mercoledì 25 febbraio 2015

Lavecchia, Salvatore (a cura di), Istante. L’eperienza dell’illocalizzabile nella filosofia di Platone

Milano-Udine, Mimesis, 2012, pp. 158, euro 18, ISBN 978-88-5751-234-1.

Recensione di Marco Cavallaro – 12/09/2013

La natura dell’istante nella filosofia di Platone è al centro dei quattro saggi che compongono il volume curato da Salvatore Lavecchia, docente di Filosofia Antica presso l’Università degli Studi di Udine. Nella Premessa Lavecchia propone di considerare la nozione di istante “come una delle chiavi di lettura dell’opera e del filosofare platonici” (p. 9) dal momento che racchiude al suo interno una serie di tematiche ontologiche ed epistemologiche che figurano centrali per la comprensione del pensiero del filosofo ateniese. 

I quattro saggi presentati in questo volume, che derivano da approfondimenti e ampliamenti di altrettanti contributi forniti in un incontro di studi tenutosi ad Udine, esplorano molteplici alternative di ricerca del concetto platonico di istante e delle sue connessioni con altre testimonianze del pensiero antico. 
L’interessante saggio di Linda Napolitano Valditara apre il volume fornendo una prospettiva storico-cronologica del concetto di istante dai Pitagorici ad Aristotele. Il concetto di istante si lega in ambito pre-platonico a due specifiche concezioni del tempo. Da un lato, vi è l’idea dello scorrere inesorabile del tempo “verso un suo punto fatale (kairòs), per qualità diverso da ogni altro dei punti (finiti o infinitesimi), individuabili nel suo dispiegarsi” (p. 25); dall’altro lato, è contemporaneamente presente la concezione di “un tempo invece continuo, tutto in modo neutro divisibile in parti (finite o infinitesime) regolari e simili” (ibidem). Platone terrebbe conto di entrambe le tradizioni nella sua analisi della temporalità. La complessa trattazione dell’istante nel Parmenide è intesa a garantire la possibilità del moto e in generale del mutamento. Dato che, secondo il Principio di Non-Contraddizione ad ogni soggetto non possono inerire due predicati opposti, è necessario, argomenta Platone in quel dialogo, che si dia uno “stato straordinario”, l’istante (exàiphnes), in cui il soggetto passi da uno stato all’altro. L’istante spiegherebbe, dunque, dal punto di vista ontologico-fisico la possibilità del mutamento dallo stato di quiete a quello del movimento, e viceversa. L’autrice puntualizza, inoltre, che l’accezione di istante presentata nel Parmenide e in altri passi dell’opera platonica può divenire oggetto di un’ulteriore e originale linea interpretativa che sottolinei non solo il suo significato ontologico-fisico, ma anche la sua importanza all’interno della descrizione della sfera psichica. Exàiphnes diviene così peculiare espressione del carattere di rottura che determinate esperienze provocano rispetto allo stato anteriore vissuto dall’agente. L’avverbio “istantaneamente” (exàiphnes) è impiegato, dunque, da Platone per descrivere uno stato psichico, e non più ontologico, in cui il soggetto reagisce alla novità della situazione presentatasi con una vera e propria “rottura” della propria usuale modalità di esperienza. Secondo la Valditara, quindi, “l’uso che Platone [...] fa dell’exàiphnes esibirebbe allora uno dei tratti del moderno presente psichico: l’instaurarsi (improvviso) di un’esperienza [...] che si stacca dal flusso continuo dei fatti psichici pregressi e che implica [...] la ristrutturazione innovativa di un complesso di dati già noti ed esperiti” (p. 29). Un interessante esempio di questa specifica facoltà attribuita da Platone all’istante è rappresentato dai cosiddetti “piaceri puri”, ovvero piaceri che non poggiano su precedenti mancanze e il loro relativo dolore – come il piacere derivante dalla percezione improvvisa di un profumo. Dal punto di vista epistemologico, invece, l’istante caratterizza l’attimo della consapevolezza del vero, dell’intuizione noetica delle essenze che “sorge all’improvviso” ed implica “il tempo qualitativo e topico del kairòs [...] in cui il tempo [...] finalmente realizza e porta all’atto ciò che è per natura possibile alle nostre competenze, cioè la conoscenza del vero” (p. 33).  Anche in relazione alla concezione aristotelica del tempo, l’autrice pone in evidenza la necessità di affiancare alla lettura tradizionale, che si focalizza in maniera esclusiva sull’approccio fisico e ontologico, una nuova e stimolante linea interpretativa che indaghi l’“ineliminabile approccio soggettivistico o psicologico” (p. 35) dell’analisi temporale. Nei capitolo del IV libro della Fisica (10-14) in cui Aristotele introduce e commenta la sua definizione del tempo come “numero del movimento secondo il prima e il poi”, centrale è per l’appunto la funzione ordinatrice della psychè, la quale ‘costruisce’ l’ora (nun) come limite che divide il prima (passato) dal poi (futuro). L’ora non sarebbe, dunque, da concepire come istante privo di durata, ma quale “presente [...] esteso o dotato di una certa durata [...] oppure, ancora, come istante cairotico, punto fatale diverso da ogni altro” (p. 35). A testimonianza di tale interpretazione del famoso passo aristotelico, l’autrice richiama due di quelle che Aristotele definisce attività (energheiai) o azioni perfette: il pensare e l’essere felici. Nel caso tipico del pensare non-discorsivo (noein), l’essenza dell’oggetto considerato è colto “con la stessa istantanea efficacia con la quale l’arciere tocca o coglie [...] il centro del bersaglio con la propria freccia” (p. 43). Allo stesso modo, l’esser felici e godere (eudaimonein) “iniziano nell’istante fatale in cui siano finalmente portate all’atto [...] competenze naturali proprie dell’anima umana” (p. 46). Cosicché Aristotele, in maniera del tutto analoga a Platone, sembrerebbe ammettere una forma di presente psichico, oltre che per gli stati cognitivi, anche per quelli emotivi.
Il saggio di Salvatore Lavecchia ripercorre con cura di dettagli le molteplici occorrenze del termine exàiphnes nei dialoghi platonici. La sinossi si apre con un’analisi del classico passaggio del Parmenide nel quale emerge il carattere antinomico dell’istante, considerato sia come non-luogo e non-tempo del mutamento, sia come punto di assoluta discontinuità rispetto agli stati coinvolti nel mutamento. Se lo stato di arrivo del mutamento non è deducibile dallo stato di partenza, il mutare stesso implica un “passaggio al limite” (p. 59) reso possibile dalla dimensione atemporale e atopica dell’istante. Allo stesso tempo, il mutamento e ciò che lo rende possibile, ovvero l’istante, sono considerati “paradossale cifra della relazionalità” (p. 60) dal momento che pongono in relazione, senza identificarli, gli opposti. Un’ulteriore testimonianza dell’uso di exàiphnes in chiave, questa volta, epistemologica è da ravvisare all’interno del mito della caverna riportato dalle parole di Socrate nella Repubblica. In alcuni passaggi centrali dell’allegoria l’avverbio “improvvisamente sottolinea infatti un mutamento di orizzonte che pone il suo soggetto in una situazione e di fronte a realtà non deducibili dalla sua esperienza precedente” (p. 61). Nel Simposio, ancora, la visione del Bello in sé è detta attingersi “improvvisamente”. “Quell’istante è il passaggio al limite che valica la discontinuità fra piano della manifestazione e piano dell’archetipo, dell’Idea, vale a dire fra condizione umana e vita degli dèi” (p. 65). La stessa accezione conoscitiva attribuita al concetto di istante figura nell’excursus gnoseologico della Settima Lettera. Qui Platone distingue due forme di conoscenza, l’una discorsiva e mediata e l’altra meta-discorsiva e intuitiva. Il secondo tipo di conoscenza “sgorga sì da un lungo periodo di convivenza/comunione filosofica, ovvero di dialogo/discorso intorno all’oggetto ricercato [...]; in sé è però indeducibile da quell’orizzonte dialogico/discorsivo” (p. 67), dal momento che scocca “improvvisamente” nell’anima dell’individuo. Alla luce di queste occorrenze testuali e di uno studio approfondito della filosofia platonica, Lavecchia può avanzare l’ipotesi secondo cui la dimensione dell’istante fungerebbe in Platone da icona dell’aspetto eminentemente relazionale del Bene. Così come il Bene rimane aperto alla relazione con l’Altro, “un Assoluto la cui identità/unità con sé consiste nell’incondizionata apertura ad un Altro” (p. 72), allo stesso modo l’istante costituisce quel non-luogo che consente l’incontro di tutti gli opposti, dell’identità e dell’alterità. A sua volta l’istante, paragonato appunto ad un non-luogo, richiama alla mente l’epiteto che descriveva Socrate come atopon, illocalizzabile. Socrate, dunque, è “come l’istante quel soggetto [che] produce il non-spazio in cui può aver luogo il paradossale incontrarsi degli opposti” (p. 75).
Il contributo di Claudia Luchetti inquadra la discussione dell’istante contenuta all’interno del Parmenide nel più ampio contesto dell’opera platonica. Innanzitutto, viene criticata l’interpretazione che vede l’introduzione del concetto di istante in Platone nell’ottica di una mera teoria del divenire fenomenico. Nella prospettiva platonica non vi è alcuna necessità, infatti, “di ricorrere all’introduzione del concetto di exàiphnes per poter escludere la presenza contemporanea [...] di predicati opposti, in quanto lo stesso concetto di divenire [...] viene concepito come uno svolgimento continuo che avviene nel Tempo, anch’esso continuo” (p. 102). In secondo luogo, la dimensione dell’istante viene a coincidere con il luogo dell’irruzione delle Idee nel sensibile al momento del passaggio (metabolé) da uno stato di cose al suo opposto. “Un sensibile cessa di divenire ciò che sta divenendo ed ‘è’ ciò che diviene quando viene a partecipare di quell’Idea responsabile della presenza in esso della caratteristica che viene acquisita” (p. 105). In terzo luogo, la concezione dell’istante figura anche al centro della teoria platonica del conoscere. In tal senso l’autrice propone due opzioni ermeneutiche. Da una parte, è possibile concepire la funzione orizzontale dell’istante nel cuore della dialettica, il quale consentirebbe il passaggio fra gli enti, tra loro opposti e contraddittori. Dall’altra, l’istante assume una funzione verticale di conoscenza noetica del Bene in quanto ente superiore a tutti gli altri, mediando quindi fra le dimensioni protologica e ontologica. La teoria dell’istante in Platone consentirebbe, infine, di rendere conto del processo generativo delle Idee a partire dal Principio. A favore di tale argomentazione l’autrice riporta una serie di fonti testuali in cui gli attributi di Ordine, Limite e Misura vengono attribuiti tanto all’istante quanto alla natura del Principio.
Il saggio di Michele Abbate che chiude il volume propone una trattazione dell’exàiphnes nello sfondo di due centrali luoghi dell’opera platonica: il Cratilo e il mito della caverna. Le occorrenze testuali dell’avverbio “improvvisamente” nel Cratilo fanno riferimento al carattere di immediatezza e subitaneità del sapere, “in sostanza di una forma di conoscenza che non è in grado di rendere conto di se stessa, in quanto più simile ad una sorta di inspiegabile ispirazione divina” (p. 148). Allo stesso modo, nell’allegoria della caverna il passaggio “improvviso” da una condizione epistemica ad un’altra determina nel prigioniero liberato una situazione di confusione ed incertezza, diversa dal possesso pieno e stabile del sapere filosofico. L’autore conclude, quindi, che “un sapere caratterizzato esclusivamente dalla dimensione dell’exàiphnes [...] non garantisce quella esigenza di fondamento e di continua auto-verifica critica che la ricerca della conoscenza autentica necessariamente richiede” (p. 155).
La raccolta di saggi di Salvatore Lavecchia rappresenta uno strumento ricco e imprescindibile per chi voglia approcciarsi ad uno dei temi centrali della filosofia di Platone. Il numero delle studiose e studiosi coinvolti, inoltre, testimonia la vivacità dell’attuale panorama italiano degli studi di filosofia antica. Il volume offre, infine, non solo la possibilità di approfondire dettagliatamente la problematica dell’istante discussa nell’opera platonica, ma anche di avere una interpretazione originale dell’intero pensiero del filosofo ateniese.

Indice

Premessa
RICERCANDO UN NON-LUOGO TRA POESIA E FILOSOFIA
di Salvatore Lavecchia

ISTANTE, PRESENTE ED ATTUALE. IPOTESI PER UNA TEMPORALITÀ ‘PSICHICA’ IN PLATONE E ARISTOTELE
di Linda M. Napolitano Valditara

COME IMPROVVISO ACCENDERSI. ISTANTE ED ESPERIENZA DELL’IDEA
di Salvatore Lavecchia

TÒ TPÍTON. UNO SGUARDO D’INSIEME ALLA THEORIA PLATONICA DELL’ISTANTE A PARTIRE DAL “PARMENIDE” (155e4-157b5)
di Claudia Luchetti

IL SEGNALE DI UN SAPERE PRIVO DI FONDAMENTO: IL TERMINE EXAIPHNES NEL CRATILO E NEL MITO DELLA CAVERNA
di Michele Abbate

1 commento:

Salotto dei Poeti ha detto...

Come è vicino l'istante platonico ad un haiku che sgorga improvvisamente, illuminando la coscienza e regalando felicità. La parola diventa sorgiva, espressione del Bene che dicendo si dona.