martedì 2 maggio 2006

Peverelli, Roberto (a cura di), Valori selvaggi. L'etica ambientale nella filosofia americana e australiana.

Milano, Medusa (La zattera), 2005, € 20,00, ISBN 887698027X.

Recensione di Fabio Fraccaroli - 02/05/2006

Filosofia etica (etica applicata), Storia della filosofia (Filosofia inglese contemporanea)

L’environmental ethics, fiore straniero in terra d’Europa .

Come un raro fiore da paesi lontani, la combattiva etica applicata ai quotidiani problemi ambientali stenta ad attecchire nel cuore dell’Europa, fra le rive del mare nostrum. L’antologia Valori selvaggi, curata da Roberto Peverelli per l’edizioni Medusa, vuole far conoscere alcuni degli esponenti di questa particolare tradizione, nella tardiva e inconfessata speranza che tale approccio trovi pensosi adepti anche dalle nostre parti. “Dagli anni Settanta qualcosa è cambiato nella scena filosofica internazionale. Dopo anni di discussioni e dibattiti accesi sui principi fondamentali, per esempio, in ambito morale, sul significato dei termini che utilizziamo quando vogliamo lodare o biasimare qualcuno, l’attenzione è tornata a concentrarsi su questioni concrete, quotidiane, rilevanti anche per chi non s’interessi, per ragioni professionali, di filosofia”(p. 5). Sboccia così, fra gli Stati Uniti e l’Australia, l’environmental ethics : “Buco dell’ozono, effetto-serra, inquinamento: l’emergenza ambientale è un tema che non tocca solo i filosofi ma mobilità cittadini e movimenti. L’etica ambientale nasce, all’inizio degli anni Settanta, dalla convinzione che […] solo il pieno riconoscimento della nostra responsabilità morale nei confronti di piante, animali, ambiente può portare, in modo graduale, a una diversa e consapevole attenzione per le conseguenze del nostro agire e delle nostre tecniche”(p. 6). Etica ambientale versus etica antropocentrica.

I saggi di questa raccolta possono quindi non solo aiutare a riflettere sul modo in cui si è sviluppata l’environmental ethics nei passati anni ma, forse contro la stessa volontà del curatore, possono essere colti anche come esempi delle difficoltà con cui si scontra il tipico argomentare analitico qualora si metta al servizio dei problemi quotidiani (nella fattispecie quelli ambientali). Infatti, leggendo Valori selvaggi viene da pensare che l’etica ambientale di tipo analitico stenta a fiorire entro il campo della così detta filosofia continentale, non perché mette in discussione l’aberrante dominio umano della natura, ma piuttosto perché si regge su un rigido modo di argomentare, dove la retorica persuasiva delle frasi è al solo servizio di una logica strutturale con cui si sostiene il ragionamento.Contro l’inevitabilità dello sciovinismo umano, scritto a quattro mani da Richard e Val Routley è senza dubbio una rigorosa prova razionale contro le tesi faziose che riconoscono solo gli esseri umani quali unici soggetti (fonti e destinatari) di un’appropriata considerazione etica. Il contributo dei due filosofi australiani sottolinea come non vi siano fondate e riconoscibili qualità proprie che facciano degli uomini gli unici detentori del rispetto etico. Non stupisce però che tale saggio offra, di fatto, la sola pars destruens contro ogni antropocentrismo etico. Cosa può dire l’etico ragionare analitico a sostegno invece di un’appropriata teoria morale che rispetti entità ed esseri non umani?

Strategie per etiche (non decisamente) antropiche.

Gli altri saggi cercano di tracciare una auspicabile pars costruens tentando d’individuare quale strategia superi la centralità dell’uomo nelle teorie etiche. Così i testi di J. B. Callicott e G. Norton, se pur con prospettive diverse, difendono degli approcci etici che vadano al di là non solo dello sciovinismo umano e concretamente superino l’individualismo che caratterizza i più diffusi sistemi morali. Callicott, che insegna filosofia presso l’University of North Texas, nel contributo qui tradotto, fra i meno densi della sua produzione, ricorda la frase del suo mentore, A. Leopold, il quale invitava a pensare l’etica come “una forma d’istinto comunitario in via di formazione”(p. 131). In tale prospettiva Callicott evoca la necessità di considerare l’etica non dal punto di vista dell’individuo ma piuttosto d’intendere l’ homo individualis quale parte “di una sorta di unico, grande superorganismo”(p. 112). Solo riconoscendosi parte di questa superentità ecologica, sentendosi propriamente parte della terra in cui vive l’animale razionale potrà agire deontologicamente rispettando il creato di cui fa parte. Secondo Callicott, spetta all’uomo riscoprirsi come totalità nel creato e solo grazie a tale presumibilmente nuovo rapporto con flora e fauna si potrà fondare una etica per l’ambiente. Al contrario Norton, professore al Gerorgia Institute of Tecnology, crede si possa sostenere un’appropriata teoria etica ambientatale “debolmente antropocentrica” senza disconoscere un “ideale di massima armonia con la natura”(p. 149) e senza dover, comunque, rinunciare alle molte peculiarità che distinguono l’umanità della natura. Secondo tale tattica non si deve entrare nella querelle se esistano e/o si possano sostenere valori non-antropocentrici, ma si deve difendere la prospettiva che un comune ideale può guidare verso il rispetto della natura. Richiamandosi all’ideale condivisibile (anche per plurali ragioni) dell’armonia con la natura “gli ambientalisti possono mostrare che i valori hanno origine e sono definiti attraverso il contatto con il mondo naturale” e in tal modo “non è più inevitabile scorgere nella natura uno strumento per soddisfare valori stabiliti e spesso consumistici – la natura diventa anche un importante fonte d’ispirazione nella formazione dei valori”(p.148). Resta il dubbio, come si diceva, se effettivamente le due posizioni di Callicott e di Norton, con argomentazioni ben calcolate, possano fare veramente presa sul nostro io e spingerci ad un agire ecologico. In altre parole, entrambi i saggi si scontrano con il limite di un’etica tipicamente e rigidamente analitica, dove cuore, volontà e sentimento sembrano non pesare, non pensare, quando un soggetto agisce. Entrambi i testi svelano i limiti di come il discorso etico, in molti casi, sembra non voler tener conto del sentire (istintuale-sensuale) che muove l’uomo. Tale strategia discorsiva suggerisce che si dà un agire etico puramente e primariamente teorico, su cui, successivamente, si modellano le diverse prassi culturali e/o politiche. Forse anche per l’inscindibile vicinanza fra teoria e prassi, la riflessione etica, sacrificando la sua purezza analitica, dovrebbe cercare di coinvolgere il nostro agire culturale e il nostro comportamento politico. Callicott e Norton toccano e svelano i limiti del discorso etico, soprattutto nella forma in cui si è sviluppato nel mondo anglosassone, ma da una prospettiva critica, non sconfinano suggerendo nuovi approcci per superare i limiti disciplinari dell’etica analitica.

Oltre i valori troppo umani, oltre i limiti dell’etica analitica.

Ad altri testi, inclusi nell’antologia Valori selvaggi, spetta il compito di proporre che l’uomo non è solo un razionale soggetto etico e che il suo agire è anche culturale, politico. I due contributi di Holmes Rolston III e Karen J. Warren seppure fra loro molto diversi condividono entrambi un comune scopo: allargare l’etica (ambientale), più o meno consapevolmente, verso altri territori del sapere (filosofico). La Warren insegna filosofia nel Minesota, “filosofa di strada, come si autodefinisce, [...]ha pubblicato dai primi anni ottanta molti articoli e libri dedicati a femminismo, etica ambientale e alla possibilità di una loro feconda integrazione”(p.15). Il suo saggio, presentandosi sempre con un classico stile analitico, parte da una tesi semplice quanto di portata rivoluzionaria: “la logica del dominio ha funzionato all’interno del patriarcato per sorreggere e giustificare le dominazioni gemelle sulle donne e sulla natura”(p. 253). Per logica del dominio l’autrice intende “una struttura dell’argomentazione che conduce alla giustificazione delle forme di subordinazione” (p. 248). Tale logica si fonda sia su “un pensiero che procede per gerarchie di valore, distribuendo gli elementi della realtà lungo una linea di ‘alto-basso’ attribuendo valori [...] prestigio a ciò che sta ‘in alto’ piuttosto che a ciò che sta ‘in basso’ ”, sia sostenendo tali “dualismi di valore, per contrapporre coppie di concetti visti come opposti [...] ed esclusivi” sempre con il fine d’ attribuire “un valore [...] più alto a un termine piuttosto che ad un altro” (p. 248). Secondo l’autrice, tutte le femministe sarebbero pronte ad accettare sia tale descrizione della logica del dominio, sia a riconoscere, conseguentemente, la simile discriminazione che affligge il mondo naturale e le donne, considerati come entità dominate in una società di tipo patriarcale. Pur ammettendo tali sciovinistici presupposti diverse possono essere le strategie per risolverli. La tesi della Warren gioca la carta del sapere delle differenze, dimostrando che l’etica è una questione femminile e come tale questione di cambio culturale. La Warren ritiene, infatti, che non serve immaginare una difesa forte di ciò che viene considerato come valore della natura o della donna; ogni riconoscimento di un valore da privilegiare su altri ripresenterebbe, se pur rovesciandola, la logica del dominio che si è voluto criticare. Ciò che la filosofia delle differenze, anche nella relazione uomo-natura, può auspicare è che i caratteri un tempo definiti bassi-femminili-naturali comincino ad agire entro tale rapporto. Non a caso la Warren introduce, per concludere il suo saggio, una “narrazione in prima persona”(p. 259) in cui si prova a dar “voce a una sensibilità intimamente vissuta spesso assente nelle dissertazioni della tradizione analitica”(p. 261). Analizzando la breve esperienza di una scalata in montagna l’autrice c’invita a riflettere su una distinzione fra “percezione arrogante” e “percezione amorosa”. Nel primo caso “la percezione arrogante della natura non umana presuppone e conserva l’assimilazione ad un’identità, [così]la comunità morale si estende, se è il caso, solo a quegli esseri che si pensa siano simili (o identici) agli uomini.[…] Al contrario, la percezione amorosa presuppone e conserva la differenza – la distinzione tra sé e l’altro, tra gli uomini e almeno una parte della natura non umana – in modo tale che la percezione dell’altro nel suo essere altro è un’espressione d’amore per una creatura, umana non-umana, riconosciuta da subito indipendente, dissimile, differente” (p. 266). Nella prospettiva con cui abbiamo voluto leggere i saggi raccolti in Valori selvaggi, il testo della Warren prova che, già nel suo caso, l’etica s’apre, non tanto all’azione politica che investe il nostro quotidiano, ma, più in generale, all’agire coerente dei sentimenti contro un’aprioristica razionalità ben argomentata, ma priva di appassionata sensibilità. L’etica abbandona un rigido raziocinio, di tipo analitico, old school, per scoprirsi aperta alle ragioni dei sentimenti, per scoprirsi costretta ad indagare anche il modo in cui rappresentiamo e veicoliamo tali forme di conoscenza morale. L’etica deve diventare selvaggia, questo il moto con cui potremmo sintetizzare il saggio di Rolston, saggio che come quello della Warren invita a ripensare il rapporto con la natura, per ripensare anche la relazione fra etica (analitica) e gli altri rami del sapere (non solo filosofico). Rolston, che è docente presso la Colorado State University, pastore presbiteriano, naturalista, fondatore e condirettore della principale rivista dell’etica ambientale americana, “Environmental Ethics”, nel saggio dell’antologia, in vero non un uno dei suoi testi fra i più teoricamente pregni e rigorosamente argomentati, ritiene che appena si abbandonano le consolidate considerazioni-separazioni fra uomo e natura si scopre un nuovo modo di pensare. Rolston ha particolarmente a cuore la natura selvaggia incontaminata - il “solo 2% degli Stati Uniti” visto che il rimanete “98% è coltivato, logorato, luogo di caccia, ricoperto di abitazioni, lastricato o posseduto in altro modo”(p. 223). Per cogliere il valore anche etico di tali luoghi ancora selvaggi non serve guardare alla natura, ne idealisticamente come riempita dalla nostra soggettiva ne materialisticamente come pura oggettività. Invece, suggerisce l’autore, ci si deve abbandonare ad essa anche semplicemente osservandola con stupore. Rolston propone dei paradossali esempi che pur muovendo da descrizioni scientifiche, possono invadere la nostra immaginazione e aiutaci a pensare (finalmente) in modo selvaggio. “Dopo che le leggi [in particolare quelle scientifiche] hanno spiegato tutto ciò che possono spiegare, resta un residuo di wilderness. Noi diamo valore a questo dettaglio, che è selvaggio nella sua più intima natura” (p. 233). Così il caso dei “batteri nelle paludi [che] non sono soggetti alla forza di gravità, in quanto troppo piccoli per esser in modo significativo sotto la sua influenza […]. Alcuni batteri si orientano attraverso la cattura di minuscoli frammenti di magnetite […] a formare una specie di bussola incorporata. […] Anch’io uso una bussola, senza supporre che ci sia in questo qualcosa di simile un batterio perduto” (p. 204). Ecco la similitudine selvaggia, che può farci ripensare non solo i nostri valori, ma nel profondo può mostrare come banalmente consideriamo alcune capacità (pratico-conoscitive) unica prerogativa dell’uomo razionale. “La wilderness è piena d’intelligenza che noi non comprendiamo, di segnali che non udiamo, di valori che passano sopra le nostre teste. Nelle wilderness abbandoniamo i nostri pregiudizi sulla realtà, ripartiamo da zero e apprendiamo nuove scale di valore”(p. 204). Come nel caso della Warren, Rolston c’invita a superare gli stretti confini dell’etica che dibatte, come si notava per Callicott e Norton, solo per presentare un’inattaccabile teoria etica che a parole difende la natura. Altri saggi nell’antologia indicano che è tempo, invece, d’aprirsi ad un discorso etico più ampio che parli alla ragione come nondimeno all’immaginazione. Un congetturare etico per ripensare (teoricamente e metaforicamente) la nostra relazione con l’ambiente naturale, fino persuaderci amabilmente a voler scoprire sulla nostra pelle, attraverso i nostri sensi, giorno dopo giorno, il valore concreto di tale rapporto col naturale.

Indice

Introduzione di Roberto Peverelli

Richiard e Val Routly, Contro l’inevitabilità dello sciovinismo umano.

John Baird Callicott, I fondamenti concettuali della land Ethic.

Bryan G. Norton, Etica ambientale e antropocentrismo debole.

Holmes Rolston III, I valori sono diventati selvaggi.Karen J. Warren, Le promesse dell’ecofemminismo.


Gli autori

Richard Sylvan, pseudonimo di Richard Routley (1935-1996) si è occupato di logica, environmentalist, anarchismo. Col provocatorio saggio “In difesa del cannibalismo” scioccò il perbenismo dei benpensanti del mondo accademico. Oltre al saggio Anarchism, pubblicato sul A Companion to Contemporary Political Philosophy, Blackwell Publishing, fra i suoi scritti ricordiamo: con David Bennett The Greening of Ethics (White Horse Press, 1994), Transcendental Metaphysics (White Horse Press, 1997). Fu marito di Val Plumwood, una delle voci più originali dell’ecofemminismo.

Val Plumwood (1939), nota anche col nome da sposata Val Routley, ecofemminista australiana. Fra i suoi scritti ricordiamo: Feminism and the Mastery of Nature. Routledge, 1993, Environmental Culture: the Ecological Crisis of Reason. Routledge, 2002.

John Baird Callicott (1941) è Professor of Philosophy and Religion Studies presso l’Institute of Applied Sciences at the University of North Texas. Nel 1971 ha organizzato e insegnato il primo corso in Environmental Ethics. Fra i suoi scritti ricordiamo: Beyond the Land Ethic: More Essays in Environmental Philosophy (Albany: State University of New York Press, 1999). Earth's Insights: A Survey of Ecological Ethics from the Mediterranean Basin to the Australian Outback (Berkeley: University of California Press, 1994). In Defence of the Land Ethic: Essays in Environmental Philosophy (Albany: State University of New York Press, 1989).

Holmes Rolston III (1932) completato un Ph.D. in teologia, ha lavorato per qualche anno come pastore presbiteriano. Dal 1976 è professore di filosofia alla Colorado State University, ed è fra i fondatori di una delle più prestigiose riviste d’etica applicata, Environmental Ethics. Nel 2003, ha ricevuto dal principe Filippo a Buckingham Palace il Templeton Prize per i suoi meriti di studioso. Fra i suoi scritti ricordiamo: Science and Religion: A Critical Survey (Templeton Foundation Press, 2006) Philosophy Gone Wild (Prometheus Books, 1986, 1989) Environmental Ethics (Temple University Press, 1988) Conserving Natural Value (Columbia University Press, 1994) Religious Inquiry: Participation and Detachment (Philosophical Library, 1985).

Karen J. Warren, ecofeminista nord Americana, professoressa di filosofia presso il Macalester College in St. Paul, Minnesota, ha pubblicato diversi saggi sull’ecofemminismo e curato diverse monografie sull’ argomento. Fra i suoi scritti ricordiamo: Ecofeminist Philosophy: A Western Perspective on What It Is and Why It Matters. (Rowman & Littlefield Publishers, 2000)

Links

Testi e biografia di Holmes Rolston III (in inglese):
http://lamar.colostate.edu/~rolston/bionote.htm

Testi e biografia di John Baird Callicott:
http://www.phil.unt.edu/faculty/vjbc.html

“In defence of cannibalism” di Richard Routley (in inglese):
http://www.uq.edu.au/~pdwgrey/web/can/cannibalism.html

“Introduction to Ecofeminism” di Karen J. Warren:
http://www2.pfeiffer.edu/~lridener/courses/ecowarrn.html

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