lunedì 14 maggio 2012

Pantano, Alessandra, Dislocazione. Introduzione alla fenomenologia asoggettiva di Jan Patočka

Milano-Udine, Mimesis, Filosofie, 2011, pp. 243, euro 18, ISBN 978-88-5750-622-7

Recensione di Sara Fumagalli - 02/04/2012

Nel suo denso testo Alessandra Pantano si propone di andare al cuore della fenomenologia asoggettiva di Jan Patočka prendendone in considerazione le riflessioni dalla fine degli anni Cinquanta in poi. Il rapporto tra l’apparire e la soggettività è il filo conduttore dell’intera opera del filosofo ceco al quale l’autrice si richiama scandendo il suo lavoro in sei capitoli tematici.  
Punto di partenza della proposta teoretica di Patočka è la ripresa critica del concetto di epoché husserliano.


Nell’intento di liberare l’accesso alla fenomenicità, Patočka si sofferma sul momento negativo della sospensione del giudizio: precisamente sul “fatto che l’epoché non è una negazione dell’esistenza del mondo” (p. 37). A questo proposito è interessante la parola che la Pantano richiama per chiarire l’esperienza negativa del fenomeno: “alètheia, la quale implica una fondamentale negazione: ciò che non si nasconde, ciò che si disvela” (p. 44).
Attraverso l’apertura all’apparire in quanto tale si è condotti direttamente al mondo. Momento centrale in Patočka è il concetto di movimento che si dà in congiunzione con il mondo. “Pensare il movimento del mondo significa pensare l’unità delle differenze, un’unità che senza sostrato si dà solo insieme alle determinazioni, le quali, per un verso, in quanto singolari la negano, ma dall’altro l’affermano” (p. 96). 
Si uniscono allora le due dimensioni dell’Erscheinung che tanto avevano diviso Husserl e Heidegger: ciò che appare e ciò che fa apparire. E si uniscono grazie al movimento, leitmotiv della fenomenologia estatica di Patočka per mezzo della quale si passa dall’ontologia alla cosmologia. Una cosmologia che non è priva di conflitti, come mostra l’autrice rievocando parole come «fluttuazione», «esplosione», «esplicitazione», usate dal filosofo per esprimere il movimento dell’apparire. Queste ‘lotte’ all’interno dell’unità apparente sono dovute all’eccedenza del fenomeno che non è costituito né formato dal soggetto. 
Si intuisce già da queste prime considerazioni come per cogliere la fenomenicità per Patočka sia necessario un radicale cambio di prospettiva: il soggetto deve essere spodestato dal centro attorno al quale si ordina il mondo per andare ad abitare nel mondo, a “stare nella differenza, impercettibile allo sguardo ingenuo, tra ciò che appare e ciò che fa apparire” (p. 104). 
A questo punto, la Pantano si chiede: “Come pensare il senso d’essere di un soggetto che, pur partecipando all’apparire del mondo poiché a lui il mondo appare, è allo stesso tempo un fenomeno che presuppone l’apparire del mondo?” (p. 125). La questione va a toccare il cuore pulsante del pensiero fenomenologico di Patočka: il movimento, il divenire. Non vi è infatti alcun soggetto prima di ciò che appare: “la soggettività è allora anch’essa movimento” (p. 131). 
In un’ideale linea del tempo si potrebbe affermare che il concetto di movimento patočkiano - e quindi anche, come si è visto, quello di soggetto -  occupa la dimensione presente: tra il non essere più – passato – e il non essere ancora – futuro. 
In tale dýnamis costitutiva assume grande rilievo la corporeità. La nozione di «corpo proprio» husserliana viene ripresa da Patočka ed inserita nel contesto ambiguo dell’esistenza. Ciò che balza agli occhi, rimarca la Pantano, è la contraddizione di essere «verso» e contemporaneamente «nel» mondo: come può l’esistenza dirigersi, per usare altri termini, verso qualcosa in cui è già? (p. 141). Dalla dicotomia non si uscirà in quanto il movimento corporeo dell’esistenza è teleologico: designa un soggetto la cui costituzione non è mai finita.
Il quinto capitolo del libro si apre con una citazione da Papiers phénoménologiques di Patočka che evoca la composizione polifonica come metafora dei movimenti dell’esistenza umana. Scelta che vuole richiamare quella unità delle differenze che emerge costantemente nella riflessione del filosofo. Ancor più tematica appare sicuramente nel contesto dei tre movimenti (radicamento, prolungamento, apertura) che determinano l’esistenza. Essi si richiamano l’un l’altro a tal punto che la Pantano ricorre alla figura della circolarità per tracciarne i confini: “[…] se da un lato il movimento di apertura presuppone come sua condizione i primi due movimenti, dall’altro lato esso è a sua volta il presupposto di quei movimenti, in quanto condizione del loro riconoscimento come movimenti” (p. 180). Ognuno di essi ha però una precisa funzione (costituzione, oggettivazione, possibilità) e dimensione temporale (presente, passato, futuro) all’interno dell’esistenza. 
Dopo aver esaminato il percorso teoretico della fenomenologia asoggettiva l’autrice si chiede a proposito della dimensione etico-politica del pensiero: “[…] è ancora possibile che il rapporto dell’esistenza con la manifestazione diventi un progetto di vita?” (p. 190).  Se a rispondere è  Jan Patočka con la sua grande testimonianza storica e personale di fondatore di Charta 77 e la sua costante partecipazione al movimento dei diritti dell’uomo contro il regime non c’è dubbio: la fenomenologia dinamica costituisce il suo progetto di vita. 
Il senso etico, definito dalla Pantano come cura dell’anima, “consiste nella capacità di vivere decentrati, senza assumere una posizione centrale e sostanziale all’interno del mondo; solo con tale dislocazione è possibile fare spazio affinché altro possa apparire” (p. 204). 
A conclusione di recensione giova riportare per intero le parole dell’autrice sul contributo della ricerca fenomenologica di Patočka, augurandosi che si possano sempre più incrementare in futuro gli studi su un pensiero così profondamente vissuto:  “La dislocazione è allora una forma di conflitto che, aprendosi, apre gli occhi all’esistenza umana, la quale comprende che la vita è altro rispetto alla sopravvivenza, all’accettazione, alla rassegnazione. La dislocazione è una nuova collocazione” (p. 221).


Indice

Ringraziamenti

Introduzione

1. La costellazione dell’epoché
1. Decentramento dell’ego
2. Un’esperienza negativa
3. La libertà dell’epoché
4. Il senso etico

1. Il mondo
1. Una vertigine nel mondo naturale
2. Verso la tematizzazione fenomenologica del mondo
3. Il mondo
4. Il movimento del mondo
5. L’essere e l’apparire

1. Mondo ed esistenza: un conflitto nell’unità
1. Il mondo e i suoi elementi: una «fluttuazione continua»
2. Il conflitto nella manifestazione

1. Il movimento dell’esistenza umana
1. Il soggetto in questione
2. Parole nuove
3. La corporeità in questione
4. Altre parole nuove
5. Un movimento attivamente passivo

1. I tre movimenti dell’esistenza umana
1. Una polifonia
2. Movimento di radicamento
3. Movimento di prolungamento
4. Movimento di apertura

1. La cura dell’anima
1. Le origini della cura
2. La leggerezza e la pesantezza della cura
3. La scintilla dell’anima
4. La forza del negativo
5. Il germe della vita filosofica, storica, politica

Considerazioni conclusive

Bibliografia

Indice dei nomi

5 commenti:

guidomannaiuolo ha detto...

Nella recensione non viene chiarito bene il concetto di dislocazione che poi dà il titolo al libro. C'è solo una citazione alla fine del testo che per la verità appare un pò slegata da tutto il resto.

guidomannaiuolo ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Anonimo ha detto...

Tema interessante; il concetto “dislocazione” che l’autrice utilizza per leggere la fenomenologia asoggettiva di Patocka emerge molto bene nella recensione

MAURO PASTORE ha detto...

Ossessione ...millenni orsono non filosofica e da secoli ormai antifilosofica, d'ordine logico esistenziale... di antropocentrismo, discende da subcultura degli idoli e da falsa idolatria e tende al nichilismo e il più negativo: ordetta ossessione, col concentrare mentalità ma esclusivisticamente su forma naturale di medietà dell'essere umano e cosmico, sottrae naturalità stessa di intellettualità e di basi filosofiche umaniste ne fa umanistiche ambizioni irrealizzabili negli eventi che da Antichità a Medio Evo a Modernità hanno fatto la storia del mondo ed assieme a ciò hanno reso il mondo storicamente conoscibile per la scienza anche; nel subissare umanesimi antichi medioevali e moderni, stessa ossessione non trovando più proprio oggetto originario e con fraintendere del tutto quello aggiunto, ovvero ad imitazione delle riflessioni sulla umanità. Gioco ossessivo di mistificazione fu separato da coincidenze nefaste da proprio scopo e sue relazioni da alternative quindi polemiche ingenue e misconoscenti divennero relazioni pericolose per stessi giocatori; e datoché ciascun fenomeno nell'universo ergendosi ad assoluta unicità si estingue fatalmente naturalmente in ergersi medesimo e lasciandolo incompiuto, antropocentrismo in parte fu dismesso qual gioco contrario poiché senza potersi manifestare fenomenicamente restandone assente motivo stesso, in altra parte per non considerare serietà di coincidenze ostili a comprensioni fondamentali dunque iniziò fine tragica, cui decadimento di parte di umanità solo epifenomeno non dall'esito certo in se eppure in se stesso soltanto potendo trovare risorse per evitar annientamento di sé... mentre fenomeno vero e proprio è ancora in atto qual autoannientamento, di una umanità finita a rifiutar vita per esser restata senza proprio autentico tempo anche tutto e più ottenendo del voluto. Non per questa fine in atto ancor in periodo odierno di società e politica e civiltà, valeva, forse vale, non fenomenologica in se stessa etica del decentramento, bensì per chi non esagerazione ed assolutezza aveva cercato da antropocentricità e ne aveva realizzata ma senza trovarne più il senso.

...


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

... Dislocamento qual muoversi fenomenico e vitale tra posti e posti e luogo o luoghi, incontrava e incontra necessità etica di decentramento non per destino uguale e comune agli esseri e viventi di affrontare contraddizioni della propria esistenza in non centralità vitale e cosmica, ma per necessità anche aggiunta non senza rapporti con le umanità in certificato autoannientamento ed in annientamento forse non certo, solo questo ultimo difficoltà sia a vivere che sopravvivere. Senza dubbio la vita in se stessa non è fatta del sopravvivere, eppure non tutta umanità esiste in vivere o vivere e sopravvivere; altra infatti esiste in vivere e vivere anche sopravvivendo; ed esiste vita, biologica elementare particolare, cui vivere accade nel solo sopravvivere pur non essendone soltanto; ...è il caso delle entità biologiche, oggetto di studio della biologia, quelle minime, dette "virus".
Contrasto esistentivo e storico tra chi senza sensatezza di eventi ormai attuati e chi invece in sensatezza ed in atto di eventi, da poco tempo a questa parte è stato superato in altra storia e con storia degli altri... Proprio quella che in scuole italiane, dopo fine di Secondo Conflitto Mondiale, si faceva notare qual unica novità in culture anche tradizionali - ma non solo e del tutto differentemente - connessa con gravi esigenze democratiche. Per gli "altri", cui io stesso che scrivo sono, grandi eventi storici erano centro dubitabile, per alcuni ed anche per me anzi da dubitare del tutto; né aveva senso né mai potrebbe, per noialtri, una etica del decentramento anche solo concreta ipotesi; ed oltretutto eventi un tempo centrali lo sono stati relativamente e non lo sono né mai centrali saranno ancora e ciò non solo per noi (noialtri) anche per chiunque, proprio a causa di etiche purtroppo socialmente non distanziabili perché solo in altrui esistere stesso possibili erranze non solo mondane anche universalmente e senza possibile positività a ridurne gli effetti, inaccoglibili per chiunque anche per noialtri cui vivere cioè in prudenza già e da sempre, di sopravvivenza mai aliena da viver stesso (di noi, noialtri).
Mentre molti Stati, quello italiano pure, avviati a giusta preferenza di protezione civile per evitare inflazione non solo sociale anche culturale di elaborata sconveniente medicalità, tante statalità di stessi Stati sono captate da ipercivili ambizioni cui esiti sono debolezze vitali o direttamente riduzioni vitali se in volontarità, cui prospetti statali univoci e pressoché inservibili per troppi definire e troppi indefiniti, ma irresponsabilmente e disonestamente recepiti da moltissimi anche ed ormai intrusi in Stati, per giunta non solo con propria invadente rovina sciagurando gli altri da loro, ma tentando e spesso riuscendo ad imporre condizioni civili cui effetti impedimenti contro vita altrui oltre che antivitali a loro (ed anche, in definitiva, contro civiltà occidentali).
Questa del tutto drammatica evenienza è accaduta anche per non aver essi, altri da noi e da me, inteso relatività di quel "dislocarsi" fenomenico ed esistentivo e per non aver capito essi stessi policentricità storica recente né nuova centralità odierna. Ecco allora che si mostrano: prepotenze civili fuori tempo massimo e mascheramenti sociali da parte di orfani di storia e non decisi a farne altra; ...ed a nessun pro distanti tutti indistintamente, se ignote reazioni di tutti ad ambientalità; e nessun vantaggio da cautele sorte per stime non per notare né sapere né da scienza, peggio se misure cautelative inscenate (peggio ancora se con minaccia di armi (spesso anche improprie purtroppo) da parte di sedicenti agenti d'ordine) per odio contro esistere biologico minimo che rammenta difficoltà inerenti ad alcun luogo anche naturalmente.
Etica fenomenologica soggettiva non può condurre ad analisi oggettive su questi fatti, né ad altro una etica fenomenologica oramai può servire.


MAURO PASTORE