giovedì 10 maggio 2012

Marino, Piero, Le radici del tempo. Saggio sull’umanità europea nel pensiero di Edmund Husserl

Pisa, ETS, philosophica [85] serie rossa, 2011, pp. 214, euro 20, ISBN 978-884672995-8

Recensione di Sara Fumagalli - 05/02/2012

La base del saggio è costituita dai cinque articoli scritti da Edmund Husserl tra il 1923 e il 1924 (Hua XXVII, Aufsätze und Vorträge 1922-1937), dove per la prima volta si parla di  rinnovamento della cultura europea all’interno della più generale speculazione sull’etica e sulla morale. Si tratta di temi cari al fenomenologo, ai quali dedica le lezioni universitarie del 1920 e 1924, (pubblicate nel XXXVII volume di Husserliana col titolo Einleitung in die Ethik), e che riprende nella famosa conferenza di Vienna del 1935, formalizzata poi in Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie (Hua VI). 

Analizzando lo sviluppo concettuale husserliano in questi testi, Piero Marino ricostruisce il senso teleologico della cultura europea che emerge da due differenti ambiti, uno prettamente storico e l’altro filosofico-ideale. Nelle conclusioni, poi, l’autore si chiede se è possibile quel progetto di filosofia della storia, o di storia universale,  secondo lui contenuto implicitamente nelle riflessioni di Husserl. 
Il primo dei sei capitoli de Le radici del tempo si focalizza sull’idea di Europa come emerge dalle riflessioni husserliane. “Telos universale e telos europeo si incontrano [dunque] al crocevia tra la dimensione ideale della storia (che si fonda su di un piano spirituale ed intenzionale, dotato di un senso intrinseco assolutamente non casuale), e la dimensione concreta degli avvenimenti storici” , scrive Marino (p. 36). 
È la cultura greca che conferisce un telos universale alla filosofia, segnando l’inizio della cultura e dell’umanità europea, come sostiene l’autore nel secondo capitolo. Con il dubbio socratico prende vita, infatti, il peculiare processo di chiarificazione che Husserl identifica con l’intuizione eidetica e che mette in relazione ogni singola esperienza umana alla sua corrispondente idealità universale, al suo intrinseco telos. Inaugurando il pensiero critico di astrazione universale, Socrate viene considerato come il primo filosofo nonché moralista pratico. “Il pensiero socratico consiste [dunque] in un movimento critico di autoriflessione nell’ambito del quale emerge l’aspirazione ad un’autentica conoscenza universale, l’unica in grado di rendere l’uomo virtuoso, di procurargli una felicità effettiva e di donargli la «massima soddisfazione possibile, [in quanto] un sapere autentico è la condizione necessaria […] di una vita razionale o etica»”, dice Marino (p. 40).
Dal punto di vista fenomenologico è Platone che, anteponendo il metodo a qualsiasi questione filosofica, configura una metodologia filosofica universale, ricordando il manifesto della fenomenologia presentato da Husserl in Philosophie als strenge Wissenschaft (Hua XXV). 
Da questo punto di vista, i pensatori greci hanno per primi colto la differenza tra doxa ed episteme superando l’atteggiamento tradizionale o naturale del pensiero per inserirsi nella dimensione filosofica.  Come spiega l’autore: “ […] per Husserl, il senso rigoroso della filosofia coincide pienamente con il progetto radicale che di essa hanno avuto i pensatori greci, evocando per primi le idee universali di mondo, verità e telos universale, concetti che devono essere correttamente intesi nella dimensione trascendentale della vita di coscienza e nella sua realizzazione etica, divenendo in tal modo le basi solide di un’autentica umanità e, più specificamente, dell’umanità europea” (p. 66).
Nel terzo capitolo Marino analizza il ruolo della religione all’interno dello sviluppo culturale dell’umanità delineato da Husserl. Il periodo al quale si riferisce è il Medioevo, all’interno del quale si alternano due fasi. Nella prima è centrale la religione sorta in “modo naturale”, che ha come fine quello di fornire regole e norme ad un gruppo sociale. La cultura è sottoposta a dogmi che creano una struttura gerarchica e la coscienza individuale non trova libera espressione in quanto sottoposta ad autorità religiosa. Ma il Cristianesimo ha un ruolo fondamentale nel rinnovamento dell’umanità: unendo l’elemento della libertà a quello della ragione porterà l’individuo ad esprimere il suo bisogno interiore di salvezza attraverso il diretto rapporto con Dio.
È proprio dalla tensione tra nuovo ed antico che sta alla base della seconda fase della cultura medievale, che il fenomenologo considera il tentativo di conciliazione tra il mondo classico e il Cristianesimo. Una sintesi difficile nella quale la bilancia pende sempre dalla parte del dogma nel delineare il ruolo predominante della teologia. Elemento che è nettamente in contrasto sia con la cultura filosofica greca sia con il progetto di una filosofia come scienza universale husserliana. Ciò non esclude i progressi del Medioevo all’interno dello sviluppo culturale europeo, in quanto: “ […] in esso si manifesta una tendenza teleologica all’universalità e all’unità che, seppur alla luce del pensiero teologico e sacerdotale, rappresenta una fase fondamentale nel cammino del pensiero occidentale caratterizzato - come abbiamo visto in precedenza – da una necessaria tensione all’universalizzazione e razionalizzazione di scopi e principi” scrive l’autore. (p. 72). 
È sicuramente nella Riforma protestante che sarà possibile scoprire i caratteri di rinnovamento culturale a cui Husserl allude nei suoi scritti : “La Riforma, eliminando il ruolo della mediazione ecclesiastica tra l’uomo e Cristo e recuperando lo spirito autentico della prima rivelazione cristiana, rappresenta un ritorno all’originaria esperienza religiosa, in qualche modo più vicina alla forma culturale della libera razionalità, se non altro della razionalità religiosa”, sottolinea Marino (p. 73). 
La vera svolta non avviene in campo teologico-religioso, bensì in quello filosofico-culturale. 
Il dato particolarmente interessante, all’interno dell’esegesi storica che Husserl conduce sulla religione, è l’idea di Dio che ne emerge ed il raffronto con l’idea di un telos universale del mondo europeo, come mostra Marino nella seconda parte del terzo capitolo. Vera cultura della rinascita è considerata a tutti gli effetti la cultura moderna (oggetto del capitolo quarto). 
Agli occhi di Husserl, l’emblema filosofico della modernità è René Descartes. 
L’ idea cartesiana di scienza universale è essenziale per il progetto di Husserl, come si può notare anche nelle sue fondamentali Cartesianische Meditationen (Hua I). Inaugurando il dubbio metodico, Cartesio è vissuto come inconsapevole iniziatore del metodo fenomenologico e della relativa epoché che apre la via al soggettivismo trascendentale. Il Rinascimento nel pensiero cartesiano risiede soprattutto nell’obiettivo di una scienza ideale unito all’autonomia della filosofia, “ […] ciò permette ad Husserl di sottolineare come, con la nascita e la diffusione del pensiero cartesiano, la filosofia moderna (e quindi, in qualche modo, la civiltà moderna) ricominci da capo”, nota  Marino (p. 104). Il passo in avanti che compie la civiltà europea nella modernità è rappresentato dalla liberazione della ragione dai dogmi medievali e, insieme, dall’illuminata ripresa dei fondamenti del pensiero greco. Avere il coraggio di servirsi della propria ragione è, del resto, il motto dell’Illuminismo. Utilizzo razionale che è “[…] tutt’uno con l’ideale pratico e morale del rinnovamento dell’intera umanità, secondo le linee guida della speculazione fenomenologica”, sostiene l’autore (p. 106), ed in questo risiede anche il suo tratto distintivo rispetto alla cultura classica. 
Ma qual è il ruolo svolto dalla ragion pratica nel  progetto fenomenologico? In che modo potrà conciliarsi con la ragione teoretico-speculativa? 
A questi interrogativi è dedicato il secondo paragrafo del quarto capitolo (Il ruolo della Ragion Pratica, pp. 109-142). Nel quale si afferma che lo sviluppo di un progetto etico è conditio sine qua non  per l’evoluzione del  soggetto umano verso una piena razionalità. Afferma, infatti, Marino: “Lo scopo esplicito dell’etica è quello di condurre l’uomo alla sua piena realizzazione e, da questo punto di vista, essa non è subordinata all’attività teoretica e logica proprio perché è essa stessa a portare quest’ultima al suo autentico compimento, che consiste nella piena conoscenza teoretica e nel pieno dominio di sé da parte del soggetto umano” (p. 120). 
Parlando di ragione non c’è una netta distinzione tra teoria e pratica in quanto esse si richiamano a vicenda necessariamente: “Le discipline pratiche e tecniche [infatti] portano in sé un bisogno di conoscenza che necessariamente le fa tendere verso obbiettivi prettamente teoretici ed, allo stesso modo, le discipline teoretiche debbono necessariamente declinare in senso normativo il campo del proprio sapere” (p. 130).
Per questo, all’interno dell’idea di filosofia è contenuta una duplicità essenziale ed ineliminabile costituita da un lato da una tensione verso il primato della ragion pratica (al quale si orientano discipline come l’etica, la logica e l’estetica), e dall’altro da una tensione verso il primato della ragione speculativa e teoretica (al quale si richiamano le scienze dello spirito). È  proprio dalla connessione tra elemento pratico e teoretico che nascerà la teoresi di nuovo genere che propone Husserl: un puro interesse nei confronti dell’essere unito ad una formazione innovativa del senso del mondo. 
L’elemento pratico-storico sarà ancora protagonista delle riflessioni husserliane sulla Grande Guerra contenute nelle lezioni su Fichte del 1917 (Hua XXV). La fine del primo conflitto mondiale rappresenta, per Edmund Husserl, la fine delle illusioni sulla rinascita culturale ed etica della Germania, un momento di “degenerazione culturale”, dal quale si può uscire solamente con un idealismo filosofico: è  quello che si legge nelle pagine del quinto capitolo nel quale Marino, attraverso l’analisi dei punti d’incontro tra l’idealismo fichtiano ed il progetto fenomenologico husserliano, mostra la centralità che l’attività del soggetto assume nei due filosofi. In questo senso, secondo Marino: “ la rivoluzione copernicana si fonda sul presupposto idealistico per il quale, sia in campo teoretico che in campo pratico, il soggetto non recepisce passivamente le leggi del mondo, ma ne è piuttosto scopritore e fondatore” (p. 160-161). 
Questa soggettività è dinamica e teleologicamente orientata verso un fine ultimo che trascende sempre se stessa, in tal senso la fenomenologia si configura come monadologia universale, sempre in fieri.
Negli anni ’30 lo slancio propulsivo dell’idealismo filosofico lascerà il posto al profondo pessimismo delle riflessioni husserliane sulla crisi delle scienze europee che non riescono a dar voce al loro stesso significato e valore. L’intima natura umana non trova espressione in una scienza racchiusa in quel superficiale positivismo promulgato dalle scienze di fatto, da ciò consegue, secondo Marino, che “la mancanza del pensiero moderno non sta, secondo Husserl, nell’essere stato eccessivamente razionalistico, quanto piuttosto nell’esser stato poco razionalistico, nell’aver impedito il pieno sviluppo delle possibilità espressive della razionalità umana” (p. 184). La crisi dilaga, quindi, sino a mettere in pericolo l’intera umanità europea. In questo contesto appare in tutta la sua portata il ruolo del metodo fenomenologico. La fenomenologia trascendentale mostra i limiti del razionalismo moderno, andando alle radici del tempo. Nel ritorno alle origini, la storia del pensiero aiuta il mondo culturale a costruire un nuovo presente. 
L’ipotesi di un progetto di filosofia della storia universale in Husserl è possibile, secondo Marino: se è vero che il luogo di nascita del pensiero filosofico è la Grecia ed il suo baricentro rimarrà successivamente l’Europa, è altrettanto evidente che “il soggetto al quale Husserl fa sempre e comunque riferimento non è [dunque] l’umanità europea nella sua singolarità eccezionale, ma piuttosto l’umanità universalmente intesa e concepita che nel mondo europeo mette le radici, dando vita ad un corso storico evolutivo dalla portata infinita e universale” (p. 202). 
Se la lettura della storia europea proposta dalla filosofia husserliana possa essere considerata attuale resta ancora una questione aperta. Marino, comunque, sembra configurare almeno una possibile direzione in tal senso: “La storia europea potrà prendere altre vie, potrà finanche non uscire mai dallo stato di crisi che dai tempi di Husserl ad oggi sembra essersi piuttosto aggravato, ma i principi che ne hanno determinato la nascita e lo svolgimento continueranno a far sentire la loro forza, anche al di là degli stessi confini geografici e culturali. Dove avranno casa questi principi, dai quali dobbiamo attenderci la rinascita del nostro spirito in qualsiasi dimensione storica e culturale essi facciano valere la loro forza, lì sarà presente l’Europa” (p. 206). 


INDICE

Prefazione di R. Cristin

Avvertenza

Introduzione
L’Europa: una questione fenomenologica

Capitolo Primo
L’Europa: un’idea storico filosofica
1. Il telos europeo come telos filosofico
2. La formazione storica della cultura europea

Capitolo Secondo
La Grecia: le origini teoretiche della cultura europea
1. Le origini greche del mondo europeo
2. La fenomenologia come scienza rigorosa

Capitolo Terzo
Medioevo e Riforma: le radici cristiane dell’Europa
1. Il Cristianesimo e l’Europa
2. L’idea di Dio tra filosofia e fede: la religione

Capitolo Quarto
Modernità e Illuminismo: Scienza Nuova e Ragion Pratica
1. Modernità, Rinascimento e Illuminismo
2. Il ruolo della Ragion Pratica

Capitolo Quinto
L’idealismo: il soggetto come storia
1. La Grande Guerra e l’idea di umanità
2. L’idealismo fenomenologico

Capitolo Sesto
Crisi e rinascita
1. La crisi del mondo europeo
2. Possibilità di rinascita

Conclusioni
Una filosofia della storia?

Indice dei nomi

3 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Il linguaggio della recensione è indebitamente ipostatizzante.

Husserl si confrontò con una condizione culturale, di Germania ed Europa specialmente centrale, dimidiata, che consisteva in sradicamenti da tradizioni etniche e riferimenti ad etnicità non tanto conosciuta; e per mezzo c'era pure etnofobia, contro la grecità, da parte di istanze ipercivili ed antieuropee. Husserl dunque faceva notare che solo col pensiero greco l'Europa si era potuta e si poteva pensare con certezza; ma Egli stesso era ignaro dal verificare di origine di umanità europea ed anche della grecità non solo astratta e non solo ideale; ciononostante faceva opportunamente notare che le circostanze imponevano di considerare idealità ed astrazione greche. Egli affermava che esisteva una crisi e pensava da entro crisi stessa ma non da crisi medesima. Per questo sono intrinsecamente contraddittori i tentativi di render sue considerazioni a riguardo capitoli di filosofia perenne. Non si trattava di riferimenti di filosofia perenne ma purtroppo molti ad argomento di idealità ed astrattezza greche non vogliono evitare di immaginare la grecità quale ovvietà e quindi confondono perennità ed universalità che invece pur sempre distinte concettualità restano. Inoltre vi son di quelli che interpretano il linguaggio scientifico fenomenologico quale ontologismo; e non di ipostatizzare senza ragione, ma di relativizzare senza ragione si peritano e senza intendere particolare critica heideggeriana ad anacronismo. Heidegger reputò che bisognava riconsiderare gli studi filosofici entro premesse tradizionali che esistevano indenni dalla crisi e rimproverò Husserl anche dopo averne ricevuto beneplacito, accusandolo di aver non accortezza della pochezza culturale dell'approccio fenomenologico praticato in quegli anni da husserliani. Husserl fece capire di non essersene potuto avvedere ed Heidegger ritirò le sue accuse ma non cessò col racconto dei fatti intercorsi.
Il rapporto di Husserl con la filosofia cartesiana era esente da dottrinarietà esclusiva di cartesianesimo ed anzi ne svelava arbitrarietà intromessa, accusando i freudiani di averne profittato per limitare utilizzi psicologici tramite riferimenti coscienziali mascherati da riferimenti a inconscio; fece notare che si trattava di scientismo positivista e di sopravvalutazioni di neurologia ai danni di psicologia; e ciò fece anche per difendere sua disciplina filosofica fenomenologica di "egologia", che è un indicare coscienza-inconscio non solo coscienza. Questa opposizione antipositivista non sempre fu intesa dagli ambienti di destinazione perché era difficile capire come mai Husserl usasse definire "dello spirito" le scienze empiriche ovvero basate su esperire non su esperimenti (quandanche esperiscano esperimenti), datoché la stessa crisi denunciata da Husserl era difficoltà di comunicazione linguistica pure. Inoltre si tentò di interpretare Sue azioni ed affermazioni presupponendovi ebraismo o cultura giudaica o giudaismo fino a far identificare inesistente persona — difatti (ne è testimoniato per chi ne volesse intendere) E. Husserl era figlio concepito da madre diversa da gestante e peraltro famiglia adottiva non ne aveva coinvolto in mondo ebraico né giudaico; e imsomma vero Husserl aveva modi europei-esquimesi!
Suggerisco di intender Suo pensiero o senza convenzionalismi o con le dovute conoscenze di tal modi.
Opera recensita è indicativamente interrogativa (ne attesta pure indice accluso),in tal senso utile per quegli ambienti che prigionieri di convenzioni sbagliate non hanno accesso filosofico per mancanza di appropriati interrogativi e nel resto essa si annuncia assai referenziale e inconcludente ai fini di una vera valutazione di veri esiti filosofici.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In mio messaggio precedente:

'imsomma' sta per: insomma ;

inoltre verso fine testo manca uno spazio dopo una virgola.

Reinvierò intero testo con correzioni.

(Sono spiacente per inconveniente ma scrivendo ho dovuto badare ad altro anche, a causa di odi altrui per mio scriver stesso e non era conveniente per la mia e non solo mia vita maggior impegno. )

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

+
Il linguaggio della recensione è indebitamente ipostatizzante.

Husserl si confrontò con una condizione culturale, di Germania ed Europa specialmente centrale, dimidiata, che consisteva in sradicamenti da tradizioni etniche e riferimenti ad etnicità non tanto conosciuta; e per mezzo c'era pure etnofobia, contro la grecità, da parte di istanze ipercivili ed antieuropee. Husserl dunque faceva notare che solo col pensiero greco l'Europa si era potuta e si poteva pensare con certezza; ma Egli stesso era ignaro dal verificare di origine di umanità europea ed anche della grecità non solo astratta e non solo ideale; ciononostante faceva opportunamente notare che le circostanze imponevano di considerare idealità ed astrazione greche. Egli affermava che esisteva una crisi e pensava da entro crisi stessa ma non da crisi medesima. Per questo sono intrinsecamente contraddittori i tentativi di render sue considerazioni a riguardo capitoli di filosofia perenne. Non si trattava di riferimenti di filosofia perenne ma purtroppo molti ad argomento di idealità ed astrattezza greche non vogliono evitare di immaginare la grecità quale ovvietà e quindi confondono perennità ed universalità che invece pur sempre distinte concettualità restano. Inoltre vi son di quelli che interpretano il linguaggio scientifico fenomenologico quale ontologismo; e non di ipostatizzare senza ragione, ma di relativizzare senza ragione si peritano e senza intendere particolare critica heideggeriana ad anacronismo. Heidegger reputò che bisognava riconsiderare gli studi filosofici entro premesse tradizionali che esistevano indenni dalla crisi e rimproverò Husserl anche dopo averne ricevuto beneplacito, accusandolo di aver non accortezza della pochezza culturale dell'approccio fenomenologico praticato in quegli anni da husserliani. Husserl fece capire di non essersene potuto avvedere ed Heidegger ritirò le sue accuse ma non cessò col racconto dei fatti intercorsi.
Il rapporto di Husserl con la filosofia cartesiana era esente da dottrinarietà esclusiva di cartesianesimo ed anzi ne svelava arbitrarietà intromessa, accusando i freudiani di averne profittato per limitare utilizzi psicologici tramite riferimenti coscienziali mascherati da riferimenti a inconscio; fece notare che si trattava di scientismo positivista e di sopravvalutazioni di neurologia ai danni di psicologia; e ciò fece anche per difendere sua disciplina filosofica fenomenologica di "egologia", che è un indicare coscienza-inconscio non solo coscienza. Questa opposizione antipositivista non sempre fu intesa dagli ambienti di destinazione perché era difficile capire come mai Husserl usasse definire "dello spirito" le scienze empiriche ovvero basate su esperire non su esperimenti (quandanche esperiscano esperimenti), datoché la stessa crisi denunciata da Husserl era difficoltà di comunicazione linguistica pure. Inoltre si tentò di interpretare Sue azioni ed affermazioni presupponendovi ebraismo o cultura giudaica o giudaismo fino a far identificare inesistente persona — difatti (ne è testimoniato per chi ne volesse intendere) E. Husserl era figlio concepito da madre diversa da gestante e peraltro famiglia adottiva non ne aveva coinvolto in mondo ebraico né giudaico; e insomma vero Husserl aveva modi europei-esquimesi!
Suggerisco di intender Suo pensiero o senza convenzionalismi o con le dovute conoscenze di tal modi.
Opera recensita è indicativamente interrogativa (ne attesta pure indice accluso), in tal senso utile per quegli ambienti che prigionieri di convenzioni sbagliate non hanno accesso filosofico per mancanza di appropriati interrogativi e nel resto essa si annuncia assai referenziale e inconcludente ai fini di una vera valutazione di veri esiti filosofici.

MAURO PASTORE