sono un’‘invenzione’ non dei preti o dei governanti, che li hanno semplicemente usati, ma dell’infelicità.
Feuerbach analizza il rapporto fra desiderio di felicità, fondamento della rappresentazione religiosa, e desiderio di felicità come fondamento del diritto e della morale. La pena civile non è altro che la figlia naturale della vendetta, trasformata da cosa privata in cosa pubblica: se il malvivente non è punito, se cioè il mio desiderio di vendetta non è soddisfatto, allora non vi è alcun dio, chi non è giusto non è un dio. L’uomo possiede solamente nel proprio egoismo un principio di distinzione tra giusto e ingiusto, tra potere e non potere. Inoltre l’altro uomo cui riconosco pari diritti non è l’uomo in generale, ma è un consanguineo, un uomo della stessa stirpe e dello stesso colore; la coscienza morale si puntella così sulla verità del sensualismo nella sua forma più limitata e rozza. La divinità, cui non sfugge alcuna cattiva azione, ha il suo fondamento nell’inevitabile e onnipresente autocoscienza che l’uomo ha delle proprie azioni e pensieri malvagi. La coscienza del male morale deriva dalla coscienza del male patito. Dio punisce quando l’offeso o il giudice non sono in grado di punire, si esige una giustizia divina perché quella umana non sempre raggiunge il suo scopo. Non è la divinità, disinteressata e priva di bisogni, a volere che al crimine corrisponda una pena, una cosa del genere può volerla soltanto l’uomo interessato in virtù dell’amor di sé. Gli dei si limitano a soddisfare questa speranza.
Gli dei rappresentano i desideri dell’uomo liberati dalla necessità, divinità e necessità costituiscono i due massimi opposti. La necessità, il destino, costituisce il limite, la fine degli dei, cioè la fine dei desideri: “Zeus può certamente concedermi il desiderio di non morire adesso, ma in nessun modo potrà concedermi il desiderio di non morire affatto. La morte stessa è una necessità assoluta, e, in questo senso anche gli dei non hanno alcun potere sulla necessità” (p. 150). Se diciamo che gli dei non hanno potere sulla necessità questo significa che i desideri non hanno potere sulla necessità: “Gli dei non vanno oltre i desideri degli uomini, proprio perché essi non sono altro che desideri umani realizzati, ma realizzati solo nel modo in cui possono esserlo, cioè non nella realtà ma soltanto nella fede, nella fantasia, nell’immaginazione” (p. 151). Il desiderio di immortalità dei greci non era un desiderio reale in quanto il greco non desiderava né conosceva una vita diversa da questa, per lui la morte era una necessità naturale e comprensibile, il greco sapeva di non essere immortale. Gli dei greci possono morire, perché il desiderio di immortalità dei greci non è un desiderio radicale. Quando questo desiderio diventa essenziale per l’uomo allora si trasforma in una qualità essenziale della divinità. Gli dei inoltre non sono soltanto manifestazioni di desideri, ma sono anche enti naturali, incarnazioni delle forze ineluttabili delle leggi naturali, quindi non sono solo i signori, ma anche i servitori della natura che opera secondo spietate leggi naturali e non secondo fondamenti filantropici.
L’unica reale teodicea è data dal fatto che Dio è il desiderio e l’aspirazione ad essere buoni e saggi, l’unica giustificazione della contraddizione per la quale, nonostante la volontà divina, vi sia il male. Quando si dice che il male sia solo per la parte, ma non per il tutto, ciò è senz’altro giusto, ma solo dal punto di vista dell’universo: “Proprio perché per l’intero non c’è alcun male, per l’intero non c’è nemmeno alcun dio” (p. 206). Ma se il male è necessario allora gli dei sono superflui. Gli uomini pregano gli dei come se tutto dipendesse da loro per poi comportarsi come se tutto dipendesse solamente dei mezzi della natura dell’uomo: gli uomini sono teisti nelle loro preghiere, ma atei nelle loro azioni.
L’essenza del cristianesimo è la vita celeste in quanto per esso questa è la vita reale. Lo scopo della fede cristiana è il cielo e il mezzo tramite cui si realizza questo desiderio è Dio, ma non il dio pagano che ha la natura come precondizione e limite del proprio potere, bensì il dio cristiano che ha portato alla luce il mondo tramite la semplice volontà. La ragione fondamentale per cui viene eliminata la materia è quella di dare libertà d’azione illimitata alla beatitudine. Soltanto se all’inizio del mondo c’è il nulla, cioè se non c’è nulla che si contrapponga alla volontà divina, allora anche alla fine non c’è nulla che si frapponga lungo la via della beatitudine. Ciò che ha il nulla come proprio inizio ha il nulla come proprio contenuto, dire che il mondo sia creato dal nulla vuol dire che la materia è nulla, nulla per Dio e nulla per noi; si ha così il mondo capovolto della teologia in cui il pensiero precede la materia e l’oggetto del pensiero. Non vi è presso gli ebrei alcuna analogia con la dottrina cristiana della ‘creazione dal nulla’, l’ebraismo esprime ancora una religione della natura. L’attività divina nella Genesi è legata la materia: la divinità fa ciò che la terra produce, la sua attività è conforme alla natura.
La rappresentazione comune a tutti i popoli degli dei come esseri umani è la prova storica che il pensiero originario che sta a fondamento delle divinità è l’essenza umana. L’uomo può venerare soltanto ciò che esprime la sua stessa essenza ad un grado di perfezione che a lui manca: “Dio è un superlativo, ma il positivo di questo superlativo è l’uomo” (p. 259); Dio è l’essere sovrumano, infinito, ma infinitamente umano, fra dio e l’uomo vi è una differenza non qualitativa ma quantitativa.
Le teorie sul contratto sociale sono prive di fondamento perché prescindono dalla natura, hanno cioè considerato quello che è un fatto posteriore della storia naturale dell’uomo come il fatto principale, la comunità in origine non dipende infatti da un accordo, ma il timore reverenziale che la comunità ha a fondamento della propria nascita e durata è il rispetto per i genitori fondato nella natura: chi è riconoscente nei confronti dei genitori lo è anche verso gli dei.
Il dio cristiano, esattamente come quello pagano, è un’essenza umana, solamente di un tipo diverso perché il cristiano è un uomo diverso rispetto al pagano: l’uomo cristiano rispetto a quello pagano è un dio; se l’uomo ritiene come propria essenza il corpo allora anche il dio è un’essenza corporea, ma se l’uomo si considera uno spirito immortale allora anche Dio è uno spirito: “i cristiani hanno smesso di essere uomini quando hanno smesso di essere pagani” (p. 283). Il desiderio di pagani ed ebrei è la felicità terrena mentre il desiderio dei cristiani è la felicità celeste, questa differenza dei desideri determina la differenza delle divinità. Quando l’uomo prova nuovi desideri i vecchi dei non bastano più, finché l’uomo ha desideri naturali ha anche dei limitati dalla necessità naturale, quando l’uomo cerca una felicità infinita non più sottoposta alle leggi della natura umana e terrestre ha un dio assolutamente privo di limiti.

Indice

Introduzione di Andrea Cardillo
1. Ira di Achille e volontà di Zeus
2. L’oggetto dell’Iliade
3. L’esaudimento delle preghiere in Omero
4. L’oggetto dell’Odissea
5. Osservazioni linguistiche
6. Il fenomeno originario della religione
7. Il desiderio dell’inizio
8. L’essenza della fede
9. Il desiderio teogonico
10. Esempi di desideri teogonici
11. Desideri del bisogno e dell’amore
12. Il desiderio di felicità
13. Paura e speranza
14. Arte e religione
15. La maledizione
16. Il giuramento
17. La maledizione “provvidenziale”
18. Il destino umano
19. La coscienza morale e il diritto
20. I castighi della divinità oltraggiata
21. Il destino auspicato e maledetto
22. Morte ed immortalità
23. Il destino etico
24. Il destino inumano
25. Digressione
26. Dio e uomo
27. Il miracolo
28. La divinità del sogno
29. La teodicea
30. La rivelazione
31. L’essenza del cristianesimo
32. La creazione dal nulla
33. Il primo capitolo del Pentateuco
34. La scienza “cristiana” della natura
35. Creazione poesia
36. Il fondamento teorico del teismo
37. Teismo ed antropomorfismo
38. Il culto
39. Il simbolo
40. La differenza degli ebrei
41. La beatitudine
42. L’amor di sé


L'autore

Ludwig Feuerbach (1804-1872) dopo aver abbandonato gli studi di teologia si laurea in filosofia e intraprende la carriera universitaria che verrà però presto stroncata dalle reazioni suscitate dai suoi primi lavori quali i Pensieri sulla morte e l’immortalità (1830). Fra i suoi scritti principali: Critica della filosofia hegeliana (1839); L’essenza del cristianesimo (1841); Principi della filosofia dell’avvenire (1842); L’essenza della religione (1846).

Link

Ludwig-Feuerbach-Gesellschaft (opere in tedesco)
http://www.ludwig-feuerbach.de/

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