giovedì 28 settembre 2006

McTaggart, John Ellis, L’irrealtà del tempo, a cura di L. Cimmino.

Rizzoli, Milano, 2006, pp. 215, € 10,20, ISBN 88-17-01072-3.

Recensione di Massimo Pulpito – 28/09/2006

Storia della filosofia (neoidealismo), Metafisica, Ontologia

Nel 1908 il filosofo inglese John McTaggart pubblicò sulla rivista Mind un articolo dal titolo «The Unreality of Time», che avrebbe poi riproposto, con leggere modifiche, nella sua opera maggiore, The Nature of Existence (uscita postuma in due volumi negli anni 1921-1927). In quel saggio, il filosofo presentò un celebre argomento, noto in seguito come «paradosso di McTaggart», con il quale tentava di dimostrare l’irrealtà del tempo. Il tentativo non era nuovo: la tesi dell’illusorietà del tempo (o comunque del minore grado di realtà del tempo rispetto all’eternità atemporale) non trovava ospitalità solo all’interno del neoidealismo inglese, la corrente a cui apparteneva lo stesso McTaggart, ma era stata variamente sostenuta da filosofi del passato (dai neoplatonici a Spinoza). Inediti erano, però, il modo in cui il filosofo impostava la questione e il rigore logico con cui argomentava quella tesi antica.
McTaggart apriva il suo ragionamento, proponendo una distinzione fondamentale, che avrebbe poi avuto molto successo nella filosofia del tempo novecentesca. Egli osservava che con il termine «tempo» noi indichiamo due ordini temporali diversi: la serie passato/presente/futuro e la serie prima-di/contemporaneo-a/dopo-di. Il filosofo chiamò questi due diversi ordini di tempo «serie A» e «serie B».
Qual è il senso di questa distinzione? A prima vista, parrebbe una separazione puramente nominale, giacché intuitivamente giudichiamo le due serie equivalenti. In realtà, la distinzione è tutt’altro che di superficie, e coglie una differenza sostanziale tra i due ordini. Gli elementi della serie A attribuiscono ad ogni evento un singolo momento temporale: ad esempio, la stesura di questa recensione è (per me, adesso) un atto presente. Gli elementi della serie B, invece, esprimono le relazioni temporali che, volta a volta, si determinano tra due eventi: per tornare al nostro esempio, la stesura di questa recensione precede la sua pubblicazione. Da questa differenza ne discende un’altra, che è quella su cui si sofferma McTaggart. Le relazioni della serie B sono permanenti. Un evento x che precede o segue un evento y, resterà perennemente in questa relazione. La proposizione che afferma: «L’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 è successivo alla prima elezione a presidente di George W. Bush» è sempre vera, indipendentemente dal momento in cui viene pronunciata. Al contrario, un’affermazione che esprime una posizione nella serie A cambia nel tempo il suo valore di verità. La proposizione: «L’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 è un fatto passato» è vera oggi, ma non lo era ad esempio il 10 settembre 2001, allorché l’attentato era ancora un evento futuro. Così, mentre le relazioni della serie B non mutano, i momenti della serie A mutano continuamente: un evento diventa sempre meno futuro, quindi presente e infine sempre più passato.
A questo punto, McTaggart si chiede se entrambe le serie siano ugualmente necessarie per la realtà del tempo. Per rispondere a questa domanda, egli parte dall’assunto classico secondo cui il tempo presuppone il cambiamento: non può esistere il primo senza il secondo. Ora, tra le due serie, l’unica che ammetta una forma di mutamento, come si è visto, è la A. Le relazioni B, infatti, sono permanenti. Non solo, ma McTaggart mostra come, in realtà, la serie B dipenda dalla serie A. Essa sarebbe il risultato di una sovrapposizione tra la serie A e quella che McTaggart chiama «serie C», una terza serie che, a differenza delle prime due, non può dirsi temporale. Essa, infatti, possiede un ordine ma non una direzione (la freccia del tempo): un evento posto all’interno della serie C, si colloca tra (e non prima o dopo) altri eventi. Ad esempio, di un evento y della serie C si può solo dire che si trovi tra gli eventi x e z, ma non prima o dopo di essi. È un po’ come se si trattasse di una fila di oggetti che possono essere enumerati indifferentemente in un senso o in quello opposto, poiché il loro ordine non ha una direzione prestabilita. Ora, secondo McTaggart, è solo allorché la serie A dei momenti scivola sulla serie C degli eventi, che si produce una serie B: una serie, quest’ultima, che eredita dalla A la direzione temporale, e dalla C la permanenza delle relazioni interne.
McTaggart è così giunto alla conclusione che il tempo implichi la serie A. Per dimostrarne l’irrealtà, basterà provare che questa serie è intrinsecamente contraddittoria e non può esistere. Inizia così il secondo momento della sua riflessione, in cui è contenuto il noto paradosso. Il filosofo osserva che i termini della serie A si presentano come caratteristiche di eventi tra loro incompatibili: un evento passato non può essere presente o futuro; un evento presente non può essere passato o futuro; un evento futuro non può essere passato o presente. «Eppure», osserva McTaggart, «ciascun evento le possiede tutte. Se M è passato, è stato presente e futuro. Se è futuro, sarà presente e passato. Se è presente, è stato futuro e sarà passato. Tutti e tre i termini incompatibili sono predicabili di ciascun evento, cosa ovviamente incoerente con il loro essere incompatibili» (pp. 133-134). L’obiezione a questa considerazione sembra banale. È vero che gli eventi posseggono tutte e tre le determinazioni A, ma ciò avviene in tempi diversi. Al contrario, l’incompatibilità è limitata al solo possesso di quelle determinazioni nello stesso tempo: un evento, infatti, non può essere contemporaneamente passato, presente e futuro. McTaggart ha, però, un’originale risposta per questa obiezione, ed è qui il cuore del suo argomento. Egli rileva che per esibire il modo non contraddittorio in cui gli eventi assumono le tre determinazioni temporali, si è costretti a ricorrere nuovamente al tempo nella forma di un’altra serie A. Noi diciamo, infatti, che se un evento è presente, è stato futuro e sarà passato; se un evento è passato, è stato presente e futuro; se un evento è futuro, sarà presente e passato. Poiché «è stato, è e sarà» equivalgono a «passato, presente e futuro», McTaggart scrive: «Ne consegue che la serie A deve essere presupposta per rendere ragione della serie A. E questo è chiaramente un circolo vizioso» (p. 134). Il paradosso può assumere anche la forma di un regresso infinito, poiché anche la serie A del secondo livello, per dimostrarsi non contraddittoria, deve fare ricorso ad una serie A di terzo livello e così via all’infinito. Se dunque la serie A si rivela contraddittoria, e se è vero che il tempo implica la serie A, allora anche il tempo è contraddittorio; e poiché per l’idealista McTaggart nessuna cosa contraddittoria può essere reale, allora il tempo è irreale.
L’argomento di McTaggart (qui presentato in maniera semplificata: il saggio è molto più articolato) ha attraverso come un fiume carsico la filosofia novecentesca. Quasi ignorato all’epoca della sua pubblicazione (ma non sfuggì a Bertrand Russell), è scomparso per alcuni decenni dal dibattito filosofico, per poi ricomparire con forza nella seconda metà del Novecento, divenendo sempre più un passaggio obbligato degli studi sul tema. Non c’è quasi saggio sul tempo scritto negli ultimi anni (prevalentemente di area analitica, laddove è in corso un’ampia discussione sul tema) che non faccia esplicito riferimento al saggio di McTaggart. La sua distinzione tra serie temporali è divenuta canonica, e il rimando al suo paradosso è superato in letteratura soltanto dalla citazione dell’agostiniano «Quid est ergo tempus? Si nemo ex me quaerat, scio; si quaerenti explicare velim, nescio» (Conf., XI.14). È interessante notare che questo riferimento dominante non ha veri eredi: sebbene tutti i filosofi del tempo ripartano dall’argomento di McTaggart, nessuno ha, però, mai accettato il paradosso nella sua interezza. Vi sono, ad esempio, i cosiddetti teorici A (sostenitori della teoria dinamica o tensionale del tempo) che accettano la premessa dell’implicazione tra tempo e serie A, con la serie B considerata solo un tempo derivato (o al limite coesistente con la A), ma rifiutano la conclusione distruttiva del tempo, proponendo soluzioni del paradosso, che mostrino l’inconsistenza della contraddizione. All’opposto, i teorici B (sostenitori della teoria statica o atensionale del tempo, fino a pochi anni fa la maggioranza indiscussa dei filosofi del tempo) condividono la conclusione dell’argomento e difendono il paradosso, ma lo ritengono circoscritto alla sola serie A, e non al tempo in generale. Per questo, rifiutano l’assunto secondo cui la serie B implicherebbe la serie A. Il tempo reale sarebbe, invece, organizzato secondo le relazioni B, e la suddivisione in passato, presente e futuro sarebbe totalmente illusoria (come sembrerebbe confermare anche la fisica novecentesca). Altri studiosi, più radicalmente, hanno rifiutato i presupposti stessi del paradosso, e cioè l’idea che il tempo implichi il mutamento, la tesi per cui tutto ciò che è contraddittorio è irreale e la modalità surrettiziamente atemporale con cui sono immaginati gli eventi.
Il libro che qui recensiamo riproduce opportunamente sia la prima, sia la seconda versione del saggio, assieme ad altri due articoli di McTaggart, mai tradotti in italiano, che consentono di contestualizzare le idee sul tempo del filosofo all’interno del suo sistema di pensiero: Il rapporto tra Tempo ed Eternità (1907) e Misticismo (1909). Luigi Cimmino, che ha curato il testo, nell’ampia introduzione dal titolo McTaggart e la filosofia del tempo, rende conto degli sviluppi filosofici più recenti del dibattito filosofico sul tempo a partire dal paradosso di McTaggart, aggiungendo altresì una breve presentazione della fenomenologia del tempo di Husserl. Un’aggiunta intelligente dal punto di vista teorico, ma forse ingiustificata in un testo dagli obiettivi così circoscritti. Del resto, tutta l’introduzione appare a tratti eccessivamente disimpegnata. Un maggiore precisione e una minore rapidità nel trattare gli argomenti, così come un più attento inquadramento storico delle idee di McTaggart, avrebbe giovato maggiormente alla ricostruzione del dibattito, alla comprensione dell’importanza del contributo teorico del filosofo, e in un’ultima analisi, alla diffusione di questa feconda linea di ricerca nel panorama filosofico italiano. (Da questo punto di vista pionieristiche sono state le pubblicazioni di Mauro Dorato, Vincenzo Fano, Elisa Paganini e Claudio Tugnoli.) Ciò non toglie che la pubblicazione di un libro interamente dedicato alle tesi di McTaggart sul tempo da parte di un importante editore, costituisca senza dubbio un piccolo evento, che va salutato con favore.

Indice

McTaggart e la filosofia del tempo
Invito alla lettura
Bibliografia
L’irrealtà del tempo
Il rapporto fra Tempo ed Eternità
Misticismo
Appendice: da La natura dell’esistenza


L'autore

J.M.E. McTaggart (Londra 1866-1925) insegnò Filosofia morale a Cambridge e fu un importante esponente del neoidealismo inglese. Tra le sue opere Studi di dialettica hegeliana (1896), Alcuni dogmi della religione (1906), La natura dell’esistenza (1921-1927).


Il curatore

L. Cimmino (Roma 1953) insegna Gnoseologia all’Università di Perugia. Ha pubblicato vari studi su Wittgenstein, sulla questione del libero arbitrio e su altri argomenti di epistemologia.

Links

Cenni biografici e testi di alcune opere di McTaggart:

Il testo del saggio The Unreality of Time su Wikisource:

Il sito di Quentin Smith, uno dei più noti teorici A:

La pagina personale di Nathan Oaklander, uno dei più noti teorici B:

7 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Ritengo salvifica (!) preventiva digressione storica-culturale-linguistica, affinché chi sa o vuol sapere non sia senza previe difese contro ignoranti troppo pretestuosi o presuntuosi troppo ignoranti.

Risultano ancora notevolissime talvolta negative distanze culturali tra mondo anglosassone e mondo italiano non anglofono...
Si incontrano traduzioni dall'inglese stentate o appena sufficienti e dei testi tradotti approcci di lettura senza contesti culturali omologhi o ancor meno (purtroppo ci son anche i dispetti della etnofobia, per cui alcuni si dedicano ai testi con parziale estraneità o costretti)...
Da ciò che io — e presumo anche molti o pochi altri — abbia potuto sapere circa modi e maniere della burocrazia americana dei primi decenni del Secolo Ventesimo, deduco (...torno, ritorno a dedurre...), da quanto reso disponibile al Web nel link di "Wikisource", che in anno 1924 il filosofo John (Ellis) Mc Taggart avesse mutato nome e cognome in soli Ellis Mc Taggart... Per tale ragione, attribuendosi comunemente nonché "volgarmente" sua morte in anno successivo senza distinzione conseguente, è da considerarsi che di lui fu registrata "scomparsa"; e ciò nelle consuetudini discorsive del così menzionabile estremo Nord e nelle abitudini linguistiche più rigorose della cosiddetta America europea è dicibile "died", che a rigor di logica ed a prescinder da decadenze di utilizzi linguistici di moltitudini (ne ho io saputo triste in certi casi quasi disperata realtà avvalendomi di immane curiosità e tenacia e sagacia!) è parola inglese che indica il venir meno della presenza, non la constatazione di una salma (resti non continuazioni) né del cadavere (rovine di resti) né di mummia (segni di rovine) e neppur di spoglia (corpo del tutto privo ed incapace di energia vitale). In senso proprio "died" è termine arcaico di comune radice indoeuropea sanscrita attraverso antecedenze-precedenze (da ciò, la maggior intuibilità attraverso scrittura anche non solo dicitura) linguistiche germaniche, distinte da quelle anch'esse germaniche adatte ad evoluzioni teutoni od esclusivamente teutoni-teutoniche, comunanza anche con analoghe terminologie latine e neolatine e in italiano con le preposizioni: di, da, de . Dunque "died", da forma non derivata "die", indica doppio riferirsi, generico in ogni caso, ed articolandosi in "died" include anche altra uguale comunanza e con le radici semantiche italiane: ed, id, ad (indirettamente anche con: od, ud /); e secondo latinismi e neolatinismi occidentali non europei postcolombiani (varianti di parlate spagnole, portoghesi...) e precolombiani (ve ne son testimonianze etnologiche recenti forse ancor presenti) le inversioni fonetiche e relative scritturali: de, di, da , significano non differentemente da non inversi latini e neolatini però conservando significati radicali, stessi ma non medesimi (!) che in italiano conosciamo quali radici semantiche di parole tra cui: educazione (ed-ucazione) idea (id-ea) aderire (ad-erire)... Quindi "died" in inglese adoperato in America ha per fondamentale utilizzo quello basico, non prestandosi per uso scritto e documentario a sensi non specificabili; e tutto questo significa pure che prima dell'avvento delle culture di massa e massificate in America la scrittura "died" non indicava la morte!!
Forse parrà astruseria questa digressione, però oltre ad evitare applicazioni filosofiche biografiche fuorvianti o dubbie, fa da preparazione al resto che invierò, concernente anche lessicografia inglese in filosofia anglosassone non solo inglese.

()

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Non c'è dubbio che tradurre per chi anglofono la espressione "the unreality of time" in "la irrealtà del tempo" sia tanto ovvio e bastante; ma una traduzione a sua volta filosofica non si basa su ingenue impressioni. Non proponendo codici fissi, traduco con evidenza filosofica non occulta il titolo originale del libro, "The Unreality of Time", così:

"Sul tempo non reale" .

Difatti in inglese nelle frasi mancanti di verbo le specificazioni hanno funzione di soggetto ed, in caso di frase riferita ad alcunché dopo, anche valore di soggetto.

L'articolo titolato così non era lavoro di giornalismo bensì opera di pubblicismo ed in particolare era un testo definibile in certo senso "discorsivo" ma per evento di discorso anche, infatti risulta linguisticamente comprensibile in attività mentale — senza parlare od in soliloquio rappresentativo od in non soliloquio — di discorso! Tale comprensione non è di per sé filosofica e pertanto non subentrandone intuizione filosofica a chi senza intellezione del pensiero filosofico pare o parrebbe insignificante... ma per impressioni linguistiche non contraddittoria! Infatti, nonostante tanta differenza di discorsi, il lessico della filosofia non è differente quanto i discorsi che lo contengono per quanto diversificata ne sia o ne fosse lessicologia; e gli scritti fatti per lettura-riproposizione recano lessicografia uguale a lessicologia...

Usufruendo di quanto ho esposto, si intenda o si apprenda — potendo, potendosene — cosa le singole lettere rappresentano anche grammaticalmente in inglese da sole ed inserite tra parole intere:
da sole sono àfone, cioè il segno corrisponde alla pronuncia per tramite di nessi 'tattici', cioè sintattici e paratattici, non con sola grammatica definibili;
inserite tra dizioni e datoché non hanno funzione propria grammaticale sono utilizzabili alfabeticamente, quali elementi di pluralità, ovvero matematicamente quali elementi di insieme (ho fatto affermazione di analisi matematica degli insiemi matematici), entro riferimenti 'successorii', ovvero pensandone relazione, rapporto, entrambi, di lettera, lettere, tutte le lettere, per espressioni.
In relazione con quanto riportabile da testo originale, ne deriva schema sintetico:

X, Y;
A, B, C, Z;
M, N.

In tale schema:
la prima riga non indica alcunché di notevole, dacché collocata logicamente per prima (x, y, quali lettere non monovalenti non esplicitanti);
la seconda riga indica principio-inizi e termine, filosoficamente dialettici (triade) e affermativi (enade);
la terza riga — con non prima collocazione e con non seconda, data minore esplicitazione ovvero posizioni alfabetiche al mezzo della serie alfabetica — indica consequenzialità ('logica riferita').
M ed N onomatopeicamente primariamente sono: origine e certezza (maternità); meno che origine e certezza (nullità, non niente); ciò invece l'italiano reca solo potenzialmente.

...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Dello schema deducibile (e da me incluso in messaggio precedente):

X, Y;
A, B, C, Z;
M, N.

il pensiero di Mc Taggart (cioè: McTaggart) — da cui dedotto stesso schema, essendone, del vero soggetto incluso da medesimo Mc Taggart, àmbito di temporalità non di alternativa a realtà — ne definisce M quale 'principio di realtà' né euristicamente; infatti quanto Egli considera sulla irrealtà del tempo non è soggettivamente determinato, solo oggettivamente determinato; ne sia principio di spiegazione questa altra notazione linguistica al testo originale:

In lingua inglese il termine "such" può includere significato di ulteriorità se il senso della frase ne contiene e quandanche non vi fossero i due punti posti in orizzontale a fine della frase esso in questo caso non si riferisce a solo contenuto della frase esso contenente ma pure a contenuto di frase successiva.
Si provi, allora, ad intender quanto segue (si badi pure: i due trattini orizzontali che più volte si trovano in testo riportato su Web (sito: "Wikisource") posson essere e sono equivalenti a tratto):

"In the philosophy of the present day the two most important movements (excluding those which are as yet merely critical) are those which look to Hegel and to Mr. Bradley. And both of these schools deny the reality of time. Such a concurrence of opinion cannot be denied to be highly significant -- and is not the less significant because the doctrine takes such different forms, and is supported by such different arguments.

I believe that time is unreal. But I do so for reasons which are not, I think, employed by any of the philosophers whom I have mentioned, and I propose to explain my reasons in this paper.

Positions in time, as time appears to us prima facie, are distinguished in two ways. Each position is Earlier than some, and Later than some, of the other positions. And each position is either Past, Present, or Future. The distinctions of the former class are permanent, while those of the latter are not. If M is ever earlier than N, it is always earlier. But an event, which is now present, was future and will be past."

...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Dunque parte del testo di Mc Taggart in mio messaggio precedente accluso è così significativamente traducibile non altrimenti:

" Cotale occorrenza di opinioni è innegabilmente significante — non meno significante se a motivo di distinzioni formali di dottrine...; essendo supportata da siffatti argomenti:
(1) : È accreditabile, da chiunque (me ["me" ovvero autore McTaggart] compreso), in rapporto a se stesso, sola temporalità [ovvero: si può credere che esista parvenza del tempo senza un tempo]. /
Ma di ciò ne ho incluso per ragioni che non sono le stesse impiegate da quegli altri filosofi che ho menzionato e pure riflettuto [...]
(2) : che i posizionamenti (delle cose) nel tempo, giacché il tempo appare (non solo pare) 'prima facie' [proprio negli aspetti delle cose] siano (percepiti) distintamente entro duplici vie (sensoriali). /
(Orbene...) ciascun posizionamento è prima di qualcosa ed è dopo qualcosa [... ] “

Quali scopi in tal discorso? Uno era di liberare la coscienza interiore del tempo (argomento filosofico che fu pure di Husserl).

...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

... Dunque, a prescindere da sincronie interne ad interpretazioni non decifrazioni e non originarie ed a prescindere da diacronie esterne a tali interpretazioni ed interne a deduzioni concomitanti oppure inconsapevolmente dipendenti da originalità propria cioè da stesso contenuto del testo di Mc Taggart (cioè McTaggart), si perviene e con opportuna comprensione linguistica di stesso testo a messaggio filosofico completo di medesimo contenuto testuale, che io rappresento (e rappresentavo così anche tempo addietro) mediante analogia geometrica di:

punto (C): istanti
segmento (A): momenti
semiretta (B): perennità
retta (Z): sempiternità
piano (M): eternità
piano vuoto (N): mancanza
figurabilità (X, Y)

È evidente che non metafisicamente-gnoseologicamente, bensì epistemologicamente-fisicamente, si può col procedere intellettuale della filosofia identificare interezza di realtà che il solo sapere tutta quanta parimenti individua con duplici metodi di mistica ed estetica nonché tecnologicamente individuabile soltanto nei primi tre elementi e con sistemi duali, in questa separazione: i primi due (A, B, ovvero: produzione, prodotti) quali direttamente impiegati; il terzo quale indirettamente usufruito (C, ovvero: materialità cioè origine della produzione e consistenza dei prodotti).

Chi volesse dare senso a quel che si racconta essere "il celebre paradosso di McTaggart", dovrebbe risalirne ad originarietà-originalità di accadimenti significati dallo stesso non medesimo dire: che rappresentavano le più o meno parziali decifrazioni e poi le più o meno celate elucubrazioni di quelli che del tempo nulla volevano pensare in accordo ai tempi adatti ad occidentale filosofia.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

... Si raccontava pure aneddoto, di un sosia mai esistito, che molti ex filosofi pensavano a propria immagine e tentando di figurarsi McTaggart e poi chiedendo che di altri si parlasse, non di ex né di lui!...


La cultura illuministica, post-illuminista (entro cui da annoverare quella marxista anche), accettando integrazioni aritmetiche-matematiche e non accogliendo matematici integrali, non ha mai avuto a disposizione epistemologia fisica, anche perché separata dal pensar non scientifico fisico filosofico, dato che tali sue preclusioni alla integralità matematica consistenti in ultima ragione a piuttosto deliberati rifiuti da parte delle guide cui tal stessa cultura si riferisce, un tempo intente ad alternative esistenze culturali poi al tempo di Marx attente ad esigenze di prima derivazione non occidentali; per questo tra i loro non volere e voler altro prevalevano, nei vasti ambienti sottoposti a tal rifiuti ed estraneità, abusi di saperi popolari forestieri ed alternativi a sapere filosofico invero deculturalizzanti ed usi di interventi filosofici insufficienti per difendere le stesse culture avversate da quei popolari più o meno alieni saperi. Alle reazioni, tali avversioni controreagivano col tentare di dirigere od obbligare a scontro — più o meno occultamente e sfruttando aggressività economiche non occidentali contro economie occidentali — epistemologie intuitive e fisiche intellettuali le une contro le altre secondo stessi eventi filosofici avversati e scientifici ignorati; fino a tentare, con lo stalinismo, di cancellarne distruggendone le necessità materiali e sostituendone con altre; ma queste altre erano inadatte a far da sostitute perché quelle da sostituire dipendevano da bisogni concreti non universalizzabili ma non trascurabili. A dar forza a queste violenze ci aveva pensato il positivismo, cui successo oltre che da inganni solo postumamente attivi era dato da poteri sostitutivi a quelli reali di cui sostituzioni avevano successo per coincidenze; per cui tecniche spurie si affermarono (tragici esempi ancora attuali: ordigni offensivi atomici, natanti per turismo marittimo finanche oceanico). Le invadenze di tali, talaltre, incompetenze continuano ma hanno perduto vecchi ruoli di predominio; non fosse accaduto ciò l'umanità avrebbe avuto meno certezze che in antichità e più pochezze anche di numeri. Ma perdurando assai gravemente emergenza ecologica planetaria e continuando odierna e globalista antipolitica a sfruttare sia quei predomini che proprie disastrose ed invadenti inazioni anche ai danni di non politica, la certezza della vita umana in questi nostri ultimi presenti tempi è d'egual livello delle epoche che i paleontologi definirebbero, definiscono antidiluviane; senza che vi si sia certezza che la rovina di parte di umanità accada senza sciagure per altra.
A ciò non inoltrano i paradossi e aneddoti che si odono sul caso od i casi di McTaggart (Mc Taggart); semmai ne aiutano concepibilità.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Ritengo opportuna una duplice precisazione, dato che molti o forse pochi lettori ed interessati potrebbero restar ingannati, momentaneamente o forse non solo momentaneamente, da logica cui apparenza assai difficoltosa e non potendo quindi diventar intenditori anche:

La successione delle lettere nello schema di tipo geometrico che ho segnato è diversa dalla successione alfabetica anche in ragione della distinzione spazialità/temporalità la quale non è unitariamente omologamente sintetizzabile anche perché la spazialità è data dal movimento stesso pure; quindi si tratta di intendere di medesimo schema una 'eterologia' non solo di constatarne una 'eteronomia'.

Ê utile porre mente alla distinzione, logica, per la quale la tecnologia non è una morfologia, per comprendere la descrizione che ho fornito di individuazione tecnologica — schema morfologico corrispondente non lo accludo né includo perché non sarebbe di completa pertinenza ai fini dei miei commenti qui, comunque esso risulterebbe, risulta piuttosto od assai intuitivo da aggiungere e forse non solo per chi conoscitore ed applicatore di scienza della morfologia.

MAURO PASTORE