venerdì 27 giugno 2014

Acerbi, Ariberto (a cura di), Crisi e destino della filosofia. Studi su Cornelio Fabro

Roma, EDUSC, 2012, pp. 465, euro 26, ISBN 978-88-8333-263-0.

Recensione di Marco Strona - 03/02/2013

La filosofia di Cornelio Fabro è una filosofia concreta, legata alla finitudine, all’angoscia, al dolore, e a tutto quanto caratterizza l’esistenza umana: una filosofia che è capace di prendere sul serio e pensare sino in fondo la drammatica situazione dell’uomo d’oggi.
Per Cornelio Fabro la filosofia è la ricerca dell’ultima verità dell’essere e quindi per eccellenza è la “scienza della verità”. Come ha dichiarato egli stesso, tre sono state le direzioni della sua ricerca: “l’approfondimento della nozione metafisica di partecipazione,

la determinazione dell’essenza metafisica del principio moderno d’immanenza come «ateismo radicale», e il recupero del realismo classico-cristiano nell’esistenzialismo metafisico di Kierkegaard contro l’antropologismo ateo dell’immanenza moderna”.[1]
Il testo in questione, ricco di interessanti spunti di riflessioni e inserendosi nell’alveo della ricorrenza del centenario della nascita del filosofo (Flumignano, Udine 1911- Roma 1995), tenta di analizzarne in profondità il pensiero, in tutte le sue direzioni e ramificazioni, che coinvolgono necessariamente tutto l’arco della storia della filosofia, dall’età antica alla contemporanea.
Il primo saggio che troviamo è del prof. Tommaso Valentini, il quale ci presenta l’itinerario intellettuale dell’Autore, in un percorso che si muove a partire dal “tomismo essenziale” verso la critica della modernità. In particolare possiamo qui notare un aspetto molto interessante del pensiero di Fabro, che andrebbe maggiormente approfondito: la presenza platonica e neoplatonica che l’Autore rintraccia all’interno della filosofia di Tommaso, in particolare riguardo la nozione di partecipazione.
L’essere delle creature è sempre un “essere per partecipazione”: è questa la chiave di volta, il “punto di Archimede” del tomismo che a parere di Fabro andrebbe ripreso mostrando tutta la sua feconda attualità.
Ed è a partire da questa nozione metafisica di partecipazione che Fabro critica il principio moderno di immanenza, che ha come sua diretta conseguenza il nichilismo conoscitivo, un radicale scettiscismo nei confronti dell’oggettività dell’essere.
Il pensiero moderno, secondo Fabro, si rende colpevole di aver smarrito la concezione di Dio come Persona, che egli intende perciò recuperare proprio partendo dalla metafisica classica, in particolare dal concetto tomista di partecipazione.
Il saggio di Anna Giannatiempo Quinzio – che ha potuto seguire da vicino per molti anni, soprattutto quelli perugini, l’attività accademica di Fabro – ci presenta il profilo esistenziale di Fabro, soprattutto il suo incontro decisivo con Kierkegaard.
Questo incontro – stimolato dall’amicizia di Fabro con il prof. Peterson e il prof. Gabetti –  è stato per il nostro Autore di fondamentale importanza.
L’interpretazione complessiva del pensiero di Kierkegaard, che Cornelio Fabro ci restituisce in una monumentale opera, frutto di un lavoro che abbraccia oltre quaranta anni di un intenso lavoro filologico e di un ancor più intenso impegno teoretico, presenta un chiaro disegno: mostrare come la filosofia di Kierkegaard esprima un orientamento spirituale rigoroso e radicale; un orizzonte teoretico che situa al centro l’irriducibilità dell’esistenza, un fondamento teoretico che pone in relazione dialettica essere e libertà.
Il merito di Cornelio Fabro –  ci riferisce Giannatiempo – la sua verità più profonda era che “egli pativa tutto quello che intorno a lui stava accadendo, più che come un assedio, come un fallimento: stava crollando un mondo, un orizzonte di pensiero, in cui egli aveva fermamente creduto e per la difesa del quale aveva lottato come combattente” (p. 69).
Di fronte a tutto questo Fabro reagisce dicendo che “la realtà dell’uomo è anzitutto la sua vita vissuta od anche più semplicemente il suo vivere, il compiersi in atto del suo destino esistenziale proprio di ciascun uomo nell’avventura problematica della sua vita” (ivi): è soltanto nella fede “che l’io può trovare il senso primo e ultimo del proprio essere e un varco verso la propria salvezza nel compimento della sua aspirazione al bene senza tramonto” (pp. 69-70).
Proprio per questo motivo Fabro dedicherà molti suoi studi al tema della preghiera, partendo soprattutto sia da Tommaso come da Kierkegaard.
Il saggio di Andrea Robiglio riguarda i rapporti tra Fabro e l’Istituto Superiore di Filosofia di Lovanio, quindi il rapporto tra neoscolastica e fenomenologia.
Robiglio si rivolge in particolare al Fabro degli anni 1938-1958, che coinvolgono sia Lovanio sia la giovane Università Cattolica milanese.
Fabro dedica, specialmente agli inizi della sua brillante carriera, molti studi alla fenomenologia, tra i quali occorre ricordare Percezione e Pensiero e La fenomenologia della percezione: ciò che a lui preme di mostrare è che “il realismo autentico non può essere ingenuo, non può darsi come posizione immediata dell’essere, perché compiega in sé, fin da principio, la soggettività della conoscenza” (p. 93). Si tratta, prosegue Fabro, “che la coscienza umana s’inizia da un’esperienza bipolare, eppure a chiunque evidente, che si costituisce nell’atto di una duplice presenza – del mondo e dell’io – e di un duplice contenuto –della natura e della coscienza” (p. 93): la nozione di esperienza risulta quindi basilare.
Il punto di partenza concreto “si rivela qui particolarmente fecondo nella fondazione delle nozioni di sostanza e di causa, di individualità e di valore, come una riprova del metodo che è stato assunto, il quale è una variante, fra le più mature, di quella che è stata fino ad ora la caratteristica della intrepida scuola di Lovanio” (p. 102).
Massimo Borghesi, nel suo saggio, scava in profondità nella ricca riflessione teoretica di Fabro, in particolare intorno al rapporto tra esistenza e libertà. È a partire dagli anni ’40, sino al termine della sua vita, che Fabro “ha pensato costantemente, come orizzonte, il quadro moderno, la sfida radicale che questo poneva alla fede ed alla tradizione scolastica in generale” (p. 105).
Borghesi ci riferisce che dagli inizi degli anni ’40 fino a tutti gli anni ’50 Fabro partecipa alla scoperta e allo studio dell’esistenzialismo che caratterizza, in Italia, altri studiosi di orientamento cristiano come Pareyson, Del Noce e Castelli.
Nei testi dedicati all’esistenzialismo “Fabro si impegna in un  confronto aperto, senza pregiudiziali, tra la scuola tomista e la nuova corrente di pensiero” (p. 106). L’esistenzialismo, prosegue Borghesi, “viene quindi ad aprire un campo nuovo, non meramente precontenuto nella distinzione tomista di essenza ed esistenza: esso rappresenta il momento critico del moderno, quello in cui l’essere si manifesta come libertà. Un tema, questo, che afferrato da Fabro negli anni’40, diverrà il cuore della sua riflessione a partire dalla seconda metà degli anni ‘60” (p. 107).
Fabro, pertanto, “riconosce la profonda novità dell’Esistenzialismo del ‘900, una novità non riducibile alla comune lezione della Scolastica, che richiede, per essere compresa, una differenziazione tra ontologia prima e ontologia seconda” (p. 107).
Il testo di Riccardo Chiaradonna richiama una delle fonti che Fabro riteneva fondamentali per una autentica lettura di Tommaso,  il neoplatonismo, in particolare la concezione della causalità.
Chiaradonna si richiama alle opere di Fabro La nozione metafisica di partecipazione e Partecipazione e Causalità, dove leggiamo che “ la causalità platonica, come la sussistenza ideale, cade dall’astratto al concreto e cade in linee rette e si divide in cascate parallele; la causalità ontica e la causalità noetica si trovano sempre sullo stesso piano secondo una perfetta coincidenza di rapporti così che il principio del separatismo, se in un primo tempo divide il reale in un tessuto di partecipazioni scalari, poi lo stringe con una struttura ferrea di rapporti d’inclusione necessaria” (p. 138).
Il saggio di John F. Wippel riguarda la Distinzione e composizione di essenza ed esse nella metafisica di Tommaso d’Aquino. Come è noto, Cornelio Fabro è ampiamente riconosciuto per i suoi importanti contributi sulla metafisica di Tommaso, in particolare sulla nozione di partecipazione.
Come ci riferisce Wippel, “secondo Fabro c’è nell’Aquinate una connessione stretta tra la partecipazione trascendentale, in senso statico, e la distinzione reale di essenza ed esse (actus essendi)” (p. 139). Wippel fa notare l’importanza fondamentale che assume la nozione di actus essendi, concetto che Fabro riesce a cogliere mirabilmente e a riportare nel pensiero contemporaneo.
Sempre a partire dal concetto metafisico di actus essendi, Michele Paolini Paoletti opera un confronto tra la posizione di Fabro e quella di Gilson.
Entrambi i pensatori, secondo Paolini Paoletti, hanno colto la nozione tommasiana di actus essendi quale elemento teoreticamente più fecondo “per rispondere alla crisi novecentesca della metafisica e alle accuse heideggeriane di «oblio dell’essere» rivolte all’intera tradizione metafisica occidentale” (p. 157).
Fabro e Gilson, prosegue Paolini Paoletti, “pur concordando sul valore intrinseco della nozione di actus essendi, non paiono concordare su un punto decisivo: la conoscenza dell’actus essendie la sua interpretazione in termini di existentia” (p. 158). Per Fabro “l’actus essendi differisce dall’existentia e non può essere ridotto ad essa; per Gilson, invece, l’actus essendi di un ente può essere generalmente inteso come equivalente alla sua existentia e può essere colto nei giudizi esistenziali” (p. 158).
Il saggio di Giacomo Samek Lodovici ha lo scopo di ricostruire gli aspetti principali della trattazione di Fabro sulla dialettica tra intelletto e volontà, richiamando inevitabilmente il grande tema della libertà.
La libertà, nella riflessione di Fabro, è un atto, è l’affermazione dell’Io come compito e dovere, è quella proprietà dell’uomo grazie alla quale “qualcosa che non poteva non essere né divenire, diviene ed è e parimenti qualcosa che poteva essere e divenire, non è né diviene”. Si chiarisce, così il ruolo fondamentale che acquista la volontà, intesa come motor omnium, ma mai da considerarsi isolata, bensì sempre nel suo rapporto di partecipazione all’Assoluto.
Igor Agostini ci presenta invece la lettura che Fabro compie di Cartesio.
Tale lettura deve riferirsi, in parallelo, a quella di Del Noce, che viene fatta contemporaneamente a quella di Fabro, seppur con esisti totalmente differenti. Secondo Cornelio Fabro il cogito cartesiano sarebbe l’origine del principio d’immanenza, e perciò la causa principale dell’ateismo moderno: è questo “il dramma decisivo del pensiero moderno”.
Gabriele De Anna ci presenta invece l’interpretazione che Fabro fa di Kant, da cui emerge l’importanza della libertà.
Il filosofo friulano ha sostenuto, infatti, che “la concezione della libertà in Kant è sul piano esistenziale della responsabilità del singolo decisamente amorale e atea”( p. 213). Nella conclusione del saggio, De Anna riporta le parole di Fabro: “l’uomo arriva all’ateismo non soltanto sul fondamento del materialismo, ma anche sull’esigenza di una libertà del tutto autonoma, senza legge (eterna) e senza sanzione (divina). La vita estetica si svolge non di rado senza rapporti con la morale e con la religione. Ma la morale non può costituirsi senza la metafisica e non può attuarsi senza la religione”(p. 228).
Antonio Livi si incentra sulle valutazioni storico-critiche di Fabro riguardo la riforma del sistema kantiano proposta da Jacobi.
L’importanza fondamentale che Fabro ha attribuito a Kierkegaard – soprattutto per il valore del Singolo e della libertà – non è stata la stessa che l’Autore ha dimostrato nei confronti di Jacobi, in cui si ritrova una “appassionata difesa del valore del valore metafisico dell’esistenza del mondo, del soggetto libero e di Dio” (p. 246).
Il saggio di Marco Ivaldo riguarda la lettura che Fabro opera nei confronti di Fichte.
Il pensiero di Fichte, in particolare il tema della libertà, a far sviluppare in Fabro alcuni elementi di “ontologia dell’io come libertà, che deve venire considerata come parte integrante del suo pensiero essenziale” (p. 267).
Franz Knappik svolge un confronto tra Hegel e Fabro a partire dal rapporto tra logica e libertà. Il rapporto fra essere, pensare e libertà nei tesi hegeliani “viene esaminato da Fabro soprattutto dal punto di vista dell’opposizione fra realismo tradizionale e immanentismo moderno” (p. 272).
Winfried Rohr ci riporta ad un aspetto essenziale della riflessione di Fabro: quello circa l’interpretazione di Kierkegaard, tenendo conto, in particolare della derivazione/opposizione hegeliana del pensiero di Kierkegaard.
Matteo Negro riflette intorno alla tematica della fenomenologia della percezione.
La riflessione attorno al problema della percezione, infatti, “costituisce indubbiamente uno degli aspetti più originali e fecondi dell’opera di Cornelio Fabro” (p. 313): tutto ciò ha delle ripercussioni anche sulla psicologia contemporanea.
Il saggio di Gennaro Luise  riguarda il rapporto tra Fabro, Marèchal e Kant sul tema del trascendentale/trascendenza.
La conclusione riguarda la sintesi, che Fabro ritrova in Tommaso, di platonismo ed aristotelismo: sintesi “che non è soltanto un evento storico di maturazione dei sistemi, ma una esigenza interna del logos”(p. 352).
Juan Josè Sanguineti delinea invece il confronto tra Fabro e Heidegger intorno al “destino dell’essere”.
Le divergenze di fondo tra i due autori sono note; tuttavia Fabro ritiene che “la metafisica dell’atto di essere di Tommaso possa confrontarsi con la sfida heideggeriana, egli cioè non rinuncia alla filosofia dell’essere, quindi al pensiero metafisico, che comunque va ripensato nei metodi e nei contenuti” (p. 376).
Proseguendo nel rapporto tra Fabro e Heidegger, Maria Cristina Reyes Leiva insiste sulla convergenza tra i due filosofi, in particolare riguardo il rapporto tra essere e libertà.
Anche Adriano Ardovino prosegue su questa linea, in particolare sulla questione dell’ontologia dell’arte.
Infine il saggio di Ariberto Acerbi intende presentare la figura di Cornelio Fabro in rapporto ad altri due  grandi pensatori: Pareyson e Polo.


Indice

Presentazione, p. 7
Introduzione,  p. 9
Gli autori, p. 15
Nota editoriale, p. 20
Sigle adottate, p. 21

Su Cornelio Fabro
1. Tommaso Valentini, Dal “tomismo essenziale” alla critica della modernità. L’itinerario intellettuale di Cornelio Fabro, p. 25
2. Anna Giannatiempo Quinzio, Profilo esistenziale e l’incontro con il Diario di Kierkegaard, p. 51
3. Andrea Aldo Robiglio, Neoscolastica e fenomenologia: Fabro e l’Istituto Superiore di Filosofia di Lovanio, p. 77
4. Massimo Borghesi, Esistenza e libertà in Fabro. L’istanza positiva del moderno, p. 105

Cornelio Fabro e la storia della filosofia
1. Riccardo Chiaradonna, Neoplatonismo e atto di essere. A margine dell’interpretazione di Cornelio Fabro, p. 123
2. John F.Wippel, Fabro sulla distinzione e composizione di essenza ed esse nella metafisica di Tommaso d’Aquino, p. 139
3. Michele Paolini Paoletti, Conoscere l’essere. Fabro, Gilson e la conoscenza dell’actus essendi, p. 157
4. Giacomo Samek Lodovici, “Intellego quia volo”. La dialettica di intelletto e volontà in Fabro, p. 173
5. Igor Agostini, Cornelio Fabro interprete di Descartes, p. 195
6.  Gabriele De Anna, Fabro interprete di Kant. Libertà trascendentale, amoralità e ateismo, p. 213
7.  Antonio Livi, La riforma del sistema kantiano proposta da Jacobi e le valutazioni storico-critiche di Fabro, p. 231
8.  Marco Ivaldo, L’io come libertà in Cornelio Fabro e la sua comprensione di Fichte, p. 249
9.  Franz Knappik, Logica e libertà in Hegel e Cornelio Fabro, p. 269
10.  Winfried Rohr, Fabro e le direttrici ontologiche della sua interpretazione di Kierkegaard, p. 289
11.  Matteo Negro, Fabro e la fenomenologia della percezione, p. 313
12.  Gennaro Luise, Trascendentale e trascendenza. Joseph Marèchal e Cornelio Fabro interpreti di Kant, p. 329
13.  Juan Josè Sanguineti, Il destino dell’essere. Fabro in dialogo con Heidegger, p. 353
14.  Maria Cristina Reyes Leiva, La libertà nel primo Heidegger alla luce delle “Riflessioni sulla libertà” di Cornelio Fabro, p. 379
15.  Adriano Ardovino, Fabro interprete di Heidegger. La questione di un’ “ontologia dell’arte”, p. 395
16.  Ariberto Acerbi, Fabro e l’assimilazione metafisica dell’esistenzialismo, p. 415

Appendice
1. Cornelio Fabro, Caratteri generali del pensiero contemporaneo, p. 435
2. Cornelio Fabro, Libertà e pensieri nell’uomo, p. 439.

Bibliografia, p. 443
Indice dei nomi, 459.

1 commento:

MAURO PASTORE ha detto...

Onesto resoconto da altro mondo:

Della conoscenza sublime di C. Fabri, — detta negli ambienti delle televisive massicce "santificazioni" del papa polacco, magia forse di grandi numeri che parevano dissolver dubbi in sollievi, nonsensi in stili pubblicitari commerciali— di tragica condizione moderna ovviamente negativa, relativizzante, era tal Fabri coinvolto fino ad appartenenza.
Ritualità detta "cattolica" —descritta da Jung in noto studio scientifico — non era inventata e ne offro sintesi:
pretese cannibaliche per morto assente "andatosene in cielo", verso l'alto, irraggiungibile proprio alle ambizioni, conforto di idiozia ineffettiva, rabida ossessione del supplizio e disvalore della vita e con la vita della assemblea
infernale scenario di ateismo e sorprendente; che altrimenti volontariato per cause umanitarie, per non farci "scappare il morto", provvedeva nei casi più rischiosi di affascinanti cadaveri di infanti, consegnati alla violenta assemblea, non tanto unita cioè con innocenti vivi per mezzo. Altri esponevano usi ipertecnologici ai preti sedotti da cinematografico "esorcista“ ignari di tempeste elettromagnetiche e di assassine e dediti ad odio contro armonia con luoghi... Automobile davanti chiesa con via protetta, prima marcia innestata e tanta aria nella carburazione prima senza poi con guidatore ferma, tronfiante il parroco meno astioso... Con le docce pubbliche, le parole ordinarie di sedicenti protestanti "battisti" riuniti per diffamare la Riforma ed ignari, di sedicenti "pentecostali" contro ogni dire a screditare intellettuali presenti, molti sedicenti "cattolici" sognavano "altro"; così, per molti di essi era " bello" ed in senso antivitale attribuire a conclusione filosofica peripezie mentali di "Johannes de silentio", maschera che davvero contraddiva la dialettica hegelista vaneggiando sulla scelleratezza restata vana per fatale intuizione di Assoluto: finger che filosofo protestante proprio "quello" pensasse, era per essi "bello"; anche per Cornelio Fabro alle prese coi testi di Kierkegaard, finanche traducendo, era "bello" pensare a un 'Giovanni Del Silenzio': per gioventù ed anni notabili a vuoto, di C. Fabro omertà inaccettabile: taciute aberrazioni comparate a non sublimate violenze, anche delle moltitudini del "papa polacco"...
Ma chi era per vera politica democristiana era per necessarie frette e per fine quasi totale (la "tangentopoli" dei traditori per timor di pensiero greco), consigliava non vendette e inermi sciocche esibizioni di sederi "davvero belli", nelle parrocchie 'più lontane da Dio'...
Notavo, molto dopo potendone intellettualizzare, sia da mie considerazioni etniche estetiche, sia dallo scoprire che avrei potuto traduzioni alternative di testi greci dell'Imperatore Giuliano intorno alla saggezza politica oltre gli inganni del reale, per virtù propria da se stessa (... 'automaton'); come le vetture in prima innestata e a carburatori pieni d'aria blandivano desideri mortuari sfilando davanti ad entrate delle chiese, la visione dei fondoschiena nudi presentava buon officiante ignaro; ma a spiegar del vero rito cattolico raramente vedendosi altri nudi... Pure a volte si riusciva a farne vedere in stesso edificio ecclesiastico e senza che qualcuno iniziasse a minacciare, gli stessi colpevoli ammollendosi fibre di pantaloni e vestiario intimo gli uni agli altri.

Non era evidentemente serio politicamente il Cornelio Fabro, che troppo teneva a costruire una idea falsa di Riforma per ornarne realtà sedicente "cattolica" sempre più televisiva, eterea, ma con nessuna levità, nessun sollievo lasciandone perché si percepiva, presagiva, di evento che non sarebbe mai dovuto accadere.


MAURO PASTORE