venerdì 13 settembre 2013

D’Angelo, Paolo (a cura di), Forme letterarie della filosofia

Roma, Carocci, 2012, pp. 317, euro 35, ISBN 978-88-430-6648-3

Recensione di Cesare Catà - 16/12/2012

Sebbene unite e indistinguibili nella fase aurorale della cultura occidentale, le forme espressive che oggi definiamo “filosofia” e “letteratura” intrattengono un rapporto caratterizzato da un’apparente paradossalità che già Leopardi, ne Lo Zibaldone, fotografava nella sua essenza, osservando come i loro oggetti siano fondamentalmente opposti: infatti il Vero (oggetto del filosofare) è, secondo lo scrittore e pensatore di Recanati, quanto di più distante vi sia dal Bello (oggetto dell’arte letteraria). 

Tuttavia (come la stessa opera leopardiana intrinsecamente dimostra) la fenomenologia del filosofare è imprescindibile da quella  letteraria.  Perché, dunque, tale relazione che parrebbe mostrarsi come ossimorica si rivela essere altresì strutturale? La post-modernità ha riflettuto vastamente su questo paradosso, offrendone – da Martin Heidegger a Marίa Zambrano; da Jacques Derrida a Hans-Georg Gadamer – risposte profonde e diversificate. La tesi dominante attraverso cui il pensiero postmoderno ha inteso sciogliere l’aporia, tesi la cui paternità è da attribuirsi a Richard Rorty, è quella secondo cui la filosofia possa e debba intendersi come un genere di scrittura. È da un esplicito rovesciamento di questa tesi che prende le mosse l’ottimo volume collettaneo, edito da Carrocci e curato da Paolo D’Angelo, Forme letterarie della filosofia.
Come il curatore asserisce nell’Introduzione, uno dei presupposti decisivi del postmodernismo è da rilevarsi nella ibridazione dei piani del discorso, presupposto secondo cui non vi sarebbe una reale differenza tra un racconto di finzione e un resoconto storico, o tra l’interpretazione di un testo e il testo stesso. È in base a tale presupposto che la filosofia – come asserito da Rorty non meno che da Derrida, da un differente punto di vista – può considerarsi un genere di scrittura equipollente agli altri. Tale posizione poggia a sua volta sulla indecidibilità del vero rispetto al non-vero. Svuotata di ogni valenza rispetto alla sua veridicità, la filosofia così letta giunge a ridursi a un mero esercizio di stile. Per accettare la tesi destrutturalista-postmodernista che vuole la filosofia come genere  letterario, è perciò necessario prendere le mosse da un concetto “debole” di pensiero, non connesso a una verità di ordine fondativo. Tale concezione del filosofare, tuttavia, codificata soltanto in anni assai recenti, non risponde alla nozione di filosofia nel suo sviluppo storico, essendo essa contraddistinta proprio dal tentativo, istituito dalla ragione, di una chiarificazione progressiva della verità, precedente e indipendente rispetto a tale tentativo. 
Nel recuperare questo autentico concetto “forte” dell’indagine filosofica, la visione di una filosofia come genere letterario mostra tutti i suoi limiti e la sua sterile unilateralità. Infatti, allorquando si abbandona un livello astratto e ingannevole dell’analisi, per concentrarsi sulle manifestazioni concrete della storia del pensiero, si può evidentemente verificare come la filosofia, da un punto di vista stilistico, non sia caratterizzata da una singola tipologia di scrittura, ma al contrario da una polimorfia espressiva che trova nella  ricerca del vero il proprio quid unitivo. Quel quid in virtù del quale definiamo “filosofico” sia un testo aforistico come il corpus eracliteo, sia un testo poematico come il De rerum natura di Lucrezio, sia un testo dialogico come il De Deo abscondito di Cusano, sia un testo autobiografico come il Diario di Kierkegaard. 
Se da un lato l’impostazione del testo curato da Paolo D’Angelo rifugge e rifiuta l’impostazione postmodernista-decostruzionista che equipara indistintamente filosofia e letteratura per una reductio della prima alla seconda; dall’altro lato, tuttavia, quella che viene percorsa non è una metodologia ingenuamente scientista, che voglia cioè concepire una Philosophie als strenge Wissenchaft scissa e del tutto indipendente dalla modalità della forma con cui essa viene espressa. Il pensiero risulta infatti inseparabile dal mezzo linguistico con cui esso si declina, e dunque l’aspetto letterario del testo filosofico si pone come un dato determinante del pensiero stesso. 
Possiamo osservare l’inversione che il volume, in questo preciso senso, propone: non si intende riflettere sulla filosofia intesa come un genere letterario; al contrario, si intende indagare la letteratura come forma della filosofia. La raccolta di saggi presentati è particolarmente preziosa per la metodologia concreta che essa, pur nella pluralità di voci dei vari contributi, adotta. Infatti, in luogo di affrontare disquisizioni teoretiche sul nesso tra le “idee” di filosofia e letteratura, i vari interventi studiano specifici exempla concernenti le varie forme letterarie con le quali, di volta in volta, si è mostrato il fenomeno della filosofia. 
Il primo saggio, a firma di Carlo Gentili, esplora l’Aforisma, soffermandosi sullo sviluppo storico del genere, dal pensiero presocratico antico, sino alla Modernità con illustri esempi quali Novalis, Schopenhauer, Nietzsche. In questo genere lo studioso rileva, proponendo una definizione di aforisma propriamente filosofico, un particolare legame “con la vita e la cultura sapienziale che ne rappresenta l’originario presupposto” (p. 41). Sull’Autobiografia si concentra invece l’intervento dello stesso Paolo d’Angelo, che con una piacevolissima e attenta disamina osserva come il racconto della biografia, in autori quali Agostino, Abelardo, Descartes, Schopenhauer, Croce, Althusser intrattenga un rapporto profondo con la teoresi filosofica. Uomo tra gli uomini, impossibilitato a non partecipare della propria vicenda, il pensatore trova nell’autobiografia una sorta di narrazione in cui, “morendo a se stesso”, egli offre la ragione (filosofica) della propria “rinascita”. Al Commento e al Dialogo sono dedicati rispettivamente i saggi di Riccardo Chiaradonna e Franco Trabattoni, che in modo colto e illuminante ripercorrono le tracce di due generi decisivi nello sviluppo del Neoplatonismo: il primo, analizzando specialmente i testi composti da Porfirio e da Marsilio Ficino; il secondo, interrogando le ragioni storico-critiche e le implicazioni ermeneutiche della struttura dialogica della filosofia platonica. I nomi di Diderot e d’Alambert sono invece al centro delle analisi del testo di Elio Franzini che, con acume, esplora il genere dell’Enciclopedia/Diario, dallo sviluppo  dell’enciclopedismo, alle sue forme contemporanee quali Wikipedia, sino alle suggestioni della fantascienza di Asimov, per giungere a concludere che “non può dichiararsi distrutto un genere che esiste ancora, e sul quale ancora si discute” (p. 145). Un rimando alla contemporaneità lo si trova altresì nel contributo di Emidio Spinelli, dedicato al genere dell’Epistola, il quale ovviamente trova in Epicuro e Seneca i suoi riferimenti imprescindibili, analizzati con acribia dallo studioso, il quale non senza ragioni nel finale d’intervento rileva come, per secoli, sia stato possibile filosofare per litteras, attraverso uno strumento stilistico-letterario in grado di “vivificare il dialogo morale tra due soggetti […] secondo una dimensione comunicativa che oggi, forse, abbiamo ormai (purtroppo?) perduto” (p. 172). Prende in esame un arco temporale ben preciso anche il saggio di Maria Bettetini, che studia le principali forme letterarie assunte dalla filosofia tra XII e XIV secolo, ossia la Quaestio, la Disputatio e la Lectio; la sua è un’analisi feconda per comprendere la nascita, le ragioni e lo sviluppo di queste peculiari forme di riflessione speculativa. Meno obbligata, ma non meno centrata, è la scelta cronologica che Maddalena Mazzocut-Mis elegge nel suo contributo per mettere a tema la forma letteraria del Racconto/Romanzo. La studiosa prende in esame il romanzo francese del Settecento e ne offre un originale quanto esaustivo quadro interpretativo, mostrando come pensatori quali Montesquieu, Voltaire, Diderot, Rousseau, declinino uno scambio significativo e prolungato con il genere del “conte”. Roberto Pujia indaga quello che egli definisce “un compagno scomodo e scontroso” (p. 243) del pensiero filosofico occidentale, cioè la Satira, letta come una sorta di contrappunto alla riflessione speculativa, volto “a non dimenticare la necessità dell’autocritica e della coerenza” (Ibidem). Attraversiamo così inaspettati tratti satirici del pensiero platonico e aristotelico, scopriamo l’uso della satira in Luciano di Samostata e, nella Modernità, in Voltaire, Jonathan Swift e Giovanni Paisiello, fino a intriganti esempi di “filosofia e jokes” nella contemporaneità. Infine, a Franca D’Agostini è assegnato il compito di investigare quello che si potrebbe ritenere (equivoco che chi sarà giunto a questa parte del libro avrà ormai trasceso) il genere filosofico per antonomasia, ossia il trattato. Il saggio offre un esauriente definizione di “trattato filosofico” nei suoi aspetti contenutistici e formali, e analizza quattro esempi nella Metafisica aristotelica; nel Tractatus teologico-filosofico di Spinoza; nel Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein; e nel contemporaneo On the Plurality of Worlds di David K. Lewis.
Questo volume collettaneo possiede una pregnante utilità storiografica, e al contempo propone una ben precisa concezione della ricerca filosofica. L’utilità storiografica consiste nel chiarificare dettagliatamente, tramite campionature rilevanti, le principali (non tutte, ovviamente: i grandi assenti del testo sono il teatro e la poesia) forme letterarie della ricerca filosofica nella tradizione occidentale. Correlatamente, viene recuperato un ideale originario di filosofia dai connotati forti, individuati da una ricerca del vero attraverso lo strumento umano della ragione; un ideale che non può (più) essere equiparato a espressioni umane che non siano determinate da una tale, rigorosa e polimorfa, ricerca. 
Il volume mostra, inoltre, come nessuna forma espressiva utilizzata in filosofia sia mai pacifica: una modalità letteraria tradisce necessariamente il fondamentale sostrato teoretico del pensiero che essa esprime. La filosofia platonica è strutturata dialogicamente non per motivi estrinseci, ma in quanto l’eidos è posto come quel fondo ontologico che può essere infinitamente interrogato; Seneca si esprime in forma epistolare, in quanto il suo è un messaggio di edificazione etica che solo il diretto scambio “indirizzato” può esprimere; e l’impianto teologico agostiniano non può chiaramente prescindere da una dimensione autobiografica. Quello che dunque possiamo comprendere dai saggi che il volume raccoglie è che ogni filosofia – dalle più asettiche riflessioni kantiane, sino alle “parole di sangue” di Nietzsche – è intimamente connessa con la forma letteraria in cui essa trova voce, formando un unicum che siamo chiamati a prendere in considerazione in toto, allorquando abbiamo di fronte, per comprenderlo, un testo filosofico. 
I contributi formanti il volume mostrano dunque come non si dia filosofia senza letteratura, non diversamente da come non si dà scienza fisica senza una matematica che la descriva. Ciò che resta problematicamente sullo sfondo dei vari interventi è se  (e quando) possa darsi ciò che, per proseguire in questo parallelismo, sarebbe l’equivalente di una “matematica pura”, cioè una letteratura non filosofica.  Se un testo filosofico è sempre letterario, quando un testo letterario è propriamente filosofico? Se Platone si esprime in forma dialogica, possiamo considerare il teatro pirandelliano come un testo di filosofia? Alla luce della forma epistolare utilizzata da Seneca, la lettera che Franz Kafka invia a suo padre è a sua volta philosophia per litteras? Se il Candide è di certo una critica speculativa alla teodicea lebniziana, in che misura Mrs. Dalloway potrebbe inficiare le teorie bergsoniane sul tempo?   
Il volume non risponde a tali questioni, poiché i saggi in esso presentati non mirano a farlo, volendo mostrare soltanto uno dei due lati della problematica (cioè in che modo un testo filosofico sia morfologicamente letterario), lasciando sullo sfondo l’altro (in che misura un testo letterario possa dirsi sostanzialmente filosofico). In questo senso, il volume parrebbe preludere a un interessante seguito in un secondo tomo di interventi. 
Non casualmente, aleggia interamente nei testi “l’ombra di Heidegger” (se vogliamo appunto usare il titolo di un romanzo dal tema filosofico); lo stesso curatore evoca tale ombra nella Introduzione, collegandola alla posizione postmodernista e decostruzionista. Ma è anche su di un altro piano che sembrerebbe risuonare il monito heideggeriano secondo cui “poeta e filosofo vivono in profondità sulle cime più distanti”: si tratta del versante più squisitamente ermeneutico della questione del rapporto tra filosofia e letteratura, che troverà nello stesso Heidegger e in Gadamer i suoi più importanti interpreti novecenteschi. La celebre impasse cui Heidegger incorse nella composizione di Sein und Zeit dovette risolversi, come è noto, in una specifica attenzione rivolta dal pensiero alla poesia; non in quanto la filosofia venisse considerata (postmodernamente) come un genere di scrittura, ma in quanto la poesia veniva interpretata (ermeneuticamente) come una forma filosofica libera dal “linguaggio della metafisica”. 
Trattasi di una questione ancora di grande rilevanza nel dibattito filosofico contemporaneo; specialmente in un dibattito che, abbandonata la persuasione di ridurre la filosofia a mero racconto, intenda recuperare e ri-definire una nozione rigorosa del concetto di ricerca filosofica. Lo stesso Heidegger, quando si trovò per così dire “faccia a faccia” con la letteratura, cioè quando nel 1967 passeggiò con il poeta Paul Celan per i sentieri della Foresta Nera, pare che non sia stato in grado di pronunciare parola, suscitando tra loro un “doloroso silenzio”; il medesimo che non cessa di interrogarci circa la relazione originaria e paradossale tra filosofia e scrittura artistica. L’apparente sfasatura di leopardiana memoria tra il Vero e il Bello, infatti, si congiunge ancora una volta con l’equivalenza keatsiana secondo cui “Beauty is Truth, Truth Beauty”.        
        
            
Indice

Introduzione di Paolo D’Angelo
Aforisma di Carlo Gentili
Autobiografia di Paolo D’Angelo
Commento di Riccardo Chiaradonna
Dialogo di Franco Trabattoni
Enciclopedia/Dizionario di Elio Franzini
Epistola di Emidio Spinelli
Quaestio/Disputatio di Maria Bettetini
Racconto/Romanzo di Maddalena Mazzocut-Mis
Satira di Roberto Pujia
Trattato/Saggio di Franca D’Agostini
Indice dei nomi

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