lunedì 13 ottobre 2014

Sala, Roberta, Filosofia per i professionisti della cura

Roma, Carocci, 2014, pp. 154, euro 16, ISBN 978-88-7466-704-8.

Recensione di Rosangela Barcaro - 20/06/2014

Il volume esplora il ruolo e il significato della riflessione filosofica nell’ambito delle professioni della cura, ed è indirizzato ad un pubblico di studenti e professionisti di area sanitaria. Roberta Sala, a partire dall’Apologia di Socrate scritta da Platone, segue un percorso argomentativo che prende le mosse dalla narrazione della vicenda di cui Socrate è protagonista, per sottolineare “alcune riflessioni fondamentali relativamente al significato della filosofia, 


al senso di praticarla, alla sua funzione, nonché alla sua eventuale utilità” (p. 20). Secondo Sala si possono individuare i seguenti elementi salienti della vita e dell’insegnamento socratico: 
1. Discutendo di filosofia nell’agorà, lo spazio pubblico per eccellenza nella polis greca, Socrate mostra la vocazione pubblica della filosofia, il voler migliorare le persone e aiutarle a cercare la verità, “traguardo mai completamente raggiunto di un inesausto e inesauribile ricercare” (p. 21). 
2. Il filosofo insegna il senso critico, incita a spogliarsi dei pregiudizi, ad abbandonare convenzioni e abitudini accolte senza convinzione, in modo “automatico”. 
3. Socrate mostra di avere il coraggio di testimoniare la verità e di non cedere alla paura neppure quando viene condannato a morte: la ricerca della verità non si può zittire, né si può rinunciare alla libertà indispensabile al filosofare. 
4. La ragione deve poter operare senza limiti, nulla deve esserle precluso; il mettere in dubbio le verità religiose o laiche, le consuetudini e le tradizioni, farne oggetto di discussione e disputa, non significa “sbarazzarsene pregiudizialmente, ma […] farne l’oggetto di un’adesione convinta, o anche di una consapevole ammissione di fede” (p. 22). 
5. “La filosofia rende disobbedienti” (p. 22), nella misura in cui essere liberi impone il diritto ed il dovere morale di disobbedire qualora l’obbedienza ad un comando o ad una legge produca un’ingiustizia. 
6. La filosofia non è un mestiere, ma una vocazione, uno stile di vita, un modo di stare al mondo. Non si decide di essere filosofi per professione; ogni individuo che si pone domande sul significato morale dell’agire fa filosofia.
Sala ricorre quindi all’insegnamento socratico per affrontare e discutere temi come la disobbedienza civile e l’obiezione di coscienza, i significati di libertà, autorità, giustizia, il pluralismo e il conflitto di valori tipico della società nella quale viviamo; si interroga inoltre sulle modalità con cui questi concetti vengono espressi nelle professioni della cura. La ricchezza delle sollecitazioni e degli spunti di riflessione rende difficile dare conto per intero dell’indagine di Sala e per tale ragione si è scelto di approfondire in questa sede un peculiare aspetto, quello della pluralità dei valori. 
I professionisti della cura, medici e infermieri in special modo, appartengono ad “una comunità volontaria che si regge su propri valori, idealmente sottoscritti al momento dell’adesione a essa” (p. 48). Ma i professionisti della cura sono anche individui che, oltre ad accogliere una deontologia professionale legata all’attività che esercitano, sono portatori di un proprio bagaglio di valori e concezioni del bene. Può non essere raro che si crei un conflitto tra i valori morali della professione e quelli personali dell’individuo. Questo dilemma viene esplorato da Sala seguendo un’ottica liberale che si fonda sulla distinzione tra ragione pubblica e ragioni pubbliche. Per ragione pubblica si intende il “modo di ragionare in pubblico in base al quale a nessuno è permesso di imporre il proprio punto di vista sugli altri come l’unico vero” (p. 46); per ragioni pubbliche si intendono le ragioni condivisibili da tutti i cittadini, offerte a difesa delle scelte politiche. L’autonomia delle persone, il poter esprimere in piena libertà le proprie idee, con l’unico limite del non causare un danno agli altri, è basilare anche per quanti hanno scelto di aderire a una particolare comunità, quale è quella dei professionisti della cura, dotata di una propria deontologia professionale, assimilabile – secondo Sala – ad una moralità pubblica. A questo proposito l’autrice pone alcuni quesiti fondamentali: quale rapporto esiste tra la deontologia professionale e la morale personale dei professionisti? Che fare se ciò che impone la coscienza è in contrasto con le prescrizioni della deontologia professionale? Come si può affrontare il conflitto tra dovere morale e dovere professionale? Per fornire una risposta a questi interrogativi occorre chiarire preliminarmente che cosa è la deontologia professionale. Essa viene definita come l’insieme dei “doveri della professione ai quali sono sottesi i valori che essa incarna” (p. 55).  Essa ispira una sfera di esistenza che viene indicata come professionale, e si distingue dall’insieme di “principi e valori che l’individuo attinge dalla propria comunità morale” (p. 55). L’autrice considera la deontologia professionale “come una morale parziale […] condivisa solo da un gruppo di persone e comprende soltanto i valori che dovrebbero ispirare l’agire del professionista” (p. 55). È una morale pubblica per professionisti che condividono alcuni valori e scopi comuni, avente lo scopo politico del bene pubblico, e grazie alla quale “l’accordo è raggiunto sull’insieme di valori professionali che sono sì valori morali, ma anche, nello stesso tempo, valori neutrali nei confronti delle singole morali” (p. 55). 
Non si può tuttavia dimenticare che i professionisti della cura sono chiamati ad agire in un contesto sociale, operano con soggetti differenti e differenti visioni morali, e grava su di essi il compito di proporre ed attuare soluzioni concrete. L’autrice sottolinea come decidere di agire seguendo un codice di condotta stabilito dalla deontologia professionale non esenta il professionista dalla responsabilità e dal dovere di rendere conto del proprio operato, che deve essere sempre frutto di una scelta libera ed autonoma in senso kantiano. Non si deve rinunciare alla propria morale personale, ma non si deve neppure piegare l’agire morale alle regole deontologiche di comportamento. Lo impongono il costante confronto con i singoli e la realtà dei casi concreti, nella consapevolezza che talvolta le soluzioni elaborate possano non essere pienamente soddisfacenti e risultino frutto soltanto di un compromesso pragmatico, ottenuto seguendo ragioni prudenziali. Riconoscere le difficoltà che comporta la necessità di decidere è per Sala “il primo passo per prendersi cura di sé” (p. 128), una condizione imprescindibile se si vuole prendersi cura degli altri.
L’autrice dichiara espressamente che il volume non intende presentarsi come una serie di “ricette” pronte all’uso, da applicare in modo meccanico e pedissequo alle situazioni che si possono verificare in ambito sanitario. E d’altro canto non potrebbe essere altrimenti, per la natura del modello filosofico al quale Sala si ispira. 
Il testo è scorrevole e l’autrice è cristallina nell’esporre argomentazioni complesse e articolate.  Ogni capitolo si conclude con un riepilogo degli argomenti trattati; a fondo testo trovano spazio note, apparato critico ed una ricca bibliografia per l’approfondimento della riflessione. Il volume è consigliato a chi intende esplorare le possibilità di un confronto morale senza preconcetti né preclusioni, in nome di un’autentica e inesauribile ricerca della verità. Una ricerca che, per le professioni della cura, forse più che per le altre, implica una continua riflessione morale.


Indice

Introduzione

1. Ricordando Socrate. Perché la filosofia serve alla pratica
La scelta di Socrate
L’accusa di non essere pio
Quel che la filosofia fa
In sintesi

2. Che autorità hanno le autorità? Tra legge e coscienza
La disobbedienza di Socrate
L’obbligo di obbedire all’autorità
Dissenso: disobbedire e obiettare
Rispetto, non tolleranza
In sintesi

3. La professione e il suo pubblico. Dalle verità ai valori della cura
Ragioni personali, ragioni pubbliche, ragionevolezza
La professione: tra morali e deontologia
Conflitto tra doveri
In sintesi

4. Quando il bene non basta. L’urgenza delle decisioni
L’ideale e la realtà
Circostanze tragiche
Le “mani sporche”
In sintesi

5. Giudizio e dialogo. Il difficile equilibrio tra identità e riconoscimento
Precisazioni terminologiche
Dal giudizio al dialogo tramite la tolleranza
Le morali degli altri e la politica del riconoscimento
Multiculturalismo senza le culture
In sintesi

6. L’ideale del compromesso e i conflitti della bioetica
Appello alla terra
Ragionevolezza e modus vivendi
Conflitti bioetici e compromessi
La soluzione biogiuridica
In sintesi

7. La cura degli altri e la cura di sé. Da decisori a soggetti morali
Ragione e sentimento
L’esperienza e la cura
La morale della cura
In sintesi

Conclusioni

Note

Bibliografia

8 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Quanto di convenzionale giunto su vicenda socratica in ambienti culturali specificamente sanitari non è abbastanza per una compiuta analisi di possibilità ed eventualità professionali, perché gli accadimenti che ne corrisponderebbero sono a rigore di pensiero storico determinato e determinante in incertezza di fatti più eminenti e significativi: e racconto di morte incongruo, tossicologicamente insostenibile con dati biografici certi originari e con nessuna altra inferenza comunemente pensabile secondo il poco di non particolare interpretabile di stessa storia.
Biogiuridica resta il maggior riferimento ma eticamente adatto solo a far psicologia cosiddetta "dello specchio" per descriver mimeticamente mentalità contraria a vita e pseudoprofessionale.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(...)

Condizioni odierne di politica sono in professionalità sanitarie fortemente penalizzate da frammentazioni peregrine o plurimità prive di qualunque etica e con risvolti persistenti di violenze di varie parti anche solo professionali e non solo eventuali (cronaca insegna).
In ultimissimi tempi si è delineato analogo quadro sociale culturale politico; in ultimi giorni ed ultime ore però anche quadro politico culturale non analogo, a causa di emergenza medica sanitaria di epidemia da influenza da virus, la quale ha trovato risolutivi interventi in organizzazioni protocollari di sistemi di Stato non in stessa sanità di Stato, che è non direttamente in Stato e cui negativa analogia è stata con esempio non comune nullificata su scala regionale - nazionale e con provvedimenti centrali-periferici non tipici o anomali ovvero giudiziariamente esecutivamente validati a causa di incoerenze di autorità locali regionali.
Ciò è accaduto con doveri di sezioni governative regionali, cioè quelle che fanno da sola mediazione centrale in Regioni, amministrate da Consiglio e Presidente; doveri inibenti iniziative cui non fattibilità statale né legittima perché tale ne sarebbe stata se centralmente ed interamente per interezza di Cittadinanza.
Notasi che molteplicità negativa e duplicemente a causa di analoga non unitarietà, è relazione eminente civile con cultura non eminentemente politica; questa ultima allineata a convenzioni che assegnando a bioetica còmpiti ultimi in emergenze sanitarie ne rassegnano anche, biogiuridicamente senza conclusione né indeterminatezza positiva.
Siffatta morale di rinuncia, in Stato era insufficiente e sul punto di trasformarne etica di Stato in Stato etico, doppia entità mai possibile con verità di entrambi gli Stati in essere anzi di nessuno dei due! Ora rinuncia risulta in superamento, ad averne avviato non bioetica, ma etica del contrasto e della opposizione; non 'psicologia dello specchio' ma 'psicologia della guerra', per una difesa antropologica - etnica da sistemi determinati da Paese e riadeguati a Paese da facoltà democratiche dirette volte a ri-confermare unità ed interezze e pluralità, cioè a conservarne né da centralità né da periferie ma da medianità; interregionalità e governabilità, con comunicazioni esternamente ed esterne per effettività.
Ciò lungi da inverare disgregazione ad opera di chimerici governatorati regionali, sbandierati in ultimi tempi da demagogi e demagogie in sostituzione di Consigli e Presidenti, ha mostrato una logica democratica di base e basata su stesso potere del vivere e sopravvivere da oltre ad entro Statalità e mostrando Statualità corrispondente già e cui etica non del limite interno ad etica stessa e non di dialettica tra molteplici ma di ragioni sia del vivere che del morire senza far morire e non del far vivere morendo; in unità plurale non in frammentarietà plurime.
Difatti professionalità sanitaria cui già in ricerca e conoscenza essendo ordetta Statualità non è da riconoscere bensì su sapere, cui evidentemente comunicazioni extrastatali hanno provvisto in emergenza con un far ri-sapere.
Orizzonte disciplinare culturale anche politico non solo 'anche-sociale' di tal sapere - ri-sapere non è in ultimo la bioetica e non biogiuridico ne è il provvedere bensì tanatologico ne è: il provvedersi di inazioni e di alternative e di rifiuti e di parallelità...


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(...)

Stessa tattica di non-morte che riferì Platone su Socrate e cui poi aggiungendo informazione di ancora-vita; cui interpretazioni scolastiche non di scuole stesse ridussero a pensiero di vagheggiamenti amorosi od anche materici però cui testimonianze oracolari non oracoli diedero nota di persona ancor direttamente manifestata... Filosoficamente ciò accadeva per Tramite della autorità nuova del filosofo non mero scopritore di ulteriorità bensì asseveratore della vita col... vivere; làscito greco elleno a futuro non elleno non esempio ma parabola ovverossia episodio non uguale né diverso in altro futuro non differente non altro.
D'altronde specchiar con ragione e psiche l'unirsi empio di debolezza vitale e pensieri vitali non dà sicurezza di quadri professionali, nonostante tutto più che disastrati quanto a non reattività comune e con funzionalità sol eterodotta, da messaggi e condizionamenti favorevoli.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Non quale classico esempio mortuario di buona condotta — in verità dipendente da pessime condotte di molti alunni e professori quindi senza una classe astratta di riferimento e solo per convenzione parzialmente utile assurto a classico senza esserne— "Socrate alle prese col veleno" in ultima analisi e ricerca storica è episodio per episodica, che per cultura italiana non ha valore in reale riferirsi politico ma per altro significare di non altro senso; racconto di sopravvivenza che mostra della intuizione della morte facoltà di dare a premorte provvisorità ed a vita maggiore scelta senza che molteplicità di molteplici sia la mèta di un sopravvivere collettivo esposto a morti dei singoli e neppure con certa realizzabilità di sopravvivenza collettiva; e tutto ciò in un orizzonte conoscitivo comunque ulteriore che coincide in essere oltre la prospettiva antropologica della privazione di vitalità causata dalla condizione di malattia non da opposta condizione di attraversarne gli stati non vitali senza privazioni di forze vitali. Questo prospettarsi che in culture orientali è sorprendente in culture occidentali non lo è a causa di difficoltà diverse di vite rispettive; ed in Europa è il solo prospettarsi che identità continentale stessa possiede; ed allora cogliere i limiti di ricezioni convenzionali e parziali di tradizioni socratiche induce a civiltà europea consapevolezza del proprio divenire da una cultura fortemente legata alla natura o unitane, ciò ultimo di mondo greco tutto (anche italiano non solo elleno). A tal sapere è unito inscindibilmente un senso dell'ovvio diverso o differente da resto di Occidente e mondo ma con comunanza di medesima ovvietà diversamente o differentemente sentita ma identica in realtà cosmopolita di vita solidale a varietà di ambienti naturali, non dunque affinità da lontano, neppure origini o futuri; cioè: legami a luoghi stessi in cosmica sintonia ed armonia nonostante ordinarietà naturale manifesta di luoghi.
Invece è di matrice internazionale - internazionalista l'opposto senso di non ovvietà in rapporto o relazione a prospettarsi di medesime eventualità negative; ma, appunto, filosofia europea, italiana, non ha questo secondo mondo, non più neanche per sola ipotetica eventualità; allora unico intendimento a lavoro recensito è quello di relatività ad alterità - ulteriorità e a individuazione di identità; datoché identità individuante sistemi di valori e poteri relativi a bioetica non è biogiuridica alterità ma tanatologica coscienza... La gerarchia di intellettuali facoltà utile ne è in fattispecie tossicologica primariamente patologica secondariamente; perché nel protarsi di identità occidentale europea e più in particolare italiana non è possibile alla filosofia un potere maggiore che identitario, dato che questo origina da realtà naturale gerarchicamente ordinata secondo maggiori necessità di sopravvivenza che altrove nel mondo per spontaneità naturale che richiede– particolarmente in Italia ed ormai tutta– azioni e vitalità già entro pensiero e vita strettamente uniti nel provvedere a non morire e contro il morire. Difatti tal natura risulta esser generosa a chi si provvede direttamente di naturalità; e tutto quel che eventualità in natura non naturali e casi avevan posto in sol esser non esistere, ora si è rivelato in differire non mutare esistenza ed in esistere, anche improvviso non qual sciagura ma qual più forza da comprendere in natura.
Perciò non è più possibile trarre da vecchia esemplarità ellena o ellena-ellenica, peraltro o per giunta non veritiera, barlumi di ispirazioni intellettuali e conoscitive; bisogna intender grecità non di base culturare né di civile non di cittadinanza, ma di base etnica.
Tal intesa reca fortemente un senso di ovvietà liberatorio che non distrugge sforzi ma ne provvede di premesse immediate e chiarificanti.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In messaggio precedente 'culturare' sta per: culturale; 'protarsi' proprio per: protarsi.

Comunque reinvierò con espressione diversa più significante.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Non quale classico esempio mortuario di buona condotta — in verità dipendente da pessime condotte di molti alunni e professori quindi senza una classe astratta di riferimento e solo per convenzione parzialmente utile assurto a classico senza esserne— "Socrate alle prese col veleno" in ultima analisi e ricerca storica è episodio per episodica, che per cultura italiana non ha valore in reale riferirsi politico ma per altro significare di non altro senso; racconto di sopravvivenza che mostra della intuizione della morte facoltà di dare a premorte provvisorità ed a vita maggiore scelta senza che molteplicità di molteplici sia la mèta di un sopravvivere collettivo esposto a morti dei singoli e neppure con certa realizzabilità di sopravvivenza collettiva; e tutto ciò in un orizzonte conoscitivo comunque ulteriore che coincide in essere oltre la prospettiva antropologica della privazione di vitalità causata dalla condizione di malattia non da opposta condizione di attraversarne gli stati non vitali senza privazioni di forze vitali. Questo prospettarsi che in culture orientali è sorprendente in culture occidentali non lo è a causa di difficoltà diverse di vite rispettive; ed in Europa è il solo prospettarsi che identità continentale stessa possiede; ed allora cogliere i limiti di ricezioni convenzionali e parziali di tradizioni socratiche induce a civiltà europea consapevolezza del proprio divenire da una cultura fortemente legata alla natura o unitane, ciò ultimo di mondo greco tutto (anche italiano non solo elleno). A tal sapere è unito inscindibilmente un senso dell'ovvio diverso o differente da resto di Occidente e mondo ma con comunanza di medesima ovvietà diversamente o differentemente sentita ma identica in realtà cosmopolita di vita solidale a varietà di ambienti naturali, non dunque affinità da lontano, neppure origini o futuri; cioè: legami a luoghi stessi in cosmica sintonia ed armonia nonostante ordinarietà naturale manifesta di luoghi.
Invece è di matrice internazionale - internazionalista l'opposto senso di non ovvietà in rapporto o relazione a prospettarsi di medesime eventualità negative; ma, appunto, filosofia europea, italiana, non ha questo secondo mondo, non più neanche per sola ipotetica eventualità; allora unico intendimento a lavoro recensito è quello di relatività ad alterità - ulteriorità e a individuazione di identità; datoché identità individuante sistemi di valori e poteri relativi a bioetica non è biogiuridica alterità ma tanatologica coscienza... La gerarchia di intellettuali facoltà utile ne è in fattispecie tossicologica primariamente patologica secondariamente; perché nel protarsi di identità occidentale europea e più in particolare italiana non è possibile alla filosofia un potere maggiore che identitario, dato che questo origina da realtà naturale gerarchicamente ordinata secondo maggiori necessità di sopravvivenza che altrove nel mondo per spontaneità naturale che richiede– particolarmente in Italia ed ormai tutta– azioni e vitalità già entro pensiero e vita strettamente uniti nel provvedere a non morire e contro il morire. Difatti tal natura risulta esser generosa a chi si provvede direttamente di naturalità; e tutto quel che eventualità in natura non naturali e casi avevan posto in sol esser non esistere, ora si è rivelato in differire non mutare esistenza ed in esistere, anche improvviso non qual sciagura ma qual più forza da comprendere in natura.
Perciò non è più possibile trarre da vecchia esemplarità ellena o ellena-ellenica, peraltro o per giunta non veritiera, barlumi di ispirazioni intellettuali e conoscitive; bisogna intender grecità non basandosi sul far cultura né su essere civile non di cittadinanza, ma per base etnica.
Tal intesa reca fortemente un senso di ovvietà liberatorio che non distrugge sforzi ma ne provvede di premesse immediate e chiarificanti.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Comprensione di messaggio cui inviato chiosa era possibile ma verbo derivato 'culturare' (davvero se ne può da 'cultura' [ ugualmente a 'brossura' : / brossura... brossurare... / o: / calura... calurante, calurare... / meno ovviamente che da: / futuro... futurare / ] pur conferendo maggior senso ne era espressione di fatto ostica e bislacca.
Comunque non essendo sempre il maggior significare il meglio e più approriato dire, reinvierò testo meno significante, con la revisione già chiosata, per comodità di lettura.

Purtroppo scrivo tra ostilità e difficoltà tecniche di segnali telematici e di supporto di scrittura e avevo preferito inviar presto anche per evitar rischi maggiori di curiosi via-internet.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

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Non quale classico esempio mortuario di buona condotta — in verità dipendente da pessime condotte di molti alunni e professori quindi senza una classe astratta di riferimento e solo per convenzione parzialmente utile assurto a classico senza esserne— "Socrate alle prese col veleno" in ultima analisi e ricerca storica è episodio per episodica, che per cultura italiana non ha valore in reale riferirsi politico ma per altro significare di non altro senso; racconto di sopravvivenza che mostra della intuizione della morte facoltà di dare a premorte provvisorità ed a vita maggiore scelta senza che molteplicità di molteplici sia la mèta di un sopravvivere collettivo esposto a morti dei singoli e neppure con certa realizzabilità di sopravvivenza collettiva; e tutto ciò in un orizzonte conoscitivo comunque ulteriore che coincide in essere oltre la prospettiva antropologica della privazione di vitalità causata dalla condizione di malattia non da opposta condizione di attraversarne gli stati non vitali senza privazioni di forze vitali. Questo prospettarsi che in culture orientali è sorprendente in culture occidentali non lo è a causa di difficoltà diverse di vite rispettive; ed in Europa è il solo prospettarsi che identità continentale stessa possiede; ed allora cogliere i limiti di ricezioni convenzionali e parziali di tradizioni socratiche induce a civiltà europea consapevolezza del proprio divenire da una cultura fortemente legata alla natura o unitane, ciò ultimo di mondo greco tutto (anche italiano non solo elleno). A tal sapere è unito inscindibilmente un senso dell'ovvio diverso o differente da resto di Occidente e mondo ma con comunanza di medesima ovvietà diversamente o differentemente sentita ma identica in realtà cosmopolita di vita solidale a varietà di ambienti naturali, non dunque affinità da lontano, neppure origini o futuri; cioè: legami a luoghi stessi in cosmica sintonia ed armonia nonostante ordinarietà naturale manifesta di luoghi.
Invece è di matrice internazionale - internazionalista l'opposto senso di non ovvietà in rapporto o relazione a prospettarsi di medesime eventualità negative; ma, appunto, filosofia europea, italiana, non ha questo secondo mondo, non più neanche per sola ipotetica eventualità; allora unico intendimento a lavoro recensito è quello di relatività ad alterità - ulteriorità e a individuazione di identità; datoché identità individuante sistemi di valori e poteri relativi a bioetica non è biogiuridica alterità ma tanatologica coscienza... La gerarchia di intellettuali facoltà utile ne è in fattispecie tossicologica primariamente patologica secondariamente; perché nel protarsi di identità occidentale europea e più in particolare italiana non è possibile alla filosofia un potere maggiore che identitario, dato che questo origina da realtà naturale gerarchicamente ordinata secondo maggiori necessità di sopravvivenza che altrove nel mondo per spontaneità naturale che richiede– particolarmente in Italia ed ormai tutta– azioni e vitalità già entro pensiero e vita strettamente uniti nel provvedere a non morire e contro il morire. Difatti tal natura risulta esser generosa a chi si provvede direttamente di naturalità; e tutto quel che eventualità in natura non naturali e casi avevan posto in sol esser non esistere, ora si è rivelato in differire non mutare esistenza ed in esistere, anche improvviso non qual sciagura ma qual più forza da comprendere in natura.
Perciò non è più possibile trarre da vecchia esemplarità ellena o ellena-ellenica, peraltro o per giunta non veritiera, barlumi di ispirazioni intellettuali e conoscitive; bisogna intender grecità non di base culturale né di civile non di cittadinanza, ma di base etnica.
Tal intesa reca fortemente un senso di ovvietà liberatorio che non distrugge sforzi ma ne provvede di premesse immediate e chiarificanti.

MAURO PASTORE