domenica 17 aprile 2005

Carter, Ian, La libertà eguale.

Milano, Feltrinelli, 2005, pp. 313, € 25,00

Recensione di Enrico Biale – 17/04/2005

Filosofia politica (libertà, uguaglianza)

Carter ha il pregio di introdurre in Italia un dibattito, molto diffuso nei paesi anglosassoni, sul concetto di libertà (Berlin, Steiner, Taylor ecc.) tentando, inoltre, di conciliare tale ideale con quello altrettanto importante di uguaglianza. Quadratura del cerchio quest’ultima che da Rawls, passando per Nozick, Sen e altri, è diventata il concetto portante di tutta la più importante filosofia politica contemporanea. A tale centralità a livello tematico non sempre però corrisponde un’attenzione dal punto di vista concettuale, tanto che spesso ci troviamo di fronte ad analisi imprecise che non definiscono i termini con chiarezza e conferiscono maggior importanza alla persuasione piuttosto che all’argomentazione. Testi quindi dal forte impatto emotivo, ma che sembrano molto distanti da un’analisi filosofica attenta e puntuale. Carter non corre tale rischio; quella presente nel suo testo è una puntigliosa analisi concettuale che vuole “evitare che [le argomentazioni politiche] esprimano semplicemente intuizioni morali confuse”. Parola d’ordine: giustificare; non possiamo semplicemente affermare che per noi libertà e uguaglianza sono concetti politici fondamentali che devono poter convivere; dobbiamo essere in grado di giustificare tale affermazione; spiegare quale sia il significato di libertà e mostrare come possa essere sostenuto insieme a quello di uguaglianza.

Abbiamo davanti agli occhi un testo di filosofia analitica; un autore che fonda la sua filosofia sull’analisi concettuale e questo implica il rischio di “non veder più il bosco dagli alberi”, di perdere insomma il filo conduttore dell’argomentazione a causa delle continue critiche che Carter rivolge a Sen, Nozick, Dworkin ed altri.

Un altro problema, che spesso si coglie nel leggere un testo di filosofia politica analitica, è quello di percepire un livello di astrazione eccessivo; concetti perfetti, argomentazioni rigorose ma nulla più. Tali difficoltà sono realmente insormontabili? L’analisi concettuale è veramente cosi arida, distaccata e noiosa?

Personalmente crediamo di no, anzi, come Carter, la troviamo particolarmente divertente. Ma l’analisi concettuale non è un fine in sé e per sé, bensì un utile strumento per essere in grado di trattare problemi molto concreti in maniera rigorosa e puntuale. Pensiamo, ad esempio, al dibattito che nei paesi anglosassoni si è sviluppato intorno alla prolusione di Berlin e la sua famosa distinzione tra libertà negativa e libertà positiva. Sarebbe impossibile nel breve spazio a nostra disposizione sintetizzare tali posizioni, ma possiamo tentare di dare alcune indicazioni. Nessuno di noi è in grado di affermare che la libertà sia un disvalore; che una società meno libera sia una società migliore; d’altro canto le concezioni che di tale idea ognuno di noi ha in mente risultano abbastanza diverse. Si può credere che siano liberi i soggetti che non sono vincolati da altri nelle loro azioni o pensare che la libertà consista nella realizzazione di alcuni fini particolarmente importanti per la vita degli individui. Riprendendo l’esempio di Taylor, possiamo reputare che la libertà religiosa abbia maggiore importanza rispetto alla libertà di attraversare senza alcun impedimento la strada. Chi può credere in Dio piuttosto che in Allah è più libero di chi non sa cosa siano i semafori. Intuitivamente tale affermazione sembra ampiamente condivisibile. A questo punto entra in gioco l’analisi concettuale che tenta di chiarire un po’ le cose rendendo esplicito ciò che, nelle nostre affermazioni, era implicito. In primo luogo pare evidente che consideriamo la libertà una proprietà degli individui e che la reputiamo misurabile (un soggetto è più libero di un altro come un uomo è più alto di un altro).

Inoltre, affinché la nostra affermazione, abbia senso dobbiamo essere in grado di compilare una lista delle azioni, valori ecc. ordinati gerarchicamente. Come possiamo pensare di essere capaci di soppesare il valore delle azioni altrui? Cosa succederà se altri soggetti avranno liste diverse? Chi farà da arbitro? Chi può avere una tale autorità? Come ci sentiremmo se qualcuno ci dicesse che ciò che noi facciamo, quello che per noi ha valore, non ha senso e ci impedisse di agire, sostenendo per di più che così ci rende più liberi? Tali passaggi dovrebbero ovviamente essere rigorizzati; abbiamo però visto l’utilità dell’analisi concettuale; la sua capacità di evidenziare problemi dove tutto sembrava in ordine.

Scartata l’intuizione, che ci resta in mano? Secondo Carter possiamo “ripiegare” su un concetto di libertà empirica che si misura semplicemente considerando le azioni che possiamo compiere senza essere bloccati da altri soggetti. Sarà più libero chi potrà compiere più azioni; questo spiega tra l’altro perché consideriamo importante la libertà religiosa; tale libertà infatti implica tutta una serie di azioni che sono a noi aperte maggiore di quelle che sono a nostra disposizione in un mondo sprovvisto di semafori . Tale libertà ha un valore non-specifico; non è quindi libertà di parola, movimento, ma semplice libertà di un type generico declinabile nelle più svariate forme (tokens). Come è facilmente intuibile, tale idea è molto forte dal momento che permette a ogni soggetto di realizzare i propri fini come meglio crede; è quindi condizione necessaria dell’autonomia e valore centrale non solo per ogni liberale, ma anche per qualsiasi individuo che abiti in una società pluralista e voglia vedersi riconosciuti i propri valori.

Carter non desidera solo difendere la libertà dagli attacchi di autori che, dal suo punto di vista, l’hanno snaturata; si impegna anche a coniugare tale idea con quella altrettanto importante di uguaglianza. Nel fare ciò desidera prendere le distanze tanto da autori come Sen o Nussbaum, che tendono in modo più o meno marcato a definire i canoni di una vita giusta, quanto dai libertari puri, che fondano le loro argomentazioni su un concetto di responsabilità forte. Se la prima posizione non sorprende, più interessante risulta la seconda; secondo Carter, infatti, è impensabile non giustificare l’intervento da parte dello Stato (nella realtà dei fatti) o anche di un’assicurazione (nel discorso ideale) per aiutare alcuni soggetti che stanno particolarmente male, anche se sono completamente responsabili della loro condizione. Come è possibile però giustificare un’affermazione del genere dal punto di vista di un libertario che conferisce alle scelte individuali una grande importanza? Come si può far convivere l’intuizione che ci spinge ad affermare che l’intervento dello Stato in questo caso è corretto con il timore di una deriva paternalista? Bisogna mettere in gioco un nuovo personaggio: il paziente morale. Ognuno di noi è infatti un agente morale in grado di prendere decisioni e responsabile delle proprie azioni, ma al di sotto di una certa soglia perdiamo tale qualifica, anche se grazie a un intervento esterno potremmo riacquistarla: siamo pazienti morali. L’intervento dello Stato per riportarci al di sopra della soglia non è un atto di carità ma un dovere. Abbiamo quindi un doppio livello distributivo: in primo luogo si deve dare a tutti un uguale quantità di libertà iniziale (un capitale iniziale) che potrà essere utilizzata da ognuno in piena autonomia; sarà però possibile garantire a chiunque cada sotto la soglia che identifica il paziente morale interventi che lo “riportino in carreggiata”. Da buon libertario, Carter sottolinea come la prima quantità debba essere il più ampia possibile e la seconda il più limitata possibile per garantire ad ognuno un elevato livello di libertà (non ovviamente il più alto possibile, dal momento che un po’ è sacrificata per garantire la rete di protezione). Le proposte di un capitale iniziale sono appena abbozzate e in ciò non possiamo non vedere un limite nuovamente dettato dall’amore quasi maniacale per la precisione dell’analitico Carter, che non sembra voler sostenere politiche che non ha studiato approfonditamente.      

I tecnicismi non si possono eliminare ed alcune delle conclusioni dell’autore sono senza dubbio criticabili; Carter ci ha però mostrato cosa voglia dire fare analisi concettuale in filosofia politica e ci ha fatto capire che se vogliamo parlare di libertà e uguaglianza in modo serio e senza troppi preconcetti dobbiamo misurare le parole e studiarne tutte le possibili sfumature.

Indice

I LA LIBERTÀ
1. La libertà e il suo valore
2. La misurazione della libertà
3. Libertà e scelta
II IL DIRITTO ALLA LIBERTÀ
4. Aspetti strutturali del diritto alla libertà
5. I titolari del diritto alla libertà
6. Il diritto alla libertà e i diritti di proprietà
III IL DIRITTO ALL’EGUALE LIBERTÀ
7. Funzionamenti e capacità
8. Libertà ed uguaglianza
9 Eguaglianza e responsabilità
10. Un libertarismo doppiamente eretico

L'autore

Ian Carter ha studiato in Gran Bretagna alle Università di Newcastle e Manchester, e in Italia all'Istituto Universitario Europeo di Firenze. Nel 1992-93 è stato docente in teoria politica presso l'Università di Manchester. Dal 1998 è ricercatore in Filosofia politica presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Pavia. Nel secondo semestre del 2003 è stato Research Fellow presso l'Università di Oxford, con una borsa di ricerca dell'Economic and Social Research Council (GB). Principali ambiti di ricerca riguardano la definizione, l’analisi e la misurazione della libertà e le idee di uguaglianza e di diritto soggettivo.

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