giovedì 22 giugno 2006

Okasha, Samir, Il primo libro di filosofia della scienza.

Torino, Einaudi, 2006, pp. 159, € 14,00, ISBN 9788806181068.

Recensione di Daniela Mainardi - 22/06/2006

Il saggio scritto da Samir Okasha, docente all’Università di Bristol, è di carattere divulgativo. Esso propone una panoramica storico-filosofica di alcune importanti problematiche di natura epistemologica. Nella prima parte del saggio Okasha descrive le origini della scienza moderna. Come è noto, esse vanno rintracciate in un periodo di rapido sviluppo del sapere che ebbe luogo in Europa nel lasso di tempo compreso tra il 1500 e il 1750. Nel 1542 Copernico pubblicò un libro che attaccava il modello geocentrico dell’universo e che situava la terra al centro del cosmo, con i pianeti e il sole che le orbitavano intorno. L’innovazione promossa da Copernico favorì la evoluzione della fisica moderna attraverso l’opera di Keplero e Galilei. Keplero scoprì che i pianeti non girano intorno al sole con orbite circolari, come credeva Copernico, ma ellittiche: si tratta della cruciale prima legge del moto planetario. La seconda e terza legge specificano la velocità con cui i pianeti ruotano intorno al sole. Nel loro insieme le leggi di Keplero fornivano una teoria planetaria di gran lunga superiore rispetto a qualunque altra avanzata in precedenza, risolvendo problemi che avevano sfidato gli astronomi per secoli. Galileo sostenne per tutta la vita il copernicanesimo e fu tra i pionieri del telescopio. Per Okasha Galileo è il primo fisico veramente moderno: fu il primo a mostrare che il linguaggio della matematica poteva essere usato per descrivere il comportamento degli oggetti reali del mondo materiale, come i corpi in caduta o i proiettili. Dopo la morte di Galileo ci fu una progressiva accelerazione delle scoperte scientifiche che culminarono nell’opera di Isaac Newton le cui conquiste sono senza pari nella storia della scienza.

Un problema di carattere diverso affrontato da Okasha riguarda una classica domanda epistemologica: in quale modo un fenomeno può essere spiegato dalla scienza? Si tratta di una problematica che ha impegnato i filosofi fin dai tempi di Aristotele, ciononostante il punto di avvio della riflessione filosofica di Okasha è la celebre teoria della spiegazione scientifica promossa negli anni cinquanta dal filosofo analitico Carl Hempel. La teoria di Hempel è nota come modello della legge di copertura della spiegazione. Lo studioso suggerì che le spiegazioni scientifiche hanno tipicamente la struttura logica di un’argomentazione. L’obiettivo di fornire un’analisi della spiegazione scientifica diviene allora quello di caratterizzare esattamente la relazione che deve sussistere tra un insieme di premesse ed una conclusione, affinché le premesse possano contare come spiegazione della conclusione. Nella relazione suddetta le premesse debbono implicare logicamente la conclusione, le premesse debbono essere vere e una delle premesse deve essere una legge generale. Hempel ammetteva che una spiegazione scientifica potesse fare appello tanto a fatti particolari quanto a leggi generali, ma sosteneva che almeno una legge generale era sempre essenziale. In sintesi, secondo tale approccio l’essenza della spiegazione è mostrare che il fenomeno da spiegare è comunque coperto da una legge di natura generale.

Come fa notare Okasha, la teoria di Hempel cattura molto bene la struttura di molte spiegazioni scientifiche reali, ma deve anche fronteggiare un certo numero di impegnativi controesempi. Essi sono fondamentalmente di due tipi: da un lato ci sono casi di spiegazione scientifica che non corrispondono al modello, neppure approssimativamente. In questo caso la teoria di Hempel è troppo restrittiva. Dall’altro lato, ci sono casi che soddisfano il modello della legge di copertura, ma che intuitivamente non contano come spiegazioni scientifiche genuine. Questi casi suggeriscono che il modello hempeliano è troppo liberale (p. 46).

Le idee scientifiche cambiano in fretta. In confronto ad altri settori dell’impresa intellettuale, come la filosofia o l’arte la scienza è un’attività che muta rapidamente. A tal riguardo, un buon numero di questioni filosoficamente interessanti si incentrano proprio sul tema del cambiamento scientifico. La maggior parte delle discussioni moderne su questa tematica nascono dal lavoro di Thomas Kuhn, uno storico e filosofo della scienza americano, che nel 1963 pubblicò un libro chiamato La struttura delle rivoluzioni scientifiche, l’opera di epistemologia più influente degli ultimi cinquant’anni. L’impatto delle idee di Kuhn si è avvertito anche in altre discipline accademiche come la sociologia e l’antropologia e ha in generale influenzato la cultura intellettuale nel suo insieme. L’opera di Kuhn è scritta con un tono radicale; il filosofo dà l’impressione di voler sostituire le idee filosofiche comuni circa il cambiamento teorico nella scienza con una concezione completamente nuova. La sua dottrina dei mutamenti di paradigma, dell’incommensurabilità e della natura carica di teoria dei dati sembra del tutto in contrasto con la visione positivistica della scienza come impresa razionale, oggettiva e cumulativa. In un poscritto alla seconda edizione dell’opera, il filosofo spiegò che il suo libro non era un tentativo di mettere in dubbio la razionalità della scienza, dichiarò piuttosto di aver interesse a offrire un’immagine più realista e storicamente accurata di come la scienza si sviluppi effettivamente. Nel trascurare la storia della scienza i positivisti erano stati condotti a una spiegazione sbrigativa, in verità idealistica, di come funziona la scienza; lo scopo di Kuhn era semplicemente di fornirne un correttivo (p. 93). Di fatto, le idee di Kuhn trasformarono la filosofia della scienza; egli risvegliò l’attenzione su un ventaglio di questioni che la filosofia della scienza tradizionale aveva semplicemente ignorato. Un’altra importante conseguenza della sua opera è l’aver focalizzato l’attenzione sul contesto sociale in cui la scienza si sviluppa: l’esistenza di una comunità scientifica tenuta insieme dall’adesione a un paradigma condiviso è infatti un prerequisito fondamentale per la pratica della scienza. Non sorprende che le sue idee siano state molto influenti presso i sociologi. In particolare, un movimento noto come il “programma forte”, nella sociologia della scienza, emerso in Gran Bretagna negli anni Settanta del secolo scorso deve molto a Kuhn (p. 96).

Su una linea analoga, ci pare interessante la parte del saggio in cui Okasha si sofferma a spiegare le contaminazioni che, in epoca contemporanea, la filosofia subisce dalle scienze umane. Una delle tematiche care alla filosofia della mente è quella che riguarda la conformazione della mente umana. Secondo una prospettiva la mente umana è un risolutore di problemi generalista. Ciò significa che la mente contiene un insieme di abilità generali, per la soluzione di problemi, che applica a un numero indefinito di compiti. Così un unico e medesimo insieme di capacità cognitive viene applicato se l’umano sta cercando di contare delle biglie. Secondo una concezione rivale, la mente umana contiene un certo numero di sottosistemi specializzati o moduli, ciascuno dei quali è progettato per affrontare un numero molto limitato di compiti e non può fare nient’altro. Questa è nota come l’ipotesi della modularità della mente. Alcune delle più convincenti evidenze probatorie in favore dell’ipotesi della modularità vengono da studi su pazienti con danno cerebrale, noti come studi sul deficit. Se la mente umana fosse un risolutore di problemi generalista, dovremmo aspettarci che un danno al cervello colpisca tutte le capacità cognitive, in modo più o meno equivalente. Ma non è questo quello che riscontriamo. Al contrario, il danno cerebrale danneggia certe capacità cognitive, ma ne lascia intatte altre. Molto del recente interesse per la modularità si deve al lavoro di Fodor, un influente filosofo e psicologo americano, che nel 1983 pubblicò un libro sulla mente modulare, che conteneva una spiegazione molto chiara di che cosa è un modulo. Fodor argomentò che i moduli mentali hanno un certo numero di caratteri distintivi, dei quali i principali sono i seguenti: essi sono specifici per un dominio, le loro operazioni sono obbligate, sono informativamente incapsulati. I sistemi non modulari al contrario non possiedono nessuna di queste caratteristiche. Fodor affermò che la mente umana è in parte, sebbene non del tutto, modulare; noi risolviamo alcuni compiti cognitivi usando moduli specializzati, altri usando la nostra intelligenza generale (p. 119). I più entusiasti sostenitori della modularità credono che la mente sia interamente composta di moduli, ma questa posizione non è accettata universalmente. Fodor stesso afferma che percezione e linguaggio sono probabilmente modulari, mentre il pensiero e il ragionamento quasi certamente non lo sono (p. 122). Per Okasha la tesi di Fodor, secondo cui la mente è parzialmente, ma non del tutto, modulare appare piuttosto plausibile. Ma sapere esattamente quanti moduli esistono e che cosa fanno con precisione sono questioni a cui non si può rispondere, allo stato attuale delle ricerche. (p. 123)

Questo libro è un utile strumento per avvicinarsi all’attuale dibattito epistemologico. Esso fornisce gli strumenti critici per la comprensione di alcuni fondamentali valori della scienza contemporanea, ed è corredato da un nutrito apparato bibliografico.

Indice

Che cosa è la scienza?
Il ragionamento scientifico
La spiegazione nella scienza
Realismo e anti-realismo
Cambiamento e rivoluzione nella scienza
Problemi filosofici in fisica, biologia e psicologia
La scienza e i suoi critici
Indicazioni bibliografiche
Indice analitico


L'autore

Samir Okasha insegna all’Università di Bristol; in precedenza è stato docente di filosofia della scienza all’Università di York, a Oxford, alla London School of Economics e all’Università nazionale del Messico.

1 commento:

mauro la spisa ha detto...

Il libro di Okasha è notevole per chiarezza, concisione e sguardo storico ma oggi quel che serve è un nuovo aggiustamento paradigmatico: quello del grado di sapere congruo alla condizione nel suo proprio ambiente che non è né quello di Marte né quello delle stringhe gravitomeccaniche. Se Kant esortava ad osare di sapere oggi bisognerà dirci "conosci con parsimonia".Se poi quest'atto di umiltà viene preso per servile rinuncia allora teniamoci pure tutta la nostra scienza estrema ma con l'ecocatastrofe alle porte.E' del resto questa la premonizione che ebbe l'ultimo Verne...
Non più induzione e deduzione estreme ma analogazione diffusa.