giovedì 25 ottobre 2012

Engelhardt jr., Hugo Tristram, Viaggi in Italia. Saggi di bioetica

a cura di R. Rini e M. Mori, Firenze, Le Lettere, 2011, pp. 432, Euro 38,  ISBN 978 88 6087 516 7

Recensione di Maria Agnese Ariaudo - 04/04/2012

Medico e filosofo attivo nel dibattito internazionale, approdato al cristianesimo ortodosso parallelamente ad un ripensamento  dei fondamenti teologici e razionali della religione cattolica romana rispetto alle influenze storicamente contingenti, H. T. Engelhardt ha sviluppato e divulgato in Italia buona parte delle proprie originali argomentazioni in tema di bioetica.
L’ambiente è più in generale quello all’interno del quale si dibatte sulla definizione oggettiva e sulle norme  afferenti il concetto di «vita» – un ambito che non di rado coinvolge


una valutazione della «qualità» di quest’ultima in relazione alle scelte controverse che la riguardano -  e si ricerca un indirizzo plausibile di condotta su questioni decisive quali aborto, eutanasia, fecondazione assistita, somministrazione di cure mediche,  ingegneria genetica, espianto degli organi, maternità surrogata.
Frutto dello scambio ventennale intrapreso tanto con interlocutori laici quanto confessionali, la presente raccolta di saggi si articola in quattro parti, è preceduta da una densa prefazione scritta da M. Mori  (pp.9-31) ed è chiusa da un’appendice di interviste (pp.395-416).
Poste in capo ai diversi contributi, le puntuali precisazioni di Mori offrono al lettore – esperto o «non specialista» che sia – una mappa di orientamento  nel territorio teorico densamente abitato da Engelhardt, oltre che in generale uno strumento di  autonoma riflessione critica.
Mori propone argomenti che esplorano e sfatano una vulgata intenta a rappresentare il contributo di questo autore in termini  «anti-metafisici», «individualisti», «utilitaristi» e ancora tesa a rinvenirne l’orientamento marcato al pragmatismo, l’impostazione laica o laicista tout court (pp.10-23).
Nel chiarirne invece il percorso biografico e teorico di credente all’incrocio tra matura consapevolezza religiosa e imprescindibilità di uno sguardo  incentrato sul distinguo tra  «essere umano» e  «persona»  (cfr. pp.10-18), Mori anticipa soprattutto i termini empiricamente tradotti da Engelhardt del contesto post-tradizionale, secolarizzato del nostro presente, popolato da «stranieri morali»  i quali in quanto portatori di molteplici e perlopiù inconciliabili opzioni sulla condotta non possono che condividere «(…) un’etica procedurale minima aperta alla tolleranza (…)» (p.12) anziché norme e valori  di carattere universale.
Le premesse in prefazione (pp.18-23)  appaiono altresì funzionali a comprendere i termini di un’etica dalla vocazione beninteso non relativistica, semmai calibrata sul limite intrinseco all’esperienza morale, nonché si dimostrano utili ad un attraversamento coerente del piano concettuale delle interviste finali. Qui infatti il  pensiero di Engelhardt si esprime attraverso un linguaggio comprensibilmente meno strutturato rispetto ai contributi teorici propriamente accademici e dunque gioco forza esposto a qualche semplificazione interpretativa (cfr. per esempio la posizione scettica dell’autore in merito alla legislazione specifica in campo bioetico - pp.414-416).
Del variegato paesaggio teorico di Engelhardt emergono  - nella raccolta presente - luoghi di notevole suggestione  - complice l’allineamento, da parte dei curatori, di contributi già circolati e tradotti nel nostro paese con le traslazioni ex novo in italiano, indubbiamente un’operazione che garantisce una congrua omogeneità lessicale e semantica dei concetti.
Possono essere individuate quattro specifiche linee dell’argomentazione, di cui si richiamano – brevemente e senza pretesa di esaustività - alcuni tra i motivi emergenti.
La prima parte (pp.47-117) traccia una direzione per la teologia (e la bioetica) nel tessuto della contemporaneità.
Il fil rouge che tiene insieme questi contributi è la premessa di un Occidente secolarizzato, post-tradizionale, sotto più di un rispetto post-cristiano.
I suoi caratteri promanano bensì dalla centralità attribuita alla figura di un Dio onnipotente, la cui fisionomia invero appare il risultato e del processo storico e dell’elaborazione di visioni comunitarie particolari - così che nella formulazione di una visione teologica è legittimo quantomeno includere l’interrogativo: «C’è una comprensione generalmente difendibile dell’esistenza, della natura e dei desideri di Dio (degli dei) che non dipenda da impegni precedenti nei confronti dei presupposti di una particolare rivelazione o di una particolare comunità religiosa?» p.53.
Il  percorso della fede ha cercato sin dal Medioevo altresì una sintesi organica con la giustificazione razionale («non solo la fede in una fede particolare, ma anche la fede nella ragione» p.73) e su questa traiettoria si è andati in cerca di una struttura etico-filosofica uniforme e universale. L’ambizione di un progetto morale – razionale, onnicomprensivo e vieppiù positivo - è stata nutrita poi  a partire dall’Illuminismo prescindendo dal Dio giudaico-cristiano.
Ebbene, il punto per Engelhardt  è che  la «comune fede nella ragione» su cui poggiano sia la laicità moderna che il cattolicesimo romano risulta ora compromessa dalla sopravvenuta e conclamata irreperibilità di un canone indiscutibile in campo morale (p.73).  E ciò in quanto l’uomo della nostra epoca fa i conti con il pluralismo dei giudizi su ciò che è bene o male, ed è a questa stregua «straniero morale», privo di un’univoca fonte di  autorità sulla propria condotta. Per cogliere un passaggio più avanzato, «(…) le persone non condividono le stesse premesse morali di base, le stesse regole dimostrative o di inferenza, la stessa visione della pienezza umana» (p. 336).
Al di sotto di quella che appare come  divaricazione ineliminabile tra «il livello del discorso laico o secolare generale» e «il contesto  di impegni religiosi particolari» (p. 53) – divaricazione la quale presiede peraltro a due piani distinti di bioetica - emerge come una  «teologia naturale»  poggi su  basi diverse rispetto alla visione laica e ciò in quanto, a differenza di quest’ultima, essa continua a fornire risposte, ad attingere ad un senso del trascendente che sfata il giudizio di irrazionalità su dolore, morte e sofferenza. Cionondimeno l’eloquente richiamo (pp. 57-58) all’orazione funebre  resa dal pastore in Sussurri e grida di Bergman di fronte al  corpo straziato dal cancro della giovane Agnese ci rammenta la cesura tra fede in un Dio misericordioso (col conforto della redenzione nella sofferenza) e protesta tipicamente umana di  un significato che plachi la ragione.
Per questo ordine di considerazioni, come per altri  (cfr. anche il discorso sul «Dio senza nome», pp. 65-69, e l’ipotesi politeistica a p. 61) Engelhard intravvede per la teologia  – o ancor più propriamente per una «raccolta di teologie» (p. 61) - un destino bensì convincente di giustificazione delle incognite che connotano l’esperienza transeunte del nostro esistere. E tuttavia essa, seppur  «mossa da un profondo bisogno umano di senso e di obiettivo»,  non appare meno «circondata da esitazioni e da dubbi», mentre la sua dotazione di senso a priori esclude  «l’impossessarsi delle vite di altri» così come «il bisogno di mettere in gioco la propria vita» (p. 63).
Nella seconda parte (pp.119-229) Engelhardt riflette sul significato e sulle prospettive della bioetica, a partire da una declinazione di umanesimo tagliata su misura della contemporaneità.
Emerge - tra i numerosi sentieri battuti in questa sezione - come al centro di una bioetica squisitamente post-tradizionale sia opportuno collocare  il concetto di «persona»,  in quanto fondamento di un’autorità morale laica, neutrale. Si tratta per la precisione di «rivolgersi all’ultimo elemento fondante rimasto» (p.122) dacché si sono indebolite le prospettive informate a presupposti di principio che guardano a Dio, alla ragione o alla natura (cfr. p.122). La persona è bensì «soggetto morale agente e interpretante» (p.123), «essere razionale e cosciente di sé, che decide e crea valori» (p.123), ma più scarnamente «entità in grado di prendere parte a controversie di carattere morale e di raggiungere un accordo» (p.123). Ci troviamo di fronte pertanto ad un esemplare post-moderno di individuo, in possesso del requisito euristico minimo occorrente per  incanalare le differenti opzioni non omogenee dei cosiddetti «stranieri morali» secondo modi refrattari all’uso della violenza . Per questi suoi caratteri, la persona in Engelhardt è per definizione «soggetto» di libertà di consenso e di informazione, incardinato in un sistema di libero scambio e membro di una «democrazia limitata» (al di sotto della quale cioè «i principi morali della maggioranza non possono essere imposti alla minoranza» p. 122). Su di una traiettoria parallela, il discorso bioetico – e la sua natura procedurale -  si reggeranno su di una nozione di «autonomia» specifica  «come principio del consenso» (p. 144) nella misura in cui  «le persone (…) diventano centrali non per la loro dignità o per il loro valore, ma perché possono decidere di collaborare o di ritirare il proprio consenso isolandosi in sfere di privatezza morale» (p.144).
Ad un legame siffatto tra «persona» e «autonomia»,  si accompagna una interpretazione del progresso nei termini di imperativo morale della contemporaneità, laddove esso si dà come mezzo per diminuire le sofferenze e aumentare le probabilità di sopravvivenza degli uomini (p.179) – una premessa questa che porta con sé una significativa apertura al potenziale dell’ingegneria genetica -  mentre l’impiego della tecnologia è ricondotto all’esercizio di una philantropia impegnata  («[…] amore di ciò che è veramente umano e sollecitudine per le sofferenze dei nostri simili», p.201)
Problematicamente stimolante in questo contesto di senso è poi la revisione dell’idea di responsabilità come principio guida per le biotecnologie, sviluppata a partire da una critica ai presupposti dell’etica normativa in H. Jonas (cfr. pp. 212-229).
La terza parte (pp. 231-297) recupera le premesse teoriche formulate in precedenza e le dirige a una disamina degli indirizzi di assistenza sanitaria maggiormente diffusi (con particolare riferimento alla prassi inerente il «fine vita»). Emerge un’imputazione di fraintendimento del senso di valori quali la giustizia, l’equità e l’uguaglianza nell’assistenza medica (cfr. p. 233), laddove essi vengano scambiati per oggetti di una comprensione univoca,  una chimera quest’ultima,  data la molteplicità delle posizioni morali.
Peculiare in questo contesto il distinguo sui caratteri di un «egualitarismo fondato sull’invidia» rispetto a quello «fondato sull’altruismo» (pp. 247-248), mentre il «fatto» del pluralismo morale  suggerisce a Engelhardt  la formulazione di modelli di assistenza sanitaria alternativi e diversificati, con ciò rispettosi delle differenti opzioni di scelta dei singoli. Si giunge ad avallare una forma di «competizione tra diverse impostazioni dell’offerta di assistenza sanitaria» (p. 240) e una ripartizione degli oneri relativi ai servizi declinata in base alle rispettive preferenze morali degli individui (cfr. pp.240-246). Troverebbero così soddisfazione – e rispettiva sovvenzione - tanto le istanze laiche o agnostiche, quanto quelle religiose (e per esempio ospedali che assicurano la continuità terapeutica ai malati terminali  dividerebbero il campo con altri che viceversa ammettono l’eutanasia).
Tra i contributi di questa sezione, di particolare impatto problematico ed emotivo – per via dell’orizzonte arduamente stornabile che questi passaggi dischiudono -  è l’analisi dei  dilemmi morali della secolarizzazione in merito al trapianto di organi (cfr. pp. 282-297). Coerentemente con le premesse generali del suo pensiero, Engelhardt riconduce  la «vendita degli organi» al criterio del «consenso di chi li possiede» (p. 283) e – in antitesi alle ragioni contrarie addotte dall’Office of Tecnology Assessment (cfr. pp.291-296) – fornisce argomenti laici,  sganciati da un giudizio di iniquità a priori su questo genere di atto, i quali faranno indubbiamente discutere.
Nella quarta ed ultima parte (pp. 299-394) Engelhardt promuove un modello di stato laico compatibile con uno «spazio religiosamente e ideologicamente neutrale» (p. 366) di confronto e interazione tra gruppi - o anche solo orientamenti - religiosi, non religiosi e antireligiosi, in vista di «obiettivi immanenti “comuni”» (p. 366) che trovano considerazione diversificata nelle varie prospettive indicate. Da questo punto di vista,  esterno vuoi alla seduzione di una nuova «ortodossia» (p. 339), vuoi a fondamentalismi sia laici che religiosi (cfr. pp. 363-394), emerge l’immagine di un’autorità statale ridimensionata negli scopi, al di sotto della quale «la funzione del diritto e della legge deve essere semplicemente quella di aiutare gli individui a coabitare pacificamente, nonostante la diversità dei sistemi morali ed etici fondamentali a cui fanno riferimento» (p. 339).
A partire da queste premesse si chiariscono  le osservazioni critiche di Engelhardt alla visione moralmente normativa della giustizia di Rawls (cfr. pp. 315-317).
Si entra parimenti nel merito della funzione sociale dei bioeticisti - tanto accademici quanto clinici – la cui aspirazione alla guida morale viene colta criticamente all’interno dei limiti obiettivi della struttura pluralistica delle società occidentali, ancorate al finito e incapaci di risolvere le dispute morali (cfr. pp. 326-337)
Su questo sfondo complesso, «l’illusione di una comune moralità di fondo» (p. 331) è la tentazione forte a cui cedono peraltro anche certe architetture del pensiero  che aspirano a comporre prospettive divergenti (cfr. l’esempio del dialogo tra utilitarismo e deontologia in Beauchamp e Childress,  pp. 331-332) e il cui vincolo ineffabile di partenza è tuttavia «non già un accordo, ma un disaccordo morale» (p. 332).  Come pure è a ben vedere l’apparenza del consenso a caratterizzare le cosiddette «commissioni etiche»,  i cui membri sono nondimeno scelti – pena il perenne disaccordo e la paralisi delle deliberazioni – tra soggetti le cui posizioni presentano a priori margini di possibile incontro (p. 331).


INDICE

PREFAZIONE di Maurizio Mori

Nota dei curatori

INTRODUZIONE
H.T. Engelhardt jr., I miei Viaggi in Italia

PRIMA PARTE:
BIOETICA E TEOLOGIA IN UN MONDO SECOLARIZZATO
1. Cerchiamo Dio e troviamo l’abisso: bioetica e teologia naturale
2. Hartshorne: la teologia e il Dio senza nome
3. La bioetica nel mondo post-moderno: fede e laicità
4. Bioetica come termine plurale: di fronte alle diversità morali della fine del secondo millennio
5. La bioetica laica: l’emergere di un nuovo campo disciplinare

SECONDA PARTE:
LE BASI CONCETTUALI DELLA BIOETICA
1. Il concetto di persona e il fondamento di un’autorità morale laica
2. Bioetica laica e bioetica religiosa (Risposta a «La Civiltà Cattolica»)
3. L’autonomia come principio cardine della bioetica contemporanea
4. La bioetica nel terzo millennio: alcune anticipazioni critiche
5. Il progresso come imperativo morale: la tecnologia come espressione di umanesimo
6. La responsabilità del progresso: tecnologia come umanesimo
7. La responsabilità come principio guida per le biotecnologie: riflessioni sulla fondazione dell’etica normativa di Hans Jonas


TERZA PARTE:
BIOETICA E INTERVENTI NORMATIVI SU TEMI PARTICOLARI
1. Al di là della giustizia e dell’equità: ripensare i sistemi sanitari
2. Vecchiaia, eutanasia e diversità morale: la creazione di opzioni morali nell’assistenza sanitaria
3. Le decisioni concernenti il fine vita in una cultura post-tradizionale
4. Il corpo in vendita: dilemmi morali della secolarizzazione

QUARTA PARTE:
PLURALISMO ETICO, LIMITI DELLA LEGISLAZIONE E LAICITÁ DELLO STATO
1. Come affrontare il pluralismo morale delle società occidentali post-tradizionali. Un ripensamento critico della bioetica
2. Bioetica clinica e commissioni etiche: è possibile fornire una guida morale in un mondo pluralista?
3. Bioetica: i limiti della legislazione
4. Religione, bioetica e stato laico. Oltre il fondamentalismo religioso e laico

QUINTA PARTE:
INTERVISTE A ENGELHARDT
La bioetica nell’era postmoderna (Caterina Botti, «Notizie di Politeia»)
Il cow-boy e la bioetica (Giovanni Maria Pace, «La Repubblica»)
Bioetica? Meglio nessuna legge (Riccardo Chiaberge, «Il Corriere della Sera»)

BIBLIOGRAFIA

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