lunedì 22 aprile 2013

Furlanetto, Claudia, Villata, Eliana (a cura di), Animali, uomini e oltre. A partire da La bestia e il sovrano di Jacques Derrida

Milano, Mimesis, 2011, pp. 204, euro 18,  ISBN 978-88-5750-941-9

Recensione di Leonardo Caffo – 27/09/2011

Esistono due Derrida, o meglio, come per Wittgenstein, esistono due fasi di Jackie Derrida: la fase del grammatologo – “nulla esiste al di fuori del testo” – e la fase da pensatore della vita e della morte. Fase, quest’ultima, più matura e complessa del filosofo algerino, che lo portò a ragionare sui confini dell’umano e dunque sull’animalità o meglio, come disse durante i seminari che compongono il monumentale volume La bestia e il sovrano (Jaca Book 2001), sulla “sottomissione della bestia (e del vivente) alla sovranità politica”. 

A partire da questo periodo filosofico di Derrida, di quel pensatore che ritirando il premio Adorno (2001) dichiarò decisiva per ogni filosofia una riflessione sulla questione animale, Claudia Furlanetto ed Eliana Villata raccolgono una serie di contributi – voluti dalla Società Filosofica Italiana (sezione Friuli-Venezia Giulia) – volti a riflettere sul ruolo di Derrida per la teoria dell’animalità anche passando da alcuni autorevoli interpreti del filosofo, come l’italiano Maurizio Ferraris: allievo di Derrida tra i più brillanti e originali in grado di attualizzare, reinventare e criticare molte delle tesi dell’algerino.
Otto contributi, per l’esattezza, che affrontano – sulla scia di ricerche ormai ben note, come quella di Matthew Calarco nel volume Zoografie (Mimesis, 2012) – i rapporti in Derrida (e Agamben) tra nuda vita (zoé) e potere, tra proprio e improprio della “bestia” oltre che tra la biforcazione apparente che sussiste tra animalità e artificialità. Troppi, oggi, credono – complice le ricerche cominciate da Peter Singer (Animal Liberation, 1975) – che parlare di animali in filosofia coincida con una discussione attorno gli obblighi morali che abbiamo nei loro confronti: ma, per Derrida e per molti altri filosofi “continentali”, l’obiettivo primario era assai diverso – discutere di animali significava, innanzitutto, (ri)discutere l’umano nelle sue connotazioni originarie, quasi un’ovvia applicazione dell’atteggiamento decostruttivo – postulato da Derrida – applicato ora alla vita specializzata (bios) la cui base, l’inferiora su cui poi si edifica l’oggetto sociale “cittadino”, è rappresentato dall’animalità come limite invalicabile della nostra corporeità. 
Una menzione particolare meritano, senza alcun dubbio, di Beatrice Bonato – “Propria e impropria stupidità” e di Claudio Tondo e Marina Maestrutti dal titolo “Ai confini dell’umano”. Da un lato, il primo saggio, riflette sulla suggestione linguistica fornitaci da Derrida: bestia è indicibile dell’animale, visto che è definito già come tale, tuttalpiù – dunque – la betise (stupidità), sarebbe propria solo dell’umano. Una riflessione linguistica, ma che è ovviamente ancoraggio all’ontologia del vivente: al nostro classificare tutto al di qua e al di là dell’umano: tutto ciò che non ci somiglia è appiattito nelle differenze, diventa “non umano” – animale. E proprio su questo al di là, che è terra di confine (e di soglia) riflette il saggio di Tondo e Maestrutti in cui si comprende, infatti, che l’uomo, relegando ai margini della società gli animali si è anche “autorelegato” – respingendo la sua stessa animalità e protendendo verso un’artificialità che lo contraddistingue. Un allontanamento dalla natura, questo, che è fuori dal semplice rapporto di modificazione e continuità della biologia entro i contesti culturali. L’uomo si è allontanato dall’aperto (Heidegger/Rilke), dalla zoé (si pensi alla trilogia Homo Sacer di Giorgio Agamben in tal senso): e ogni forma di specializzazione dell’esistente ha annullato le singolarità qualunque – quodlibet – cancellando le differenze che dovrebbero regolare la nostra esistenza.
Il contributo di Derrida al dibattito sull’animalità è enorme: e il merito di questo libro risiede proprio nel mostrare, attraverso una discussione critica di alcuni passi emblematici de La bestia e il sovrano ma anche de L’animale che dunque sono (Jaca Book 2006), che questo contributo è decisivo per comprendere come oggi si configurino i rapporti di potere sui viventi. Non solo, i contributi dell’antologia riflettono su Derrida per comprendere, in modo del tutto attuale al dibattito politico (e biopolitico), in che modo le trasformazioni economiche riflettano la comprensione delle soggettività viventi (gli individui singolari di Agamben, i quodlibet) o, per continuare con alcuni dei fondamentali temi trattati, in quale misura una riflessione sull’animalità possa aprire nuovi “giochi del possibile” verso un radicale ripensamento del potere e della vita. I concetti che formano la nostra idea di vivente, insegna il Derrida del Faut bien manger (Mimesis 2011), sono concetti vaghi – in cui ogni tentativo di definizione risiede su soglie di confine: ed è sempre su queste soglie che ritroviamo la questione animale.
“Animale” – termine singolare volto a comprimere, argomenta Derrida, tutta la complessa moltitudine del vivente animale in un unico e discriminante “singolare aberrante”. Un singolare che Derrida distrugge già a partire dal linguaggio, coniando la parola “animot” – che veglia sulla moltitudine dell’esistenza e sul ripensamento radicale, a partire dalle parole, del nostro rapporto di dominazione sul “mostruosamente altro” – l’animale, come archetipo del diverso per antonomasia.
Un animale che non dovrà più essere visto come “qualcosa” da usare (mangiare, vestire, ecc.) – ma come “qualcuno” che mai potrà essere definito “bestia” (bête, ciò che è per tautologia): qualità negativa, questa, che tocca solo all’umano/cittadino dominatore di tutto ciò che non capisce, e distrugge. 


Indice

Introduzione
1. Quel che resta del lupo
2. Justine e Jacques: sulla soglia
3. Responsabilità e imputabilità
4. Il potere della traduzione
5. Su Blanchot, la letteratura, la vita, la morte
6. Animali e Dintorni
7. Ai confine dell’umano
VIII. Kindergarten
Gli autori (profili)

5 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

In recensione si dice di persona ciò che non risulta vero, specialmente a considerare risultati di attività filosofica di stessa persona.
J. Derrida aveva fatto sapere di non esser più francese ma di notizie che fosse di nuovo algerino non risulta. Dopo sua comunicazione di abbandono di cittadinanza francese accaddero illazioni sul suo conto e dunque non fu attendibile informazione circa sua morte, comunque registrandosene "dipartita" ovvero scomparsa.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In recensione se ne fa conto opposto ma non veritiero... eppure esiste davvero una naturale artificialità umana che non dipende dalla animalità razionale umana ma dalla razionalità umana, a prescindere da analogie dirette umanità / bestialità.

Davvero bisogna considerare zoologia fuori da considerare biologico per capire tutta la distinzione tra animalità razionale e non razionale animalità, cui rispettivamente bestialità eventuale o non eventuale, nel caso di animali irrazionali specificamente tali, somiglianti ad umani, cui cioè notifica di bestie si può dare non di più. In tutta singolarità terminologica, cioè di bestialità in sé stessa non quale quintessenza del bestiale, bestialità è evenienza, dunque termine antropologico; di ciò in recensione si dice non-verità corrispondente, ma cui corrisponde a sua volta — in stessa recensione — una parenesi confessionale con specificazione di soggetto plurale non superflua, al quale esigenza etica non solo non universale anche particolare — per quanto vasta vastissima particolarità, sociale - civile, non viceversa, entro cui società di poco più o sola compresenza interumana con civiltà quale ambientalità o ambiente: una coincidenza socialmente rilevante cioè civilmente quasi nulla ma allarmante, data da materialismo deintellettualizzante, cui vero destino –neanche solo futuro, passato anche e presente in stessi tempi di pubblicazione-recensione e successivi– non la " zoe" neppure una zootica, ma... degli zotici e delle zotiche, destino appunto di deintellettualizzazione cui odiernità (altrui, non la mia, ne specifico perché autore di questi messaggi) più estrema ed in ciò pericolosamente discreta.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

"L'animale che dunque sono" era l'affermazione universalistica-universale particolare-generale di decostruzione di verbo metafisico - cartesiano "penso, dunque sono"; codesto ultimo soltanto in totalità, non metafisica cioè, prototipo moderno di intellettualità filosofica, quella affermazione invece di prototipica postmoderna spontanità filosofica, solo fuori d'ogni personalismo.
Tematica de "La bestia e il sovrano", entro suddetto 'rispetto' logico decostruttivo-affermativo, non è prototipale bensì escatologica, filosoficamente una via di uscita a catastrofe di indistinzione biotica, ex biologica tanto essa grave non biologica, in urgere di pensieri oppositivi ad opposizioni, estetiche nel mostrarsi alterità e da bestie
— concretamente altro che o pessimi incontri entomologici o improbabili incontri extraterrestri, invero marini abissali; in urgere però anche di non-pensare a pur sempre differenza-distinzione, tra animalità affini, ovvero: | umane \ non /umane |, definitorietà e definitorità, senso comune e rigoroso senso, che intuizione a metà, non méta, trasmutava, trasmuta, in affermazione da metamorfosi e cui circostanze di morte; di masse di individui tra quasi nullità di fatto di iperciviltà ed inciviltà – per fisica insostenibilità-intrusione, ma cui stessa alterità da mostruoso spettacolo mostruosa evidenza materiale non astrattibile, cioè involontariamente l'evitare morte massiva accadendo, essendo accaduto a causa di modifiche ambientali di animalità la più diversa, entomologia prettamente ...Moltitudini salvate perché inibite da sciami di insetti o disparati insetti e sedotte da nugoli di crostacei fattisi essi alimenti senza pescatori, od altro simile... Ma cotanto accadere odierno a suo limite estremo giunto, con sostituirsi di biologia stessa in minime materialità e fortune dei volontari disperati inetti e felici tramutantesigli in sventure —in casi odierni appellati "del coronavirus" non già sfortune ma già sventure e cui disastri per invadenza contro vera Statalità cui Leggi vietano si impedisca accomunare fortezze con debolezze per giunta in maggior parte colpevoli, proprio di delitto contro destini vitali non solo umani.
...


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

...
In recensione parenesi diventando alfine parentesi, che a sua volta mostra potenzialità negativa di biopolitica se a realtà zoologiche volta in non consapevolezza di distinzioni bio/zoo, ne mostra palesando la incapacità, di parte di umanità e cui recensione ascrivibile, di tutta la individuazione necessaria a riconoscere che 'aberrante singolarità' è proprio il non discernere, in forza di loro (loro, cioè quelli quelle di ordetta parte) non pensare biologie separate: il mero elemento bestiale in panorama naturale — dirsivoglia matericità di bestialità, che, appunto, non è umana —  da la umanità in quanto tale, bestiale definibile quanto a condizioni cui imbiestalirsi non bestie né ovviamente trasformarsi in bestie, impossibilità questa ultima perché esistono, sono le separatezze biologiche... Le quali non pensate ed ossessivamente massivamente, da altri [[non me]] attese, riduconsi od evitanosi intuizioni di zoologiche comunanze cui pensieri, non intuitivi in circostanze, sociali/ civili - quasi non civili o quasi incivili di suddette masse, non potendo essere definiti poi che troppo indistinti allora non possono esser veramente intelligenti...
Quel non discernere dunque per necessità spinto verso il pensare passati non discernibili e cui  non motilità, solo mobilità fisiche posson percepire senza sentir e cioè senza ritrarsene o non trattare... così:
automobili per strade su sassoni costruiti in altra Era da dinosauri, poi finanche case sopra;
guanti di pelli ostiche per chi ne indossa e incapacità di scorgere muovendoli alterità paleontologiche;
movenze tra polveri di morti insetti senza avvedersene;
... (...)
E di quel di comune con radicale diversità temporale, ma terminantesi poi terminato, ignorare dei termini accadenti quindi accaduti e da accadere, da parte di stesse  masse...
Talché inverni più rigidi in Settentrione Americano e nuovi fenomeni invernali nordici in Europa, non compresi, stessamente massivamente sintomi da raffreddamento improvviso trascurati non solo da pazienti e poi da medici ed anche da chi in ruolo di protezioni civili, le quali intrusi con intenti post non ex coloniali, antieuropei antioccidentali, tentano di abusare a discapito di culture nordiche e di culture civili settentrionali ... senza intendere che quanto di eguale tra Era di Dinosauri e Nostra, è in termine assoluto ed allora non è più sensato riporre speranze e certezze in generiche sensibilità ed essendo necessarie certezze di particolari sensibilità, naturali di ognuno e in ciascuno.

Quanto di eguale terminando, terminando anche quanto di incompatibile difformità; ma la parte volontaria ignorante umana perendone assieme e non ad ultimità estreme ma fuggendo e fino a smarrire motivi di fuga, peraltro sin da inizio fallita da stessa massività individuale, cui infatti ignota vita bestiale essenzialmente non individuale e inconcepibile la organica di questa ... pure per presunzione contro gli abissi; ...non la stessa del ciclo storico troiano terminato del tutto, con Guerra nota, tutt'altro dalla antica, nuova rinomanza troiana eppoi medioevale cultura che fu memore ma altramente ed altra...; essendo infatti la attuale, odierna presunzione, priva di possibile analogia e solo con possibili paralogie, cioè di essa il presumere fino a totale dissenatezza; cui possibile non durare ma morire di filosofare restante restio entro non solo tra condizioni massive tali quali ho [esternamente] logicamente descritto; e recensione essendo esempio, a suo modo illustre, piccolo, di tal morire —— non miei commenti.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Aggiungo :


Non risulta "animot" neologismo ma logica recensiva ne tratta di fatto per tale ed in ciò in accordo a logica tematica-argomentativa desumibile da indice di lavoro recensito, accluso in recensione. Entrambi in tal senso, definibili di fatto 'progressivi' ma per oggetto di fatto mai del tutto tale.

Mi risulta che Derrida si occupò di animalità e nutrizione e condizioni di vita estreme; in ciò egli prevenendo a conclusioni, dal notare che appetiti di masse di individui scarsamente motivati a vivere plurale ma ad esso dediti erano in soddisfazione dipendente da non riflessiva e talvolta o talora non indipendente mobilità a sostituzione di attiva motilità naturale, sia non strumentale che strumentale (cibi da cucinare, mangiare solo con mani; o non solo).
Sua notazione concerneva non solo animalità e conclusione ne era notare di animica passività, cui anche " animot " verbalmente poteva introdurre non esserne identificato terminologicamnte. Tal termine, animot, Derrida ne aveva deciso di usare per distinzione verbale immediata, tra passività in atto e non in atto, tra totale e non, tra falliti rinunciarsi nonché illusi non rinunciarsi e altro. Mutamento di disturbi per anoressia, in realtà da decenni periodicamente sempre più diffusi massivamente e non solo in moltitudini femminili, mutarsi di essi cioè in deliberazioni suicide sempre più frequenti — cui celebri ambienti di fotomodelle e moda solo esempi conosciutissimi e tra tanti — segnò la fine di tali suoi studi, che da estetici ad etici, quindi da decostruttivismi fino ad ex decostruttivismi e sino a post decostruttivismo.


MAURO PASTORE