martedì 5 settembre 2006

D’Angelo, Paolo, Cesare Brandi, Critica d’arte e filosofia.

Macerata, Quodlibet, 2006, pp. 149, € 16,00, ISBN 88-7462-140-X.

Recensione di Micaela Latini – 05/09/2006

Estetica

Bene ha fatto Paolo D’Angelo a riunire, in occasione del centenario della nascita di Cesare Brandi (1906-1988), gli scritti che nel corso degli anni aveva dedicato al grande critico e teorico delle arti. Il filo conduttore che lega contributi originariamente pensati per diverse destinazioni è esplicitato fin dal sottotitolo del libro, Critica d’arte e filosofia, a segnalare i due filoni che hanno caratterizzato l’attività teorica di Cesare Brandi. Il senso pregnante di questa locuzione va cercato proprio nel reciproco costellarsi delle due dimensioni, a dispetto di quegli equivoci e di quelle interpretazioni limitative che le hanno schiacciate l’una sull’altra, non rendendo giustizia al pensiero brandiano e impedendone un’adeguata comprensione.
A partire dalla connessione tra critica d’arte e filosofia, il volume si propone allora di scongiurare quelle forme pregiudiziali che hanno segnato negativamente la ricezione della estetica di Brandi. Paolo D’Angelo non nutre alcun dubbio a proposito: in Brandi teoria e critica si richiamano vicendevolmente e inevitabilmente, in un proficuo e ineliminabile connubio. E’ quanto si legge in un passo del volume: “Scopo di questo libro è in primo luogo dimostrare che le cose non stanno affatto così, e che anzi è vero l’opposto, che le due direttrici della attività brandiana prendono l’una luce dall’altra, stringendosi in un rapporto troppo profondo e complesso per poter essere sciolto nelle rappresentazioni correnti di una critica che sia traduzione pratica od esemplificazione di una teoria e, viceversa, di una teoria che sia mera trasposizione su di un piano normativo generale di una esperienza critica determinata” (p. 14). In un’epoca in cui la critica letteraria e artistica sembra versare in una irredimibile crisi, D’Angelo individua nella dimensione critica e nella sua connessione con la filosofia la sigla del riscatto del pensiero di Brandi dalla diffidenza che nei suoi riguardi è stata esercitata.
La prima mossa da fare per restituire il pensiero brandiano nella sua completa fisionomia, è quella di scagionare tale teoria dal mero appiattimento sull’estetica crociana. Come D’Angelo sottolinea con fermezza nel I e nel IV capitolo del volume, Brandi si avvale dei risultati raggiunti da Croce, ma non manca di recidere il cordone ombelicale che lo legava al grande predecessore. Nel panorama dell’estetica italiana del Novecento la riflessione brandiana, infatti, pur collocandosi sul solco tracciato da Croce e pur traendone alimento, individua una sua propria traiettoria, e una metodologia propria rispetto ai risultati crociani. In questo senso può a ben ragione essere considerata come la prima estetica post-crociana. È lo stesso Brandi a rimarcare la distanza dalla posizione di Croce, quando nel Carmine definisce la sua opera come una “fenomenologia della creazione artistica”: una riflessione quindi che si riferisce alla genesi o alla ricerca, e non “crocianamente” all’espressione compiuta (ossia all'identità di intuizione ed espressione). È questo il cuore del IV capitolo del libro, che non a caso porta il titolo “La considerazione dinamica del processo artistico”. Nel ripercorrere l’opera teorica di Brandi, D’Angelo si sofferma sull’annosa questione del rapporto che intercorre tra l’immagine artistica e la realtà – una problematica accantonata da Croce e riproposta con forza negli scritti brandiani. È proprio nel tentativo di sciogliere questo nodo teorico, che Brandi ha tracciato le coordinate della sua “teoria della creazione artistica”, individuando le due fasi del processo artistico: la costituzione d’oggetto e la formulazione d’immagine. La prima locuzione indica la selezione che l’artista opera sull’immagine dell’oggetto per approdare ad un’immagine che «non è affatto un duplicato dell’oggetto, ma in cui l’oggetto è sostanza conoscitiva e figuratività» (pag. 56). In sintonia con l’epoché di Husserl, la “costituzione” di Brandi richiede all’artista lo sforzo di separare l’oggetto dalla realtà in cui esso è immerso, di mettere tra parentesi l’esistenza dell’oggetto, per determinare l’arte come realtà pura. Tale distinzione si definisce nella produzione brandiana successiva come dicotomia tra flagranza e astanza, laddove la seconda sta a indicare l’irriducibilità dello spazio dell’opera d’arte allo spazio esistenziale, il suo carattere sensibile e intransitivo. Solo in seguito a questo primo momento (“la costituzione”) si perviene alla fase successiva della creazione artistica, ossia la “formulazione d’immagine”, che vede l’opera farsi esterna e tradursi nel suo aspetto fisico-materiale. La rappresentazione è quindi caratterizzata dal rapporto tra un elemento di opacità e uno di trasparenza, o con il registro di Brandi tra differenza e presenza. Il che equivale a dire che l’opera d’arte, nel darsi nel mondo come oggetto concreto (come esistente), rivela la possibilità del suo darsi (la differenza), e denuncia così la sua irriducibilità al mondo stesso (il suo essere). Secondo Brandi sono proprio le due fasi della creazione artistica (costituzione d’oggetto e formulazione d’immagine) a costituire lo “stile”. Esso non si esaurisce in un semplice ricettario desumibile dai caratteri dell’opera formulata, ma accompagna l’intero processo formativo dell’opera. Nell’individualità dell’opera d’arte, nella sua forma, cogliamo qualcosa che non si lascia ridurre ad essa, e che tuttavia si radica proprio nei suoi elementi materiali. In questo senso lo stile ha a che fare con la dimensione dell’opacità che innerva di sé ogni forma-opera d’arte determinata.
Sono questi i nodi teorici che emergono nel secondo capitolo, dedicato allo sviluppo dell’estetica brandiana, e nel terzo, volto ad analizzare le radici fenomenologiche che sottendono questo pensiero.
Su questo stesso sfondo problematico si colloca l’estetica dell’architettura di Brandi, analizzata da D’Angelo nel V capitolo del suo libro. A differenza della pittura e della scultura (oggetto d’indagine del VII e del VI capitolo, rispettivamente), l’architettura (così come la poesia e la musica) non si richiama a un modello esterno, ma a un bisogno pratico (che, proprio per questo, è irriducibile alla realtà pura). Tale peculiarità, invece di configurarsi come un limite della sua teoria estetologica, viene anzi intesa da Brandi come un ulteriore tassello da aggiungere alla questione dell’immagine artistica. Con il caso peculiare dell’architettura, la definizione in genere dell’arte si arricchisce così di uno spessore poietico e pratico.
A questo punto – spiega D’Angelo - una precisazione si fa necessaria: se la teoria estetica di Brandi si configura come un’indagine sul mondo della creazione artistica che prende le mosse dalla peculiarità di ogni singola arte (poesia, pittura, poesia, scultura, architettura, musica, teatro), ciò avviene non per delimitare i confini del territorio in esame, ma, piuttosto, per tentare di risalire, sull’occasione di questa o quell’attività, alle condizioni di possibilità dell’arte in genere. È in gioco uno sforzo di risalimento da ogni contesto determinato all’orizzonte teorico generale. Inevitabile è qui il riferimento alla lezione di Emilio Garroni (tra l’altro maestro di D’Angelo), che insieme ad Umberto Eco, è stato l’interlocutore costante di Brandi.
Questi sono solo alcuni dei luoghi teorici essenziali alla comprensione dell’estetica di Cesare Brandi, che vengono affrontati nel volume Cesare Brandi. Critica e filosofia, un lavoro che si configura non solo come un’introduzione all’estetica e alla critica brandiana, ma anche come proseguimento di un dialogo che D’Angelo non si è mai stancato di portare avanti. Il merito di questo prezioso libro è quello di restituire alla riflessione di Brandi il suo profilo di critico-filosofo dell’arte e non solo di teorico del restauro - etichetta sotto la quale è universalmente noto (cap. VIII). E nel riannodare le diverse fila che intessono la trama del pensiero critico brandiano, D’Angelo non ha mancato di restituirlo al suo contesto storico-teorico, muovendosi in serrato confronto con le tesi di autori fondamentali per la sua teoria. La costellazione degli ispiratori di Brandi non è infatti circoscrivibile a Kant e a Croce, ma deve essere estesa ad Anceschi, Banfi, Cantoni, Della Volpe, Formaggio, Morpurgo Tagliabue, Paci e Pareyson per l’ambito italiano, e ai nomi di Derrida, Gadamer, Heidegger, Husserl, Sartre e Jauss nell’ambito internazionale.

Indice

I. Cesare Brandi o del critico-filosofo
II. Sviluppo dell’estetica brandiana: dall’arte cime “realtà pura” all’ “astanza” dell’arte
III. Le radici fenomenologiche dell’estetica di Brandi
IV. La considerazione dinamica del processo artistico
V. L’estetica dell’architettura
VI. L’estetica della scultura
VII. Segno e immagine
VIII. La teoria del restauro e l’estetica
Bibliografia
Indice dei nomi

L'autore

Paolo D’Angelo è professore ordinario di Estetica presso l’Università di Roma Tre. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Ars est celare artem. Da Aristotele a Duchamp (Quodlibet, 2005), i volumi Estetismo (2003) e L’estetica del Romanticismo (20053) presso Il Mulino, e quelli Estetica della Natura (20053), L’estetica italiana del Novecento (1997), Simbolo e Arte in Hegel (1989) e L’estetica di Benedetto Croce (1982) tutti editi da Laterza. In collaborazione con Gianni Carchia ha pubblicato il Dizionario di Estetica (Laterza, 20053) e, con Stefano Velotti, Il “non so che” storia di un’idea estetica (Aesthetica, 1997). Per Laterza ha poi curato la Critica del Giudizio di Kant (20052) e le Lezioni di estetica di Hegel (20052).

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