mercoledì 6 marzo 2013

Sedley, David, Creazionismo. Il dibattito antico da Anassagora a Galeno

Edizione italiana a cura di Francesco Verde, Roma, Carocci, 2011, pp. 375, euro 32, ISBN 9788843054169

Recensione di Marco Storni – 15/05/2012

«Ciò che intendo per creazionismo – scrive Sedley in apertura del suo ultimo lavoro – [è] la tesi per cui la struttura e i contenuti del mondo possono essere adeguatamente spiegati solo postulando almeno un designer intelligente, un dio creatore» (p. 21). Raccogliendo in volume le Sather Lectures tenute a Berkeley nel 2004, infatti, obiettivo primario dell'Autore è di indagare le complesse tesi espresse nell'Antichità (da Anassagora a Galeno) sulle origini del cosmo e della vita. Il viaggio prende inizio dai filosofi Presocratici, 

i primi in ordine di tempo a interrogarsi su tali questioni, le cui dottrine sono però spesso e volentieri assai ardue da ricostruire: la mancanza di testi originali e la frequente problematicità delle testimonianze indirette rende il lavoro dello storico «qualcosa di simile a un campo minato» (p. 30). Contro l'opinione comune che vorrebbe il “programma presocratico” simile a una collezione di tesi materialiste affatto estranee alla teleologia (poiché per primo Platone – al limite preceduto da Diogene di Apollonia – avrebbe colto l'essenza finalistica del reale), Sedley spiega come ciò sia un fraintendimento bello e buono del pensiero greco delle origini: se è vero che da un lato una certa tradizione lato sensu esiodea (influenzata cioè dalle spiegazioni “genealogiche” dell'autore della Teogonia) tendeva a dare per scontata più che a spiegare razionalmente la presenza nel mondo di potenze superiori atte a governarlo, una diversa gamma di autori (comprendente in particolare Anassagora ed Empedocle) si interrogò invece in modo esplicito sui caratteri e modi dell'influsso divino sul mondo. Scrive infatti l'Autore: «che il mondo sia governato da una potenza divina è un presupposto che pervade il pensiero presocratico» (p. 24). 
Il primo capitolo è dedicato alla figura di Anassagora, il più antico campione del creazionismo, definito da Sedley «un pensatore rivoluzionario» (p. 30). La complessa fisica anassagorea descrive l'azione creatrice del nous (l'intelligenza divina) come esplicantesi sopra una preesistente materia (in principio omogenea); un primordiale moto vorticoso, infatti, avrebbe dato secondo il filosofo inizio a una progressiva separazione degli opposti elementi originariamente inclusi nel miscuglio, processo questo che mai però potrà aver fine nel tempo. Riguardo la materia che va a comporre l'universo, dunque, vale la celebre massima «vi è una porzione di tutto in tutto», nel senso che ogni ente ha sì dentro di sé tutte le innumerabili coppie di opposti che costituiscono il reale, ma viene d'altronde determinato nei suoi peculiari caratteri fisici dalle componenti di volta in volta dominanti nelle coppie (chiaro/scuro, leggero/pesante, ecc.). Aspetto interessante di tale teoria è che, in opposizione all'identificazione parmenidea di essere e pensiero, Anassagora radicalizza la separazione tra mente (nous) e mondo (dei corpi): spiega Sedley che «se l'intelligenza fosse “mescolata” […] avrebbe una certa temperatura, un certo grado di umidità, ecc. e ciò la renderebbe soggetta al mutamento fisico» (p. 33); definirla separata significa dunque concepirla libera da qualsivoglia proprietà fisica. Nel prosieguo della trattazione emergono poi molti altri punti di grande rilievo: argomenta l'Autore in modo convincente per la tesi che i ben noti “semi” anassagorei siano «ordinari semi biologici» (p. 35) e che in conseguenza il nous, responsabile del cosmo entro cui essi nascono e crescono (sviluppandosi in realtà per loro propria virtù), altro non possa essere che un agricoltore. Dalle testimonianze emerge perfino che la divina intelligenza crea e regge altri (infiniti) mondi, avendoli tutti in principio strutturati in forma analoga al nostro, per consentire alla vita di germogliare e autonomamente accrescersi al loro interno – facendo Sedley in tal modo comprendere il principio teleologico sotteso alla cosmologia (pur naturalisticamente orientata) del filosofo di Clazomene. Da tutto questo si può perciò concludere, spiega l'Autore, che «Anassagora è un creazionista in un senso molto più forte di quanto Platone sia disposto a riconoscergli» (p. 43).
Il secondo capitolo è invece dedicato ad Empedocle, il quale conduce la questione su di un «territorio più apertamente religioso» (p. 51). Il filosofo siciliano, infatti, teorizza l'esistenza di un ciclo cosmico regolato (a fasi alterne) da due principi divini di natura opposta: Philia (Amore) e Neikos (Contesa); ciascuno di essi è inoltre responsabile di una diversa zoogonia (si parla infatti a proposito di una “doppia zoogonia”). L'azione aggregante di Amore produce in primo luogo un'infinità varietà di viventi (comprendente persino ibridi, demoni, ecc.), parte dei quali viene in seguito dissolta dall'opposta azione di Contesa (l'Autore si occupa poi di chiarire quali siano concretamente i prodotti delle due zoogonie e in quale senso agli occhi di Empedocle il nostro mondo rappresenti una fase del ciclo retta da Neikos). Punto nodale dell'analisi di Sedley è tuttavia il fatto che nel sistema empedocleo la teleologia abbia un ruolo essenziale, notando egli come nei frammenti «Amore [venga] ripetutamente rappresentato come il professionista di un'arte» (p. 67) (più precisamente un carpentiere), i cui prodotti creativi «sono atti chiaramente intelligenti e finalizzati a uno scopo»; allo stesso modo «la creazione da parte di Contesa […] si presenta sotto il segno della disgregazione intelligente» (p. 74). In ultima analisi, Empedocle appare dunque un «creazionista consapevole» (p. 75), nonostante a tratti introduca nel suo modello l'elemento della casualità (il culmine della creazione di Philia parrebbe in effetti presentarsi come un assemblaggio casuale di tutti gli elementi precedentemente creati in modo intelligente e benevolo): si può perciò con certezza concludere come il filosofo presocratico sia contemporaneamente «un pensatore scientifico e religioso» (p. 76).
Il terzo capitolo è incentrato sul creazionismo di Socrate. Dopo un preambolo volto a ridimensionare l'importanza di Diogene di Apollonia nell'elaborazione prima dell'idea di teleologia, Sedley passa al vaglio diverse testimonianze sul personaggio di Socrate, al fine di comprendere in modo soddisfacente l'apporto di questi alla tesi creazionista: punto d'avvio sono dunque i Memorabilia senofontei. «Il Socrate di Senofonte è fondamentalmente un creazionista antiscientifico» (p. 92): a differenza di (e in polemica con) Anassagora ed Empedocle, il celebre ateniese ha infatti proposto una prospettiva più marcatamente antropocentrica e legata all'idea di un benevolo disegno divino atto a reggere le sorti del mondo («non abbiamo qui – si chiede Sedley – il primo caso […] dell'Argument from Design?» [p. 98]); obiettivo di Socrate è quello di dimostrare non solo che un dio esiste, ma che pure è assolutamente buono, e ciò si concretizza in un'agguerrita difesa dell'alternativa creazionista. La testimonianza del Fedoneplatonico pare sostanzialmente accordarsi al racconto senofonteo, se non altro per la presa di distanza di Socrate – esplicita in entrambi i testi – dalle spiegazioni presocratiche, le quali sono accusate dipensare in termini meramente fisici l'origine del cosmo. Si aggiunga soltanto, seguendo l'argomentazione di Sedley, che l'innovativo modus operandisocratico trae fondamentalmente le sue radici dall'ideale etico del filosofo: «fu a partire dalle sue indagini etiche, con la loro concentrazione sull'intelligenza o sulla saggezza come autentica essenza della bontà umana che Socrate propose la sua descrizione teoretica della bontà divina» (p. 103).
Il quarto capitolo è dedicato poi alla figura di Platone; oggetto principale dell'analisi di Sedley è il famoso mito sulla creazione che Timeo narra nell'omonimo dialogo. La disamina dell'Autore parte perciò da una spinosa questione di cosmologia timaica, cui per secoli gli interpreti hanno tentato di rispondere: il dio platonico, ossia il Demiurgo, compie realmente «un atto di creazione» (p. 112)? Dal testo pare emergere – spiega Sedley – che la divinità avrebbe invero dato inizio al cosmo con un atto di ordinamento globale e che le stesse difficoltà concernenti l'idea di una creazione nel tempo (così come, in realtà, di una creazione del tempo) non gettano alcun dubbio sull'assunto di fondo testé accennato: «non è un'esagerazione dire che la risposta affermativa a tale domanda [se il Demiurgo cioè realmente crei il mondo] diventa la base indispensabile per l'intera cosmogonia che ne segue» (p. 119). Il dio è in effetti concepito da Platone come un artigiano, che dà forma perfetta al caos precosmico, le ragioni della cui opera sono nel Timeo ricostruite attraverso dei ragionamenti a priori: il fatto che, ad esempio, esista un solo mondo ed esso sia il migliore di tutti i possibili non trova le sue motivazioni nel modo d'essere di ciò che è creato, ma piuttosto nell'unicità del modello ideale sulla base del quale il mondo stesso è stato plasmato (la “Forma di Animale”). La stessa tendenza (pur circoscritta) della materia bruta ad essere recalcitrante nei confronti del dominio intelligente, nonché il gran problema dell'esistenza del male, non devono essere considerate come falle nel complessivo piano del Demiurgo, disegno che infatti inesorabilmente tende al meglio e ingloba in sé ogni aspetto del reale. Ma dunque il cosmo è perfetto? In certo senso – scrive Sedley – no, perché «tutti gli oggetti generati [sono] mere copie delle Forme e nessuna copia [può] pienamente corrispondere al suo originale» (p. 137), tuttavia in altro senso sì, dal momento che il nostro mondo fisico è certamente «il migliore che si sarebbe potuto creare» (p. 138). Un ultimo paragrafo è dedicato da Sedley alla questione dell'origine delle specie in Platone. Il processo che governa la storia naturale è (al contrario del moderno evoluzionismo) un processo di involuzione e decadimento, nel corso del quale tuttavia le specie possono modificarsi e mutare nei loro caratteri specifici («Empedocle aveva già introdotto la nozione per la quale peli, piume e squame erano equivalenti quanto alla funzione, ma ciò che Platone aggiunge è l'idea di peli che diventano nel corso dell'evoluzione» [pp. 140-1]). Ciò che lega tutte le creature viventi è una ciclica trasmigrazione delle anime in diversi corpi, a seconda dei caratteri specifici della loro condotta nell'esistenza corrente: le anime che più tendono al divino (ossia sono più “filosofiche”) potranno così man mano elevarsi di grado nella grande scala naturae, sino alle soglie della divinità. L'Autore può così concludere che la zoogonia proposta nel Timeo dev'essconsiderata «più scienza che mito», poiché rappresenta «un corrispettivo scientifico miti comuni in quanto colloca la punizione dopo la vita non in un altro mondo mitico ma nello stesso regno naturale» (p. 143). 
Il quinto capitolo tratta invece gli Atomisti (da Democrito a Epicuro e Lucrezio), i primi filosofi che – a dire di Sedley – «elimina[no] a livello primario la causalità intelligente» (p. 145). In opposizione alla tradizione socratica, postulante l'esistenza di un creatore divino (e l'intrinseca bontà di questo), l'atomismo più antico tentava di spiegare l'intero mondo fenomenico attraverso strutture complesse di atomi: il solo ulteriore fattore esplicativo era il vuoto, inteso come posizione positiva del “non-essere” parmenideo. E quali sono dunque, sul piano cosmologico, le concrete conseguenze di simili idee? Spiega l'Autore che «l'universo atomista è infinito in quanto consiste di vuoto infinito che ospita un infinito numero di atomi» (p. 148) e che dunque il casuale aggregarsi di tali atomi nel vuoto produce infiniti mondi, nel cui numero necessariamente ne esisteranno di «infiniti […] » (p. 149). Tale ragionamento, però, non è a livello logico del tutto convincente: un rilevante aggiustamento in questo senso verrà in effetti operato dai più tardi Epicurei. Prima di esporre «l'alternativa epicurea al creazionismo» (p. 161), Sedley passa tuttavia in rassegna le diverse obiezioni rivolte da Epicuro (e dal suo corifeo Lucrezio) alla tradizione creazionistica di matrice socratico-platonica; la disamina che l'Autore conduce (e che in questa sede non può purtroppo essere riproposta) prende avvio da due semplici domande: «in che modo dio avrebbe potuto concepire un mondo prima della sua creazione?» e inoltre «che cosa mai potrebbe aver motivato atto divino di creazione?» (p. 153). Le risposte epicuree consisteranno nel negare qualsiasi atto divino di originaria creazione, nonché ogni benevolo interesse del dio (o degli dei, residenti negli intermundia)verso il cosmo o l'umanità. L'origine dell'universo consisterà allora in un assemblaggio casuale di atomi che daranno per forza di cose luogo a infiniti mondi (secondo il principio distributivo dell'isonomia): ritengono gli Epicurei che «qualsiasi cosa sia possibile è anche reale perlomeno in alcuni infiniti mondi esistenti» (p. 169). E dove sta allora la differenza rispetto al modello democriteo? Posta l'infinità varietà degli atomi ammessa da Democrito, nel suo universo «rimane la reale possibilità che, fra l'infinità dei mondi, neppure due siano composti esattamente degli stessi tipi di atomi nelle stesse proporzioni numeriche» (p. 171) (e così uno spiraglio resterebbe aperto all'ingresso di principi esplicativi extra-materiali); Epicuro e i suoi seguaci, invece, stabilendo un numero finito di possibili forme per gli atomi (o meglio «asserendo che vi è una grandezza matematicamente minima» [p. 172]), riescono dal canto loro a mantenere il numero delle possibili combinazioni atomiche finito. Sedley può perciò concludere: «date le sole premesse che vi è un numero finito di tipi possibili di mondo e che per tutto un universo infinito questi tipi saranno distribuiti secondo uno schema più o meno regolare e reiterato all'infinito, la cosa sembra concludersi felicemente: perfino in assenza di una creazione intelligente, dovevano esserci mondi come il nostro» (p. 176).
Il sesto capitolo ha per oggetto Aristotele e la sua «teleologia cosmica» (p. 203). Nonostante lo Stagirita non sia a rigore un creazionista, Sedley sottolinea vigorosamente l'influsso delle cosmologie (e cosmogonie) socratica e platonica sull'elaborazione delle fondamentali idee metafisiche e biologiche del filosofo. Aristotele, in questo influenzato dal racconto del Timeo (e anzi apparendo in tal circostanza «più platonico dello stesso Platone» [p. 179]) concepisce dio come essere massimamente felice e dunque (platonicamente) dedito alla sola contemplazione: ciò lo conduce però a negare alla divinità il ruolo di amministratore e concreto reggitore del mondo; i viventi terreni, dal canto loro, semplicemente si sforzano di emulare la perfezione di quel modello supremo. Malgrado la natura non sia creazione divina (l'universo nella sua interezza è infatti eterno), tuttavia essa «è sufficientemente analogaa un'opera nel suo funzionamento da far sì che molta della luce diffusa da Platone [con la sua dottrina creazionista] si conservi» (pp. 183-184). Analizzando i principi della fisica aristotelica (e in primis dottrina delle quattro cause), l'Autore riesce perciò a mostrare che – nonostante i grossi limiti e debolezze dell'analogia medesima – lo Stagirita riesce in fondo a sostenere efficacemente «la presenza in natura di strutture non deliberative ma nondimeno finalistiche» (p. 191). Dopo aver sviscerato gli argomenti anti-atomistici tramite cui Aristotele cerca di mostrare la compatibilità di “necessità” e “caso” (o “fortuna”) con l'elemento teleologico, Sedley si sofferma sul rapporto tra strutture finalistiche universali e particolari (ossia tra quelle proprie del cosmo e quelle invece peculiari all'individuo) argomentando in favore della netta priorità delle prime sulle seconde (e pervenendo dunque all'idea – anch'essa di matrice platonica – che «la teleologia biologica dipende da una precedente teleologia cosmica» [p. 205]). Una speciale attenzione è rivolta infine alla teorizzazione aristotelica di una scala naturale nettamente antropocentrica, la quale parrebbe a tutta prima collocarsi in una prospettiva più ristretta di quella (“universalizzante”) precedentemente posta come prioritaria (Sedley si prodiga in ogni caso a illustrare la non conflittualità di ciò con il «livell[o] di spiegazione globale»). L'Autore può così concludere che, in generale, l'eccezionale contributo dello Stagirita «alla filosofia della biologia deve la sua prima ispirazione alla teoria creazionista che egli studiò nella scuola di Platone» (p. 210).
Il settimo capitolo è incentrato sugli Stoici. L'attenzione di Sedley è principalmente rivolta alle argomentazioni stoiche «sulla creazione intelligente e sul governo del mondo» (p. 211), dal momento che molti di questi – rifacendosi in particolare al pensiero di Socrate e di Platone – hanno variamente sostenuto che il mondo esistente sia il migliore possibile e che in esso sia sempre operante una divina causalità teleologicamente orientata. La prospettiva – comune ai maggiori filosofi della Stoà – che accosta una materia assolutamente inerte ed un principio immanente di carattere e razionale, il quale opera a tutto campo su di essa (idea che notoriamente conduce ad un rigido determinismo, se non al fatalismo), deve in gran parte le sue origini – spiega l'Autore – ad una rilettura e reinterpretazione di alcune tesi socratico-platoniche sull'origine del cosmo; il formidabile passo concettuale operato dagli Stoici è da Sedley illustrato (secondo un procedimento difficilmente riproducibile in questa sede) all'interno dei paragrafi: «Appropriarsi di Socrate» (p. 218) e «Appropriarsi di Platone» (p. 229). Allo stesso tempo significativo è anche il pensiero espresso dai filosofi stoici sui beneficiari ultimi della creazione, gli uomini: assai complesso è infatti, nota Sedley, conciliare una prospettiva fortemente antropocentrica del cosmo («l'identificare i beneficiari ultimi del disegno del mondo nei suoi residenti umani è senz'altro una caratteristica primaria del pensiero stoico» [p. 233]) con l'altrettanto essenziale idea che «i nostri interessi individuali non sono mai chiusi in se stessi ma sempre uniti in modo inestricabile a quelli del mondo nel suo complesso» (p. 237). Nonostante tuttavia su questo specifico punto sia difficile trovare una soluzione che non conduca la dottrina stoica in contraddizione (in tal senso illuminante è l'obiezione dello scettico Carneade), Sedley conclude il suo resoconto notando come «il comune lascito degli Stoici e degli avversari loro contemporanei» sia piuttosto l'articolazione del dibattito sulla creazione «in una rete abilmente ragionata di argomenti e controargomenti» (p. 240).
L'Epilogo del volume presenta alcune considerazioni sul creazionismo svolte da Galeno nel trattato De usu partiumAncora una volta riprendendo Platone e Aristotele, il celebre medico sviluppa la tesi (ancora una volta in polemica con l'“empia” tradizione atomistica e materialistica) che qualunque cosa ci sia stata fornita – l'esempio addotto è quello dei peli sul corpo – «riflette la migliore decisione possibile da parte del nostro creatore» (p. 243). Lo scienziato e filosofo, tuttavia, richiamandosi stavolta all'esempio di Socrate, trova in fondo privo di senso addentrarsi in una speculazione filosofica intorno alle origini dell'universo e alla struttura causale della realtà: «Galeno conosce, sfrutta e porta avanti la tradizione del creazionismo pagano come nessuno prima di lui e lo fa con tutta l'abilità e la perspicacia di un esperto scienziato. Eppure nel suo ritorno al distacco socratico delle scienze teoretiche, nello stesso tempo, sta ripensando il vero significato di quella tradizione» (p. 245). Ciò vuole probabilmente indicare che l'interrogazione sulla generazione di tutte le cose, nonostante le ragioni (soprattutto scientifiche) che possano favorire l'una o l'altra idea, resta una questione aperta, un vivo problema, la cui soluzione mai potrà dichiararsi con sicurezza definitiva e mai potrà fondarsi su una certezza assoluta. Il serbatoio concettuale e argomentativo che contraddistingue il mai concluso dibattito antico intorno alle origini dell'universo è perciò un modello filosofico e scientifico cui anche al giorno d'oggi è utile guardare quale modello di ricerca aperta e di impegno intellettuale: un dibattito ricco di perspicaci ragionamenti e profondissime intuizioni sull'uomo e la realtà che lo circonda. Scrive infatti Sedley, in chiusura del volume: «per questi doni rimarremo sempre in debito con loro [gli Antichi]» (p. 246).
L'edizione italiana di Creazionismo è arricchita inoltre da una Postfazione (Il debito con gli antichi) di Francesco Verde (traduttore e curatore del volume), attraverso la quale è reso al lettore un affresco complessivo delle principali tesi proposte da Sedley nel volume. Verde ripercorre i principali nodi concettuali del testo, corredando tale esposizione di preziose (e numerose) indicazioni bibliografiche. Nel congedarsi dal lettore, egli poi a pieno titolo afferma: «la chiarezza esplicativa, la densità delle tematiche affrontate, nonché la ricca e aggiornata nota bibliografica finale rendono quest'opera un indiscutibile punto di riferimento per chiunque intenda seriamente approfondire la genesi del creazionismo e le sue radici antiche» (p. 263).


Indice

Prefazione all’edizione italiana

Ringraziamenti

Prefazione

1. Anassagora
  1. Il programma presocratico
  2. La cosmologia di Anassagora
  3. Il potere del 
  4. Sole e luna
  5. Mondi e semi
   6. Il come creatore
  7. Creazionismo scientifico
  Appendice. La teoria della materia di Anassagora

2. Empedocle
  1. Il ciclo cosmico
  2. La doppia zoogonia
  3. Discorso creazionista
  4. Disegno e accidente
  Appendice 1. La doppia zoogonia rivisitata
  Appendice 2. La cronologia del ciclo
  Appendice 3. Dove siamo nel ciclo?
  Appendice 4. Una testimonianza lucreziana della zoogonia di Empedocle

3. Socrate
  1. Diogene di Apollonia
  2. Socrate in Senofonte
   3. Socrate nel di Platone
  4. Una sintesi storica

4. Platone
  1. Il mito del 
  2. Introduzione al 
  3. Un atto di creazione?
  4. Abilità artigianale divina
  5. Il mondo è perfetto?
  6. L’origine delle specie

5. Gli Atomisti
  1. Democrito
  2. La critica epicurea del creazionismo
  3. L’alternativa epicurea al creazionismo
  4. L’infinito epicureo

6. Aristotele
  1. Dio come paradigma
  2. L’analogia con l’arte
  3. Necessità
  4. Esiti fortuiti
  5. Teleologia cosmica
  6. Il platonismo di Aristotele

7. Gli Stoici
  1. Lo Stoicismo
  2. Una finestra sulla teologia stoica
  3. Appropriarsi di Socrate
  4. Appropriarsi di Platone
  5. A beneficio di chi?

Epilogo. Una prospettiva galenica

Note

Bibliografia

Index Locorum

Indice dei nomi

15 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

L'originario lavoro di David Sedley, cui si riferisce recensore di sua Opera attraverso unilaterale-parziale traduzione, non verte sulla identità del pensiero di antichi greci ma su antichità greche quali retaggi ed eredità culturali, per questo tal lavoro, cui validità si può dedurre anche con attenta considerazione del titolo originale e da lettura di indice del libro, non è inficiato da interpretazioni storiche inavvedute né quindi da imprecisioni e confusione tra Evi; invece la scelta del traduttore espone il lettore ad ambiguità divisa tra due alternative estreme, una purtroppo subculturale, l'altra filologica e dunque onerosa perché si tratta in tutta evidenza di lavoro che con la subculturalità non ha intenti comuni e nondimeno fatto per essere il più semplice e immediato possibile.

La recensione risulta tale se riferita a solo testo non originale e nella traduzione specificata in recensione stessa dove però non si trova alcun avvertimento della difformità non neutrale della traduzione ed in effetti si nota che il recensore non ne sospetta, rivelando di agire entro evento di netta separazione storica ma assieme a persuasione storica di conformità tra modernità ed antichità e questo è accettabile solo per quel mondo che è costretto a trattare le memorie della Grecia quali enigmi peraltro enunciati in forme linguistiche moderne che offrono per palese stesse formali assurdità un vago debolissimo tramite possibile al passato greco di religione, filosofia, scienza, tecnica; senonché tal mondo in Italia non ha alcunché di abbastanza comune per esser ospitato in un linguaggio di traduzione filosofica e di relativa recensione.

Parte degli studi occidentali universitari, dall'America all'Europa al Nord Africa, hanno rasentato la subculturalità ed in Francia hanno trovato un registro semantico che consente identificabilità accademica e che è espresso dal termine internazionale "pop". La traduzione in questione non ha valore accademico ma ciò nonostante è definibile "pop" e ciò permette di poterne intuire parzialità e unilateralità circostanziatamente a partire da esito già determinante di titolo tradotto.
Fuor di polemiche politiche va riconosciuta alla universitarietà "pop" funzione di chiarificare propri limiti e limiti di realtà culturali attinenti; ma non solo politicamente-apartiticamente ma pure apoliticamente si scorge penuria di condizioni culturali in riferimento a medesimi valori culturali coinvolti; eppure se in Occidente non è accaduto che l'Alta Cultura evitasse analogie di Bassa Cultura ciò è dipeso da necessità diverse, della America indoeuropea ed indiana-europea che ne pratica socialmente felicemente e di realtà arabeggiante anche europea che provvisoriamente sa convivere con tali analogie; oltre codeste parallelità e codesti parallismi il registro culturale "pop" è sottoposto ad inevitabili negazioni e non tutte polemiche anche solo distintive ma quest'ultimo non è il caso di tale traduzione.

Il fatto che l'Autore della pubblicazione recensita operi in regime culturale di comunicazione-comunicabilità tra cultura popolare ed eletta culturalità, non è ragione sufficiente per negare manifestazione ai suoi messaggi che sia non popolarmente comunicata-comunicabile; del resto si può anche dire della difficoltà di tanta cultura italiana a districarsi tra i meandri di una subculturalità prepotente ed invadente ai danni delle memorie storiche.

Di fatto o con o senza etica responsabilità di chi ha tradotto, la difformità, evidentemente, della traduzione prospetta per una lettura proficua un lavoro di decifrazione e recupero che riesce solo se si avvale di intuizioni aggiunte o di previe conoscenze e nessuna postfazione potrebbe mutare intero quadro culturale ed intellettuale che ho esposto. Dunque la edizione di F. Verde può interessare e non per suo pregio critici integerrimi o prudenti curiosi ma conoscendo lingua inglese tanto meglio sarebbe legger l'originale direttamente.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Reinvierò testo del mio messaggio precedente migliorato e provvisto di correzione a parola con pezzo mancante.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Testo riveduto:

*

L'originario lavoro di David Sedley, cui si riferisce recensore di sua Opera attraverso unilaterale-parziale traduzione, non verte sulla identità del pensiero di antichi greci ma su antichità greche quali retaggi ed eredità culturali, per questo tal lavoro, cui validità si può dedurre anche con attenta considerazione del titolo originale e da lettura di indice del libro, non è inficiato da interpretazioni storiche inavvedute né quindi da imprecisioni e confusione tra Evi; invece la scelta del traduttore espone il lettore ad ambiguità divisa tra due alternative estreme, una purtroppo subculturale, l'altra filologica e dunque onerosa perché si tratta in tutta evidenza di lavoro che con la subculturalità non ha intenti comuni e nondimeno fatto per essere il più semplice e immediato possibile.

La recensione risulta tale se riferita a solo testo non originale e nella traduzione specificata in recensione stessa dove però non si trova alcun avvertimento della difformità non neutrale della traduzione ed in effetti si nota che il recensore non ne sospetta, rivelando di agire entro evento di netta separazione storica ma assieme a persuasione storica di conformità tra modernità ed antichità e questo è accettabile solo per quel mondo che è costretto a trattare le memorie della Grecia quali enigmi peraltro enunciati in forme linguistiche moderne che offrono per palese una ricorrenza di formale assurdità, vago debolissimo tramite possibile al passato greco di religione, filosofia, scienza, tecnica; senonché tal mondo in Italia non ha alcunché di abbastanza comune per esser ospitato in un linguaggio di traduzione filosofica e di relativa recensione.

Parte degli studi occidentali universitari, dall'America all'Europa al Nord Africa, hanno rasentato la subculturalità ed in Francia hanno trovato un registro semantico che consente identificabilità accademica e che è espresso dal termine internazionale "pop". La traduzione in questione non ha valore accademico ma ciò nonostante è definibile "pop" e ciò permette di poterne intuire parzialità e unilateralità circostanziatamente a partire da esito già determinante di titolo tradotto.
Fuor di polemiche politiche va riconosciuta alla universitarietà "pop" funzione di chiarificare propri limiti e limiti di realtà culturali attinenti; ma non solo politicamente-apartiticamente ma pure apoliticamente si scorge penuria di condizioni culturali in riferimento a medesimi valori culturali coinvolti; eppure se in Occidente non è accaduto che l'Alta Cultura evitasse analogie di Bassa Cultura ciò è dipeso da necessità diverse, della America indoeuropea ed indiana-europea che ne pratica socialmente felicemente e di realtà arabeggiante anche europea che provvisoriamente sa convivere con tali analogie; oltre codeste parallelità e codesti parallellismi il registro culturale "pop" è sottoposto ad inevitabili negazioni e non tutte polemiche anche solo distintive ma quest'ultimo non è il caso di tale traduzione.

Il fatto che l'Autore della pubblicazione recensita operi in regime culturale di comunicazione-comunicabilità tra cultura popolare ed eletta culturalità, non è ragione sufficiente per negare manifestazione ai suoi messaggi che sia non popolarmente comunicata-comunicabile; del resto si può anche dire della difficoltà di tanta cultura italiana a districarsi tra i meandri di una subculturalità prepotente ed invadente ai danni delle memorie storiche.

Di fatto o con o senza etica responsabilità di chi ha tradotto, la difformità, evidentemente, della traduzione prospetta per una lettura proficua un lavoro di decifrazione e recupero che riesce solo se si avvale di intuizioni aggiunte o di previe conoscenze e nessuna postfazione potrebbe mutare intero quadro culturale ed intellettuale che ho esposto. Dunque la edizione di F. Verde può interessare e non per suo pregio critici integerrimi o prudenti curiosi ma conoscendo lingua inglese tanto meglio sarebbe legger l'originale direttamente.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

I filosofi greci antichi cosiddetti fisici facevano quel che oggi si direbbe cosmologia ma senza tale logica specifica e solo con le conoscenze della indagine filosofica e questa non era ingenuità e inconcludenza ma esperienza del cosmo non mediata da logica ma da essa seguita, una attività insostituibile che l'irrazionalismo filosofico moderno ha fatto riemergere ove occultata da critiche indebite e falsi racconti (propriamente e giustamente si dice irrazionalismo filosofico la filosofia contemporanea che attua e considera decisione filosofica non solo razionalità filosofica). Con Parmenide e la scuola di Elea tale prospettiva intellettuale era stata conchiusa ma non conclusa e fu superata ma non terminata, tanto che se ne trovava (e se ne trova) in Socrate, Platone, Aristotele stessi ed in stessi socratici, platonici, aristotelici antichi.
Entro tali eventi culturali non esistevano le opposizioni culturali della filosofia sorte durante epoca medioevale e continuate nella epoca moderna; ne erano corrispondenti differenziazioni che erano ampliamenti di interessi mai filosoficamente divergenti.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Durante la disputa medioevale, culturale-religiosa in fin dei conti, tra averroisti ed antiaverroisti, intorno alla Unità dell'Intelletto, che argomentava circa cosmologia ingenua e teologia internamente a costruzioni culturali e linguistiche in divenire, e dopo fino ai contrasti culturali moderni tra creazionisti ed evoluzionisti, solo in America subculturalmente radicalizzatisi tra oscurantisti e scientisti e terminati in nulla di fatto invece altrove resisi marginali prima e con varietà di altri risultati ma unica soluzione in distinzione non separazione di àmbiti, non c'era stata e non c'era e non ci è stata manifestazione attiva dell'originario pensiero greco che potesse o volesse recare determinanti affermazioni e negazioni.

Recentemente il 'Ritorno agli Antichi' ha trovato nel pensiero di Anassagora un interesse indubbio ma non essendo stato sempre anche 'Ritorno degli Antichi' non ha potuto sempre coglierne la autentica saggezza. Inoltre questa precisazione non trova alcuna comprensione attraverso la considerazione subculturale che fantasiosamente arbitrariamente si figura il vero Anassagora ed il suo reale pensiero sulla Mente cosmica quali mentalità enciclopedica esorbitante ovvero ricettività psichica rara e intuizione primitiva di fede monoteista senza adesione, anche perché ai tempi di Anassagora non era possibile alcuna mentalità enciclopedica né di tipo enciclopedico per i greci.

Nella filosofia cosiddetta fisica antica non esisteva alcun dissidio tra spiritualità e materialità né tra scienza e religione e non poteva esisterne perché le intuizioni cosmiche recando logica non ne sono i prodotti e non possono generare tali dissidi neanche se particolari.

Quella di Anassagora non era intuizione particolare bensì generale. La Mente tale quale da egli descritta fu di ispirazione culturale per la teologia greca medioevale, bizantina, che era di religione naturale cioè esente da polemiche culturali atee o gnostiche. Tale teologia si fondava sulle spontaneità naturali prima che civili ed era priva di costruzioni dogmatiche ma includeva ricorrenze dogmatiche senza includerne espressioni particolari cioè accettava i dogmi se direttamente manifestazioni di indicibilità, dalla forma allegorica prima che simbolica, altrimenti no.

Per la cultura bizantina non ha senso affermare che Dio ha creato il mondo, ha od avrebbe senso negare che il mondo non è stato creato da Dio; e la attività del medico filosofo greco Galeno non è spiritualmente conoscibile fuor di tale cultura o fuor di suo mondo culturale né materialmente identificabile da prospettiva culturale aliena dalla fisica filosofica greca antica.

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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE :
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Galeno non fu praticante della moderna attività professionale medica basata sugli studi delle scienze ma ne prospettava il futuro, egli limitandosi a studi specialmente di geometria euclidea con scopo filosofico e filosofico medico ma non soltanto medico, infatti risulta che restò il suo mestiere di medico basato sulle conoscenze degli elementi cosmici e non fu mai medico professionista pur definendo il moderno futuro della professione medica in Occidente. Per ambienti greci si limitò a concezioni mediche non proprie, specialmente di stesso Ippocrate, per ambienti non greci ne applicò di proprie, per gli ambienti misti od incerti applicò variamente entrambi.

Di studi euclidei direttamente in medicina ne aveva preventivato futura necessità meditando sulle condizioni di vita dei gladiatori e degli ambienti dei gladiatori e giungendo a drastica conclusione di possibile futuro decadimento psicofisico di vasta parte della umanità non greca e non raggiunta o non raggiungibile dalla saggezza greca. Ciò non deve sembrare indicazione di luoghi remoti alla civiltà ma tutt'altro, di luoghi di raffinata ed evolutissima civiltà separata da mondo naturale, il che attualmente è gravissima condizione poco nota di tanta civiltà africana ex tribale od americana post selvaggia ma non di Europa né di Eurasia e quasi per niente di Asia né di Oceania.

La geometria gli serviva per apprestare terapie non medicine ai gladiatori, della vita dei quali si avvide che ne esisteva altra in tutto simile in situazioni ordinarie e non meno disperante o triste e per il futuro più inquietante. Di attuali abitudini di vita ed anche di moltitudini si ha notizia corrispondente alle preoccupazioni di Galeno specialmente attraverso comunicazioni di Villaggio Globale che oltre a dare avviso di scarse attenzioni alla integrità fisica — cosa diversa dalla libera e consapevole sopportazione di contusioni, lesioni, ferite — offrono descrizione di inconcludenze mentali ostinate — cosa differente dall'ingegno multiforme e dalle diversificate capacità. In Occidente e non solo in Occidente per esempio gli usi di pendagli perforanti e di tatuaggi abitudinari invasivi sono stati frequenti fin quasi ad inverosimile e abbondano fin ad inverosimilità mancate presenze e distrazioni importanti, addirittura genitoriali, e le imitazioni insensate ed insane sono spesso tragicamente assai evidenti.

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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE :
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Galeno oltre a quadri di anatomia compose anche prospetti di mentalità che non vanno confusi per descrizione di mente. Quanto da lui evidenziato di umana medietà se ne ritrova, nella modernità, in qualità di umanistica eredità o retaggio di umanesimo, direttamente o indirettamente, in pensiero pre-antropologico ed antropologico (studi di Schelling, di Kant; la antropologia della tecnica dell'atto medico)
Galeno studiò la medietà, di pertinenza anche medica, secondo premesse scientifiche della geometria del suo tempo e quindi badandosi sulla attenzione principale a densità e durezze. In questo era debitore a Platone: nelle notazioni sulle azioni di materie e sulle inazioni di energie. Per gli interessi, terapeutici nonché medici a favore dei gladiatori e medici a favore di difficoltà mentali maggiori di non grecità futura, ciò bastava quale conoscenza psicosomatica, ma ciò non era direttamente per medicina.

Galeno sapeva bene che i problemi mentali maggiori non sono di stesse distrazioni ed assenze né poteva descrivere quadri precisi per il futuro che riguardassero le menti e dunque offriva agli antichi gladiatori modi per badare diversamente alle cose materiali ed agli attuali ambienti in difficoltà di attività mentali offriva una previa utile indicazione di rapporti tra materialità e non materialità.

Le forme che descriveva erano eminentemente diagnosi direttamente basate su esperienze filosofiche non teorie scientifiche.
La subcultura le tratta da schemi cui attribuisce inesistente scientificità e la cultura storicamente inavveduta e sottoposta ad influenze subculturali purtroppo con conseguenze anche per la cultura enciclopedica recente e recentissima (non più tutta in grado neanche di redarre con puntuale esattezza semplici biografie!) retrodata in antichità i progressi fatti compiere da Galeno ai moderni e riformula teorie scientifiche moderne usate in medicina in linguaggio di sue diagnosi e con ciò parendo a taluni ulteriori fraintenditori non autentiche molte teorie delle scienze moderne.

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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE :...

Galeno era avveduto del fallimento etico di vasta parte della umanità e certo quale medico non redasse mai ordini morali tuttavia impartiva e lasciò impartizioni di consigli medici muniti di opzioni morali, consistenti in esortazioni a consapevolezza di aberrazioni civili e rifiuto di eccessi civili ed assensi a sane inciviltà. Ciò poteva servire alla grecità per non disperdersi e mutare in altro dietro false ed insane illusioni ma non era affermazione di superiorità, restando sempre pratica utile e mai teoria di primati.
Divennero questi lasciti la preistoria della moderna etica medica professionale, perché i problemi etici della professione medica moderna derivavano in parte decisiva da questioni meramente civili ed in verità più gravi anche se non più spiacevoli in Africa che altrove, dove le Colonie europee erano detentrici di saperi scientifici da potersi usare per la medicina ma dove tali saperi scientifici fuori dagli ambienti coloniali erano spesso fraintensi o malintesi.
Le Opere di Galeno dalla cultura greca erano passate alla cultura araba ed in Africa le sue notazioni etiche erano utili e comprensibili; tuttavia la lingua araba diversificandosi in vasti ambienti ne separò vero e proprio retaggio da eredità, questa ultima utilizzata poi dimenticata o non utilizzata più e non sempre ricordata, tutto ciò presso arabi ignari di pensiero gteco e vita greca. Molte culture occidentali ne persero il retaggio restandone con eredità parziale o restandone senza, ciò perlopiù accadendo per rifiuti moralistici ed inadempienze etiche più radicali delle antiche, già senza comunque potersi avvalere di stesse eredità e con altrui retaggi banditi con scherno e disistime. In Europa queste contrarietà risultarono evidenti in tempi recenti, nei pregiudizi contro la psicoterapia e contro l'apporto culturalmente fattivo dato allo sviluppo della psichiatria dalla cultura teutonica e dai germanesimi (*).

* Notissimo e spesso mal interpretato fino ad accanimento il volontario rifiuto di Sigmund Freud di applicarsi alla conoscenza dei nuovi progressi scientifici teorici attuati da C. G. Jung con la sua psicoanalisi, rifiutata solo perché espressa secondo elementi culturali tipici della Svizzera Tedesca e della cultura teutonica. Sigmund Freud era diventato ostile, da scienziato-ricercatore neurologo qual era, al progresso della psicologia scientifica anche perché non amava pensare a debolezze intrinseche di tante provvisorie civiltà orientaleggianti in Europa e tentando di ristabilirne i poteri descrivendo un disagio in verità esistente proprio nel vivere civile da lui amato fino a negarne gli altri e fino a formulazioni di programmi ed ipotesi di ricerche scientifiche inattuabili che restarono titoli ad effetto ed affermazioni leggendarie che non tutta la cultura potè riconoscere a causa di violenti disconoscimenti della subculturalità antioccidentale.)

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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE :...

Galeno era avveduto del fallimento etico di vasta parte della umanità e certo quale medico non redasse mai ordini morali tuttavia impartiva e lasciò impartizioni di consigli medici muniti di opzioni morali, consistenti in esortazioni a consapevolezza di aberrazioni civili e rifiuto di eccessi civili ed assensi a sane inciviltà. Ciò poteva servire alla grecità per non disperdersi e mutare in altro dietro false ed insane illusioni ma non era affermazione di superiorità, restando sempre pratica utile e mai teoria di primati.
Divennero questi lasciti la preistoria della moderna etica medica professionale, perché i problemi etici della professione medica moderna derivavano in parte decisiva da questioni meramente civili ed in verità più gravi anche se non più spiacevoli in Africa che altrove, dove le Colonie europee erano detentrici di saperi scientifici da potersi usare per la medicina ma dove tali saperi scientifici fuori dagli ambienti coloniali erano spesso fraintensi o malintesi.
Le Opere di Galeno dalla cultura greca erano passate alla cultura araba ed in Africa le sue notazioni etiche erano utili e comprensibili; tuttavia la lingua araba diversificandosi in vasti ambienti ne separò vero e proprio retaggio da eredità, questa ultima utilizzata poi dimenticata o non utilizzata più e non sempre ricordata, tutto ciò presso arabi ignari di pensiero gteco e vita greca. Molte culture occidentali ne persero il retaggio restandone con eredità parziale o restandone senza, ciò perlopiù accadendo per rifiuti moralistici ed inadempienze etiche più radicali delle antiche, già senza comunque potersi avvalere di stesse eredità e con altrui retaggi banditi con scherno e disistime. In Europa queste contrarietà risultarono evidenti in tempi recenti, nei pregiudizi contro la psicoterapia e contro l'apporto culturalmente fattivo dato allo sviluppo della psichiatria dalla cultura teutonica e dai germanesimi (*).

* Notissimo e spesso mal interpretato fino ad accanimento il volontario rifiuto di Sigmund Freud di applicarsi alla conoscenza dei nuovi progressi scientifici teorici attuati da C. G. Jung con la sua psicoanalisi, rifiutata solo perché espressa secondo elementi culturali tipici della Svizzera Tedesca e della cultura teutonica. Sigmund Freud era diventato ostile, da scienziato-ricercatore neurologo qual era, al progresso della psicologia scientifica anche perché non amava pensare a debolezze intrinseche di tante provvisorie civiltà orientaleggianti in Europa e tentando di ristabilirne i poteri descrivendo un disagio in verità esistente proprio nel vivere civile da lui amato fino a negarne gli altri e fino a formulazioni di programmi ed ipotesi di ricerche scientifiche inattuabili che restarono titoli ad effetto ed affermazioni leggendarie che non tutta la cultura potè riconoscere a causa di violenti disconoscimenti della subculturalità antioccidentale.

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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In penultimo ultimo messaggio v'era parentesi di troppo e ho inviato testo corretto in ultimo messaggio.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In ultimo invio ed in invio uguale precedente 'pensiero gteco' sta per: pensiero greco.

Reinvierò testo corretto per agio di lettura.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE :...

Galeno era avveduto del fallimento etico di vasta parte della umanità e certo quale medico non redasse mai ordini morali tuttavia impartiva e lasciò impartizioni di consigli medici muniti di opzioni morali, consistenti in esortazioni a consapevolezza di aberrazioni civili e rifiuto di eccessi civili ed assensi a sane inciviltà. Ciò poteva servire alla grecità per non disperdersi e mutare in altro dietro false ed insane illusioni ma non era affermazione di superiorità, restando sempre pratica utile e mai teoria di primati.
Divennero questi lasciti la preistoria della moderna etica medica professionale, perché i problemi etici della professione medica moderna derivavano in parte decisiva da questioni meramente civili ed in verità più gravi anche se non più spiacevoli in Africa che altrove, dove le Colonie europee erano detentrici di saperi scientifici da potersi usare per la medicina ma dove tali saperi scientifici fuori dagli ambienti coloniali erano spesso fraintensi o malintesi.
Le Opere di Galeno dalla cultura greca erano passate alla cultura araba ed in Africa le sue notazioni etiche erano utili e comprensibili; tuttavia la lingua araba diversificandosi in vasti ambienti ne separò vero e proprio retaggio da eredità, questa ultima utilizzata poi dimenticata o non utilizzata più e non sempre ricordata, tutto ciò presso arabi ignari di pensiero greco e vita greca. Molte culture occidentali ne persero il retaggio restandone con eredità parziale o restandone senza, ciò perlopiù accadendo per rifiuti moralistici ed inadempienze etiche più radicali delle antiche, già senza comunque potersi avvalere di stesse eredità e con altrui retaggi banditi con scherno e disistime. In Europa queste contrarietà risultarono evidenti in tempi recenti, nei pregiudizi contro la psicoterapia e contro l'apporto culturalmente fattivo dato allo sviluppo della psichiatria dalla cultura teutonica e dai germanesimi (*).

* Notissimo e spesso mal interpretato fino ad accanimento il volontario rifiuto di Sigmund Freud di applicarsi alla conoscenza dei nuovi progressi scientifici teorici attuati da C. G. Jung con la sua psicoanalisi, rifiutata solo perché espressa secondo elementi culturali tipici della Svizzera Tedesca e della cultura teutonica. Sigmund Freud era diventato ostile, da scienziato-ricercatore neurologo qual era, al progresso della psicologia scientifica anche perché non amava pensare a debolezze intrinseche di tante provvisorie civiltà orientaleggianti in Europa e tentando di ristabilirne i poteri descrivendo un disagio in verità esistente proprio nel vivere civile da lui amato fino a negarne gli altri e fino a formulazioni di programmi ed ipotesi di ricerche scientifiche inattuabili che restarono titoli ad effetto ed affermazioni leggendarie che non tutta la cultura potè riconoscere a causa di violenti disconoscimenti della subculturalità antioccidentale.

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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE :

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Tuttavia il messaggio di Galeno fu tramandato anche dalla cultura e lingua latine, tanto che gli attuali fraintendimenti subculturali sono in parte decisiva anche fraintendimenti linguistici su termini italiani ellenici quali: patologia, diagnosi, filosofia, geometria... , ma in altra parte decisiva anche su altri termini italiani, perché il contenuto del suo messaggio ha tradizioni dirette anche latine ed il confronto con esso in realtà linguistiche neolatine quali quella italiana accade tramite mentalità latina-neolatina ed in particolare si avvale di grecità italiana non solo ellenica. Si può notare che i fraintenditori fanno uso limitato-limitante di lessico italiano greco non ellenico cioè italiano autoctono, dunque non solo cadendo in sconfortanti e disastrose continue imprecisioni su terminologia scientifica italiana ma anche usando lessicografia inerente persone ed appartenenze personali ed etniche con scoraggiante e disastrosa confusione, per cui confusivamente dicendo di Galeno dicon di certa etnia greca e dicendo che era un greco dicono di lui solamente, e ciò accadendo con giochi di false complete comprensioni di letture cioè a livello eminentemente lessicografico. La imprecisione e faziosità di certi approcci mediterranei non di per sé italiani alla cultura anglosassone e lingua inglese pur attenuando i disastri nondimeno li continua proprio perché la attenuazione non impedisce alla ostinazione di riuscire. È in ciò ravvisabile a sua volta stessa avversione contro il messaggio di Galeno, senza però le informazioni minime per impedirne prontezza. E tali asti sia pur tanto lenti sono da un ambiente subculturale pervasivo ed oltremodo impedente ai danni degli sforzi di ricostruzioni delle verità perdite del passato, che a volte in casi di violenza estrema si possono recuperare solo per distacco da stesse culture della infanzia, dato che la violenza subculturale a volte influenza negativamente anche spontanee pronunce infantili di sillabe, che pure culturali sono perché non esiste solo la cultura non spontanea e l'essere umano ha una potenzialità culturale minima naturalmente per cui la prepotenza subculturale che ho descritto è antiecologico disconoscimento di potere naturale umano universale anche insito in ciascun essere umano anche se variamente disponibile in pratica.
(Per tali ed altri motivi ritengo che questi miei resoconti su questa recensione a questo libro di David Sedley siano utilissimi anzi preziosi.)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Nel messaggio ultimo precedente 'verità perdite' sta per: verità perdute.

Per agio di lettura reinvierò messaggio, con testo corretto.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE :

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Tuttavia il messaggio di Galeno fu tramandato anche dalla cultura e lingua latine, tanto che gli attuali fraintendimenti subculturali sono in parte decisiva anche fraintendimenti linguistici su termini italiani ellenici quali: patologia, diagnosi, filosofia, geometria... , ma in altra parte decisiva anche su altri termini italiani, perché il contenuto del suo messaggio ha tradizioni dirette anche latine ed il confronto con esso in realtà linguistiche neolatine quali quella italiana accade tramite mentalità latina-neolatina ed in particolare si avvale di grecità italiana non solo ellenica. Si può notare che i fraintenditori fanno uso limitato-limitante di lessico italiano greco non ellenico cioè italiano autoctono, dunque non solo cadendo in sconfortanti e disastrose continue imprecisioni su terminologia scientifica italiana ma anche usando lessicografia inerente persone ed appartenenze personali ed etniche con scoraggiante e disastrosa confusione, per cui confusivamente dicendo di Galeno dicon di certa etnia greca e dicendo che era un greco dicono di lui solamente, e ciò accadendo con giochi di false complete comprensioni di letture cioè a livello eminentemente lessicografico. La imprecisione e faziosità di certi approcci mediterranei non di per sé italiani alla cultura anglosassone e lingua inglese pur attenuando i disastri nondimeno li continua proprio perché la attenuazione non impedisce alla ostinazione di riuscire. È in ciò ravvisabile a sua volta stessa avversione contro il messaggio di Galeno, senza però le informazioni minime per impedirne prontezza. E tali asti sia pur tanto lenti sono da un ambiente subculturale pervasivo ed oltremodo impedente ai danni degli sforzi di ricostruzioni delle verità perdute del passato, che a volte in casi di violenza estrema si possono recuperare solo per distacco da stesse culture della infanzia, dato che la violenza subculturale a volte influenza negativamente anche spontanee pronunce infantili di sillabe, che pure culturali sono perché non esiste solo la cultura non spontanea e l'essere umano ha una potenzialità culturale minima naturalmente per cui la prepotenza subculturale che ho descritto è antiecologico disconoscimento di potere naturale umano universale anche insito in ciascun essere umano anche se variamente disponibile in pratica.
(Per tali ed altri motivi ritengo che questi miei resoconti su questa recensione a questo libro di David Sedley siano utilissimi anzi preziosi.)

MAURO PASTORE