lunedì 19 giugno 2006

Massaro, Domenico, Questioni di verità. Logica di base per capire e farsi capire.

Napoli, Liguori, 2005, pp. 213, € 11,00, ISBN 88-207-3892-9.

Recensione di Francesco Crapanzano – 19/06/2006

Logica, Filosofia, Scienza

In più di un’occasione ufficiale si presenta un volume appena pubblicato come “ciò che mancava” nel panorama editoriale, legittimandone, così, l’apparizione come necessaria per colmare presunte lacune nell’ambito di ricerca in cui l’autore si è mosso.

Non è questo che qui si vuol fare, e ciò non perché non si possano trovare concreti riscontri in tal senso nel lavoro di Domenico Massaro (ad esempio la validità didattica, aspetto solitamente trascurato nei manuali di logica e sempre presente nelle ricerche dell’autore), quanto per il motivo che così facendo verrebbero a trovarsi in secondo piano gli altri pregi che la pubblicazione presenta.

Ferdinando Abbri, nella Prefazione, sottolinea come dal volume emerga l’importanza della logica “in quanto scienza dell’argomentazione razionale” volta alla ricerca della verità (cfr. p. 4). Non si tratta di un’introduzione alla logica intesa come computazione, di cui comunque si fa menzione, quanto alla “logica filosofica”, la cui trattazione non può che essere in forma “di ricognizione sistematica della storia della logica” (p. 6). E qui si tocca uno dei punti di merito del volume, cioè il fatto, poco ‘alla moda’, di presentare argomenti di logica senza farne una sottodisciplina dell’algebra. La logica è nata ben prima e su altro terreno rispetto alla matematica e quest’ultima non esaurisce le potenzialità del pensiero critico (critical thinking) e dell’argomentazione razionale, e, ancora, non sfiora l’aspetto etico-politico-pratico della comunicazione: “Ragionare bene – scrive Massaro – non è soltanto un esercizio astratto […], ma la condizione per capire e farsi capire” (p. 9).

Pensare con la propria testa nell’epoca di Internet, cioè nel tempo in cui si realizza un bombardamento mediatico (“effervescenza dialogica”; cfr. p. 14), è importante, ma non basta: bisogna pensare e comunicare bene, ed in questo senso la logica si configura aristotelicamente come organon del pensiero, non come sua fonte (cfr. pp. 15-20). Passando dalla logica inferenziale a quella del lógos, dalla dialettica a quella dell’argomentazione fino alla fregeana, emerge dalle pagine di Massaro un quadro variegato e complesso in cui, parafrasando Aristotele, la logica si può declinare in tanti modi, tutti con una propria dignità, utilità e valore. Certamente si tratta di un insieme di regole che trovano impiego nella ricerca della verità (rispondono, in un certo senso, alle “questioni di verità”), anche se si devono tenere ben distinti i piani verità\realtà: “La validità di un ragionamento può prescindere dalla validità degli enunciati di cui è costituito” (p. 26) e “non tutta la nostra attività linguistica si identifica con il ragionamento” (p. 29). A questo riguardo – e non solo - il Wittgenstein delle Ricerche filosofiche è giustamente chiamato in causa (cfr. pp. 29 e ss.).

Unendo efficacia espressiva e dovizia di riferimenti, Massaro osserva come il linguaggio non si esaurisca nel discorso apofantico (“nelle parole c’è la nostra storia”; p. 36, cfr. pp 29-40) e come alla logica (intesa come il linguaggio logicamente coerente) sia stato attribuito, da Boole, Frege e il “primo” Wittgenstein in poi, un ruolo ontologico tutt’altro che secondario (cfr. pp. 156-179). In realtà, la logica ha ‘un’altra storia’ che affonda le sue radici nel pensiero greco; nel volume si ricordano l’importanza del verbo essere presso gli eleatici (cfr. pp. 55-57), i paradossi di Zenone (cfr. pp 18-20), l’Organon di Aristotele, i modelli di ragionamento stoici (cfr. pp. 87-98) ecc. 

In epoca medievale si prendono come riferimento Aristotele, Porfirio e Boezio (cfr. pp. 106-108), ma non mancano elementi di notevole originalità: la logica che Massaro definisce “artistica” (come “arte” del trivio), la quale vede nei principi logici qualcosa di diverso rispetto a semplici regole, un codice al di sopra degli dei, o, più moderatamente, una creazione divina a cui il dio non è necessariamente assoggettato (cfr. pp. 102-106). “Dobbiamo ai medievali la prima chiara identificazione della logica formale” attraverso la distinzione dei termini sintecategorematici (le contemporanee “costanti logiche”, che non hanno significato isolatamente, ma collegano altri termini. Ad esempio: “Ogni”, “tutti”, “alcuni”, “non”, “nessuno” ecc.; p. 108, cfr. pp. 108-110) e categorematici (che possiedono un proprio significato). Sempre nel medioevo inizia l’analisi delle proposizioni modali (le proposizioni vengono catalogate in necessarie, possibili, impossibili e contingenti) che giungerà agli importanti sviluppi settecenteschi di Leibniz sui mondi possibili e ad alcune considerazioni contemporanee di Carnap (cfr. pp. 111-116).

All’interno del volume, con opportuni riferimenti alle fondamenta storiche di cui si diceva, vengono presentate alcune logiche contemporanee “polivalenti” (quella di Lukasiewicz e la Fuzzy logic) in cui, ai tradizionali valori di verità\falsità, se ne affiancano altri quali l’indeterminato, il possibile e lo ‘sfumato’. Si affronta, poi, uno dei principali modi di conoscenza logica, la deduzione (cfr. pp. 76-86). Il sillogismo aristotelico con le sue figure, antenato di ogni forma logica, e i principi di identità, non contraddizione e terzo escluso, offrono uno strumento di conoscenza impareggiabile, esso – come il pensiero - non “crea le cose, ma le apprende” (p. 80). L’ontologia, così, fonda la logica e non viceversa. 

L’induzione è trattata in uno specifico capitolo (pp. 117-129) all’interno del quale se ne evidenzia la fecondità. Il ragionamento induttivo prende le mosse dalla filosofia greca (addirittura da Socrate, riferisce Platone; cfr. p. 119) e trova una prima forma compiuta con Bacone, il quale spiega che né il sillogismo (Massaro chiarisce che secondo Bacone “Aristotele è stato un grande filosofo, ma i suoi concetti non servono a farci progredire nelle scienze. Il suo metodo è paragonabile al comportamento del ragno: costruisce la sua tela […] e poi pretende che si identifichi con il mondo”; p. 123) né l’empirismo (“neppure la formica ci soddisfa, che […] accumula dati su dati, osservazioni su osservazioni, senza essere in grado di elaborarli”; ibidem) aprono nuove vie alla conoscenza come l’induzione (“l’ape è la nuova metafora della ricerca: essa, infatti, succhia il nettare dei fiori su cui si posa, ossia osserva e raccoglie, ma poi elabora e produce il proprio”; p. 124).

John Stuart Mill, poi, ha offerto il suo contributo sull’induzione definendone una sorta di decalogo; essa dovrebbe procedere secondo cinque “canoni” o criteri: “Differenza”, “concordanza”, “concordanza e differenza” congiunte, “metodo dei residui” e “metodo delle variazioni concomitanti” (cfr. pp. 128-129).

Con la scuola di Port-Royal la logica non è più “tecnica formale di costruzione dei ragionamenti, ma […] un’arte della scoperta e dell’invenzione” (p. 135) che, tuttavia, necessita di un adeguato studio ed esercizio per essere appresa. La logica, insomma, richiede una sicura applicazione in quanto un suo cattivo utilizzo origina quegli errori che in precedenza, sbagliando, si attribuivano ai sensi (cfr. pp. 138-140). L’influenza cartesiana di questa teoria della conoscenza è fin troppo evidente; la novità sta nel modo nuovo di concepire la logica come rigorosa e feconda  insieme, ‘utile’ nelle situazioni in cui serve decidere in condizioni d’incertezza (Massaro presenta l’emblematica scommessa pascaliana; cfr. pp. 141-143).

Nel volume, successivamente, si focalizza un diverso significato di logica, quello di “logica della scoperta scientifica” o, diversamente detto, lo studio delle norme che reggono la dinamica del progresso scientifico (cfr. pp. 144-155). Tappe obbligate a questo proposito sono rappresentate dalle riflessioni di Peirce (abduzione) e Popper (falsificazionismo), che Massaro utilizza come tessere di un mosaico raffigurante la scienza nel suo concreto sviluppo. Questa non procede “in modo schematico, né lineare, [adopera congiuntamente] il pensiero e l’esperienza, la deduzione, l’induzione e l’abduzione […]. E, in definitiva, è proprio in questa virtuosa circolarità, fatta di ipotesi – osservazione - teoria – verifica, che può racchiudersi la meravigliosa avventura della scienza e della conoscenza umana” (pp. 154-155).

Un’altra ‘declinazione’ della logica, tipicamente novecentesca, è quella linguistico-matematica. Massaro ne tratteggia i contorni a partire dallo studio di Frege sul “senso” e sul “significato” (“denotazione”) dei termini, inserito in un progetto generale finalizzato all’eliminazione delle ambiguità dal linguaggio, soprattutto da quello scientifico (cfr. pp. 156-160). I contributi di Russell e Wittgenstein mostrano la stessa intenzione seppur con diverse sfumature (Russell “traduce gli enunciati descrittivi in enunciati assertivi”, il Wittgenstein del Tractatus crede nella “perfetta corrispondenza (isomorfismo) tra linguaggio e mondo” e nella possibilità “che l’applicazione dell’analisi al linguaggio filosofico possa eliminare ogni fraintendimento e disguido interpretativo”; pp. 162, 166-167, 170). Il “secondo” Wittgenstein sconfesserà tale posizione esprimendo nelle Ricerche l’impossibilità di ridurre il linguaggio ordinario a forma logica (cfr. pp. 163-170). Il logico polacco Alfred Tarsky ha proposto di venir fuori dai paradossi della logica attraverso l’utilizzo di piani metalinguistici, poiché “quando il linguaggio è chiuso in se stesso genera un’antinomia” (p. 177). Si verrebbe così a formare una serie gerarchicamente ordinata di metalinguaggi; solo che questo ‘metodo’ fa della verità qualcosa di precisamente definito unicamente all’interno di metalinguaggi o linguaggi specialistici che parlano di oggetti (non di proposizioni, cioè non di se stessi). Il linguaggio ordinario resta ai margini della verità perché troppo ampio e poco ‘formalizzabile’ (cfr. pp. 175-179). 

L’ultimo capitolo del volume tratta delle classiche ‘trappole’ tese dal linguaggio alla logica. L’ambiguità da uso scorretto di quantificatori, le citazioni fuori contesto, l’argomento dell’autorità (dimostra qualcosa facendo leva sull’autorità di chi argomenta e non giudicando la bontà di ciò che viene detto; cfr. p. 183) sono solo alcuni dei trabocchetti linguistici che impediscono la comunicazione corretta. Massaro segnala come al tempo d’oggi, in cui Internet e i mezzi di comunicazione di massa hanno reso fruibile l’informazione, monta un’ignoranza diffusa su come funzionino proprio i mezzi di comunicazione. Dove impera lo specialismo, la frammentazione dei saperi, gli uomini possono restare intrappolati in ciò che hanno costruito: fallacie, argomenti ad misericordiam (ci si appella alla compassione della persona cui ci si rivolge; cfr. p. 183), ad populum (si fa leva sulla carica emotiva della massa; cfr. ibidem), ad hominem (ragionamento che prende a bersaglio la persona che parla e non ciò che dice; cfr. p. 184), ad ignorantiam (un argomento è vero perché non se ne sa dimostrare la falsità; cfr. p. 186). 

Il discorso di Massaro si chiude volgendo lo sguardo su qualcosa di apparentemente estraneo all’ambito logico: è lo spazio che vede interagire la logica, quindi la verità, con la democrazia, col vivere civile. Conoscere la logica, sia essa matematica oppure dell’argomentazione, significa, infatti, porre rimedio ai “tanti guasti che facciamo, con le parole o le inferenze sbagliate, quando nel tentativo di risolvere un problema ne creiamo altri e di più complicati. […] ci può dare una mano per non farci inciampare negli stessi errori” (p. 190).

Da sottolineare, infine, la presenza a fine testo di un utile glossario delle definizioni e dei termini usati in logica

Indice

Prefazione di Ferdinando Abbri       
Introduzione 
Pensare con la propria testa 
Linguaggio, pensiero e comunicazione
Onesti con le parole
La verità, innanzitutto
Vero, falso, indeterminato e altro ancora
Deduzione
Dilemmi, paradossi e rompicapo. Il lato divertente della logica
Analisi del linguaggio, dottrina della supposizione, ragionamenti modali. La logica nel Medioevo e oltre 
Induzione
L’arte di pensare, ovvero come decidere in condizioni di incertezza
Scienza e verità
Senso, significato e verità
Fallacie, errori e stratagemmi retorici
Epilogo. Logica, verità, democrazia
Glossario 
Bibliografia essenziale

L'autore

Domenico Massaro insegna Logica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena e Arezzo. Ha già pubblicato numerosi articoli e saggi su rivista e diverse monografie fra cui: L’arte di ragionare (Paravia-Scriptorium, Torino 1999) Il filo di Sofia. Etica, comunicazione e strategie conoscitive nell’epoca di Internet (Bollati Boringhieri, Torino 2000). È autore del manuale per i licei La comunicazione filosofica (Paravia, Torino 2000-2002).

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Breve saggio sull’argomentazione filosofica

7 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Intenti di autore erano assai pratici e volti non a filosofia spicciola ma a costituirsi in elementi fondamentali non generali di filosofia della comunicazione.
Di ciò prefatore ne mostrava ma con etica evidentemente divergente da stessi intenti di autore, perché quanto manifestato da indice e titolo comparati filosoficamente attualisticamente non ha prospettiva scientifica solo ne riassume ed anzi ne ovvia oltre che averne, mentre (sincronicamente intellettualmente proprio: mentre...) in prefazione se ne trova un punto di attenzione (innegabilmente, prefazione coesiste con suo oggetto, ma non quale pre fazione, perché oggetto anche soggetto indipendente, nondimeno pubblicazione ne offre concomitanza o di significati o anche contenuti, ciò dunque non solo valore diacronico anche variamente sincronico). Senza dubbio ignorando prefazione resta il successivo, che forse a prefatore non era sembrato tanto degno perché manchevole di riferimenti a intuitività e realtà; eppure saggio pratico non abbisogna di completezze logiche introduttive, allora sembrerebbe che prefazione era motivata da esigenze forse editoriali di evitare difformità da culturalità filosofiche assai condivise... come per difendersi da quasi-lettori avidi di ragionamenti e distratti dal pensar scaturigini intellettuali.
Di fatto recensore inquadrava contenuto di autore da prefazione, estrinsecando varietà contenutistiche palesemente fuori dal prefarre non solo oltre; e in ogni caso tanta distanza era per decisività e forte dei contenuti di autore. Questi dicono del capire, direttamente, non del sapere previamente, cui invece prefazione inquadra evidentemente ammezzandosi per eccesso di considerazioni particolari; altrimenti lettore per far di metà tutto dovrebbe far di proprio tutto!
A sua volta recensore non determinatamente espone quadro dal valore conoscitivo superiore a quello da aspettarsi da lettura d'indice; ma tal quadro concomitanza che neppure prefazione delineerebbe da oggettive interpretazioni e che anzi introduzione di autore escludeva; con quanto introdotto restando tematicamente scevro da nessi deducibili non inducibili da assieme di indice e recensione. Ne consegue che messaggio finale e filosofico contenuto in pubblicazione non se ne ha, solo terminale; e nessi significanti recensivi rivelano se comparati a titolo ed indice ivi stesso acclusi termine di significato non ultimo non indipendente; che evidentemente impensato da prefatore, autore, recensore, né pensato con altro di determinante da pubblicazione recensita, è solo ipoteticamente attribuibile a operazione editoriale perché questa dubitabilmente neutrale non affermativa operativamente.
...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

... Poiché, di fatto, di saggio di logica si tratta non di ricerca di logica né trattato, allora devesi considerare in nesso termine-fine effettivo in termine stesso apertura logica di inizio-termine ad eventualità logica superiore non pensata non esclusa previamente ma imprevedibilmente effettiva chiusura logica necessaria implicita esterna. Data praticità e logicità, del saggio, utilità fosse pur non impiegabile; a domanda estrema, logicamente eticamente estrema: un dio o un dèmone, nella combinazione finale? , Dio o il diavolo nella coincidenza postuma? , risposta è: non un dèmone (potere in natura che scombina umani pensieri), non il diavolo (simbolo senza realtà indicare, solo coincidenze negative prima imponderabili lasciando intuire). Allora altro domandare: Dio, o un dio, col risultato? ; pone l'intelletto su un indizio: alterità della prefazione; non passività editoriale volta non soprattutto a prefazione; introduzione non proiettata verso fine effettivo... Certo Dio quale conosciuto da fedi di Occidente non è Essere alieno da prudenza e salvezza; un dio, quale simbolo mondano e non del mondo, potrebbe esserlo; e se tanto spazio per ritorni a datità scientifiche in stessi tempi antecedenti quelli di intesa, certo non l'Eternità però... suo mostrarsi non rivelarsi ne ha consentito. Altro indizio in indice stesso: "La logica nel Medioevo e oltre": senso ridotto del porre pensiero a un Tempo, passaggio non inizio, da un sovrasenso restandone un senso; quello di evitare deriva finale culturale del postmodernismo; evitarne per ragionevoli utilizzi non solo usi comunicativi in Evo Moderno ed Età delle Grandi Comunicazioni; ma necessità stessa di ciò senza difese dal ritorno positivistico "comunicante-anticomunicativo" e sovrasenso nel passato, sarebbero bastati già a fine di percorso filosofico relativo! Eppure scopo (non fine) del libro restano utili; come mai? Per una reiterazione impensata da committenti e consulente, costoro non intuendo altri tempi, di stesse esigenze: essi pensavano a chiusura del Web prima che si manifestasse conseguenza esterna di pubblicazione, o a fine di sua utenza importante? In indice menzione di democrazia non di repubblica espone loro scopo non il fine, svelando parzialità ideologica con futuro di alterità smentito.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Tanta eterogeneità in pubblicazione, anche tra prefazione e resto, tanta disparata argomentatività di recensione, tanti nessi tra cose cui ragioni differenti in indice; e tematiche storiche non in continuità sequenzialità considerate: ciò merita riguardo e prudenza di aneddoto (che troverete in miei successivi messaggi).

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

[! questo mio messaggio continua da mio precedente]

Era detto "fuzzy" in Stati Uniti d'America il particolare tilt di macchinari elettromeccanici a funzionamento, non funzione, continuo esternamente biologicamente indotto. Durante Anni '70 in America erano celebri i "fuzz" dei flipper, quando giocatori particolarmente reattivi e continuativi generavano corrispondenza-non-conformità di funzionamenti del flipper. Alcuni di questi aggeggi eran detti "fuz" quando tale fenomeno, dicibile ipertecnologico allorché accadeva in volontaria preservazione di oggetto, era considerato in pre-progettazione, quale evento concomitante cui tener conto in costruzione industriale. I flipper "fuz" eran così dicibili: restii o facili; perché scopi di progettazione eran volti ad evitare o neutralizzare. I maggiori esperti "fuzzer" sapevano che in entrambi i casi si poteva fare il doppio fuzz, "double... fuzz", "two... fuzz!". Uno di costoro restato sorpreso da mio triste interesse, mi voleva raccontare che storia americana industriale aveva più lunga e diversa preistoria di quanto dagli altri saputo; ed io ne conclusi che primi flipper americani artigianali eran già del Secolo dei Lumi ed anche antecedenti al pallottoliere meccanico di Leibniz... Quei flipper, evidentemente, erano dotati di circuiti elettrici permanenti a carica stabile ridottissima, in forza di materiali elettromagneticamente attivi; quali resine trattate particolarmente per lo scopo, artigianalmente. Quel che notammo, è che strano ed antipatico studioso si aggirava tra i flipper della sala ove eravamo, giudicando i fuzzer degli sciocchi che non se ne intendevano di tecnologia. Lo studioso, ne venimmo poi a sapere, non aveva potuto comprender tutto di ragionamenti di Insiemistica. In particolare io, che sin da scuola media ne ero esperto, notai che nel fissar cose ne sognava per spavento maggior distinzioni ma temeva di distinguer luminosità interponentesi une ad altre. Mentre un fuzzer si occupava del suo sguardo al piano inclinato del flipper, io notai che non poteva ragionar bene su sporcizia sotto suole altrui oppure in scarpe sue. Fatto notare al fuzzer e ad altri fuzzer, ne trovai con mia gran sorpresa già informati: "tipo classico", "classic type", che significava inversione difensiva al contempo descrizione di inversione, assai nota tra flipperisti anche solo comuni che ne trovavano in soggetti prepotenti e pericolosi a volte bazzicanti in sale da gioco. Lo studioso, io intuii, era in gravi angoscie alle prese con concetto matematico non esclusivamente eminentemente aritmetico di "insieme aperto".

[! questo mio messaggio continua in mio successivo !]

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

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In aula scolastica io già tempo addietro avevo approntato finanche gioco intellettuale per difesa da simili individui e una compagna di classe ne aveva usato: si trattava di far quasi illudere, correggendone dispettosa inversa erroneità, il (o la) prepotente intellettuale che suo insieme di capelli non fosse matematicamente omogeneamente chiuso ma matematicamente aperto, dacché convinto (o convinta) per suo pregiudizio che respirazione accadesse matematicamente in insieme di unità-infinità non di unità-unità, dappoi ritrovandosi a far cadere polvere da sua testa entro immediatissimi suoi paraggi. A ciò, io avevo concepito messaggi appositi, con gesti manuali ritmicamente scanditi da relazionare a presunzione del (o della) prepotente di aver capelli esenti da polveri; a tanta distanza (ovvio!) con le dita bisognando simbolicamente specchiare i due insiemi chiusi, quello di polvere men-chiuso-che-aperto (\< ; non: />). Funzionava, se si sapeva interagire con logicità-matematicità istintuale non culturale dell'errante che in quanto prepotente era assai suscettibile ad impulsi correttivi-istintivi... Ebbene, anche in sala dei flipper funzionava, diversamente applicato, a calzature ed altro; e la difesa del luogo ne beneficiava perché gli ipertecnologici fuzz dei flipper, mentre c'erano i fuzzer, ai prepotenti iperappassionati di distinzioni non luminose ed iperdistratti con indistinzioni luminose facevano effetto fantastico " (real) fantastic effects", come di aspirine gioconde e colorate, sì che sbagliavan meno con scarpe e musi tanto protesi quanto non curiosi ad ambiente attorno.
Non è invece fuzzy, non ipertecnologico, ma ultrapositivista, il pretender da filosofico evento tempi matematicamente "fuzz", perché il filosofo non è tale per azioni determinate e perché si rapporta a mondo della tecnica per notare-sapere-capire.

[! questo mio messaggio continua in mio successivo !]

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

[! questo mio messaggio continua da mio precedente]

Allora se altramente determinato illuminismo filosofico, esso non deriva da una incognita filosofica e, a notarne filosoficità, resterebbe teoria fisiologica "del Macroantropo", balenata già "in mente e con dire" di Leonardo prima che formulata da Swedenborg con studi scientifici separati, anticipati: non per creder vero un universo a forma di filòsofa persona, ma per non negar intuiti di Sofie non persone, in universo significativi messaggi di accadimenti... E se ciò ad atea miscredenza par dimostrar stupidaggine e nulla, perlomeno ci son a dire no, studi non studiosi senza studi; difatti stesso Swedenborg aveva fatto, a giovar chi ostinato a negar effetti omologhi del tutto su parti, dimostrazione, da scienza applicata... che non son tali negazioni cui profittan animaletti guerrieri che fabbricano veleni, detti ragni, ma veleni potenti di ortica diventan letali proprio se mente non considera quegli effetti... che nondimeno non Dio, non un dio essi sono.


[! questo mio messaggio è ultimo dopo successione annunciata in terzo mio qui (del 10 gennaio 2020 02:06) !]


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Della concezione della logica come scienza, recensore ne riporta detto di autore in espressione medioevale ed ambigua.
Logica come scienza è estrapolazione di logicità di proceder scientifico. Se tal estrapolazione non presentata in disciplina di studi detta logica ma a scienze riferita, essa si può dir scienza quale logica; ma dirne in disciplina della logica a scienze riferita, non ha senso. Capito tutto ciò, si capisce pure che non esiste alcuna scienza della logica, sebbene scienze siano direttamente o indirettamente con logica. Logica in quanto scienza (e non altro, per esempio non in quanto passeggiare...) è senza dubbio espressione sensata se riferita alla realtà logica non realtà illogica. Però è evidente che tal realtà logica è vasta e non particolarmente definita in quanto tale, perciò la insistenza a far equivaler genericamente logica a scienza non reca senso se non a volontà confusionarie ed oscurantiste. Anche cucinare ha propria logica e far apparire logica scientifica (!) quale logica delle logiche è disastroso per filosofia, giacché, ad esempio (già inoltrato) non conduce a scienze applicate ad alimentazione ed anzi serve solo a negar abilità ed inventive dei cuochi. Il fatto che molti amino finger applicazione di scienze unita a tecnica derivatane ed a teorie applicate, dovrebbe indurre filosofi a maggior prudenza e precisioni espressive, anche, per esempio, per non dare occasioni ad invasioni di falsi studenti (non è problema di fantasia). Inoltre dire "scienza dell'argomentazione razionale" in filosofia e non solo è sofisma o espressione di senso non compiuto e difforme.
Attualmente esiste àmbito fenomenologico quale linguistica comunanza filosofica scientifica e le espressioni medioevali suonavano insulse da decenni se propinate con insistente distrazione, che filosofica non può essere.
Ancora molto altro da dire:
La matematica è disciplina separata dalla logica, ma argomenti di disciplina non sono separati. Inutile citar solo algebra per notarlo. Inoltre ad esser precisi il maggior contenuto logico della matematica è nella analisi matematica non in algebra; basterebbe notar utilizzo in chimica, diretto, dell'algebra — per notarne.
La logica non è disciplina scientifica ma quale pensiero non disciplina di pensiero esso è di scienze, specialmente in scienze matematiche — in scienza della matematica, ma quale non cedibilità a logica generica; e bisogna evitar di tradurre dal latino medioevale solo per sintassi non anche paratassi per capire che anche in cultura medioevale non si riteneva la logica una scienza.
Su "storia della logica" si noti: quelli che per troppo ruolo attribuito a filosofia pensano a la logica quale dottrina principale di tutte le logiche, non fanno più filosofia. Storia della logica separata, è storia di disciplina logica; ma questa non ha requisiti sostitutivi delle altre, solo genericizzati.
Per non incorrer in difficoltà linguistiche dicendo di natura logica o esistere logico e costruzione logica, si ricorra ad espressione (anche crociana) "loico". Loico quale: naturalmente logico o, anche distintivamente: che esiste logicamente, di per sé.
In un modo o nell'altro, proprio non è stato giusto il confonder su statuti e distinzioni di scienze nominando 'la logica'.


MAURO PASTORE