mercoledì 12 marzo 2014

Piaggio, Riccardo, “Come l'acqua nel bicchiere”. Fenomenologia della progettazione culturale

Venezia, Marsilio, 2012, pp. 109, euro 14, ISBN 978-8831709699 

Recensione di Gianni Zen - 09/05/2013

Se state leggendo questa recensione, sarete probabilmente convinti di due cose: 1. che in Italia c'è un problema che riguarda la gestione e la produzione culturale. Ci sono pochi investimenti nella cultura, e quei pochi sono concessi per attività culturali spesso di scarsa qualità o distanti dal pubblico. La macchina statale concede una percentuale molto bassa della spesa complessiva a enti e progetti, i quali spesso sviluppano le proprie attività

 in maniera clamorosamente dilettantesca e provinciale. Il mecenatismo privato inoltre è poco incisivo. Pochi soldi e molti sprechi stanno facendo perdere all'Italia delle posizioni nelle classifiche di competitività economica in questo settore, posti che non vengono recuperati nemmeno attingendo al nostro immenso patrimonio storico-artistico. 2. occuparsi di gestione e produzione culturale è un mestiere serio, difficile, spesso non gratificante per via della situazione al punto 1; ma non solo, anche per un motivo filosofico più radicale. Questo motivo è che spesso non si sa bene cosa sia cultura e cosa non lo sia, cosa sia da valorizzare e cosa no, dove intervenire e dove no, cosa gestire e cosa no, ecc. Quindi il cultural planner deve raccogliere una sfida complessa: il proprio progetto culturale deve situarsi in una visione culturale di ampio respiro, con la quale intrattenere una relazione coerente e integrata. Un intervento nel campo della cultura non è un elemento isolato all'interno di un insieme; anzi, i suoi effetti sono carichi di riverbero in molti ambiti della vita. La complessità degli effetti e delle relazioni vitali ispessiscono il concetto di “cultura”, che da mera cultura museale/conservativa deve acquisire una dimensione fattiva e pragmatica. 
Il libro di Piaggio, molto agile, dice sostanzialmente queste due cose. Ma se gli argomenti sono confusi, sia per quanto riguarda la diagnosi che la cura, il rischio è che delle riflessioni condivisibili risultino fatalmente spuntate. In questo testo si trova una specie di applicazione della legge di Hume: da ciò che è risulta in modo improprio ciò che dovrebbe essere. Piaggio vorrebbe dare linee guida per uscire dalla situazione critica che sta attraversando la cultura in Italia; ma tra la pars destruens e la pars construens mancano in questo testo degli argomenti validi per abbandonare il cul de sac della situazione culturale italiana in favore di una visione veramente nuova. Poiché qui gli argomenti significano tutto; se si danno male, con delle parole a mo' di slogan, allora non si capisce cosa c'è che non va e cosa fare per sistemarla.
In questa recensione quello che vorrei fare è solo questo: dare conto di ciò che c'è di buono nella formulazione delle diagnosi e delle cure e riprenderne invece le criticità dell'argomentazione. Articolerò la recensione in tre punti, che spero siano abbastanza significativi da restituire il senso complessivo del testo.
1. Per il senso comune la cultura è “un contenitore di oggetti, più o meno organizzati, intellettualmente stimolanti ed esteticamente gradevoli o dotati di valore. O terribilmente noiosi, ma comunque degni di rispetto, sempre che siano riconosciuti come opere d'arte. Qualcosa che non ci appartiene, o che non ci riguarda, ma che suscita una certa riverenza. Che la cultura ci appartenga e, soprattutto, ci riguardi, è la tesi di questo scritto” (pp. 16-17). Per Piaggio la cultura è la “nostra stessa identità” (p. 25), “il nostro mondo quotidiano, la città in cui viviamo (com'è progettata, com'è costruita), il cibo che acquistiamo, le scelte che facciamo ogni istante, il modo in cui pensiamo, giudichiamo, rifiutiamo, accogliamo” (p. 26). Questo cambio di paradigma concettuale proposto da Piaggio è condivisibile: se in Italia non diamo peso e finanziamento pubblico alla cultura è anche perché questa è vista dai più come un'attività collaterale, ricreativa. Ora, chi ha interessi “culturali” di questo tipo, cioè chi ha intenzione di contribuire ad un vivere migliore, come può operare? È vero che mancano professionalità che siano capaci di progettazione culturale, “l'ingegnere (o progettista) culturale” (p. 35), ma su cosa dovrebbero lavorare queste professionalità? Piaggio propone interventi sul “consumo” culturale (p. 41), sul “mercato dell'arte” (p. 43), sulla “creatività” che dovrebbe animare il nuovo concetto di polo culturale contemporaneo (p. 44). Proprio qui mi pare ci sia un grosso fraintendimento da parte di Piaggio: stiamo parlando di cultura in senso molto lato, ma il luogo deputato alla cultura è stretto quanto le sale del museo. Non basta dire, come fa Piaggio, che questo diventa da luogo di conservazione a centro “di produzione e didattica dell'arte” (p. 44) in senso “interdisciplinare” o “metadisciplinare” (p. 93 e seguenti). Perché la cultura dovrebbe trovarsi solo al museo? E solo al museo dell'arte, non quelli di storia naturale o scienza e tecnica? Con questa idea “restrittiva” i manager culturali delle nostre città pensano di risolvere i problemi di riqualificazione urbana mettendo al centro di quartieri degradati o malfamati un bel museo. Ma a che serve se non ad una gentrification di facciata? I modelli che ha in testa Piaggio sono rivelatori delle sue idee, e ce li presenta in modo molto meno contraddittorio di quanto siano in realtà: il Guggenheim a Bilbao, Cittadellarte a Biella, il 104 a Parigi, Zurigo, Essen capitale europea della cultura. Ma a che serve impiantare un museo se questo va a sconvolgere la vita culturale che c'era al suo posto, e se questo non viene richiesto dai suoi cittadini? È piuttosto una politica di speculazione (sociale, immobiliare e turistica) più che una politica culturale. Possibile che non sappiamo far corrispondere a quell'idea di cultura, stabilita in prima battuta da Piaggio, qualcosa di adeguato? Non credo che il museo sia l'unico e il più efficace strumento per promuovere una nuova vita sociale più rispettosa e solidale e per recuperare fenomeni di devianza. Intervenire sulla qualità dell'istruzione, su progetti associazionistici artistici e sportivi dal “basso” (qualcosa sembra accennato da Piaggio con l'idea di “territorio” e “contesto”, pp. 104-105), sull'istituzione di luoghi di discussione politica...forse sono cose meno costose e spesso più incisive...
2. Su questo modello di piano urbanistico credo gravi un fraintendimento. È il fraintendimento nato con l'adozione delle analisi economiche/culturali di Richard Florida: in sostanza la tesi è che ci sia una catena di dipendenza diretta tra arte/cultura → museo → creatività/innovazione → sviluppo economico e sociale. Ora quello che mi preme sottolineare è il concetto confuso di “creatività”. Walter Santagata, nella prefazione, scrive che creatività è “la capacità di risolvere i problemi” (p. 12). Ma se così fosse tutti siamo banalmente creativi, dal momento che la vita è “risolvere problemi” (Karl Popper). Piaggio scrive che “ogni riflessione può essere legittimata a divenire esperienza creativa” (p. 82), ma anche che “i nuovi creativi nascono e vengono coltivati, in ogni parte del mondo nel vivaio chiuso del mercato dell'arte” (p. 85), che “l'arte si esprime attraverso lo strumento sensoriale e intellettivo della creatività” (p. 86), e che “la creatività, insomma, è semplicemente la capacità di innovazione e originalità, che non sempre coincide con la creazione (e dunque con la «creatività») artistica (p. 87). Ovviamente, commento, non vi coincide, visto che il concetto di creatività è relativamente recente, addirittura più recente dell'idea di originalità che fa la comparsa nell'arte solo a partire dall'arte romantica. Ancora: “la creatività non si esprime nell'atto della creazione, quanto piuttosto nella capacità, intuitiva e insieme culturale, di immaginare, trasformare, unire e dividere cose che, normalmente, non si trovano insieme. È la capacità di mettere in relazione le cose, le idee, le persone” (p. 101). Allora la creatività è per Piaggio una specie di capacità sintetica, una forma di pensiero associazionista (come nella psicologia di Théodore Ribot). Ma che pro offre questo tipo di pensiero? Per Piaggio ha “l'urgenza di rispondere a domande sociali” (p. 84), cioè “strumento di crescita, sviluppo, conoscenza, cittadinanza libera e consapevole” (p. 21). Il problema, come scrivevo nell'introduzione, è dare argomenti perché si passi dalla ricerca dell'innovazione allo sviluppo sociale, e di questi mi sembra esserci mancanza nel testo di Piaggio, se non per la presenza di un blando comandamento: “la creatività, come straordinario e non riproducibile «modello italiano di sviluppo» va inserita con forza ed evidenza, come ha rilevato Walter Santagata, in un nuovo contesto economico contemporaneo...” (p. 44).
3. Per Piaggio il momento cruciale nello sviluppo culturale è il momento progettuale: una pianificazione degli interventi che in Italia è stata per lo più declinata in senso conservativo, ma che è necessario riproporre in senso valorizzativo e produttivo. La struttura del progetto proposta da Piaggio è quelle de Project Cycle Management (PCM): il PCM consta di “quattro macrofasi principali: l'ideazione e attivazione, la pianificazione (che comprende il centrale piano economico-finanziario), l'attuazione (ossia il momento propriamente produttivo) e la valutazione (come ogni attività sociale, anche un progetto va verificato). […] Progettare significa, innanzitutto, avere una visione, definirla in relazione al suo contesto (territoriale, sociale, economico)” (p. 49). “Il project management è un modello adhocratico (sic.), metaordinario in relazione ai normali processi gestionali, ossia pensato per raggiungere obiettivi in tempi, modi e con un budget stabiliti volta per volta” (p. 50). Questo non significa che il PCM non abbia delle fasi “fisse”: le quattro macrofasi diventano 6 fasi operative: a. l'analisi identificativa del soggetto di riferimento (a chi si rivolge il progetto); b. identificazione della proposta progettuale: motivazioni, bisogni, finalità territoriali, economiche, politiche-sociali; c. dossier/pianificazione di istruzione del progetto; d. finanziamento, piano economico; e. messa in opera f. valutazione (p. 54-55). Ora, io non credo che i problemi di gestione e produzione culturali italiani siano dovuti ad un lack progettuale che il modello proposto da Piaggio potrebbe sopperire: piuttosto credo che i problemi rimontino a una confusione legata essenzialmente a: a'. per chi progettare la cultura; b'. quali sono i bisogni e le finalità; c'. quando e come valutare. La mia convinzione è che i progettisti culturali italiani, e chi gestisce i fondi economici, sappiano come fare un progetto; il problema vero, ritengo, è che si vuole proporre qualcosa che non c'entra come “cultura”. Faccio due esempi legati al mio territorio: i progetti per il museo M9 a Mestre e quello per la torre di Cardin a Marghera. Sono due progetti che hanno fatto parlare nei media per i loro aspetti molto controversi: sono faraonici, costosi, ingombranti; nelle intenzioni sarebbero propulsori culturali, ma a conti fatti potrebbero essere dei flop clamorosi. Seguendo i punti: a'. i progetti nascono da iniziative imprenditoriali top-down, non certo bottom-up; la cittadinanza non è stata promulgatrice, e lo poteva essere: ad esempio votando politicamente un movimento, un partito o un esponente politico che aveva questi o altri cantieri culturali in programma elettorale, o partecipando alla proposta tramite le associazioni; b'. i bisogni e le finalità sono più legati alla celebrazione di sé da parte dei committenti (da qui il carattere faraonico) o a presunte esternalità occupazionali o turistiche (vedi Piaggio a p. 51) che vorrebbero aiutare a risolvere questo difficile momento di crisi economica; di sicuro non sono finalità culturali o sociali in senso precipuo. Ritengo che le esternalità, che tra i progettisti figurano sempre dalla parte dei pro, siano, spesso, un modo ipocrita di fare business con sembianze filantropiche; c'. la valutazione è intesa sempre come ex-post, anche nelle fasi del PCM dettate da Piaggio; non è mai una fase ex-ante o contemporanea all'azione progettuale. Questo perché la valutazione è intesa, credo, in termini “aziendalistici”: quante persone, quante spese, quanti ricavi, quante “esternalità”... È evidente che i criteri di valutazione non rispondono a esigenze culturali, bensì economiche e turistiche: il che non è un male, chiaramente, ma non è la stessa cosa. Infatti la stessa ambiguità si ritrova anche nello slittamento dai termini “comunicazione” (o societing) e marketing (p. 66 e seguenti). Come valutare la riuscita di un progetto culturale? Penso che effettivamente quello della comunicazione di un progetto culturale sia un problema centrale:  il progetto funziona quando la sua comunicazione, che è capacità di coinvolgere, funziona. Il coinvolgimento non è una questione di presenza numerica e di sbigliettamento, ma è piuttosto una questione sociale. Le cose coinvolgenti mettono le persone in relazione, in discussione le une con le altre, fanno vivere la società in modo più solidale e partecipato. Piaggio sembra intravvedere questa dimensione, ma il suo discorso ricade spesso nella giustificazione del valore di un progetto inteso come “esperienza” (p. 71): l'esperienza intende qualcosa di narcisistico e solipsistico; è un godere, ma da soli.
In conclusione: il libro di Piaggio ha il merito di voler fare pulizia nel concetto di “cultura” e si sforza di dargli un respiro più ampio. Questo respiro ha una finalità pratica: come progettare e gestire la cultura, problemi la cui urgenza è sotto gli occhi di tutti. Ma la nuova aria che Piaggio vuole cogliere viene spesso viziata da frequenti malintesi teoretici e da una certa mancanza di incisività argomentativa che avrebbe potuto dare un contributo maggiore alla risoluzione dei problemi.


Indice

Premessa di Walter Santagata
Introduzione
1. Dal progetto culturale alla cultura del progetto: per una fenomenologia della progettazione culturale
   1. Cos'è la cultura?
   2. La cultura da progettare
   3. Per una fenomenologia della progettazione culturale
   4. Da Prometeo al project manager: il Project Cycle Management
   5. La realtà rappresentata: gli eventi culturali
1. Dal marketing alla comunicazione culturale
   1. Verso il societing
   2. Brand, identità, comunicazione integrata: comunicare e produrre la cultura
   3. “Lasciar cantare i monumenti”: le città creative e i territori della conoscenza
1. Per un approccio metadisciplinare alla cultura (e alla creatività)
   1. Creatività e conoscenza
   2. L'anti-museo: i nuovi centri culturali e la produzione di creatività e conoscenza
   3. Verso una visione metadisciplinare dei poli culturali
1. Un decalogo per la conoscenza e per la creatività
   1. Creatività
   2. Innovazione
   3. Memoria
   4. Territorio
   5. Contesto
   6. Universalità
   7. Comunicazione
   8. Leggerezza
   9. Sostenibilità
   10. Visione

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