lunedì 7 novembre 2011

Chiarotto, Francesca, Operazione Gramsci: alla conquista degli intellettuali nell'Italia del dopoguerra

Milano, Bruno Mondadori, 2011, pp. 233, euro 20, ISBN 978-88-6159-512-5 (con un saggio di Angelo D'Orsi)
Recensione di Lucia Mancini – 03/09/2011
Il libro di Francesca Chiarotto,  ricostruendo la fortuna del lascito teorico gramsciano presso il pubblico italiano, prende in considerazione il trentennio di storia (italiana e internazionale) tra il 1945 e il 1975. Le date che racchiudono questo lasso di tempo non sono casuali: è il 1945 quando 33 quaderni scolastici riempiti dalla grafia minuta del comunista sardo giungono a Napoli dall'Unione Sovietica (un primo gruppo di lettere, invece, sarebbe arrivato in Italia l'anno seguente dopo esser stato conservato presso l'archivio moscovita del Comitern) 

ed è il 1975 l'anno in cui i Quaderni del carcere vengono pubblicati nell'edizione critica curata da Valentino Gerratana.
Non è possibile considerare la “recezione” della produzione carceraria prescindendo dalla strategia, politica oltre che intellettuale, condotta da Palmiro Togliatti per far sì che il pensiero e la testimonianza di Gramsci potessero avere la più ampia diffusione sociale: è questa la tesi del saggio di Francesca Chiarotto. Operazione Gramsci ricostruisce quindi la strategia egemonica sottesa alla storia editoriale dei testi gramsciani intrecciandola non solo con il dibattito politico-intellettuale scaturito dalla loro pubblicazione, ma ricostruendo anche il quadro politico e sociale che fa da sfondo al loro iter editoriale. 
Siamo nel 1945, l'Italia è appena uscita dalla guerra e tra feroci polarizzazioni ideologiche si cerca di dare al paese un nuovo assetto politico e sociale dopo venti anni di dittatura fascista; per Togliatti il lascito gramsciano appare come un «mezzo per avviare un dialogo con la società italiana» e presentare il PCI come un «“partito nuovo”, ossia non più classicamente leninista, ma di massa e rispettoso della costituzione democratica, un partito nazionale, prima che internazionalista, italiano oltre che comunista» (p. 49). In quest'ottica, attraverso un ampio uso di materiale archivistico, l'autrice mostra come ogni dettaglio   l'ordine delle pubblicazioni, la veste grafica, il costo dei testi, l'organizzazione di convegni, la fondazione dell'Istituto Gramsci di Roma - si costituisce come la tessera di un puzzle volto a fare di Antonio Gramsci un punto di confronto obbligatorio per il dibattito politico e intellettuale italiano.
Oltre a Togliatti, che «usò con intelligenza e spregiudicatezza la figura e l'opera di Gramsci per confermare, accanto all'identità comunista, la natura nazionale di un partito in via di profonda riorganizzazione» (p. 49), protagonista di questo processo di diffusione molecolare dell'eredità gramsciana è Giulio Einaudi. Se per Togliatti la scelta della casa editrice Einaudi («vicina al partito, ma non di partito» p. 68) risultava congeniale alla sua strategia egemonica, per Einaudi poter pubblicare Gramsci assieme a «Gobetti, Guido Dorso, lo stesso Luigi Einaudi padre, e […] Francesco De Sanctis» significava disporre di «altrettante tessere del mosaico di un Gotha della democrazia italiana, di un'Italia che doveva fare i conti con la catastrofe del fascismo, della guerra e del tragico biennio '43-45. Gli scritti di Gramsci erano un tassello decisivo, il più importante, nella strategia einaudiana, che si trovava oggettivamente a convergere con quella togliattiana, volta alla edificazione di un Partito comunista “italiano”, democratico e nazionale» (p. 72).
Così l'autrice ripercorre la pubblicazione, nei primi mesi del 1947, delleLettere dal carcere insignite in agosto, in un'atmosfera internazionale tutt'altro che filocomunista (è del 12 marzo l'annuncio della politica delcontainment da parte di Truman), del premio Viareggio. Attribuzione, questa, destinata a sollevare polemiche e malumori (anche all'interno della stessa sinistra) e a diffondere in certi strati dell'opinione pubblica il topos «del Gramsci buono versus il Gramsci cattivo: umanista l'uno, comunista il secondo; buon padre, marito fedele, figlio affezionato da un lato; ferreo funzionario del partito e dell'Internazionale comunista l'altro» (p. 55).
Una “gestazione” editoriale più lenta e complessa è quella dell'edizione tematica dei quaderni curata da Felice Platone e Togliatti, edita in sei volumi tra il 1948 e il 1951. La stratificazione testuale dei manoscritti e la forma espositiva frammentaria concorrevano a trasformare gli appunti carcerari in un immenso labirinto e giustificavano l'interrogativo circa la veste più appropriata per la loro pubblicazione: una fedele riproduzione dei quaderni nella loro successione o una loro selezione tematica. L'autrice sottolinea come la scelta di pubblicare una selezione delle pagine cercerarie non era dettata tanto dalla «preoccupazione di  adeguarsi alle direttive staliniane» o da semplice «opportunismo politico», quanto piuttosto dalla «volontà di rendere fruibile al maggior numero di lettori il pensiero gramsciano» (p. 91).
L'ultima tappa presentata è l'edizione critica dei Quaderni del carcere («operazione altrettanto fortemente voluta da Togliatti», p. 97) curata da Valentino Gerratana, pubblicata nel 1975, e definita come una vera e propria «seconda epifania» (p. 203) delle pagine carcerarie che, «a dispetto della loro apparenza, si erano ormai imposte come un testo dotato di una sua paradossale compiutezza, arricchita anziché limitata dalla sua natura frammentaria» (p. 210).
Ma protagonista del testo di Francesca Chiarotto non è solo la vicenda editoriale della pagine gramsciane, né Togliatti, né Einaudi, è il trentennio '45-75: la delicata transizione alla democrazia, l'attentato a Togliatti, il dilemma morale politico del '56, il '68. La recezione del messaggio gramsciano, sospesa tra gli estremi della santificazione e del rifiuto pregiudiziale, offre la cartina di tornasole della dialettica tra intellettuali e partiti politici (e opinione pubblica), della loro capacità di affrontare, attraverso il confronto postumo con le osservazioni carcerarie che si andavano via via pubblicando, temi politici e problemi sociali lontani (ancora oggi) dall'essere risolti: la «quistione meridionale», Stato e legalità, la riforma dei cicli produttivi, il rapporto intellettuali-partito-opinione pubblica, il ruolo e la funzione della cultura nella società di massa. 
INDICE DEL TESTO
L'infinita scoperta di Gramsci (di Angelo d'Orsi)
  1. Un premio per le Lettere di Gramsci
  2. Gramsci prima di Gramsci
  3. «Come uomo di pensiero egli fu dei nostri»
  4. Sotto le ali dello Struzzo
  5. Libera ricerca e linea di partito
  6. Dal manoscritto all'edizione
  7. I conti con Croce
  8. Un politico, non un teorico
  9. Il momento dei letterati
  10. La nuova “questione meridionale”
  11. L'eresia de “L'Ordine Nuovo”
  12. Il trauma del '56
  13. Il convegno di Togliatti
  14. Alla scoperta del “giovane Gramsci”
  15. Gramsci in accademia
  16. Gramsci secondo l'ordine dei suoi pensieri. Una seconda epifania
Ringraziamenti
Cronologia (1947-1975)
Sigle e abbreviazioni
Indice dei nomi

3 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Imputazione dei vertici comunisti italiani contro leninismo condusse loro Partito in condizioni giudiziariamente dubbie, perché in Blocco Occidentale Capitalista non ovunque prevaleva ignoranza su distinzione tra statualismo e statalismo in Unione Sovietica; e Partito Comunista Italiano non era più legale se non poneva proprie iniziative entro rispetto di solo statualismo sovietico e non anche statalismo, perché quest'ultimo era ostile ad egida militare - militare-economica di stesso Esercito Italiano già in stato di allerta contro abusi condotti per tramite di guerra economica-militare. In tale provvisorietà era del tutto necessario spiegare statuto non solo ufficiale anche storico del Partito italiano che era stato movimento politico ufficiale per attività decisiva di Antonio Gramsci. I "duci" comunisti antigramsciani dovettero abdicare a conduzione culturale del Partito e non lo sfasciarono perché non intendevano totalità del messaggio politico di Gramsci, volto, già prima di periodo fascista, attraverso minaccia comunista e realizzazioni socialiste ad estrometter totalitarismo comunista da Costituente di Stato futuro democratico italiano epperò anche a mantenerne fuori autoritarismo comunista per avvalorazione di Autorità Comunali medesime già esistenti... Quando i dirigenti del P. C. I. , in rotta con P. P. Pasolini che, assieme a beneplacito dei leninisti sovietici, ne poneva in crisi esterna Schema unico marxista di due elementi (| borghesia/proletariato |, ) proponendo polemicamente pure un altro (| contado/borghesia/proletariato |), erano certi di essersi liberati della moderazione - deviazione gramsciana, era stessa Autorità giudiziaria di Stato che interveniva per difendere Istituzioni Comunali da contraffazioni e riduzioni; quindi decisiva parte di elettorato comunista italiano si volgeva a sostener separatamente e solamente i comunismi di Amministrazioni locali, poi alleate a Rifondazione Comunista ma evitandone provvedimento unico, essendone incaricati i Comuni, in concreto o in teoria, di contenuti del Provvedimento stesso, sottratto a conduzione unica e dopo con assenza di stessa rappresentanza partitica parlamentare comunista. La strategia gramsciana - postgramsciana era di pensiero molteplice per molteplici comunitarismi, includeva non socialismo e comunismo bensì comunismo non sociale però amministrativo, utilizzabile solo sindacalmente tramite Sindaci oltre che Sindacati dunque senza porre conflitti di sorta neppure di ceti né di classi.
...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

La evoluzione politica gramsciana non era discorde alle azioni democristiane di difese delle Istituzioni Statali da accadimenti totalitari e da evenienze autoritariste, quindi la Configurazione molteplice data da Gramsci per il futuro italiano divenne unico comunismo giudiziariamente lecito in Italia dopo che in Istituzioni di Stato non governative poi governative si constatava violenza di imperialismo stalinista dovendosene anche con reazioni di Esercito e Polizia di Stato e con Servizi Segreti scongiurarne invadenze e persino sostituzioni... Episodio decisivo fu detto "Gladio" e consistette in specificazione direttamente esecutiva delle valenze e plusvalenze comunali italiane; dopodiché non fu più possibile proposta politica antagonista ai poteri comunali già istituiti e dovettero i movimenti restanti comunisti uniformarsi a nuove attuazioni o relazioni emerse ufficialmente burocraticamente di realtà istituzionale precedente-conseguente-susseguente... Non era questo che avevano in mente quei comunisti che insistevano a tentar vantaggi dal gramscismo senza il gramscismo! Quest'ultimo attualmente è ripensabile entro schema non omologo non omologante cioè politologicamente sufficientemente astratto, di elemento unico di ¦ precarietà ¦ . Si tratta di svolta laburista, insinuatasi da post-ex-marxismo ad ex-post-marxismo in exmarxismo-marxismo... Da tal elemento, sociologico, storico-filosofico, si deve ripartire, per ricostruire filosoficamente storia politica di Gramsci, gramsciani, gramscisti, gramscismo: quest'ultimo solo odiernamente concretamente esistente quale ideologia transpartitica.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Accludo ulteriore informazione, filosofica, storica (con terzo mio messaggio dopo i due miei precedenti):

I vertici del Partito Comunista Italiano, allorché erano stati coinvolti negli eventi dello statalismo stalinista che agiva da entro Unione a fuori, per proprio arbitrario antibolscevismo e per non negazione di russofobia assai assurdamente diffusa quale meridionalismo mondialista proprio tra le masse sostenitrici del Partito stesso, imputarono al pensiero del leninismo un divario incolmabile e non dovuto tra necessità internazionale e incompatibilità fuori Unione Sovietica. Questa ingiustissima imputazione era fatta per soggettivo rifiuto, cui Togliatti era tra gli entusiasti fautori, ma presentato oggettivamente senza specificarne la ragione, che era la seguente: evitare di porre in discussione un futuro ancora comunista e di massa in Italia. La oggettività della presenza di una scelta cui motivazione fatta assente, aveva tuttavia per ufficiale ragione non lo statalismo imposto dal cosiddetto "Stalin" e mantenuto quale regime di polizia non legittima ed intromesso non interno a vero Stato Sovietico, bensì la reazione antistalinista non leninista cioè una opposizione aggiuntasi in altra azione dalla contrarietà di Lenin e leninisti però concorde a questa: si trattava in origine di reazione cittadina, da ex Pietroburgo poi Leningrado, di cui comunità poi da stesso usurpatore di nome che neppure intendeva chiamata ma senza successo a dedicarsi a suo sostegno... Difatti già essa autonomamente organizzatasi per agire in vero Stato a difesa di realtà che poteva dirsi legittimamente assieme a parola "stalin" e contro stesso omonimo dittatore che appunto se ne fregiava con inganno. Convintosi di aver raggirato intera cittadinanza, col tempo "Stalin" otteneva di fatto da cittadinanza di Stalingrado ex Leningrado solo rifiuti e smentite; che statalismo non statualismo cercava di sfruttare ma che statualismo utilizzava per estromettere "Stalin" e suoi complici. In tale condizione, realtà di Stato stesso era autarchica-anarchica, ideologicamente leniniana-bakuniana, poiché da reazione cittadina si era formata pure reazione interrurbana quindi interzonale infine intrastatale, burocraticamente - socialmente assai forte, ma purtroppo ugualmente controreagita... Tal realtà staliniana contro dittatore "Stalin" ed antistalinista non era risaputa ovunque ma stesso regime dittatoriale in Unione Sovietica doveva presentarne forme burocratiche e sociali per non soccombere dietro propri inganni, così ridotti mentre da Stalingrado si agiva per totale estromissione di usurpatori... ma era arduo perché questi agivano anche da esterno di Unione; tuttavia si formò una istituzionalità sovietica illuminata e corretta e rispettosa, ostacolo in più per cosiddetto "Stalin" e stalinisti.
A causa della russofobia diffusa tra elettorato comunista italiano e poiché il bolscevismo non era fatto per mire espansionistiche partitiche, Togliatti e gli altri duci del P. C. I.  si erano affidati a staliniani antistalinisti ma illudendosi che il bolscevismo ne fosse separato — tantoché da questi anni in poi e fino a recentissimi tempi per "bolscevismo" doveva intendersi soltanto imitazione spuria di vera azione bolscevica, perché i duci comunisti s'erano omologati ad azioni bolsceviche che tali non riconoscevano direttamente; e ancora adesso il termine "bolscevico" è spesso inutilizzabile o da usarsi al rovescio per evitar risse o resse; e ciò dopo ripetuto abbandono d'uso da parte di stessi bolscevichi ogniqualvolta termine impiegato per denotare moltitudine partitica ovvero non solo dirigenziale (e fino ad oggi ugual non stessa sorte per termini: "menscevismo" e "menscevichi"); perciò bisogna badare ai contesti e tollerando solo vitali accadute, accadenti invenzioni verbali; infatti si vive in tempi di vendette staliniste, postume, cui talvolta da altri si può reagire con poco o quasi nulla.

MAURO PASTORE