lunedì 7 ottobre 2013

Blumenberg, Hans, L’uomo della luna. Su Ernst Jünger

a cura di Sandro Gorgone, Milano-Udine, Mimesis, 2012, pp. 138,  euro 14, ISBN 978-88-5751-304-1.
(ed. or. Der Mann von Mond. Über Ernst Jünger, a cura di A. Schmitz e M. Lepper, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 2007)

Recensione di Giovanni Basile - 20/05/2013

Chiunque si accosti per la prima volta alla lettura degli scritti di Hans Blumenberg (Lubecca, 13 luglio 1920 - Altenberge, 28 marzo 1996) rimane travolto da quella che Gianni Vattimo ha definito essere una scrittura torrentizia (G. Vattimo, Figli di Prometeo, in “La Stampa”, Torino 1991, n.170, p. 6). Questa riepilogativa espressione identifica perfettamente lo spaesamento del neofita che si appresta al filosofo tedesco. Schivo e riservato, Blumenberg fu un attento ed acuto osservatore della modernità e della storia contemporanea.

Ed è propriamente dal suo continuo indagare la storia che prenderà spunto per rileggere, con grande acume e profondo interesse, le opere di Ernst Jünger, autore che egli stesso qualifica come  “il più significativo scrittore di diari di questo secolo” (p. 57). L’uomo della luna. Su Ernst Jünger, la cui edizione italiana è stata curata da Sandro Gorgone, è la raccolta di saggi ed articoli, editi e non, che Blumenberg, per quasi quarant’anni, ha dedicato a Jünger. Partendo dalla lettura dei suoi diari, che raccolgono un pezzo di vita durata un secolo (Ernst Jünger, Heidelberg, 29 marzo 1895 – Riedlingen, 17 febbraio 1998), Blumenberg ripercorre e sviscera i contenuti essenziali del pensiero che il filosofo di Heidelberg aveva teorizzato nei suoi scritti più importanti. “La scoperta di ambiti indistruttibili è il vero contenuto dei diari” (p. 19), ed è questo il motivo che porta Blumenberg alla rilettura di questi scritti privati che testimoniano un incessante sondare il visibile, inteso come un “involucro addotto come pretesto di qualcosa di più essenziale” (p. 22). Una essenzialità che si svelerà persino come prospettiva teologica. L’operazione della rilettura diaristica ricolloca Jünger nei suoi luoghi e nei suoi tempi, in epoche che sono state attraversate da ben due guerre mondiali e che hanno posto non pochi interrogativi all’uomo occidentale che, disancorato dai propri ideali, si apre a domande di importanza cruciale come: quale poesia dopo Auschwitz? ( cfr. p. 88). Lo spettacolo storico a cui assiste Jünger lo conduce alla riflessione sul senso delle scelte operate dagli uomini e ad una continua lettura degli eventi; lettura a cui sembra essere stato, “mitologicamente” aggiungo io, condannato (cfr. p. 14). Questo passaggio interpretativo sulla realtà - evidenzia Blumenberg - conduce Jünger al dilemma filosofico sul senso della vita e delle scelte a cui l’uomo contemporaneo può orientarsi. Due le opzioni: o verso un nichilismo svuotante, oppure verso una trascendenza, definita dallo stesso Jünger come una Nuova teologia (cfr. pp. 13-17). Blumenberg non esita ad evidenziare che la Nuova teologia, si dimostra essere l’alternativa a cui Jünger, proprio come una figura spirituale, propenda. In un mondo deturpato dalle brutture delle guerre, Jünger si mostra “platonicamente” convinto di una ulteriorità (metafisica) che sovrasta e ricolma l’oblio in cui è sprofondata la contemporaneità e che si palesa attraverso le narrazioni metaforiche presenti in tutti i suoi scritti. Tale ulteriorità permetterà infatti di raggiungere un vertice entro il quale la “distruzione” non sarà più possibile (p. 23). Ed è propriamente in questo narrare metaforicamente la realtà che si coglie il vero nesso filosofico e l’amicizia intellettuale tra Jünger e Blumenberg, giustamente definito come il teorico della metaforologia. Nelle riflessioni di Jünger è presente in modo costante un cammino che potremmo definire trascendentale e che non si sgancerà mai dalla necessità di una profonda e matura lettura del mondo. Tale percorso si palesa attraverso una analisi quasi scientifica o, come sottolinea Blumenberg, zoologica ed entomologica, dei dettagli che vengono narrati. Ciò permetterà al lettore di recuperare una visione completa e dettagliata di una storia che ci viene raccontata entro esperienze, interiori ed esteriori, fatte in prima persona da Jünger, il quale sembrerebbe pretendere da sé e dai suoi lettori “il diritto di vedere la vita come un esperimento” (p. 13; cfr. pp. 14 - 15). A partire dall’analisi di opere quali Tempeste d’acciaio, Irradiazioni e L’Operaio, Blumenberg trae dalle righe degli scritti jüngeriani l’esplicita metafora dell’uomo della luna, che adesso si mostra anche nell’intensità delle pagine dei diari: “Ho provato a descrivere la nostra realtà come se fosse illustrata da un uomo della luna, che non ha mai visto un’automobile e non ha mai letto nemmeno una pagina della letteratura moderna (…)” (p. 27). L’esperimento stilistico che Jünger conduce è abbastanza semplice e già più volte sperimentato dai grandi della letteratura; basti pensare a Dante ed al suo viaggio nell’Ade. L’effetto della distanza espressa dall’osservatore lunare permette a Jünger di trarre due conseguenze sul mondo. La prima è indubbiamente il distacco col quale l’extra-terrestre si pone nei riguardi del mondo che osserva. Infatti il suo essere estraneo gli concede di non porre attenzione ai dinamismi interni del mondo che sta visitando. Dall’altra parte però, questa stessa distanza di sicurezza (mi si permetta di citare Blumenberg) dal mondo terrestre gli permette di ammirare la bellezza di ciò che lo circonda e di chiedere agli abitanti della terra in che modo utilizzino l’unico tempo che hanno a disposizione (cfr. p. 26). Queste prospettive si dimostrano essere per Blumenberg un’ulteriore conferma di un “platonismo”, quello di Jünger, in fondo non così propriamente velato. L’uomo della luna non rappresenta soltanto una metafora letteraria al puro servizio della narrazione ma è, invece, come si evince dalla disamina che conduce Blumenberg, il giusto punto di osservazione entro cui Jünger può permettersi di continuare a guardare il mondo deturpato dalle guerre e che gli concede persino il poter digerire e comprendere l’essere stato apprezzato da Hitler (cfr. p. 30; p. 75; ci si riferisce al primo periodo di Jünger).  Blumenberg, cogliendo l’idea dello scrittore di Heidelberg di percepire questo esserci nel mondo come un perenne vivere nel futuro ma muovendosi nel presente (cfr. p. 58), si sente chiamato in causa e ripropone alcune sue riflessioni in riferimento ai concetti di realtà e simulazione (cfr. p. 55-56). Così facendo, evidenzierà come la simulazione sia essa stessa già un futuro attualizzato nel presente. Da ciò possiamo ben comprendere perché Blumenberg riprenda i racconti che Jünger dedica alla apparizione della cometa di Halley, metafora per eccellenza di un futuro che è già presente (cfr. p. 57). L’arrivo dell’uomo sulla luna permette a Jünger, già nel 1965, di riflettere sull’impronta della tecnica nel mondo e di come questa si mostri oramai non soltanto nelle sue innumerevoli opere meccaniche, ma soprattutto nei suoi rifiuti. Leggiamo infatti al capitolo VI di questa edizione: “Non si possono evitare le bottiglie di Coca-Cola e alcune marche di sigarette per quanto in profondità ci si spinga nel Sahara o vicino ai poli (…). Esse costituiranno presumibilmente anche le prime tracce che l’uomo lascerà sulla luna” (p. 77). Jünger non evidenzia qui una considerazione pessimistica sulla non curanza del creato. Ma queste considerazioni sull’umanità servono a Jünger stesso per il recupero di una distanza (cfr. p. 83) dal mondo. Tale discorso si chiarisce considerando il pensiero di Jünger come un platonismo connesso all’ideale, ma che non perderà mai di vista la realtà dell’umano. E quando lo scoramento (metaforicamente rappresentato già dal racconto del naufragio della nave Méduse di Corréard e Savigny del 1943) lo pervade, comprende che è il momento del recupero della “giusta distanza”. Questo perché, sottolinea Blumenberg, solo un vero platonico, “è sempre spettatore, perfino della sua stessa rovina” (p. 95). Nel commentare gli ultimi anni del vecchissimo Jünger, morto a quasi 103 anni,  Blumenberg ripercorre i pensieri attorno alle parole ultime, considerate da Jünger tutte uguali. E volendo dedicare una parola ultima a Jünger, il filosofo di Lubecca ironizza scrivendo che “il problema per ogni collezione di parole ultime consiste nella disposizione e Jünger ci ha lasciati con questo dilemma” (p. 102). 
Nella Postfazione all’edizione italiana (pp. 103-111), Sandro Gorgone, curatore dell’edizione, ripercorre la struttura dell’opera attraverso diverse citazioni dagli scritti di Blumenberg che evidenziano i nessi con la filosofia di Jünger. Questa operazione permette al lettore di questa raccolta di comprendere più accuratamente le questioni precedentemente affrontate. Senza tale approfondimento si rischierebbe infatti di perdere di vista la vicinanza intellettuale tra i due autori. Inoltre, l’inserimento della Postfazione di Alexander Schmitz e Marcel Lepper, curatori dell’edizione tedesca, permette di completare il quadro del lavoro e della metodologia di Blumenberg (pp. 113-115). Di grande rilievo il Commento ai singoli paragrafi del libro (pp. 119-138) che, attraversando i carteggi di Blumenberg, permette di fare emergere il lavoro attento, minuzioso e torrentizio del filosofo di Lubecca. 
La lettura di questa raccolta di articoli su Jünger offre, e non soltanto al conoscitore di Blumenberg, un valido strumento di approfondimento storico di un epoca, il Novecento, che con la sua storia bellica ha influenzato le riflessioni attorno all’antropologia, alla morale ed alla teologia. Consegnare  ai lettori italiani le riflessioni di Blumenberg su Jünger permette di rileggere le difficoltà, le vie di fuga e di interpretazione attorno alle questioni essenziali della vita e della morte, domande attorno alle quali l’uomo di oggi può trovare risposte partendo anche dai pensatori di ieri. 


Indice

Capitolo I - Ernst Jünger come figura spirituale
I; II; III; IV; V
[Il problema del nichilismo] 
Ernst Jünger – Un bilancio

Capitolo II - Un apocalittico con sicurezze
L’uomo della luna
Alla ricerca dell’ordine mondiale
‘Sulle scogliere di marmo’
Inutilità delle apparenze?
La macchina del disprezzo
Alla caccia del Leviatano
[Alla caccia del Leviatano II]
Irrilevanza dell’etica in ultima istanza
Non andarsene via senza il minimo piacere
Al cimitero di Alanya

Capitolo III 
La forma del secolo

Capitolo IV - Glosse ad Ernst Jünger
Gli anni di Goethe
Per l’altra porta
«Maratona»
«Maratona» II
La cometa come intervallo di vita
Una parola forte pensata fino alla fine
Quanto radicale deve essere la gnosi?

Capitolo V - [Falsa significatività]
Falsa significatività
Selezione
Una puntura di ape
Secondo programma
Un aneddoto di Nietzsche conservato solo da Jünger
Senso per il curioso
L’esperienza di un futuro premio Goethe
Pubblicità estetica
Una cosa singolare
Proprio i sentieri che si interrompono conducono nel bosco
Mancanza di gusto

Capitolo VI - [Comete]
Non tutto come prima
Un platonismo dei fatti
La poltrona volante e gli intrighi addomesticati
Un oracolo da Wilflingen

Capitolo VII - [Divieto delle immagini]
Debolezza e divieto delle immagini
Ciò che manca al leone:
Gerolamo nello studio con la clessidra
Limite della metafora assoluta

Capitolo VIII - [Rovine]
Tempestiva rinuncia alla salvezza
Un istinto di inautenticità?
Appendice per la prova della prova
Ciò che unicamente rende interessanti le rovine

Capitolo IX - Parole Ultime
Una parola ultima
L’ultima parola: la vita esaurita di fronte alla morte
Parola ultima
Primo rango tra gli ultimi
Una puntura di zecca

Sandro Gorgone - Postfazione all’edizione italiana
“Manca ancora la cometa”: Blumenberg legge Jünger

Alexander Schmitz e Marcel Lepper - Postfazione dei curatori dell’edizione tedesca

Sigle

Commento
1. Ernst Jünger come figura spirituale
2. Un apocalittico con sicurezze
3. La forma del secolo
4. Glosse a Ernst Jünger
5. Falsa significatività
6. Comete
7. Divieto delle immagini
8. Rovine
9. Parole ultime

2 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Era un gioco, non solo un gioco, di cui Ernst Jünger illustrava regole per chi ne fosse interessato contemplativamente, a chi aspirava di più invece sottraendole senza sottrarne esperienza... Insomma era una beffa, non uno scherzo perché di fatto accadevano realmente piccole cose non neutrali per il destino di coloro che avevano con lui voluto un dialogo provenendo da altri mondi o da altro mondo... Jünger agiva in modo che le incomprensioni potessero estremizzarsi trasformandosi in affermazioni così i non reali interlocutori potessero creare involontarie combinazioni di comunicazioni da lui medesimo determinate... Ciò faceva imbestialire "gli intellettuali di sinistra" e tra essi coloro che in Italia provenivano dall'Antico Regime, quello della nobiltà e delle regole secondo le Conoscenze del mondo apparentemente finito, si imbestialivano ugualmente agli altri, fossero pure marchesi o visconti, anche se dai titoli più direttamente evocati per le considerazioni naturali giungeva il monito a... lasciarlo perdere! Lasciar perdere uno come lui, che pareva intollerante ed invece era saggio, era il monito, grottescamente disperato, che la intellettualità di sinistra assumeva con E. Jünger. Dirne di un platonico a mio avviso — io ricordo di averlo incontrato quando ero bambino — era una... pratica regolamentare assai diffusa, perché Jünger conveniva sul giudizio della disgrazia, la distrazione-repressione-falsificazione sessuale che fattagli apparire quale un grande campionato di pallammano o pallavvolo ma anche di "calcio con la palla", anche lui appunto si descrisse in termini di mancanza di opportunissimo tatto, prudenza mancata insomma. In Italia ove i rapporti mitologici col Palladio, coi Palladii, non sono giochi sportivi ma furono ed in fondo restarono, restano, anche visioni erotiche di rotondità fisiche meravigliose umane nonostante divine per eccezioni di sensazioni, il platonismo di cui brontolavano veri e falsi pederasti antiellenici era nel caso di Jünger una combinazione cui seguiva asserzione involontaria collettiva di suoi pensieri. In un senso così, era proprio platonismo, non inconsapevole nei giocatori che in ogni caso non ricevevano la conoscenza del Palladio anzi nessuna, neanche della guerra di Odino! Il pensiero sul disinganno filosofico era nelle sue Opere letterarie tuttaltro che platonismo, nulla di ellenico vi era nella sua saggezza assai tedesca e — senza internazionalità. (Ricordo che mi capitasse di incontrare Enst Jünger, non poteva esser altri se non lui, perché capitandomi di stare tra fascisti, neofascisti, nazisti, neonazisti, franchisti, io riuscivo a connetterli gli uni con gli altri diversamente, con tanta disperazione da parte di alcuni di essi, tanto che fui inoltrato in situazioni realmente intellettuali e realmente di estrema destra... Infatti nonostante tutto esisteva ed esiste un estremismo di destra non delittuoso... Allora accadde che alcuni veri intellettuali di estrema destra lasciavano produrre ai fanatici circostanze... In definitiva i non fanatici si meravigliavano del mio vivere, del fatto che vivevo anche in mezzo agli sbagli, ovvero sgarri, del totalitarismo, mentre i violenti presumevano di stare al circo e di presentar un piccolo pagliaccio impertinente, ma non era così; era per me una rassegna arcana).

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Sarebbe da ipotizzare che Ernst Jünger fosse vissuto per lunghi anni sonnambulo su una stella cometa, invece che abbandonarsi a psicologismi basati su cànoni culturali convenzionali.

In ogni caso è da notare nonostante tante illazioni su di lui che quella distanza non era un metodo ma un esistere di distanti umanità.

MAURO PASTORE