mercoledì 5 febbraio 2014

Ogien, Ruwen, Del profumo dei croissants caldi e delle sue conseguenze sulla bontà umana. 19 rompicapi morali

Roma-Bari, Laterza, 2012, pp. 256, euro 16, ISBN 978-88-420-9846-1.

Recensione di Maria Agnese Ariaudo - 26/08/2013

Ruwen Ogien, con la sua scelta e discussione di 19 rompicapi morali, provenienti non solo dalla riflessione teorica in filosofia analitica, ma parimenti dal contesto sperimentale di matrice psicologica e sociologica, dischiude più di un fronte problematico e consegna brucianti provocazioni intellettuali. E ciò tanto più nella misura in cui l’indagine degli esperimenti mentali chiamati in causa – “casi bizzarri per mettere in luce le nostre intuizioni mentali” (p. 9) e dunque illuminare “ i nostri giudizi spontanei su ciò che è bene o male” (p. 19) - non scioglie,

semmai ribalta di volta in volta i termini dei dilemmi emergenti.  Non siamo peraltro di fronte ad una mera successione di casi paradigmatici, riguardo al cui contenuto ci si domandi se non forniscano surrettiziamente le risposte di cui vanno in cerca. Ciò in quanto l’insieme orchestra un contraddittorio alquanto efficace tra alternative etiche,  forte di un apparato bibliografico assai corposo e decisamente trasversale (si spazia, per citare qualche riferimento, da Foot a Nozick, dalle riflessioni di Guichet alla teoria dello sviluppo di Kohlberg, fino ai classici resoconti sperimentali di Milgram - un eterogeneo teorico peraltro congruamente irrelato).
Osservando più da vicino il dipanarsi dell’argomentazione - e naturalmente senza pretesa di esaurirne i termini di significatività – si nota come nell’introduzione (pp. 3-15) Ogien chiarisca la propria posizione riguardo a  “che cosa servono gli esperimenti mentali”. E ciò all’incrocio tra considerazioni pertinenti riguardanti il valore e i limiti della resa secondo i canoni della finzione, le derive connesse all’astrazione dal reale, gli interrogativi – in bilico tra pregiudizio e occorrenze – sulla conformità del mezzo alle procedure di carattere strettamente scientifico (cfr. anche nel seguito, pp. 169-171). Peraltro riaffiora la complessità del trarre indirizzi di ordine morale, al di sotto del  distinguo tra ‘fatti’ e ‘norme’(pp. 170-171).
Mentre l’intento è evidentemente quello di sottrarre alle critiche di insufficiente oggettività l’approccio alla morale specifico della cosiddetta ‘filosofia sperimentale’, per  recuperarne invero i risultati laddove si compone il portato conoscitivo degli esperimenti mentali con l’osservazione degli esperimenti reali sui comportamenti umani (p. 13).  Infine, si coglie un certo scetticismo di fondo riguardo al darsi di un equilibrio accettabile, tra istanze di stampo naturalistico ed evidenze psicologico-sociali. 
Al di sotto di tale implicazione di parzialità comunque, i risultati della filosofia sperimentale riguardo alle nostre intuizioni appaiono un campione degno di interesse, da impiegare, bensì criticamente,  nel contesto più ambizioso dell’elaborazione di valutazioni normativamente plausibili (p. 15).
Ogien osserva che se il ricorso agli esperimenti mentali (p. es., l’anello di Gige della Repubblica di Platone cfr. pp. 6-10) fungeva, nella filosofia classica principalmente, a “darci la definizione di un concetto morale” (p. 9), i filosofi morali di oggi se ne avvalgono e ne definiscono perlopiù il ruolo rispetto alla costruzione, giustificazione e critica delle teorie morali (cfr. p.9 e p.165).
E tuttavia, sotto questo rispetto, si constata una non occasionale incongruenza – nel contesto talvolta ambiguo dell’‘interpretazione’ nonché  dell’incasellamento dei giudizi spontanei (cfr. pp. 174-176)    – rispetto alle categorie filosofiche a priori prese come  riferimento. È il caso, per esempio, di quando si sviluppano intuizioni morali informate al ‘dovere per il dovere’ , dunque di matrice kantiana,  pur professandosi  strenuamente utilitaristi  e fedeli al principio del ‘massimo benessere e felicità per il maggior numero di persone’ e così via (cfr. pp. 172-174). Simili evidenze inducono quantomeno a ripensare in maniera meno rigida il confronto in corso, di stampo etico-morale, e dunque la contrapposizione tra istanze teoriche di  matrice deontologista,  piuttosto che consequenzialista (e più in particolare utilitarista),  o ancora aristotelica (secondo i presupposti della cosiddetta “etica della virtù”) (p. 10). 
Mentre vale la pena domandarsi nuovamente se si dia “un ‘senso morale’ universale, innato, un ‘istinto morale’ e come possiamo definirlo con esattezza” (p. 168) 
Ospitate questo genere di premesse, i dilemmi morali  che la filosofia sperimentale porta in superficie, troveranno interpretazioni ritenute plausibili, ma avvinte al proprio limite e dunque filtrate attraverso una prospettiva mobile, non fondazionalista e pluralista (cfr. p. IX e 217) (una premessa quest’ultima che spiega come questo lavoro si ponga nei termini di un ‘antimanuale di etica’ - p. IX).  
E tuttavia, a scanso di un facile semplicismo morale e/o relativistico, si coglie l’urgenza di esplicitare congruamente il senso delle nostre intuizioni (non di rado consegnando loro uno statuto meramente ipotetico, cfr. p.164),  in rapporto al confronto critico con alcune ben distinte regole generali che presiedono il ragionamento morale.
A questo scopo è esplicitamente rivolta la seconda parte del volume (pp. 163-217), mentre nella parte iniziale - attraverso la ricognizione dei ‘rompicapi morali’ vera e propria – ci si addentra nell’ambivalenza dei nostri giudizi spontanei in campo morale. 
Si segnalano qui sinteticamente solo alcuni tra i numerosissimi snodi del discorso. 
Di particolare suggestione è per esempio l’insieme delle antinomie emergenti dal distinguo tra l’atto di ‘uccidere’ e quello di ‘lasciar morire’ in relazione all’esperimento mentale del soccorritore lanciato verso il pronto soccorso (cfr. pp. 24-27), come pure l’argomentazione sulla differenza tra il ‘non aiutare’ e il ‘danneggiare’ qualcuno (con le ricadute in termini di ‘responsabilità negativa’) per il tramite del caso del bambino che annega nello stagno, formulato per la prima volta da P. Singer. (pp. 28-32)
L’analisi del caso del ‘trapianto pazzo’ (pp. 32-34), della ‘folla scatenata’ (pp. 35-42) e del ‘treno assassino’ (pp. 43-64)  ridiscute bensì il principio classico utilitarista del massimo benessere  per il maggior numero di persone (criticato peraltro radicalmente  anche per il tramite dell’esperimento mentale al punto 12, detto del ‘mostro di utilità’ vedi pp. 116-117), per sottolineare piuttosto la plausibilità della concezione deontologista. E tuttavia, l’intuizione secondo cui “non è lecito trattare una persona come un semplice mezzo” può venire del pari “neutralizzata o anestetizzata” (p. 61) nel contesto di situazioni sperimentali,  dal che discende che gli individui non sono tout court orientati verso un simile giudizio (cfr. pp. 61-62).
Il caso dell’’incesto in buona fede’ (pp. 65-79) solleva il problema sostanziale degli ‘illeciti morali senza vittime’, al di sotto di concezioni diversamente elastiche dei confini della morale di base e dunque di quanto includiamo tra i divieti morali (cfr. in proposito la contrapposizione tra gli esiti di Turiel/Nucci da un lato e quelli del relativismo sociologico modificato poi in senso ‘naturalistico’ dello psicologo americano Haidt dall’altro, pp. 68-73). 
L’esperimento mentale a suo tempo elaborato da R. Nozick e detto della ‘macchina dell’esperienza’ – richiamato qui per discutere dell’ipotesi di barattare un’esistenza scialba e priva di successo con un’altra ricca di esperienze soddisfacenti benché indotta con mezzi artificiali - viene riformulato da Ogien rispetto ad una  ‘tendenza all’inerzia’ rintracciata sperimentalmente (pp. 89-95). Essa modificherebbe i termini delle concezioni declinate in senso edonistico, per allinearsi più modestamente con le “ipotesi della preferenza per lo status quo, quale che sia” (p. 94) e mostrare di fatto la corda della propria irrazionalità. 
Su questa traiettoria, le considerazioni di Ogien gettano un’ombra di potenziale inconsistenza su qualsivoglia teoria morale (p. 94-95).
Al punto 11 (pp. 101-115) si prendono le mosse dal caso limite della scialuppa di salvataggio e gli scimpanzè (da Guichet), per ripensare l’ipotesi di inclusione degli animali nella comunità morale e i limiti della sperimentazione scientifica.  Il confronto di prospettive divergenti, che si rifanno a criteri base antagonisti nell’intendere la relazione tra umani ed animali (pp. 103-110) - si basino o contestino viceversa l’ipotesi di una continuità tra i due insiemi - originano una spirale di dilemmi insolubili (cfr. peraltro anche l’impatto sull’argomentazione esercitato dall’argomento della  cosiddetta ‘conclusione ripugnante’ di Parfit, pp.112-113). Ogien consegna qui una provocazione teorica incentrata sull’ipotesi dell’estinguersi degli animali domestici,  a partire dalla supposta abolizione del diritto di proprietà su di essi. (pp. 113-115)
Il capitolo intitolato ‘Santi e mostri’ (pp. 141-159), forse tra le sezioni del lavoro più sfaccettate sotto il profilo argomentativo, mette in discussione con fine penetrazione il presupposto soggiacente l’’etica della virtù’ di una componente stabile dei tratti del ‘carattere’ e della ‘personalità autentica’ nelle valutazioni morali.  Si attinge a contributi di eterogenea provenienza (tra gli altri riferimenti, i postulati della teoria dello sviluppo morale per stadi di Kohlberg (p. 150), come pure gli esiti dei celebri esperimenti di Milgram svolti a partire dai test sulla personalità (pp. 147-152).  Tutto ciò per argomentare come le cosiddette “condotte prosociali” (disposizioni altruistiche, generose) -  ricondotte al contesto degli esperimenti ‘sui comportamenti d’aiuto’ (pp. 141-146) e  agganciate direttamente ad una selva di  ‘fattori situazionali’ - siano stimolate, secondo i risultati sperimentali emergenti,  non di rado da variabili  ‘futili o insignificanti’. (p. 143) Cosicché si interpreta per esempio la maggiore o minore propensione alla cooperazione (occasionata, nel contesto riprodotto, dalla richiesta di cambiare in moneta una banconota di un dollaro rivolta ad uno sconosciuto in un centro commerciale, p. 143) alla luce dell’influenza di fattori talvolta meramente contingenti, di ordine percettivo e/o ambientale, quale un buon odore di brioches (il titolo del libro -  ove si fa riferimento, in tono solo in apparenza leggero,  agli effetti del profumo dei croissants caldi addirittura sulle manifestazioni della bontà umana -  trova a questo punto finalmente chiarificazione, con implicazioni in campo morale invero pesanti).
Nella seconda parte del suo lavoro Ogien si occupa più dappresso dei cosiddetti ‘ingredienti della ‘cucina’ morale’ (pp. 163-217) e dunque sviluppa un approccio metaetico. Si indagano i caratteri, la validità e il portato delle nostre intuizioni morali, nonché i loro limiti (pp. 187-189),  rispetto alla sussistenza di teorie morali tra di loro antagoniste. Contestualmente, come si è già accennato, le antinomie che l’osservazione ravvicinata delle intuizioni porta con sé si danno come occasione per tematizzare il rapporto tra queste ultime e quattro regole elementari del ragionamento morale poste a monte  (“Da ciò che è non si può ricavare ciò che deve essere”; “devi, dunque puoi”; “tratta i casi simili in modo simile”; “è inutile obbligare le persone a fare ciò che farebbero necessariamente per contro proprio; è inutile vietare alle persone di fare ciò che in nessun caso farebbero volontariamente”, cfr. p. 191). 
Osserva Ogien come, storicamente e tuttora, per molti filosofi queste quattro regole siano risultate ‘inattaccabili’, in tutto o in parte (p. 200).  Pare qui invece il caso di ridiscuterne i presupposti, considerandole singolarmente, nonché illuminando le circostanze in cui vicendevolmente tendono a contraddirsi, eventualmente prevedendo specifici aggiustamenti di compatibilità (cfr. pp. 200-210).
Rispetto poi all’interrogativo, posto a livello più generale, se sia rintracciabile o meno un ‘senso morale’ innato  e un ‘istinto morale’,  si segnala la disamina sulla scorta della critica alla nozione di ‘modulo morale’ avanzata da J. Fodor (pp. 179-186).
Degno di nota il glossario conclusivo, chiarificatore del significato di categorie concettuali richiamate in corso d’opera (tra le altre, la nozione di ‘china fatale’, cfr. pp. 206-209).


Indice

Prefazione
Un antimanuale di etica                                        
Introduzione
A che cosa servono gli esperimenti mentali                
Parte prima
Problemi, dilemmi e paradossi:
19 rompicapi morali                                        

Il programma                                                 
1.  Pronto soccorso                                         
2.  Il bambino che annega nello stagno                 
3.  Il trapianto pazzo                                         
4.  Di fronte alla folla scatenata                                 
5.  Il treno assassino                                         
6.  Un incesto in perfetta buona fede                        
7.  L’amoralista                                                 
8.  La macchina che crea esperienze                        
9.  Vivere una vita breve e mediocre
     è meglio che non vivere affatto?                         
10. Avrei preferito non nascere                                 
11. È necessario eliminare gli animali
      per restituire loro la libertà?                        
12. Il mostro di utilità                                        
13. Hanno attaccato con dei tubicini un violinista
      alla tua schiena                                        
14. Frankenstein ministro della sanità                        
15. Chi sono senza i miei organi?                        
16. E se la sessualità fosse libera?                        
17. È più facile pensare che sia il male ad essere 
      fatto intenzionalmente, anziché il bene                
18. Siamo liberi, anche se tutto è già scritto                
19. I mostri e i santi                                        

Parte seconda
Gli ingredienti della “cucina” morale

1. Le intuizioni e le regole                                
2. Un po’ di metodo!                                        
3. Che ne è delle nostre intuizioni morali?                
4. Che fine ha fatto l’istinto morale?                        
5. Un filosofo consapevole dei limiti delle sue
    intuizioni morali vale doppio, se non di più        
6. Impara a riconoscere le regole elementari
    del ragionamento morale                                
7. Abbi il coraggio di criticare le regole
    elementari del ragionamento morale                

Conclusione
Non cercare di “fondare” la morale!                        

Note                                                                

Glossario                                                        

Bibliografia                                                        

Ringraziamenti 

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