giovedì 28 febbraio 2013

Menga, Ferdinando G., La mediazione e i suoi destini. Profili filosofici contemporanei tra politica e diritto

Verona, Ombre Corte, 2012, pp. 219, euro 22, ISBN 978-88-97522-08-9

Recensione di Alessandra Callegari - 07/07/2012

Nella presente opera Ferdinando P. Menga tenta di fornire una doppia possibilità di lettura della mediazione che, a partire dalla sua matrice moderna, proietta i suoi riflessi sull'intero scenario del pensiero contemporaneo. 
A tal fine l'autore, nell'introduzione (pp. 11-34) si sofferma sul carattere antitetico dello spazio di pensiero della modernità, che assume un “doppio volto” irriducibile. Sul punto, è, infatti, possibile individuare due prospettive divergenti. Da un lato, alcuni interpreti, tra cui Nietzsche e Merleau-Ponty, affermano che essa sorga 

dalla “rottura con un ordine assolutistico” del mondo e la concomitante presa di coscienza di una radicale “mancanza” di fondamento per l'esperienza in ogni sua dimensione (p. 11). In tale ambito, rileva la percezione del venir meno del principio sovrannaturale della “natura delle cose”, tipico del periodo pre-moderno, che fungeva da garanzia e fondamento di un ordine totale ontologicamente precostituito, e intercede la consapevolezza dell'irriducibile carattere di contingenza dell'esperienza, entro cui il mondo viene qualificato come spazio collettivo. Dal lato opposto, altri autori, tra cui è possibile ricordare Hiedegger ed Hegel, figurano la modernità come la tradizione guidata dalla contrapposta aspirazione alla realizzazione di una fondazione universalistica.
Il carattere antitetico dello spazio di pensiero della modernità permette di soffermarsi sulla riflessione a cui il lavoro di Menga è dedicato, ovvero una doppia possibilità di lettura fenomeno mediativo: da un lato, la mediazione “dialettica”, analizzata entro il contesto di pensiero della totalità, che ha il compito di “connettere i vari momenti, le varie fasi e i vari soggetti all'interno di una totalità in cui tutto è già stato determinato, orientato e conciliato fin dall'inizio”( p. 16); da un altro lato, la mediazione “espressiva”, che si qualifica come strumento costitutivo dell'istituzione di un senso mai disponibile in termini ontologici o sostanziali. 
La mediazione dialettica non è creativa, poiché non produce nulla che non sia già stato prodotto nell'intimità primordiale della totalità che l'ha sempre anticipata e che, perciò, la dirige e la domina (p. 16). La mediazione espressiva si caratterizza invece per la sua costitutività di significati, per la sua creatività espressiva, dal momento che “ciò che” si esprime significativamente “in quanto” ciò che è, diviene tale solo nell'evento della mediazione espressiva stessa (p. 20). 
Nel tentativo di contemperare il carattere di radicale contingenza dell'ordine del mondo con il relativo paradosso di una mediazione originaria che si articola nei termini di un'espressione veramente creatrice, Menga aderisce alla logica responsiva, e pertanto si rivolge espressamente alla dottrina fenomenologica di Bernhard Waldenfels. 
 Il filosofo tedesco muove dal presupposto che ogni dimensione dell'esperienza, sia essa soggettiva, collettiva o istituzionale, nella misura in cui è connotata da radicale contingenza, non può mai partire da se stessa, e quindi dal possesso dell'intera gamma di elementi e significati che ne costituiscono il nucleo d'identità, bensì sempre e solo da un'indisponibilità rispetto alla propria origine. Tale esperienza è quindi responsiva perché questa estraneità si connota come un appello o richiesta a cui l'esperienza è chiamata a rispondere (cfr. p. 23). La mediazione espressiva, capace di creare mondo a partire da una mancanza di prefigurazione ontologica, può essere compresa alla luce della logica della risposta, che presiede ogni dimensione dell'esistenza, connotata da storicità, contingenza e alterabilità (cfr. p. 25). In tali termini, secondo Menga, la mediazione espressiva dona identità e forma allo spazio dell'esperienza umana nel mondo e nelle istituzioni, e realizza un duplice obiettivo: da un lato, esce dall'impasse che deriverebbe da una presupposizione a tale spazio di un'unità sostanziale, che lo renderebbe superfluo come semplice posterius; dall'altro lato, si emancipa da ciò che deriverebbe da una decisione pura, che, emanando dal nulla, lo renderebbe impossibile quale puro prius. 
Alla luce dei caratteri dell'espressività, della creatività e della responsività, la mediazione si caratterizza: a) per la sua originarietà in senso supplementare, poiché essa non riproduce solo ciò che già sempre è costituto e determinato in seno alla totalità, ma ne comporta un'alterazione, la quale fa sì che ciò che si ripete non possa mai essere esaurito dal suo significato; la mediazione espressiva è quindi sempre frutto di qualcosa che la deve anticipare e a cui, perciò, deve aggiungersi; b) per la sua immancabile apertura e parzialità; infatti, non disponendo di alcuna totalità da cui poter ricavare la determinatezza totale di ciò che è da esprimere, la mediazione, nel creare ciò che media, non può determinarlo totalmente e una volta per tutte; c) per la sua contingenza e modificabilità. 
Menga afferma che la doppia connotazione che riceve la mediazione quale riflesso dell'ambiguità costitutiva della modernità incide sul suo stesso destino (cfr. p. 32). L'ipotesi di fondo sostenuta dall'autore è che la suddetta ambiguità che investe la figura filosofica del fenomeno mediativo proietti i suoi riflessi sul pensiero contemporaneo, al punto che quest'ultimo possa essere interpretato nei suoi tratti costitutivi, come campo in cui una tale doppia tendenza continuerebbe ad articolarsi. 
Così, da un lato il pensiero contemporaneo può essere connotato sulla base di una configurazione che, dando seguito al pensiero di una radicale contingenza dell'esperienza, riconosce il carattere originario e creativo della mediazione; dall'altro lato, la contemporaneità si struttura sulla base della mediazione dialettica, e tende a rivestire solo un ruolo secondario e derivato se non addirittura deviante e inautentico. 
Per mettere alla prova tale tesi, il lavoro di Menga si articola in un percorso di cinque tappe. Le prime due, di carattere paradigmatico, delineano due modelli all'interno del discorso contemporaneo, in cui, da un lato, si evidenzia il tentativo di negazione del carattere costitutivo della mediazione, e dall'altro, il tentativo opposto, di un'esplicita affermazione della mediazione nel suo carattere originario.
In particolare, nel primo capitolo (pp. 35-61), Menga si sofferma sulla critica ontologica della mediazione e la conseguente rivendicazione dell'immediatezza a cui resta sensibile il pensiero di un accesso diretto all'origine. Si palesano quindi la glorificazione heideggeriana dell'origine e il concomitante tentativo di una sua penetrazione intuitiva. 
Nel secondo capitolo (pp. 62- 95), l'autore mostra la proposta fenomenologica di Waldenfels, illustrando i tratti essenziali di una riflessione che rivendica il carattere “istituente” della mediazione, e in cui si tenta di ripristinare un senso proprio originario contro cui si scontra la fenomenologia dell'estraneo.
La contrapposizione tra screditamento ontologico della mediazione e la sua rivalutazione fenomenologica sarà messa alla prova nei successivi capitoli, in cui si analizzerà il ruolo della mediazione entro tre sfere peculiari: del soggetto, della vita comunitaria e nell'organizzazione dell'ordinamento democratico. 
In particolare, nel terzo capitolo (pp. 96- 142), analizzando le opere di Ricoeur, Menga sostiene che senza una decisiva mediazione interpretativa e comprendente nessun soggetto, nella sua contingenza e concretezza esperienziali, può costituirsi. In tale ambito, alle filosofie del soggetto fenomenologico, caratterizzate da un'impostazione speculativo-assolutistica, Ricoeur contrappone il primato di un'esperienza ermeneutica concreta. 
Nel quarto capitolo (pp. 143-174) l'autore propone un'attualizzazione del pensiero della Arendt, in cui assume un ruolo peculiare lo spazio pubblico dell'azione politica, irriducibile a un qualsiasi progetto di appropriazione immediata ed organica, e fortemente orientata verso una forma diretta di democrazia. 
Nel quinto ed ultimo capitolo (pp. 175-203) Menga propone un'analisi filosofico-giuridica della teoria della rappresentanza di Böckenförde, entro la quale la mediazione rappresentativa si caratterizza quale elemento istituente di uno spazio istituzionale storico e contingente. 
Nella conclusione (pp. 204-211) l'autore insiste sull'idea del doppio volto della modernità, intesa come cifra ermeneutica che consente di comprendere anche alcuni percorsi fondamentali del pensiero contemporaneo (p. 204). In particolare, l'autore rigetta l'idea di una mediazione come “ingranaggio che con i suoi addentellati fa girare la grande macchina di una totalità organica preesistente e compiuta” (p. 205). Al contrario, egli tenta di fornire un'originale figura di mediazione che, partendo da un'assunzione autentica del regime della contingenza, si configuri quale coerente conseguenza della consapevolezza di dover produrre e far funzionare spazi di mondo, a partire dall'assenza di premesse pretestuosamente rassicuranti. 


Indice

Introduzione. Il doppio volto della mediazione nella modernità e il suo riflesso nel pensiero contemporaneo.
Capitolo primo. Il superamento della metafisica e il rigetto della mediazione. Martin Heidegger e la seduzione del pensiero totale.
Capitolo secondo. Mediazione e contingenza. La logica della risposta nella fenomenologia dell'estraneo di Bernhard Waldenfels.
Capitolo terzo. Il soggetto concreto e la mediazione interpretativa. La proposta ermeneutica di Paul Ricoeur.
Capitolo quarto. La comunità degli uguali e dei diversi. Hanna Arendt e la questione della mediazione del potere nello spazio democratico.
Capitolo quinto. La mediazione costitutiva nell'ordinamento dello Stato democratico. La riflessione di Ernst Wolfgang Böckenförde.
Conclusione. La mediazione tra ontologico e politico.
Bibliografia.
Indice dei nomi

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