Recensione di Maurizio Brignoli – 17/04/2005
Filosofia politica (socialismo), Storia della filosofia (marxismo)
Marx nei suoi limiti è un testo inedito, e probabilmente incompiuto, del 1978, col quale Althusser torna a riflettere sui limiti della teoresi e della politica marxista con i quali è indispensabile confrontarsi da un punto di vista filosofico. Il punto di partenza della riflessione althusseriana è costituito dalla convinzione che la crisi politica del marxismo, esplosa col XX Congresso del Pcus e con la rottura fra Cina e Urss, rinvii alla sua crisi teorica che, essendosi preclusa ogni soluzione con la forma stalinista assunta negli anni Trenta, è esplosa ora in tutta la sua gravità permettendo finalmente un lavoro di correzione e revisione.
Marx è convinto di aver inaugurato una nuova conoscenza: quella delle condizioni, delle forme e degli effetti della lotta fra classi, è quindi convinto di far comprendere, per la prima volta, conoscenze oggettive adeguate per guidare un movimento rivoluzionario. Da questo punto di vista Marx era “marxista”, quando invece non si dichiarava tale protestava in anticipo contro qualsiasi interpretazione della sua opera come filosofia della storia e contro l’idea che la sua ricerca avesse scoperto la “scienza” dell’“oggetto” Economia Politica quando, invece, il suo obiettivo era di criticare radicalmente sia l’Economia Politica sia il suo “oggetto”. “Critica” nel Capitale non è il giudizio che l’Idea (vera) pronuncia su un reale contraddittorio, ma è il reale, come lotta di classe, che critica se stesso.
Marx è un intellettuale borghese ed è grazie a ciò che comprende come la società capitalistica occulti lo sfruttamento di classe tramite un’ideologia dominante. Per abbattere questa costruzione bisogna cominciare dalla filosofia, non per eliminarla, ma per cambiarne la base. Lavoro più difficile di quanto non pensasse Marx stesso che, secondo Althusser, con le Tesi su Feuerbach delinea una specie di storicismo soggettivistico e con L’ideologia tedesca uno storicismo positivistico che porta alla fabbricazione di una “delirante ma interessante filosofia materialista della storia” (p. 55). Ma quel che conta veramente è che Marx, nell’elaborazione teorica come nello scontro politico, non ha mai abbandonato il terreno di lotta della classe operaia. Il suo è un pensiero che si sviluppa all’interno del movimento operaio esistente e non è quindi una teoria introdotta dall’esterno.
In Marx permane, dall’Ideologia tedesca al Capitale, una filosofia della storia, che scomparirà del tutto solo nella Critica al programma di Gotha e nelle Glosse a Wagner, consistente nella successione progressiva dei vari modi di produzione. Ma l’idealismo permane in una forma più sottile anche nell’unità fittizia dell’esposizione del Capitale. Marx si ritiene costretto ad affrontare in una disciplina scientifica il problema filosofico del cominciamento dell’opera. Marx, ritenendo necessario partire dall’elemento più “semplice” e “astratto”, cioè dalla merce, si è costretto a partire dall’astrazione del valore con la conseguenza di lasciare necessariamente fuori da questo ordine di esposizione ciò di cui deve comunque parlare – dalle varie forme della produttività del lavoro, alla storia delle condizioni del capitalismo – per elaborare una teoria dello sfruttamento che non può, secondo Althusser, ridursi alla teoria del plusvalore. E, infatti, questi elementi sono al di fuori dell’“ordine di esposizione” e creano un salto continuo dalla teoria alla storia e dall’astratto al concreto.
Tutte queste difficoltà derivano dall’Idea che il Processo del pensiero materialista debba cominciare necessariamente con l’astrazione. Marx ha come punto di riferimento le scienze naturali, ma è guidato anche da un’Idea di Verità che deriva da Hegel. Nella pratica del Capitale Marx rompe con l’idea hegeliana della scienza, del metodo e della dialettica, ma, contemporaneamente, si autoimpone di cominciare dal valore. Le conseguenze di questa concezione filosofica idealistica del Processo del Pensiero Vero si vedono nell’esposizione in stile contabile del plusvalore che porta, secondo Althusser, a un’interpretazione “economicista” dello sfruttamento.
La necessità di adottare una posizione che rappresenti il proletariato non può da sola e di colpo regolare i conti con la coscienza filosofica anteriore ed infatti, a parte le emblematiche Tesi su Feuerbach, Marx non ha mai spiegato chiaramente la sua filosofia. Questo non vuol dire che Marx non si sia continuamente misurato con la filosofia e non abbia sviluppato un continuo processo d’autocritica e rettificazione per trovare parole e concetti che ancora non esistevano per pensare ciò che fino allora era rimasto occultato.
Marx si distingue da tutta la filosofia idealistica, come solo Machiavelli ha saputo fare, perché non crede nell’onnipotenza delle idee, comprese le sue. L’influenza delle idee si esercita solo sotto condizioni ideologiche e politiche che esprimono un rapporto di forza fra le classi. Marx, infatti, pone le sue idee, oltre che come principi di analisi dell’insieme del suo oggetto (congiuntura politica o struttura di una formazione sociale), tra le forme ideologiche all’interno delle quali gli uomini prendono coscienza del conflitto di classe. Da qui deriva la distanza tra la “verità” delle idee che coprono tutto lo spazio del loro oggetto e l’efficacia delle stesse che sono situate in una piccola parte dello “spazio” dell’“oggetto” (p. 71).
Lo Stato secondo Marx non è solo distinto dalla base, ma ne è “separato”, è qualcosa di realmente elevato al di sopra di essa ed è separato perché è uno strumento di cui la classe dominante si serve per perpetuare il suo dominio. Marx, nelle opere giovanili, applica lo schema dell’alienazione feuerbachiana allo Stato ed è qui che compare per la prima volta la nozione di separazione, ma, anche una volta superato Feuerbach, lo Stato è non solo sempre “separato”, ma diventa una “macchina”, un “apparato” (18 Brumaio di Luigi Bonaparte). Lo Stato è separato nel senso di “separato dalla lotta tra classi”. Proprio perché è uno strumento è separato dalla lotta tra classi per poter intervenire nella lotta stessa, anche, eventualmente, nella lotta di classe interna alla classe dominante. Marx ha così al contempo svelato la mistificazione della neutralità dello Stato: lo Stato è separato per essere uno Stato di classe, per servire meglio gli interessi della classe dominante.
Correlato è poi il problema della dittatura del proletariato. Sia Marx che Lenin hanno esitato su due concezioni: una falsa, che consiste nel considerare la parola “dittatura” nel senso politico di un governo che agisca al di sopra delle leggi, ed un’altra che parla della dittatura di una classe che va intesa come “dominazione” di classe che abbraccia l’insieme delle forme economiche, politiche e ideologiche tramite cui il proletariato impone la propria politica ai vecchi sfruttatori e dove lo Stato è la macchina che serve da strumento alla dominazione di classe. La dominazione si può esercitare senza violenza e se i vecchi sfruttatori aggirano le nuove leggi si possono costringere, non con la violenza, ma con la legge a rispettarle. In tutto ciò la questione della violenza avrebbe un posto transitorio e subordinato.
Nel capitolo dedicato alle Genesi della rendita fondiaria capitalistica nel terzo libro del Capitale Marx fornisce uno schizzo di una teoria dello Stato che pone lo Stato stesso in relazione col rapporto di produzione proprio di un modo di produzione determinato, mostrando così il radicamento dello Stato nei rapporti di sfruttamento. Secondo Althusser questa indicazione è comunque insoddisfacente per due motivi: Marx non dice niente delle forme specifiche di questa manifestazione e, cosa ancor più grave, non si trova menzione della funzione dello Stato nella riproduzione delle condizioni sociali e materiali della produzione.
Lo Stato è una macchina nel senso preciso del termine, implica cioè una separazione dei corpi materiali della macchina dai materiali energetici che sono consumati per la loro trasformazione. Lo Stato è separato perché, come ogni macchina, ha un corpo strutturato per realizzare una trasformazione d’energia. Lo Stato è una macchina per produrre potere legale; trasforma in energia-Potere l’energia precedente costituita dalla energia-Forza o energia-Violenza della lotta di classe. L’elemento fondamentale è l’eccesso di forza che nella lotta di classe determina la classe dominante e che deve essere trasformato in potere (diritto, leggi) dalla macchina dello Stato. Una volta che la Forza è entrata nello Stato si delinea il rifiuto radicale della lotta tra classi e si sviluppa un’ideologia che nega il funzionamento della natura di classe dello Stato. Si rimuove completamente che solo la classe dominante ha accesso allo Stato per trasformare la propria forza in potere.
Una concezione descrittiva dello Stato che si accontenti di sottolineare la sua “separazione” è comunque sterile in quanto può essere assorbita nella teoria borghese dello Stato come al di sopra delle parti. Per essere più chiari bisogna far intervenire il concetto di riproduzione: lo Stato è “separato” e “al di sopra delle classi” solo per assicurare la riproduzione delle condizioni materiali e sociali di dominazione della classe dominante. Lo Stato è un guardiano che controlla che lo sfruttamento sia conservato, mantenuto e rinforzato a vantaggio della classe dominante.
Althusser sostiene che comunque Marx abbia sempre concepito l’ideologia in relazione alla forma-coscienza, come “oggetto” della coscienza. L’importante contributo marxiano alla questione sta, da un lato, nell’aver prospettato che le ideologie siano sistemi di idee e rappresentazioni nei quali viene rappresentata, in modo deformato, la realtà del soggetto stesso e, dall’altro, nell’aver difeso la tesi del carattere sociale delle ideologie e della loro funzione nella lotta di classe. Alla fine il significato che prevale in Marx non è più quello di una falsa rappresentazione individuale che un soggetto si fa di se stesso, ma quello di una realtà oggettiva nella quale gli uomini (classi e individui) prendono coscienza del loro conflitto di classe e lo portano fino in fondo.
In realtà Marx non ha mai superato la convinzione che l’ideologia riguardi le idee e che per comprenderla siano necessari, e bastino, tre elementi: la coscienza da un parte, le idee dall’altra, ed il loro rapportarsi alle condizioni reali del soggetto (individuo, classe, società) esistente. Da qui segue materialisticamente che non si debba giudicare un individuo, una classe, una società in base alla sua coscienza di sé. Marx però non è mai uscito dalla riserva filosofica da cui attingeva coscienza e idee. Credendo che le ideologie avessero un rapporto con la pratica e gli interessi di classe non ha superato il “limite assoluto” dell’esistenza materiale delle ideologie (p. 146). Lo stesso Althusser del resto aveva già provato a superare questi limiti suggerendo che le ideologie potessero trovare la loro esistenza materiale all’interno degli apparati annessi allo Stato parlando di “Apparati Ideologici di Stato”.
Anche il modo con cui Gramsci ha cercato di superare i limiti di Marx sull’ideologia e lo Stato non è soddisfacente. Nello schema gramsciano l’egemonia si presenta più volte sotto diversi aspetti. È come se l’egemonia compendiasse in sé tutti i conflitti e le contraddizioni della società. In questo modo in ogni lotta di classe si ha a che fare con una contraddizione interna all’egemonia. Con Gramsci ci si trova a che fare con l’idealismo assoluto di un’Egemonia senza base materiale. Infatti i concetti che usa Gramsci – la “Forza”e l’“egemonia” come momenti dello Stato e la “società civile” come insieme degli “apparati egemonici” – non si capisce come funzionino visto che Gramsci non fa intervenire la struttura perché, fondamentalmente, la distinzione fra struttura e sovrastruttura gli pare un errore meccanicistico-economicistico. La struttura finisce per essere mascherata sotto il concetto arbitrario di “società civile”, nascondendo così la riproduzione, la lotta di classe e la Forza dello Stato che viene considerata nulla in quanto integrata nell’effetto di Egemonia. In realtà Gramsci ragiona da politico considerando tutto ciò che riguarda la struttura, la riproduzione, la lotta di classe come una realtà costante che può essere messa fra parentesi. La pretesa di ricondurre tutta la lotta di classe nella produzione alla sola realtà dell’Egemonia è, secondo Althusser di un idealismo stupefacente. Se si tratta la lotta di classe solo sotto l’aspetto dell’Egemonia ci si dispensa dall’esaminare sia la natura che la funzione dello Stato e si mettono tra parentesi gli apparati di Forza dello Stato stesso. La conseguenza ancora più grave è che in questo modo si giunge all’aberrante tesi dell’“autonomia della politica” che porta di fronte ad un altro limite assoluto del marxismo: l’incapacità di pensare la politica.
Indice
L’impensabile politica di Althusser di Fabio Raimondi
Louis Althusser, Marx nei suoi limiti
L'autore
Louis Althusser (1918-1990) è stato uno dei principali pensatori marxisti del Novecento. Dopo la sua morte, oltre all’autobiografia L’avvenire dura a lungo (Parma 1992), si è avviata la pubblicazione dei suoi testi inediti: Lo Stato e i suoi apparati (Roma 1997), Machiavelli e noi (Roma 1999), Sul materialismo aleatorio (Milano 2000), Sulla filosofia (Milano 2001), L’impensato di Jean-Jaques Rousseau (Milano 2003), Su Feuerbach (Milano 2003).
Links
Associazione Louis Althusser http://www.mercatiesplosivi.com/althusser/default.htm
Centro studi Marxhaus http://www.fes.de/marx
Dizionario Marx-Engels http://www.argument.de/wissenschaft
Marx-Engels [Mega – opere] http://www.marxforschung.de/home.htm
Testi marxisti (in italiano) www.bibliotecamarxista.org
Marxists Internet Archive www.marxists.org
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